Un ragazzino
uzbeko, il 26enne Aziz Shokhakimov, sale sul podio de laVerdi (per la seconda volta dopo circa due anni… e la prima non
fu proprio un trionfo, diciamolo) per dirigervi un programma che al Beethoven dell’integrale dei concerti pianistici affianca il
Prokofiev teatrale. Un palinsesto simile a quello di un concerto della stagione
di quattro anni orsono, salvo che allora l’ultima opera in programma
fu la ben più corposa seconda di
Rachmaninov.
In un Auditorium insolitamente e deplorevolmente disertato da molti (complice
forse il maltempo abbattutosi nel pomeriggio su Milano) il protagonista della
prima parte è il nostro bravissimo Roberto
Cominati (un aficionado ormai di
Largo Mahler) impegnato in quello che è forse il più difficile concerto del
grande Ludwig, il Quarto.
Lui lo suona divinamente e fa passare in secondo piano alcune iniziali gratuite gigionerie
dell’orso uzbeko, che peraltro rinsavisce presto e lo accompagna più che decentemente.
Esemplare la cadenza del movimento iniziale (la prima delle due autografe di Beethoven)
come la profondità dell’Andante con moto.
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Dopo l’intervallo ecco due lavori di Prokofiev
legati in qualche modo al teatro. Dapprima la Suite da L’amore delle tre
melarance, riproposta, come detto, a distanza di 4 anni (allora diretta
dalla Xian). I sei brani riassumono
in poco più di un quarto d’ora i contenuti piuttosto surreali dell’opera di cui
il terzo (Marcia) è divenuto la vera
e propria etichetta, oltre che il leit-motive principale.
L’orso Aziz si mette addirittura a ballare sul podio, creando uno
spettacolo nello spettacolo e facendo divertire prima di tutto i ragazzi; che
però non si distraggono più di tanto e suonano in modo impeccabile.
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L’orchestra si
irrobustisce ulteriormente per la Suite scita, nata da un tempestivo
ripiego di Prokofiev che, sfiduciato dal padrino
Djaghilev che gli aveva rifiutato, dopo avergliela commissionata, la musica per
un balletto dal titolo Ala&Lolly,
la trasformò in un pezzo da concerto che ha avuto indubbiamente una certa
fortuna, quanto meno all’ombra dello stravinski-ano
Sacre.
Il soggetto
del (poi abortito) balletto fu scritto da Sergei Gorodetsky, che si basò su
storia (o miti) degli Sciti di alcuni secoli avanti-cristo (Prokofiev invece immaginava
la vicenda in pieno medio-evo…) che scimmiottano vagamente l’Uccello di fuoco e – sul piano musicale
– appunto Le sacre, balletti che
Stravinski aveva composto pochissimi anni o mesi prima.
Anche qui abbiamo
riti pagani più o meno plausibili, dove si onorano dèi e congiunti (Veles, il sole, e la figlia Ala, una
specie di Diana); dove un diavolaccio cattivo (Chuzbog) in combutta con sette spiriti-serpenti poco raccomandabili
cerca di far sua la deessa, difesa però da ninfe che incarnano i raggi lunari; e
dove un nerboruto mortale (Lolly, ma
di che s’impiccia costui?) interviene per salvare la deessa di cui è innamorato
e viene a sua volta salvato dall’onnipotente Veles che neutralizza il cattivone
Chuzbog; meritandosi comunque un’uscita in gloria accompagnato dal corteggio
solare (!?) Come si vede, le analogie con il Firebird sono molteplici, a cominciare dai personaggi: Lolly-Ivan, Chuzbog-Kastchey, Veles-Uccello,
Ala-Principessa.
Lo scenario del
balletto doveva essere piuttosto diverso da quello della futura Suite: era in 5
e non 4 quadri e prevedeva la morte di Lolly (là una specie di Orfeo,
cantante-poeta) per mano di Chuzbog e poi un finale piuttosto strampalato
(Veles che trasforma Lolly in divinità bruciandolo su una pira, e Ala che si butta
nel fuoco dietro di lui, e così… perde la divinità!)
La Suite, che richiede
un’orchestra ipertrofica, proprio tardo-romantica, con fiati e percussioni in
gran numero, consta appunto di quattro parti, il cui contenuto è in qualche
modo (e con difficoltà, come detto) deducibile dallo scenario del balletto:
1. Adorazione di Veles e Ala. È suddivisa in due sezioni: la prima, in omaggio al dio, assai pesante
(non per nulla l’indicazione agogica è Allegro
feroce) caratterizzata da un ossessivo ritmo marziale che invade l’intera
orchestra (e curiosamente richiama proprio il motivo dell’ultimo brano delle Melarance); la seconda più contemplativa
(Poco più lento) in omaggio alle
caratteristiche boschive, ergo romantiche, di Ala, dove si odono cinguettii di
uccelli e stormir di fronde, tuttavia in un’atmosfera che non è propriamente
idilliaca (qualcosa o qualcuno incombe…)
2. Chuzbog e la danza
degli spiriti. Ecco infatti irrompere l’elemento negativo: sarà
pure del male, ma pur sempre un dio sembra, questo Chuzbog, almeno a giudicare
dalla musica che Prokofiev gli appiccica! Apre con una terrificante esplosione
di timpani e grancassa, poi corni e tromboni imperversano su un ritmo marziale
insistito, che però – rispetto a quello di Veles - ha un andamento irregolare,
come si addice a presenze inquietanti e… serpentine: da 4/4 a 3/4, a 2/4, per
finire ancora in 4: insomma, una cosa abbastanza infernale.
3. Notte. Ottavino, arpe, pianoforte e poi celesta introducono un’atmosfera liquida, come di gocce di rugiada che
condensano sopra erba e fogliame. Ma non è, ancora una volta, uno scenario del
tutto sereno e rassicurante: qualcosa sembra muoversi nell’oscurità, e infatti
emerge sommessamente, dalle ondeggianti semicrome degli archi, una specie di
sinistra Waldweben a far da sfondo a
cupi interventi degli ottoni: che sia il cattivone Chuzbog con i suoi sette sbifidi
serpenti che si aggira fra le frasche per insidiare Ala, la protettrice di quei
luoghi? Il pericolo sembra svanire presto, con l’arpa che glissando introduce
una dolce melodia dei legni: il testo di Gorodetsky fa scendere ninfe
sotto forma di raggi lunari che neutralizzano Chuzbog, allergico alla luce. Ma
l’atmosfera sembra nuovamente surriscaldarsi (passaggio da 4/4 a 6/4) come se
Chuzbog ci stesse riprovando (nel balletto dovevano esserci ben tre suoi
assalti ad Ala). Ma i raggi lunari riportano la calma apparente e sono ancora i
tocchi dell’ottavino e del glockenspiel
a chiudere, con un finale glissando
della prima arpa, il movimento.
4. Marcia di Lolly e
corteo del Sole. L’apertura è in tempo Tempestoso, una marcia assillante, che vorrebbe rappresentare l’arrivo trafelato di Lolly in soccorso di Ala, ancora minacciata
da Chuzbog. Forse è lei che intravediamo al mutare di tempo in Un poco sostenuto, prima di arrivare ad
un Allegro che evoca la preparazione
di Chuzbog alla lotta contro Lolly, che sembrerebbe purtroppo soccombere. Ma
ecco (Andante sostenuto) il ritorno
dei raggi di Veles che neutralizzano definitivamente Chuzbog e accompagnano il
trionfo di Lolly.
Certo, non sarà ancora il Prokofiev del fantastico Romeo… ma insomma la stoffa già si sente e come!
Anche qui Aziz ha modo di ancheggiare e sculettare… però senza fare troppi danni,
anzi. Così i fedelissimi dell’Auditorium gratificano anche lui, oltre i ragazzi,
con convinti applausi.
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