Gaetano
D’Espinosa, ormai di casa
presso laVerdi, dirige il secondo
concerto della stagione (si replica domenica). Ancora un concerto tutto russo e tutto ottocentesco, almeno
all’apparenza.
In più, si tratta di musiche, come dire, piuttosto
adulterate (smile!) Abbiamo infatti
un Sergej Rachmaninov rimaneggiatore
di se stesso messo in sandwich da uno dei suoi più o meno diretti maestri, Modest Musorgski: ma con lo zampino di Rimski prima e di Ravel poi. Quindi nel programma c’è anche un po’ di novecento.
Si inizia con Una
notte sul Monte Calvo, nella versione arcinota di Rimski. Che, a dir il
vero, si basò su un originale che Musorgski non aveva intitolato così, poiché
quel nome lo aveva dato ad un’altra composizione che con questa ha solo qualche
punto, per quanto importante, di contatto.
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In
effetti, questo brano ha una storia assai complicata, come quella del suo
autore del resto. Musorgski nel 1858
aveva iniziato a pensare (forse anche a buttar giù qualche nota) ad un’opera da
Gogol (La notte di SanGiovanni)
presto abbandonata. Poi pare avesse iniziato a comporre su quel tema un brano
per pianoforte e orchestra. Infine, quasi 10 anni dopo ne estrasse alcune idee
musicali per farci una specie di poema sinfonico, che intitolò La notte di SanGiovanni sul Monte Calvo,
strutturato in quattro sezioni: arrivo delle streghe
e attesa di Satana; arrivo di Satana accolto dalle streghe; messa nera e lodi
delle streghe a Satana; sabba. La composizione è largamente debitrice a Berlioz (movimenti finali della
Fantastica) e a Liszt (Totentanz) il
che contraddice l’asserita avversione del compositore per la musica dell’ovest… È di una rudezza davvero
primitiva e selvaggia (che a qualcuno fornisce il destro per ironizzare sulle
qualità di orchestratore del nostro…) con un finale a passo di carica, duro e
privo di ogni riferimento a cristiana redenzione. Rimasto praticamente sconosciuto
per decenni, è emerso dalla polvere del tempo relativamente di recente: qui la prima incisione in disco.
Poi,
nel 1872, Musorgski si mise a lavorare su un’opera, titolata Mlada, che doveva essere il risultato dei
congiunti sforzi dei componenti della banda
dei 5 (smile!) escluso chissà
perché Balakirev e incluso Minkus: infilò nel terzo atto un brano per orchestra
e coro intitolato La glorificazione di
Chornobog (il diavolo) che riprendeva temi del poema sinfonico composto 15
anni prima e rimasto sepolto in qualche cassetto. L’impresa collettiva fallì
miseramente e il solito Rimski, molti anni dopo (1889) ne trasse una sua opera-balletto
di pari titolo e un paio di sunti orchestrali.
Successivamente
ancora, nel 1880, Musorgski si era dedicato ad una nuova opera, rimasta
incompiuta come capitò a diverse sue composizioni (cui evidentemente il
musicista riservava molte meno attenzioni che alla vodka, smile!) Era un’opera comica, sempre da Gogol, intitolata La Fiera di Sorochyntsi, e il nostro, ispirandosi ancora una volta al suo poema sinfonico, ci infilò alla fine del
primo atto un intermezzo musicale, la cosiddetta visione
onirica del contadinello, che evoca
il sogno di un ragazzo a nome Gric’ko che vi vede
le streghe, il demonio (Chornobog) e
il sabba; però – a differenza del poema sinfonico - il sogno si conclude con la
sparizione di spettri e diavoli, cacciati dallo spuntare di un’alba radiosa e
dai religiosi rintocchi di una campana. Quindi una conclusione serena, proprio all’opposto
di quella della Notte di
SanGiovanni.
Orbene,
Rimski -
che aveva per anni convissuto con Musorgski, quando i due si scambiavano
regolarmente ogni pagina di musica che scrivevano - nel 1886 prese in mano i
tre diversi manoscritti dell’amico, ormai passato da un lustro a miglior vita, e
decise di ricavarne, per pubblicarla, una versione che fosse a suo parere
presentabile al pubblico, intitolandola appunto Una Notte sul Monte Calvo. Ma invece di prendere come riferimento il
poema sinfonico di (quasi) pari titolo, si basò sull’intermezzo dalla Fiera
di Sorochyntsi e lo rimaneggiò da
par suo (cioè con somma maestrìa, la stessa che impiegò per le sue
ricostruzioni di Boris e Kovancina, tanto per dire) per farci una
Fantasia da concerto in cui compaiono
i riferimenti al sogno di Gric’ko e precisamente: suoni sotterranei di voci sovrannaturali; apparizione degli spiriti
delle tenebre e di Satana; trionfo di Satana e Messa Nera; sabba; suono della
campana che disperde gli spiriti delle tenebre; sorgere del giorno.
Morale della favola: la Notte di Rimski è
assai diversa da quella di Musorgski, come si può verificare analizzando la struttura
dei due brani: perfettamente scolpito e tematicamente assai conciso quello di
Rimski (che impiega solo pochi temi principali); molto più esteso, prolisso e
con varie divagazioni tematiche quello di Musorgski, a dispetto della mancanza
del finale sereno.
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Chi ha qualche anno sulle spalle non può non
ricordare Leopold
Stokowski e la sua personale edizione di
questo lavoro per il disneyano Fantasia, ottenuta per sottrazione di un
po’ di Rimski e addizione di un po’ di Schubert (!)
D’Espinosa non manca di mettere in luce
tutto lo splendore dell’orchestrazione di Rimski, in particolare le qualità degli
ottoni, chiamati a poderosi passaggi. Ma è anche pregevole la sua chiusa religiosa,
con gli interventi del clarinetto della Raffaella
Ciapponi e del flauto di Massimiliano
Crepaldi, e con i 5 secondi di silenzio imposti al pubblico prima di abbassare
la bacchetta.
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Benedetto Lupo,
ormai un abitué dell’Auditorium, arriva sul palco per interpretare il Primo concerto di Rachmaninov.
Che però,
nella versione eseguita qui (che è anche quella normalmente eseguita) dovrebbe essere indicato come il… quarto. Sì, perché l’Autore nel 1917 (erano
nel frattempo apparsi sulla scena personaggi come Schönberg e Stravinski, hai
detto niente!) rimaneggiò ampiamente il suo primo (di 26 anni
più vecchio e soprattutto ispirato al più profondo ‘800…) quando già aveva
composto, eseguito e pubblicato da anni e anni il secondo e il terzo!
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Il Vivace iniziale (FA# minore) è strettamente
in forma-sonata, con un’introduzione
in fanfara seguita da pesanti scale in ottava del pianoforte; i due temi (FA#
minore e LA maggiore) hanno caratteristiche simili, piuttosto languide e con
moto ascendente (tranne la seconda sezione del primo tema, che scende
precipitosamente) e sono esposti dall’orchestra e poi dal solista, separati da
una transizione di virtuosismo; lo sviluppo
è abbastanza articolato e conduce ad una ripresa in cui, al primo tema nella tonalità di impianto segue il
secondo nella tonalità di FA# maggiore (secondo tutti i canoni scolastici); un
ponte porta poi alla cadenza, dove i
due temi compaiono distintamente; una coda
chiude velocemente il movimento.
Fra
le due versioni ci sono differenze abbastanza spiccate, pur se la
macro-struttura è stata conservata; Rachmaninov nel 1917 apportò moltissime modifiche
alla strumentazione, un po’ ovunque, ma anche a consistenti porzioni sia dell’esposizione
(la parte conclusiva, con transizione verso lo sviluppo, che nella versione
originale aveva alcune battute in 3/4) che dello sviluppo medesimo e del ponte
nella ripresa verso la cadenza; la quale cadenza fu pure in gran parte
riscritta, così come la coda, con chiusura pesante, ma meno enfatica rispetto
all’originale.
Nella
seguente figura sono schematicamente rappresentate le strutture delle due
versioni e in giallo sono indicate le parti più corposamente modificate da Rachmaninov
nel 1917:
Si
noti il motivo indicato con (*): 4 note, discesa da tonica a dominante,
ripetute. Nella versione del 1917 è stato espunto da Rachmaninov dal primo movimento, ma lo ritroviamo nel terzo (in entrambe le versioni) il che
dava quindi al concerto originale una caratteristica di ciclicità, che si perde nella versione più tarda.
Il secondo movimento è un breve intermezzo
in RE maggiore, languido e sognante. Ha una struttura assai semplice: dopo
un’introduzione in cui si ode in orchestra un motivo vagamente parente del
secondo tema del primo movimento, ripetuto quattro volte su gradi sempre più
alti, ecco il pianoforte entrare con una battuta di arpeggi e poi esporre un
primo motivo di sapore proprio… rachmaninoviano.
Poi, a battuta 28, il solista presenta – con accompagnamento orchestrale assai
discreto - una nuova melodia, un motivo che sale dalla sopratonica fino alla
sensibile, e da lì su ancora a tonica, sopratonica, mediante, per poi creare
una specie di climax, da cui si
rientra per sviluppare il primo motivo in orchestra, con il solista che si
limita ad accompagnarlo, fino alla sommessa cadenza conclusiva.
Qui,
a parte la strumentazione rivista e piuttosto arricchita e persino appesantita da Rachmaninov, le principali novità della versione
del 1917 sono: una maggiore complessità della battuta 10 (entrata del
pianoforte); una diversa resa del climax
del secondo motivo, con corposo intervento orchestrale, timpani compresi,
laddove era il solo pianoforte ad operare nell’originale; infine una maggior
vivacità nell’accompagnamento del solista alla riesposizione del primo motivo
(nell’originale: solo terzine, nella versione 1917 anche arabeschi vari). In
tutto si passa dalle 67 battute del 1891 alle 74 della versione ultima, essendo
stata leggermente estesa, oltre che modificata, la sezione centrale.
Il terzo movimento è un Allegro scherzando nel 1891, un Allegro vivace nel 1917. È la parte
sicuramente più manomessa da Rachmaninov nella seconda versione. Mentre la
macro-struttura è rimasta più o meno invariata (si veda lo schema riportato più
sotto) qui c’è un pesante ispessimento dei contrasti, qualche divagazione metrica
e tonale in più e una strumentazione lussureggiante al limite del rumorismo,
con ricerca di effetti a buon mercato, che non sempre rende un buon servigio
all’opera.
1891
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1917
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1 Introduzione in pianissimo
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1 Introduzione
in fortissimo
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7 Tema A in FA# minore
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10 Tema
A in FA# minore
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32 Tema B in LA maggiore dal motivo (*)
chiuso con perorazione in fortissimo di tutta l’orchestra
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38 Tema
B in LA maggiore dal motivo (*) chiuso con un motivo D discendente in fortissimo di tutta l’orchestra
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77 Tema C in RE maggiore, cantabile, con
sezione chopiniana
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71 Tema
C in MIb maggiore, cantabile, con sezione chopiniana
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125 Introduzione in pianissimo
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116 Introduzione
in fortissimo
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131 Tema A in FA# minore
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126 Tema
A in FA# minore
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156 Tema B in RE maggiore e ponte verso la Coda
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156 Tema
B in RE maggiore e SOL maggiore
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222 Coda in Maestoso FA# maggiore sul Tema
C
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222 Coda
in FA# maggiore sul motivo D
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La
versione ottocentesca sarà anche naif e pretenziosa la sua parte (basta
ascoltarne la perorazione nella coda finale, quasi… wagneriana) ma a me pare
almeno più sincera ed equilibrata rispetto alla revisione del 1917, che
evidentemente risente di influssi… espressionisti.
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Benedetto Lupo ne
ha dato una lettura proprio novecentesca, trattando il pianoforte precisamente come
uno strumento da percuotere: impressionante, ad esempio, la cadenza del primo movimento.
Ma pregevoli sono stati anche i passaggi elegiaci e contemplativi, vedi l’intermezzo,
che impreziosiscono questo lavoro.
Gran successo
e, dopo tanta… percussione, due bis dove
la tastiera viene soltanto sfiorata.
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Ha chiuso la
serata un’altra composizione… contraffatta (!) Si tratta dei Quadri
di un’esposizione, che Musorgski
aveva composto per la tastiera nel 1874 e che Maurice Ravel, ormai in pieno ‘900 (1922) orchestrò con grande
sapienza e modernità.
Nella
primavera del 2012 l’avevamo ascoltata qui nelle due versioni, proposte rispettivamente da Rudy e Bignamini. E anche
ier sera i ragazzi non hanno perso l’occasione per mostrare la loro perfetta padronanza
di quest’opera che impegna ogni singolo strumento e i pacchetti delle diverse sezioni
oltre ogni limite.
Interminabili ovazioni
per tutti e per ciascuno.
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Per il prossimo concerto (e siamo solo al terzo…) si
deve già registrare un cambiamento di programma non da poco: mancherà Ceccato con il suo Dvorak, che sarà
sostituito da Gustavo Gimeno e da
Shéherazade.