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17 maggio, 2014

Orchestraverdi – Concerto n°34

 

Jader Bignamini anticipa di un paio di settimane il suo ritorno sul podio del laVerdi, prendendo il posto che il programma originario della stagione assegnava ad Oleg Caetani.

In programma due pezzi forti del repertorio tradizionale, che si trovano anche agli estremi opposti del secolo XIX, essendo stati rispettivamente composti nel 1800 e nel 1899.

Il Terzo Concerto per pianoforte rappresenta un autentico punto di svolta nell’ambito della produzione concertistica di Beethoven, così come, un paio d’anni più tardi, sarà per l’Eroica in campo sinfonico. Dopo i due concerti di rodaggio che guardano chiaramente ai modelli mozart-haydniani, qui comincia a farsi sentire il Beethoven impegnato, quello per cui la musica è una cosa maledettamente seria. La forma ancora è la stessa delle prime esperienze (lunga esposizione orchestrale prima dell’entrata del solista, modulazioni ardite) ma è il contenuto che davvero fa cambiar musica!

Il non ancora trentenne torinese Gabriele Carcano ce ne dà una vibrante esecuzione, palesando, oltre ad una tecnica impeccabile – condizione necessaria ma non sufficiente a fare un grande interprete – anche una notevole sensibilità, emersa specialmente nel centrale Largo, ma anche nella difficile cadenza del primo movimento. Meritato successo per lui, che regala anche un bis (Schumann?)
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Bignamini, che l’ha evidentemente mandata a memoria, ha infine diretto in modo per me encomiabile la Quarta di Mahler, una sinfonia che tende mille tranelli al direttore, dato il suo carattere ambiguo e indecifrabile. Jader si è tenuto sul sicuro, rispettando meticolosamente anche le indicazioni più sottili della partitura; il che dimostra che – dirigendo Mahler in particolare - il modo migliore per cogliere lo spirito dell’opera è quello di rispettarne scrupolosamente la lettera. E i ragazzi lo hanno assecondato in modo egregio, in tutte le sezioni, fiati ovviamente in testa, ma anche l’arpa e gli archi.

All’interno di un’esecuzione che definirei, nel complesso, memorabile sono poi da incorniciare alcuni particolari passaggi: come l’intervento del corno all’inizio dello sviluppo, e la transizione fra sviluppo e ricapitolazione del primo movimento; o le impertinenti irruzioni del clarinetto nel trio e lo splendido assolo del corno a dialogare con gli archi alla ripresa dello scherzo, nel secondo movimento; o l’incantevole attacco del terzo movimento di viole e celli e quello dolente dell’oboe all’inizio della seconda sezione, seguito dalla straziante citazione dall’Aida (che entrerà nei Kindertotenlieder) di flauti e clarinetti e poi ancora il corno a chiudere prima dell’Allegretto grazioso.   

A cantare l’irriverente filastrocca conclusiva è arrivata Karina Gauvin, che avevamo ascoltato qui poco più di un anno fa nel Gloria di Poulenc. La cicciottella canadese per portarsi al proscenio si è fatta largo fra i leggii dei violini approfittando del fracasso della coda del Ruhevoll. Poi per la verità non ha brillato molto, mangiandosi buona parte delle sillabe e mostrando la corda nella cosiddetta ottava bassa: insomma, una prestazione francamente deboluccia, che ha contrastato assai con quella eccellente di strumentisti e direttore.  

Ma il trionfo non è comunque mancato, in un Auditorium per la verità non propriamente stracolmo.

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