intime gioje

chiuder la prigione e buttar la chiave

19 marzo, 2009

Commenti all’Alcina di Carsen alla Scala.

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Uno dei risultati - indubbiamente positivi - dello sbarco dell’Alcina di Carsen alla Scala è di aver sollevato discussioni sull’ormai annoso problema legato alla libera interpretazione di grandi opere del passato, e della loro riproposizione in chiave “moderna” e comunque diversa dallo stereotipo originale.

Magìa sì, magìa no è uno dei leit-motive di queste discussioni nei forum e delle recensioni che si leggono sui giornali. L’approccio e i tagli di Carsen sono un altro comune argomento di discussione.

Vediamo alcuni commenti scritti prima e dopo la prima, e reperibili in rete.

Angelo Foletto su Repubblica annunciava la prima con un riassunto dell’impostazione di Carsen (quale si poteva già leggere sul sito del teatro) derivata presumibilmente dall’esperienza parigina, con un fugace accenno ai ruoli di padrona e cameriera con cui Carsen veste Alcina e Morgana. E su quella di Antonini, di cui sembra citare passi di un’intervista.

Daniela Zuccoli sul Corriere anticipava così l’opera di Händel. Una presentazione succinta, ma assai fedele dell’approccio del regista canadese. Chi legge capisce benissimo che l’Alcina che vedrà alla Scala è ben diversa dall’originale barocco-magico, tutta incentrata invece su psicologia e analisi dei sentimenti.

Elsa Airoldi, sempre prima della prima, sul Giornale riferiva dell’approccio di Carsen, che mostrava di gradire, nella scolpitura dei sentimenti dei personaggi e nella scelta del finale, caratterizzato dal “senso di perdita”.

Sempre sul Giornale, a proposito della prima, Lorenzo Arruga si inventa - perchè l’ipotesi più probabile è che lui non ci fosse, o avesse nelle orecchie gli auricolari di un blackberry, e gli occhi fissi sul relativo schermino - un’accoglienza trionfale, con solo “...una manciatella sterile di buu...” Su Carsen comincia dicendosi incapace di “...capire cosa ci si guadagna a togliere la prospettiva della favola e della storia, vestire i personaggi come noi e lasciare a terra mostri volanti e affini...” per concludere, con logica stringente, che “... il suo gioco è ordinato, agile, coerente”. Esattamente come le idee di Arruga! Che ha lodi sperticate persino per il povero Alastair Miles, definito nientemeno che “autorevole”. Come Arruga, appunto.

Francesca Zardini, su AffariItaliani, elogia tutti, dal regista al maestro, ai cantanti, senza far cenno alla mezza gazzarra che aveva accompagnato la prima. Ma quel che stupisce è la disarmante ingenuità con cui tocca il tasto della regìa, da lei dapprima apprezzata senza riserve, ma poi di fatto criticata apertamente, per via dei tagli ai “sortilegi” (Atlante, l’anello di Angelica e lo scrigno). Quando basterebbe un minimo di analisi della concezione del regista per concludere che quei tagli ne sono la matematica conseguenza. O viceversa, se si censurano quei tagli, bisognerebbe allora aver il coraggio di criticare l’impostazione di fondo di Carsen, di cui sono figli.

Paolo Isotta, all’indomani della prima, oltre a considerazioni non del tutto fuori luogo riguardo la prassi di applaudire ogni aria, come era costume dei tempi, e come del resto si fa con Rossini, Donizetti e Verdi... parla di grande successo e di sua gran felicità, anche se cita la data di lunedi (sic!) e la contestazione a Carsen (vero) e alla Bacelli (falso, poichè la contestata era la Petibon) e ad Antonini (falso, come riportano tutte le testimonianze). Poi sembra dar ragione all’interpretazione tutta psicologica di Carsen, salvo però dirgliene di tutti i colori riguardo a scene, costumi e movimenti attoriali. Boh... chi lo capisce è bravo.

Alberto Mattioli su LaStampa apostrofa noi italiani come provinciali, non all’altezza di apprezzare le stratosferiche raffinatezze di un Carsen. Poi scrive testualmente: “Comincia come una commedia sexy da film brillante hollywoodiano e finisce svelando la faccia nascosta del capolavoro händeliano, dove la musica smentisce l’assunto moraleggiante del libretto. Quando svanisce l’isola della maga Alcina, anche nei paladini «conversi in onda, in fredde rupi e in belve» prevale la lancinante malinconia per quel mondo sparito, la nostalgia per il paradiso perduto.” Certo, è proprio così, ma questo è il finale dell’Alcina di Carsen, NON di quella di Händel. E i tagli, caro il mio Alberto, non sono motivati - come tu sostieni - da problemi di orario della metropolitana, eh no! Poi il nostro conclude buttando fango sui cantanti. Bontà sua, salva almeno Antonini e gli strumentisti scaligeri.

Chiudiamo ancora con Angelo Foletto, che su Repubblica porta Antonini al settimo cielo (e ci sta). Poi passa a Carsen e non si capisce se lo voglia fare santo subito, o spedire all’inferno. Scrive infatti: “L'illusionistica ricchezza musicale della partitura-capolavoro, esaltata dalla lettura strumentale e dalla flessuosità direttoriale, era di proposito negata dal cupo e bellissimo spettacolo di Robert Carsen che rappresentava l'isola magica come un regno di erotismi borghesi e sensualità funerea”. Insomma, Angelo, ha ragione Antonini o Carsen? La musica o la regìa che la nega? Ancora: “...il finale aperto, con Ruggiero stordito che forse non tornerà da Bradamante, è vero e toccante.” Quindi bravo Carsen? Però così chiude Foletto: “...il pubblico, già disorientato dallo scetticismo amoroso portato in scena da Carsen.” Insomma, un colpo al cerchio, uno alla botte e un terzo alla... logica!
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5 commenti:

angelo foletto ha detto...

Eccomi: non è questione di "logica", ma di raccontare quel che era successo in scena e a teatro a chi non c'era...
Senza necessariamente prendere le parti (non credo sia il compito obbligatorio del cronista musicale), ma cercando di 'capire' e far capire uno spettacolo in cui - a mio parere - anche le interpretazioni apparentemente inconciliabili tra loro come quelle di Antonini e di Carsen, alla fine convivevano benissimo. E il "nichilismo amoroso" che parte del pubblico ha fatto intendere di non aver amato - o no?- , in realtà poteva essere "toccante" perché aveva logica interpretativa e qualità espressive. Tutto qui. Un servizio alla cronaca e al pubblico, spero, non un'esibizione di personali pareri.
Quanto alla presentazione, a Parigi non c'ero: le parole, anche molte di quelle non virgolettate, erano ricavate dall'incontro stampa ufficiale del giorno prima, quindi in diretta, dalle rispettive fonti.
afoletto

daland ha detto...

Foletto, beh, confesso di aver provocatoriamente calcato la mano, per mettere un poco alla berlina non già gli individui (voi critici musicali, tutta gente di intelligenza sopraffina e lunga esperienza) ma il modo con cui scrivete le vostre recensioni sui giornali a larga diffusione (magari poi, collaborando a riviste specializzate o scrivendo saggi, cambiate... musica!)

Sappiamo che dovete mantenervi in 20 righe, per carità, ma si può essere chiari anche dovendo essere sintetici! Io, avendo assistito di persona, posso magari decifrare il suo commento (oltretutto non distante dal mio personale giudizio), ma chi in teatro non c’era temo possa rimanere perplesso, faticando a comprendere espressioni come quella da me citata (la ricchezza musicale... negata?)

Grazie comunque di essersi preso la briga di scrivere una risposta serena e cortese, il che le fa onore!

CICCILLO ha detto...

vorrei dire un paio di cose dopo aver assistito alla recita di Alcina di ieri sera.
sono sinceramente stupito di quello che ho letto su questo blog e anche altrove in merito a questa produzione scaligera.
in particolare in merito alla parte musicale e alla direzione, che poi secondo me sono la cosa più importante, certamente più della regia e dell'esito, comunque altalenante, delle varie voci.
quello che mi ha colpito, ascoltando ieri sera l'opera, è l'assenza di qualsivoglia idea musicale generale.
da questo punto di vista ho trovato l'intera esecuzione decisamente noiosa e piatta, ravvivata solo qui e là dagli exploit di qualche singolo cantante, puntualmente riconosciuti dai rarissimi (massimo 3) applausi al termine delle arie.
l'orchestra ha cominciato suonando davvero male, l'ouverture era inascoltabile e più in generale tutto piuttosto precario, più avanti si è ripigliata un po' ma l'impressione generale era che non glie ne importasse granché, oltre a una totale assenza di comunicazione col gesto, peraltro tanto insignificante quanto ridondante, del maestro.
risultato: una uniformità totale (e letale) di timbri, dinamiche, tempi.
nessuno dei personaggi era caratterizzato in alcun modo dal punto di vista musicale e tutto, lo ripeto, si reggeva sui singoli exploit dei cantanti.
ora, se sulle Nozze di Figaro, la responsabilità del medesimo effetto poteva essere attribuita alla compagnia e all'orchestra di giovani allievi, è evidente che qui c'erano invece le condizioni perché succedesse qualcosa di diverso.
delle due una, dunque: o Antonini è un bluff totale oppure tocca rassegnarsi definitivamente all'idea che le orchestre degli enti lirico-sinfonici possano cimentarsi col repertorio barocco.
sempre rimanendo a Handel infatti io ricordo un ben altro risultato col Rinaldo diretto da Dantone.
e dunque sono propenso a credere che delle due siano vere entrambe.
ed è proprio il ricordo di quel bellissimo spettacolo, con voci italiane, orchestra specializzata nel repertorio e regia visionaria e adatta al contesto, che mi porta poi in definitiva a pensare che questa Alcina scaligera sia davvero un'occasione persa.
da questo punto di vista tocca anche dire che la regia non solo ha stravolto il libretto, che sarebbe anche il meno, ma molto probabilmente ha anche determinato in qualche modo la scelta del cast, imponendo (tranne forse nel caso della Bacelli- VictorVictoria) i "phisiques du role" a scapito dell'aderenza vocale, soprattutto trattandosi di un'opera italiana.
alla fine mi è sembrata davvero un'occasione mancata, più o meno pensata per un pubblico europeo e cosmopolita che richiede certi cast e certi registi, ma assolutamente povera di contenuti.
per carità, siamo di fronte a un livello altissimo di tutti ma ancora una volta la Scala pare essere un po' vittima di sé stessa, ora tutta intenta a rincorrere e proporre produzioni e idee generali di allestimento del cartellone che in Europa erano nuove quindici anni fa.
alla fine a me pare altrettanto provinciale l'atteggiamento di chi, critica e pubblico, dice: "finalmente alla Scala si sono accorti che la musica barocca è la vera musica contemporanea".

la musica contemporanea, qualsiasi essa sia, è certo che non sta nei teatri-musei tutti dediti al culto delle voci e dei direttori.
che sia scritta secoli fa o l'altro ieri è certo che vive altrove, sicuramente non nella esecuzione che io ho sentito ieri sera.

daland ha detto...

Caro Francesco, grazie per i precisi e puntuali e motivati commenti!

Io ho assistito alla recita del 13 (la seconda, quella che - come spesso avviene - si pone come bastian-contrario della prima, “a prescindere”). E ciò può aver condizionato i miei - e non solo miei - commenti generalmente positivi sulla parte musicale (incidentalmente, le arie applaudite a scena aperta furono una decina, una sola nel primo atto, effettivamente). Però lasciami dire che trovo strano, e piuttosto ingiusto con gli strumentisti, sostenere che “non glie ne importasse granchè”. Io li guardavo, di tanto in tanto, da vicino (tramite binocolo) e ti posso assicurare che sembravano impegnati al massimo, anzi sembravano più concentrati rispetto a quando si trovano in 80 o 100 sul palco. Questo non basta a garantire un risultato di eccellenza, certo. Ma allora limitiamoci a concludere che che quegli strumentisti sono incapaci di suonare quella musica. Quanto ad Antonini, visto che di mestiere fa solo questo, se è da buttare anche lui siamo messi proprio male!

Infine la regìa: qui francamente non comprendo l’accusa che le muovi di aver pilotato la scelta del cast: perchè accanirsi con LaScala, laddove da Parigi a Chicago - con la stessa regìa - erano scesi in campo cast “stellari”? Carsen ha già le sue responsabilità (appropriazione indebita di opera d’arte, per costruirci la sua propria opera d’arte) che non credo meriti anche l’accusa di aver scelto lui un cast insufficiente.

A presto!

CICCILLO ha detto...

allora, cerco di spiegarmi meglio.

io non avevo il binocolo e dunque le mie impressioni sono basate sull'ascolto e su qualche fugace sguardo verso la buca.
la sensazione è che non sapessero proprio come suonare, nel senso che nessuno glie lo ha detto.
il risultato non era né carne né pesce, nel senso che non avevano né il suono barocco né quello romantico, semplicemente non c'era suono e questo, a mio parere, taglia le gambe a tutto il resto.
ora non so se questo è da attribuire allo scarso numero di orchestrali in una sala non certo piccola come quella della Scala o al modo di suonare o alla svogliatezza.
certo tutte questi motivi ipotetici conducono tutti ad una responsabilità del maestro, il quale, come ripeto ha un gesto molto enfatico e ridondante a cui però non ho avuto la sensazione che corrispondesse una risposta, in termini di suono o dinamiche dell'orchestra.
va dato atto comunque al primo violino di aver salvato la situazione in un momento in cui la Harteros (che a dire il vero era un po' in bambola, nel finale dell'opera a un certo punto si è letteralmente fermata, credo abbia proprio dimenticato una frase) si è un attimo persa in una cadenza e il maestro non sapeva come ripigliarla.
ma in generale la sensazione era quella di un imbarazzo reciproco all'interno della buca.

quella sulla regia era solo un'ipotesi ma neanche tanto campata per aria, proprio ieri qualcuno mi parlava di pesante ingerenze di Bob Wilson in merito al cantante che interpreterà il ruolo di Orfeo nella produzione futura della Scala.
sono cose che succedono e, lo ripeto, tutti i cantanti riuscivano a corrispondere in modo assai convincente all'idea registica, più scenicamente che vocalmente.
eclatante il caso della Petibon che sembrava fatta apposta per il carattere immaginato da Carsen per il personaggio di Morgana e questo è anche, secondo me, il motivo dell'accanirsi su di lei di critica e parte del pubblico.
Certo la sua fama di "entertainer" non le ha giovato in un ambiente come quello scaligero sempre pronto a beccare la prima nota fuori posto.
Io al contrario, tralasciando quei suoi acuti un po' fissi e fuori fuoco che poi si sistemavano con la liberazione nel vibrato, l'ho trovata una professionista seria e all'altezza della situazione, essendo peraltro impegnata in un tour de force recitativo non indifferente.
Sinceramente di tutti l'unico che mi ha davvero deluso è stato il solo Miles, tanta voce ma canta davvero male.
In generale però credo che i cast stellari (ammesso che questo lo sia) non si addicono a opere come queste.
Mi ripeto ancora ma il cast del Rinaldo di 4 anni fa era tutt'altra cosa. Chiunque di loro avrebbe fatto meglio anche in Alcina, ma certo alcuni di loro non erano proponibili in una regia come quella di Carsen.

grazie dell'ospitalità.