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14 ottobre, 2017

laVerdi 17-18 – Concerto n°4


Oleg Caetani è il protagonista dell’appuntamento di questa settimana, con un programma tutto russo, anzi... russo-sovietico! Già, perchè proprio in questi giorni corre il secolare anniversario della Rivoluzione più amata e più odiata nella storia dell’umanità, e allora viene proposto per la prima volta in Italia l’omaggio che a quell’avvenimento rese Sergei Prokofiev nel ventesimo anniversario.

Si tratta della Cantata op.74, che a dispetto delle (verosimili) migliori intenzioni dell’Autore conobbe un’esistenza assai stentata: composta giusto in tempo per l’anniversario ottobrino, venne invece stroncata dall’establishment staliniano (forse per lesa-maestà, dato che cita discorsi del dittatore, oltre che di Lenin e Marx) e così il povero Prokofiev mai la potè udire eseguita compiutamente. Fu Kirill Kondrashin a riesumarla e presentarla al pubblico, ma solo 13 anni dopo quel giorno del 1953 in cui Stalin e Prokofiev si presero amichevolmente per mano per procedere insieme al... trapasso. Però, accipicchia, nel ’66 erano ancora tempi di de-stalinizzazione, e la Cantata comprende ben due numeri (dei 10) che riportano testi del baffuto dittatore caduto in disgrazia. Ecco che allora i due movimenti vennero cassati (per il reato di apologia dello stalinismo!) e il finale rimaneggiato. Solo nel 1992 a Londra l’opera verrà udita nella sua originale interezza, diretta da Neeme Järvi e con Gennady Rozhdestvensky voce recitante. Noi abbiamo pazientemente aspettato altri 25 anni, senza peraltro farci sopra una malattia... Qui invece un’interpretazione di Gergiev al Barbican.

Nella consueta conferenza che precede il concerto, l’autorevole russologo Fausto Malcovati e il sovietologo (per antica, seppur miglioristica, militanza) Gianni Cervetti (oh, dico, Presidente de laVerdi) hanno riassunto le vicissitudini – nello scenario poco rassicurante del periodo delle purghe staliniane - della gestazione e dell’aborto dell’opera; poi è stato lo stesso Caetani, prima di imbracciare la bacchetta, a dire la sua riguardo quest’opera, che molti bollano come ipocrita, mentre lui (e io concordo in pieno) le riconosce totale buona fede e patriottismo encomiabile (pur se mal riposto... ecco).

Palcoscenico riempito all’inverosimile (come del resto la sala dell’Auditorium, letteralmente presa d’assalto) con l’orchestra disposta in modo assai inconsueto: le viole al posto dei violini secondi messi al proscenio, davanti ai celli e con i bassi alle spalle. Ma c’era da far posto anche a pianoforti e fisarmoniche! Oltre, naturalmente, al coro di Erina Gambarini. E così membri della Filarmonica Paganelli (qui in veste di banda militare aggiunta all’orchestra) guidati da Donatella Azzarelli hanno dovuto trovar posto nella parte anteriore destra della galleria, da dove hanno peraltro realizzato un’accattivante effetto stereofonico.

Musica certo ricca di retorica ed enfasi (ma perchè, il Nevsky non lo è?) come si addice all’occasione; però Prokofiev vi si riconosce da lontano e se ne può apprezzare tutta l’inventiva e la carica genuina.

Grandissimo successo e massimo merito a laVerdi e al maestro Caetani per essere stati i primi in Italia a proporre quest’opera praticamente sconosciuta, ma assolutamente meritevole di apprezzamento.  
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Il concerto si era aperto, come di prammatica, con una sconosciuta e desueta composizione di riempimento: la Patetica di Ciajkovski (!!!) 

Caetani ne ha dato una lettura essenziale, prosciugandola di ogni leziosità decadente (parlo dei movimenti esterni, condotti con piglio quasi espressionista) e non lesinando in fatto di energia (e di... decibel) nei due movimenti interni. Insomma, un Ciajkovski vicino al ‘900 e a Prokofiev, date le circostanze. 

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