Il singolare concerto
di questa settimana è affidato al… fido Giuseppe
Grazioli, che impersona nientemeno che Richard
Strauss mentre dirige un’orchestra che accompagna la proiezione di un film muto, cosa accaduta realmente in un lontano 1926.
L’anno prima una
casa cinematografica austriaca, già in concorrenza con Hollywood, aveva convinto
Strauss e il suo librettista-principe Hugo
von Hofmannsthal a collaborare (con il regista Robert Wiene e il famoso scenografo Alfred Roller, già curatore dell’originale del 1911) ad un’impresa
apparentemente storica, in realtà ridicola: mettere in pellicola (muta, dati i
tempi) Der Rosenkavalier ed
accompagnarne la proiezione con la musica suonata da una vera orchestra e per
di più diretta dall’Autore!
Erano proprio
tutti ingenui e fuori-dal-tempo, chè di lì a poco il film sonoro mandò in
pensione non solo le pellicole mute, ma pure tutti i musicisti, più o meno da
strapazzo (Strauss escluso, s’intende!) che accompagnavano – al pianoforte o
con altri strumenti – la proiezione priva di suoni.
A distanza di quasi
90 anni invece questa idea, ripensata con l’ottica del come eravamo (anzi com’erano i nostri nonni o bisnonni!) ha magari un
suo senso e (applicata con giudizio e parsimonia) merita pure il plauso dello
spettatore. Poche settimane fa è stata presentata a Palermo, con musica diretta dallo stesso Frank Strobel che ne fece la ripresa alla Semperoper di Dresda, in
occasione degli 80 anni dalla prima
tedesca, nel 2006, ai tempi in cui fra i leggii dei primi violini della Staatskapelle faceva capolino un volto
oggi piuttosto familiare qui in Auditorium:
Strobel è
anche responsabile della colonna sonora, avendola adattata ad una durata di
quasi 2 ore (1h 45’ per la precisione) cioè assai più ampia di quella
originale, che supportava una proiezione di meno di 90 minuti. Altri prima di lui
si erano cimentati in simili imprese, come ad esempio lo svizzero Armin Brunner che nel 1986 aveva arrangiato
per un’orchestra di 17 elementi musiche del Rosenkavalier insieme a quelle di altri
autori, quali Johann Strauss e Richard Wagner per accompagnare un’edizione ridotta
del film. Ma altre ricostruzioni erano state fatte a partire dall’ultimo dopoguerra, al ritrovamento
di spezzoni del film e delle partiture di Strauss.
Il film
senza sonoro ha una trama (sulla quale mise poco o tanto le mani lo stesso
Hofmannsthal!) piuttosto divergente da quella dell’opera, così come la musica
che Strauss preparò alla bisogna, che solo in parte (pur cospicua) riprende
quella originale.
Lo specchietto
sottostante riporta - con riferimento agli 11 video pubblicati sul tubo della citata ripresa di Dresda - i
tratti salienti della trama del film, di cui chiunque abbia un minimo di
dimestichezza con l’opera non faticherà a riconoscere le marcate distanze da
quella del libretto originale. Essendo andate oltretutto perdute alcune delle
bobine del film, la ricostruzione qui presentata ipotizza un finale che è ancor
più distante (e invero anche assai più insignificante e dozzinale) rispetto a
quello dell’opera.
Ora, è
pacifico che schermo cinematografico e palcoscenico abbiano strutturali
differenze e possibilità o vincoli tali da imporre soluzioni assai diverse per
i due scenari. Si capisce quindi come nel film vengano introdotte scene spettacolari
che in teatro sarebbero impossibili (o ridicole) a realizzarsi: feste
all’aperto con centinaia di ospiti in parchi sterminati, o battaglie con
cariche di cavalleggeri in sconfinate praterie: quest’ultima trovata si
accompagna quasi automaticamente alla corposa presenza nel film della figura
del Maresciallo, che nell’opera invece viene soltanto citato e mai compare di
persona.
Così come è
ovvio che in un film muto sia
praticamente impossibile riprodurre scene dove, nell’opera, vengono cantate
arie o concertati durante i quali gli interpreti se ne stanno normalmente
impalati (o quasi) per interi minuti e minuti. Al contrario, le possibilità fornite
dal mezzo cinematografico (basti pensare anche soltanto ai primi piani) e l’assenza,
in questo caso, del canto, sono tali da consentire al regista infinite trovate a livello di interpretazione: sul
terreno serio-drammatico, come su quello gigionesco-macchiettistico. E nel film
ci sono innumerevoli esempi dei due tipi, riguardanti, nel primo caso, i personaggi
della Marescialla, di Octavian e di Sophie, nel secondo tipicamente Ochs e
Faninal.
Però alcune
divergenze del soggetto del film rispetto all’originale non sono spiegabili con
le esigenze, come dire, del mezzo tecnico.
Ad esempio il ruolo di Annina e Valzacchi, perfettamente delineato nell’opera (incluso
il repentino passaggio di campo dei due, da Ochs a Octavian) qui nel film
assume contorni grotteschi e incomprensibili: Annina che si fa spia di una
Commissione del buoncostume, invenzione questa piuttosto banalotta a dir il
vero, poi lei e Valzacchi che, invece di tramare per Ochs, fanno i delatori per
il Maresciallo, salvo infine pentirsi in modo quasi inspiegabile; la loro
finale riconciliazione è più inspiegabile ancora: dove mai c’era stata la
rottura?
La scena del teatrino di strada, dove si rappresenta – toh, che combinazione! - una vicenda identica a quella vissuta da Sophie è francamente debole e gratuita, una trovata da avanspettacolo, così come la baruffa fra Ochs, Faninal e i rispettivi notai, che sembra proprio un debito a certi stereotipi del film muto, tipo Stanlio&Ollio, per dire.
Insomma, l’impressione
che si trae è di un approccio che definirei quasi parodistico e persino bigotto (chissà se erano i costumi della
metà anni ’20 ad essere arretrati rispetto a 15 anni addietro, o se era il
pubblico delle sale cinematografiche ad essere considerato più arretrato di
quello dei teatri d’opera): fatto sta che la scena iniziale – che nell’opera ci
mostra nulla meno che l’ultimo amplesso fra la Marescialla e Octavian dopo un’intera
notte d’amore – qui ci presenta
il giovane che arriva di buon mattino ed entra dalla finestra per fare due
innocue moine alla Marescialla, per poi andarsene presto. La conclusione del
film, ricostruita di recente, ci presenta (ma certo non per responsabilità dei
ricostruttori) accanto alla regolare costituzione della coppia Octavian-Sophie,
una del tutto superflua quanto gratuita ricongiunzione fra Annina e Valzacchi,
ma soprattutto la riconciliazione fra la Marescialla e il marito, che sembra
fatta apposta per ottenere il nulla-osta del vescovo alla proiezione del film
negli oratori dei paesini più arretrati della diocesi! Buttando così nel cesso
tutta la straordinaria valenza psicologico-socio-politica dell’uscita finale della
Marescialla al braccio di Faninal.
Quanto alla
musica, il povero Strauss, mancandogli le voci, si vide costretto a ripetizioni
di motivi non sempre appropriate o a inclusioni di musica estranea all’opera, come
brani del Bourgeois gentilhomme (per la
festa all’aperto) o addirittura scritta ad-hoc per supportare scene inventate
per il film (vedi tutto ciò che riguarda il Maresciallo, battaglia compresa):
insomma, un’operazione che complessivamente mi pare non faccia una buona pubblicità
all’opera. Certo, gran parte della musica che si ascolta è proprio quella… e ciò è quanto basta ad accontentare
l’orecchio!
___
laVerdi e Grazioli sono comunque
da encomiare per la serietà e la diligenza con cui hanno affrontato la prova: dalla
proiezione – sui due schermi laterali – della traduzione italiana delle didascalie,
alla cronometrica precisione con cui l’orchestra ha illustrato le immagini. Oltre
che al bellissimo suono (soprattutto il mitico argento straussiano) messo in campo.
Quindi grande successo,
pur in una serata caratterizzata da un’affluenza di pubblico decisamente sotto la
media.
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