percorsi

da stellantis a stallantis

10 maggio, 2014

Orchestraverdi – Concerto n°33

 

Il singolare concerto di questa settimana è affidato al… fido Giuseppe Grazioli, che impersona nientemeno che Richard Strauss mentre dirige un’orchestra che accompagna la proiezione di un film muto, cosa accaduta realmente in un lontano 1926.
L’anno prima una casa cinematografica austriaca, già in concorrenza con Hollywood, aveva convinto Strauss e il suo librettista-principe Hugo von Hofmannsthal a collaborare (con il regista Robert Wiene e il famoso scenografo Alfred Roller, già curatore dell’originale del 1911) ad un’impresa apparentemente storica, in realtà ridicola: mettere in pellicola (muta, dati i tempi) Der Rosenkavalier ed accompagnarne la proiezione con la musica suonata da una vera orchestra e per di più diretta dall’Autore!

Erano proprio tutti ingenui e fuori-dal-tempo, chè di lì a poco il film sonoro mandò in pensione non solo le pellicole mute, ma pure tutti i musicisti, più o meno da strapazzo (Strauss escluso, s’intende!) che accompagnavano – al pianoforte o con altri strumenti – la proiezione priva di suoni.

A distanza di quasi 90 anni invece questa idea, ripensata con l’ottica del come eravamo (anzi com’erano i nostri nonni o bisnonni!) ha magari un suo senso e (applicata con giudizio e parsimonia) merita pure il plauso dello spettatore. Poche settimane fa è stata presentata a Palermo, con musica diretta dallo stesso Frank Strobel che ne fece la ripresa alla Semperoper di Dresda, in occasione degli 80 anni dalla prima tedesca, nel 2006, ai tempi in cui fra i leggii dei primi violini della Staatskapelle faceva capolino un volto oggi piuttosto familiare qui in Auditorium:


Strobel è anche responsabile della colonna sonora, avendola adattata ad una durata di quasi 2 ore (1h 45’ per la precisione) cioè assai più ampia di quella originale, che supportava una proiezione di meno di 90 minuti. Altri prima di lui si erano cimentati in simili imprese, come ad esempio lo svizzero Armin Brunner che nel 1986 aveva arrangiato per un’orchestra di 17 elementi musiche del Rosenkavalier insieme a quelle di altri autori, quali Johann Strauss e Richard Wagner per accompagnare un’edizione ridotta del film. Ma altre ricostruzioni erano state fatte a partire dall’ultimo dopoguerra, al ritrovamento di spezzoni del film e delle partiture di Strauss.

Il film senza sonoro ha una trama (sulla quale mise poco o tanto le mani lo stesso Hofmannsthal!) piuttosto divergente da quella dell’opera, così come la musica che Strauss preparò alla bisogna, che solo in parte (pur cospicua) riprende quella originale.

Lo specchietto sottostante riporta - con riferimento agli 11 video pubblicati sul tubo della citata ripresa di Dresda - i tratti salienti della trama del film, di cui chiunque abbia un minimo di dimestichezza con l’opera non faticherà a riconoscere le marcate distanze da quella del libretto originale. Essendo andate oltretutto perdute alcune delle bobine del film, la ricostruzione qui presentata ipotizza un finale che è ancor più distante (e invero anche assai più insignificante e dozzinale) rispetto a quello dell’opera.


Ora, è pacifico che schermo cinematografico e palcoscenico abbiano strutturali differenze e possibilità o vincoli tali da imporre soluzioni assai diverse per i due scenari. Si capisce quindi come nel film vengano introdotte scene spettacolari che in teatro sarebbero impossibili (o ridicole) a realizzarsi: feste all’aperto con centinaia di ospiti in parchi sterminati, o battaglie con cariche di cavalleggeri in sconfinate praterie: quest’ultima trovata si accompagna quasi automaticamente alla corposa presenza nel film della figura del Maresciallo, che nell’opera invece viene soltanto citato e mai compare di persona.

Così come è ovvio che in un film muto sia praticamente impossibile riprodurre scene dove, nell’opera, vengono cantate arie o concertati durante i quali gli interpreti se ne stanno normalmente impalati (o quasi) per interi minuti e minuti. Al contrario, le possibilità fornite dal mezzo cinematografico (basti pensare anche soltanto ai primi piani) e l’assenza, in questo caso, del canto, sono tali da consentire al regista infinite trovate a livello di interpretazione: sul terreno serio-drammatico, come su quello gigionesco-macchiettistico. E nel film ci sono innumerevoli esempi dei due tipi, riguardanti, nel primo caso, i personaggi della Marescialla, di Octavian e di Sophie, nel secondo tipicamente Ochs e Faninal.  

Però alcune divergenze del soggetto del film rispetto all’originale non sono spiegabili con le esigenze, come dire, del mezzo tecnico. Ad esempio il ruolo di Annina e Valzacchi, perfettamente delineato nell’opera (incluso il repentino passaggio di campo dei due, da Ochs a Octavian) qui nel film assume contorni grotteschi e incomprensibili: Annina che si fa spia di una Commissione del buoncostume, invenzione questa piuttosto banalotta a dir il vero, poi lei e Valzacchi che, invece di tramare per Ochs, fanno i delatori per il Maresciallo, salvo infine pentirsi in modo quasi inspiegabile; la loro finale riconciliazione è più inspiegabile ancora: dove mai c’era stata la rottura?

Parliamo del rapporto Octavian-Sophie: nell’opera (secondo atto) è magistralmente scolpito in versi e soprattutto in musica il colpo di fulmine che li travolge al primo incontro, quando il Cavaliere reca la Rosa. Nel film invece tutto ciò è diluito in due successivi incontri (quello del Prater e poi quello della consegna della rosa) il che fa francamente scadere la vicenda a simpatica commediola delle sorprese a buon mercato. 

La scena del teatrino di strada, dove si rappresenta – toh, che combinazione! - una vicenda identica a quella vissuta da Sophie è francamente debole e gratuita, una trovata da avanspettacolo, così come la baruffa fra Ochs, Faninal e i rispettivi notai, che sembra proprio un debito a certi stereotipi del film muto, tipo Stanlio&Ollio, per dire.

Insomma, l’impressione che si trae è di un approccio che definirei quasi parodistico e persino bigotto (chissà se erano i costumi della metà anni ’20 ad essere arretrati rispetto a 15 anni addietro, o se era il pubblico delle sale cinematografiche ad essere considerato più arretrato di quello dei teatri d’opera): fatto sta che la scena iniziale – che nell’opera ci mostra nulla meno che l’ultimo amplesso fra la Marescialla e Octavian dopo un’intera notte d’amore – qui ci presenta il giovane che arriva di buon mattino ed entra dalla finestra per fare due innocue moine alla Marescialla, per poi andarsene presto. La conclusione del film, ricostruita di recente, ci presenta (ma certo non per responsabilità dei ricostruttori) accanto alla regolare costituzione della coppia Octavian-Sophie, una del tutto superflua quanto gratuita ricongiunzione fra Annina e Valzacchi, ma soprattutto la riconciliazione fra la Marescialla e il marito, che sembra fatta apposta per ottenere il nulla-osta del vescovo alla proiezione del film negli oratori dei paesini più arretrati della diocesi! Buttando così nel cesso tutta la straordinaria valenza psicologico-socio-politica dell’uscita finale della Marescialla al braccio di Faninal.

Quanto alla musica, il povero Strauss, mancandogli le voci, si vide costretto a ripetizioni di motivi non sempre appropriate o a inclusioni di musica estranea all’opera, come brani del Bourgeois gentilhomme (per la festa all’aperto) o addirittura scritta ad-hoc per supportare scene inventate per il film (vedi tutto ciò che riguarda il Maresciallo, battaglia compresa): insomma, un’operazione che complessivamente mi pare non faccia una buona pubblicità all’opera. Certo, gran parte della musica che si ascolta è proprio quella… e ciò è quanto basta ad accontentare l’orecchio!
___
laVerdi e Grazioli sono comunque da encomiare per la serietà e la diligenza con cui hanno affrontato la prova: dalla proiezione – sui due schermi laterali – della traduzione italiana delle didascalie, alla cronometrica precisione con cui l’orchestra ha illustrato le immagini. Oltre che al bellissimo suono (soprattutto il mitico argento straussiano) messo in campo. 

Quindi grande successo, pur in una serata caratterizzata da un’affluenza di pubblico decisamente sotto la media.

Nessun commento: