Oleg
Caetani
è il protagonista dell’appuntamento di questa settimana, con un programma tutto
russo, anzi... russo-sovietico!
Già, perchè proprio in questi giorni corre il secolare anniversario della Rivoluzione più amata e più odiata nella
storia dell’umanità, e allora viene proposto per la prima volta in Italia l’omaggio
che a quell’avvenimento rese Sergei Prokofiev
nel ventesimo anniversario.
Si tratta della Cantata op.74, che a
dispetto delle (verosimili) migliori intenzioni dell’Autore conobbe un’esistenza
assai stentata: composta giusto in tempo per l’anniversario ottobrino, venne
invece stroncata dall’establishment
staliniano (forse per lesa-maestà, dato che cita discorsi del dittatore, oltre
che di Lenin e Marx) e così il povero Prokofiev mai la potè udire eseguita compiutamente.
Fu Kirill Kondrashin a
riesumarla e presentarla al pubblico, ma solo 13 anni dopo quel giorno del 1953
in cui Stalin e Prokofiev si presero amichevolmente per mano per procedere
insieme al... trapasso. Però, accipicchia, nel ’66 erano ancora tempi di de-stalinizzazione, e la Cantata
comprende ben due numeri (dei 10) che riportano testi del baffuto dittatore
caduto in disgrazia. Ecco che allora i due movimenti vennero cassati (per il
reato di apologia dello stalinismo!) e il finale rimaneggiato. Solo nel 1992 a
Londra l’opera verrà udita nella sua originale interezza, diretta da Neeme Järvi e con Gennady Rozhdestvensky voce recitante. Noi abbiamo pazientemente
aspettato altri 25 anni, senza peraltro farci sopra una malattia... Qui invece un’interpretazione
di Gergiev al Barbican.
Nella
consueta conferenza che precede il concerto, l’autorevole russologo Fausto Malcovati e il sovietologo (per
antica, seppur miglioristica,
militanza) Gianni Cervetti (oh, dico,
Presidente de laVerdi) hanno
riassunto le vicissitudini – nello scenario poco rassicurante del periodo delle
purghe staliniane - della gestazione e dell’aborto dell’opera; poi è stato lo
stesso Caetani, prima di imbracciare la bacchetta, a dire la sua riguardo
quest’opera, che molti bollano come ipocrita, mentre lui (e io concordo in
pieno) le riconosce totale buona fede e patriottismo encomiabile (pur se mal
riposto... ecco).
Palcoscenico riempito all’inverosimile (come
del resto la sala dell’Auditorium, letteralmente presa d’assalto) con l’orchestra
disposta in modo assai inconsueto: le viole al posto dei violini secondi messi
al proscenio, davanti ai celli e con i bassi alle spalle. Ma c’era da far posto
anche a pianoforti e fisarmoniche! Oltre, naturalmente, al coro di Erina Gambarini. E così membri della Filarmonica Paganelli (qui in veste di banda militare aggiunta all’orchestra) guidati
da Donatella Azzarelli hanno dovuto
trovar posto nella parte anteriore destra della galleria, da dove hanno
peraltro realizzato un’accattivante effetto stereofonico.
Musica certo ricca di retorica ed enfasi
(ma perchè, il Nevsky non lo è?) come
si addice all’occasione; però Prokofiev vi si riconosce da lontano e se ne può apprezzare
tutta l’inventiva e la carica genuina.
Grandissimo successo e massimo merito a
laVerdi e al maestro Caetani per
essere stati i primi in Italia a proporre quest’opera praticamente sconosciuta,
ma assolutamente meritevole di apprezzamento.
___
Il concerto si era aperto, come di
prammatica, con una sconosciuta e desueta composizione di riempimento: la Patetica
di Ciajkovski (!!!)
Caetani ne ha dato una lettura
essenziale, prosciugandola di ogni leziosità decadente (parlo dei movimenti
esterni, condotti con piglio quasi espressionista) e non lesinando in fatto di energia
(e di... decibel) nei due movimenti interni. Insomma, un Ciajkovski vicino al ‘900
e a Prokofiev, date le circostanze.
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