Il rampante Jader Bignamini si ripresenta per il
terz’ultimo concerto della stagione per cimentarsi su un nuovo terreno: Richard Strauss. Lo Strauss (parecchio o abbastanza) giovane, di cui il
palinsesto prevede una delle prime composizioni seguita da un paio di Tondichtungen. In realtà la sequenza è
stata poi modificata all’ultimo (per una qualche plausibile ragione, possiamo
immaginare) e così è toccato ai due Don
di mettere in sandwich la Burleske per pianoforte e orchestra.
Si è quindi
aperta la serata con il primo di questi poemi
sonori (Aus Italien permettendo):
Don
Juan, che mancava qui da circa 3 anni (Axelrod).
Bignamini, che si è imparato a memoria tutto lo Strauss di questo concerto
(chissà se in futuro riuscirà ad immagazzinare anche cosucce come Rosenkavalier o la Frosch…) ha trascinato i ragazzi – disposti alla alto-tedesca - in una performance quasi perfetta, che ha subito
riscaldato il pubblico tornato su buoni livelli di presenza.
Ecco poi la Burleske
(composta da Strauss a 21 anni): allo strumento solista la simpatica
russa-tedesca Lilya Zilberstein, che torna in Auditorium a circa un anno di distanza dall’ultima sua
apparizione (allora con Campogrande e Rachmaninov). Una quindicina d’anni fa invece
aveva interpretato proprio questo stesso Strauss alla Scala, con Bychkov, come si può
seguire qui in una ripresa introdotta da Angelo Foletto. Interessante anche ascoltare cosa pensava della Burleske
e di Strauss un suo grande cultore (oltre che di Bach): il brillante Glenn Gould, di cui si può vedere anche l’esecuzione del brano (un filino troppo comoda,
per i miei gusti almeno).
Musica nella quale
non si stenta a riconoscere molto Brahms
e parecchio Liszt, a conferma della
situazione di totale apertura del giovane Richard sia all’apparente classicismo
del laico-spartano amburghese che alle innovazioni del mistico-libertino
ungherese, che proprio in quel periodo cominciarono ad attecchire (insieme ad
un certo Wagner…) nel fertile terreno
dell’ispirazione di Strauss.
La struttura
del brano (RE minore tonalità di base, tutto in 3/4 salvo un paio di battute in
4) è – sotto apparenze di ostica complessità – abbastanza semplice:
- un gruppo
tematico introduttivo;
- tre gruppi
tematici principali;
- ripresa
dell’introduzione e dei tre gruppi tematici;
- cadenza
solistica;
- coda.
Vi si possono
individuare elementi di forma-sonata,
ma più che nella struttura (praticamente manca una vera e propria sezione di sviluppo) nel trattamento delle tonalità
fra le sezioni di esposizione e ripresa dei gruppi tematici (rapporti tonica-dominante
e relative).
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Interessante
notare subito come singole cellule o componenti di un certo gruppo tematico
vengano impiegate all’interno di altri, o come transizione fra loro, il che
garantisce al brano una chiara e spiccata personalità. Il tutto impreziosito poi
da diversi altri interventi solistici. Non soltanto del pianoforte, ma anche
dei timpani, che hanno ad esempio l’onore dell’apertura (poi della chiusura!)
con quattro battute da suonare nel generale tacet
dell’orchestra, seguite da altrettante a ruoli invertiti (nella pagina
sottostante sono omesse le parti di puro riempitivo):
Beh,
diciamolo pure: questa introduzione
ha tutto l’aspetto di una frase musicale piuttosto sconnessa, oserei dire sgrammaticata,
che sa parecchio di impappinamento, di zoppìa, se non addirittura di… balbuzie.
Insomma, come dice il titolo, una burla (come sarà Eulenspiegel che già qui si intravede) o una parodia. Per dire,
nelle quattro battute orchestrali (i-2)
non si possono non sentire echi distorti e irriverenti di sonorità e atmosfere vagamente
brahmsiane (che so, il secondo frammento del tema dell’Allegro non troppo del finale della prima…)
Dopo
che l’introduzione è stata ripetuta, raddoppiando le battute della sezione orchestrale
(i-2) il pianoforte entra per esporre
il primo gruppo tematico, dove si
distingue un motivo dal fiero cipiglio, con i suoi balzi all’insù (a-1) che avrà grande importanza nel
seguito, cui succede una perentoria scala discendente (a-2):
Dopo
che il solista ha riesposto brevemente il motivo (i-2) dell’introduzione, è l’intera orchestra che apre il completamento
di questo primo gruppo tematico, con una linea melodica ancora di sapore
brahmsiano (a-3) che germina
chiaramente da (a-1) e a cui risponde
il pianoforte contrappuntato da una seconda linea dell’orchestra (a-4) questa più di stampo liszt-iano (qui
i violini di entrambe le linee):
La
tonalità è nel frattempo modulata alla relativa FA maggiore (siamo a scuola!) per dar luogo ad
una sommessa cadenza - dove il pianoforte, i timpani e gli strumentini,
accompagnati da corni e viole, si palleggiano quell’inciso (m) esposto poco prima dal solista – che porta
all’entrata del secondo gruppo tematico
(un Walzer, di fatto) ancora affidata
al pianoforte, questa volta solo, che mutua l’incipit proprio dall’inciso (m) per poi svilupparsi ampiamente:
Ripreso
brevemente dai legni, lascia ancora spazio al pianoforte che lo sviluppa in
crescendo fino ad una sospensione di tutta l’orchestra su una cadenza FA-MI,
che apre le porte alla modulazione a LA minore (sacri canoni, anche qui) dove il solista attacca il terzo gruppo tematico - una filiazione
del motivo (a-3) - reminiscenza abbastanza scoperta del secondo tempo dal Concerto in SIb di Brahms:
Con
l’intervento dell’intera orchestra la tonalità modula rapidamente a MIb minore,
poi a SIb minore, quindi al FA, dove irrompe imprevedibilmente l’interminabile
scala discendente (a-2) che ci
riporta al RE. Qui il solista attacca una specie di cadenza di 48 battute, una
stupefacente melodia, che ricorda in certi momenti persino Chopin, accompagnato
verso la fine dai violoncelli e poi da interventi di flauto e oboe.
Ora
riappare la cellula del motivo (a-3)
che apre una transizione dove udiamo anche il motivo (i-1) esposto in FA dall’orchestra e poi variazioni sull’inciso (m). Si torna a RE minore con il
pianoforte che ripropone (i-2)
anticipando (i-1) nei timpani e
ancora (i-2) nell’orchestra.
Comprendiamo di essere quindi arrivati al termine dell’esposizione dei gruppi tematici e all’inizio della loro
rielaborazione.
La
quale non è appunto una semplice e stucchevole ripetizione: il primo gruppo
tematico – sempre RE minore - viene per così dire ridotto all’osso, presentando
dapprima la sezione (a-1) nel
pianoforte, poi direttamente la (a-3)
nell’orchestra, quindi la sezione (a-2) ampliata, con la discesa al RE
grave.
Dopo
una transizione nella quale il pianoforte ha sommessamente dialogato con
timpani, fagotti e archi bassi, ecco che un luminoso accordo di RE maggiore -
sul quale si fa sentire nel pianoforte e nei violini il motto (m) - introduce la ripresa del secondo
tema (anche qui siamo pertanto assolutamente ligi alle regole tonali della forma-sonata). Questa riesposizione
ripercorre abbastanza da vicino la prima, ci risentiamo tutti i motivi (b-1-2-3-4) e come essa chiude con due
accordi che preparano l’entrata del terzo gruppo tematico: là FA-MI a preparare
LA minore, qui RE-DO# a preparare il FA# minore (sempre le regole!)
In
realtà, dopo che (c-1) è stato
esposto in FA# dal pianoforte solo, la tonalità cambia abbastanza presto e il
motivo torna fortissimo in FA, prima in orchestra e poi nel solista, per
lasciare quindi spazio ad una lunga transizione (à la Ciajkovski) che culmina in un accordo – feroce! - sul LA, dominante del RE cui si sta tornando. Ora sono le
trombe a reiterare il motto (m) poi
ripreso dai timpani che lo ripetono più volte intercalandosi ad entrate degli
strumentini e del solista che conducono alla sua corposa cadenza.
La
quale apre insistendo ancora sul motto (m)
poi percorre in giù (fino al LA grave) e in su tutta la tastiera, arrivando al
SIb su cui esplode un terrificante accordo di tutta l’orchestra cui ne segue un
altro, dopo tre battute di arpeggi del solista, che risolve sulla dominante LA.
Il solista riprende ora indisturbato la cadenza che per 60 battute è
caratterizzata da virtuosismi e ottave parallele, fino a sfumare su un tempo tranquillo verso una stupefacente
ripresa in SIb, nel pianoforte, del motivo (a-3)
allargato nel tempo fino a renderlo quasi irriconoscibile, subito supportato
dal caldo suono delle viole che lo sviluppano ulteriormente, tornando a RE,
mentre il pianoforte lo contrappunta introducendovi un ritmo di languido Walzer (quindi il sapore del secondo gruppo tematico): un passaggio invero magistrale!
Ora il
tempo torna molto vivo e ci si avvia
alla conclusione: il solista si imbarca in una serie di scale ascendenti e
discendenti portando il clima verso il parossismo, culminante in un accordo di
RE minore dell’intera orchestra. Da qui parte una serie di quindici accordi del pianoforte (sul
tempo forte di altrettante battute) che pare evocare come dei rantoli,
contrappuntati da sporadici interventi di fiati e timpani. Dopo una lunga pausa
ecco i timpani che espongono per l’ultima volta il motivo (i-1) ma attenzione, spaccato in tre tronconi di (rispettivamente)
1-1-2 battute; i due intervalli sono coperti da 3 battute: due in cui il
solista sembra voler rialzare la testa, la terza è una lunga pausa:
Il solista
adesso compie l’ultimo disperato sforzo: per sette battute risale velocemente
la tastiera, fino alla dominante LA; dopo una pausa gli rispondono, con un accordo di RE
minore, sempre sul LA, gli archi (contrabbassi esclusi) in pizzicato; dopo un’ulteriore pausa è ancora il timpano a chiudere con
un singolo rintocco di RE.
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Bignamini e la Zilberstein affrontano con la dovuta
determinazione questo autentico gioiello, raccogliendone in pieno tutta la
trascinante effervescenza: è in effetti un’opera che meriterebbe di essere più e
meglio considerata, oltre che dai musicologi, anche da chi programma i concerti.
E lo si è dimostrato qui con un’esecuzione assolutamente di prim’ordine, da parte
di tutti.
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Chiude la
serata il penultimo dei poemi (se si escludono da questa categoria le due
sinfonie-a-programma - domestica e alpina - successive alla Heldenleben): Don Quixote.
Due prime
parti dell’orchestra sono qui protagoniste: Mario
Shirai Grigolato al cello è il Don
e Gabriele Mugnai alla viola la sua
spalla Sancho. Questo è un pezzo che non
viene eseguito tutti i giorni non perché non sia un capolavoro (anzi è giustamente
considerato l’apice di questo genere di creazioni straussiane) ma per l’oggettiva
sua difficoltà. Onore quindi all’Orchestra, ai suoi alfieri e a Bignamini per avercelo
proposto in modo splendido, meritando ovazioni e ripetuti applausi ritmati. Così
i due ragazzi ci hanno anche offerto un loro personalissimo bis.
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Mancano due concerti (Xian e ancora Bignamini) alla chiusura di questa stagione e si comincia a pensare alla prossima: martedi 3 giugno laVerdi la presenterà nella splendida Sala Alessi di Palazzo Marino.
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Mancano due concerti (Xian e ancora Bignamini) alla chiusura di questa stagione e si comincia a pensare alla prossima: martedi 3 giugno laVerdi la presenterà nella splendida Sala Alessi di Palazzo Marino.