affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

08 luglio, 2021

laVerdi tutta spagnola

Dopo la maratona pedatoria di martedi, riecco la Spagna per il primo dei due appuntamenti de laVerdi agli Arcimboldi (l’Auditorium è in... riabilitazione) che vede un programma tutto iberico con il ritorno del 45enne direttore Manuel Coves, già ospite dell’Orchestra per un’altra spagnolata nel marzo 2019. Componente innovativa del concerto è lo spettacolo, costituito dalla presenza del grande Jesús Carmona, che illustra la musica della Carmen con la sua personalissima arte danzatoria.    

Si parte con la Sinfonía Sevillana di Joaquín Turina Pérez, composta nel 1920, quando il 38enne compositore, nativo di Siviglia, rientrato da anni in Spagna dopo una lunga permanenza a Parigi, era tornato a vivere a Madrid. É un brano in realtà vicino, come ispirazione, al poema sinfonico (un po’ un Respighi iberico, ecco) e per almeno due motivi: innanzitutto per l’esplicito riferimento alla città natale (ma in realtà anche alla capitale che lo ospitava); e poi perchè Turina vi introduce un elemento di natura per così dire letteraria: l’evocazione di una storia d’amore fra un sivigliano e una madrilena (ecco i riferimenti alle due città care al compositore) che nasce e si sviluppa a Siviglia e dintorni, fra gite in battello e feste popolari in sobborghi del capoluogo andaluso.

Naturalmente sono le forme e i ritmi musicali iberici (castigliani e andalusi in-primis) a farla da padrone nei tre movimenti in cui è suddivisa l’opera. Di cui possiamo apprezzare i contenuti seguendone (sulla traccia lasciata dall’Autore medesimo) l’esecuzione dell’Orchestra della Radiotelevisione spagnola con Enrique García Asensio sul podio.

N°1. Panorama. É un movimento in forma-sonata: Introduzione, Esposizione, Sviluppo,  Ricapitolazione e Coda.

24”. L’Introduzione si apre con 12 battute in Andante, 3/4, LA minore, dove l’Orchestra crea un’ambientazione languida (rotta dall’oboe a 45”). A 1’16” ecco apparire (4 battute in Allegretto, 2/4) la prima forma assai semplificata del motivo della madrilena, un caratteristico chotis. A 1’25” altre 4 battute di Andante in 3/4 chiudono l’Introduzione.

1’42”. L’Esposizione presenta, in Allegro molto moderato, 2/4, RE minore/maggiore, il primo tema andaluso, esposto dai flauti e poi sviluppato dall’orchestra. Ecco poi (2’10”, Più vivo, 6/8, RE maggiore) gli archi esporre il secondo tema (ritmo di Tanguillo) poi ampiamente sviluppato dall’orchestra (si noti a 2’20” l’intervento del clarinetto e a 2’48” quello dell’oboe solo) e chiuso da una battuta di pausa.

3’01”. Attacca con un accordo generale il corposo Sviluppo (Allegretto tranquillo, 2/4) dove i temi vengono rielaborati liberamente e con continui cambi di atmosfera: dopo un intervento dell’oboe (3’30”, RE minore) che sviluppa il primo tema, ecco a 4’02” un Allegro (RE maggiore, secondo tema); poi (4’15”) un nuovo motivo il SOL maggiore e quindi in FA maggiore; ancora a 4’42” Più vivo, 6/8 il secondo tema in DO maggiore; a 4’59” Allegretto quasi andantino, 6/8, FA minore; a 5’34” Lentamente, con l’intervento dei corni; e infine a 5’52” Allegretto è il violino solista a portare - con il motivo chotis - alla chiusura dello Sviluppo sul RE tenuto, che sfuma in un RE#.

6’05”. Siamo arrivati quindi alla Ricapitolazione dei temi. Ecco il primo (Allegro) in RE minore e poi (6’32”, Più vivo, 6/8) il secondo, in maggiore. A 6’49” il flauto introduce una modulazione del secondo tema a LA maggiore. Ancora, a 7’05” gli archi modulano fugacemente a DO maggiore, poi tornano a LA maggiore.

7’33”. Infine una Coda (Allegro) porta il movimento a spegnersi (7’57”, Andantino) per poi chiudere (8’05”) con un fortissimo accordo generale di LA maggiore.

N°2. Por el rio Guadalquivir. Il secondo movimento è in forma di Lied in 5 parti. Evoca un’escursione in battello dal centro di Siviglia verso sud, fino al sobborgo di Aznalfarache (che sarà teatro del terzo movimento). Vi matura l’idillio fra la madrilena e il sivigliano, in un’atmosfera di canti dei marinai e musiche che accompagnano balli di gente sulla riva del fiume.

8’28”. In tempo Andante, 6/8 il violino solista introduce l’atmosfera con due recitativi in FA minore inframmezzati dall’orchestra. Ora (9’27”) si passa a FA maggiore con l’esposizione da parte del corno inglese della prima sezione, una petenera sivigliana (è il protagonista maschile del poema). La nobile melodia viene poi accompagnata dal violino solista, vira momentaneamente a FA minore e poi è ripresa in FA maggiore (10’37”) dal corno inglese.

La seconda sezione inizia a 10’59” con l’affacciarsi (2/4) dell’impertinente anticipo del motivo femminile (la madrilena) che si materializza a 11’15” con un Allegretto in MI maggiore in oboi e violini, dove lo chotis si muta in falseta, assai più vivace. La sezione si ripete a 11’46”, con l’attacco sul REb e poi con il tema chotis (12’02”) in FA maggiore.

E sempre in FA maggiore (terza sezione, 12’29”) si riode nel corno inglese la petenera, ora con sottili variazioni e diversa orchestrazione, in cui spicca (13’10”) un nuovo intervento del violino solista.

Il quale chiude sul DO e a 13’32” (Vivo, 3/8) porta alla quarta sezione, dove si odono le note (DO maggiore) di seguidillas cantate e ballate sulla riva del fiume in una festa popolare. Un Andantino mosso in 6/8 (14’15”) simula il perdersi lontano dei suoni provenienti dalla riva e ci introduce alla quinta sezione del movimento.

Qui (14’35”) torna lo chotis madrileno (Andante) introdotto dai violoncelli divisi. L’idillio è ormai sbocciato completamente e a 15’03” il violino solo espone il motivo con dolce passione in FA maggiore e poi (15’24”, 2/4, dopo un fugace intervento dei flauti) lo chiude con un FA superacuto.     

N°3. Fiesta en San Juan de Aznalfarache. Il vaporetto da Siviglia, prima di proseguire verso il mare, il cui profumo già si sente nell’aria, ha fatto sosta in questo paesotto ai confini meridionali del capoluogo andaluso. E qui è ambientato l’ultimo movimento della Sinfonia, manco a dirlo in una gran festa dove si balla e si canta in continuazione: in qual miglior ambiente due novelli innamorati potrebbero augurarsi di arrivare per vivere il loro momento magico?

La struttura del brano è quella di una fantasia in tre parti. A 16’02” inizia la prima (Allegro vivo, 3/8, RE maggiore) al ritmo di sevillana, che prepara l’arrivo di un tanguillo (16’40”, Siempre vivo, 6/8) che poi (16’59”, 2/4) sviluppa un nuovo motivo, sempre in RE maggiore e ancora (17’19”, 6/8) in minore nell’oboe. Gli archi (Andante, 2/4) prendono un attimo di respiro, ma subito (18’02”, Vivo) torna il ritmo di sevillana, che prepara adesso una nuova comparsa dello chotis (18’34”, Andante) dapprima in SOL minore sfociante nella relativa SIb maggiore dove il tema si espande per essere poi chiuso dall’intervento finale del violino solista.

A 19’40” (Allegretto. Tempo di garrotín lento, FA minore) inizia la seconda parte: è un Garrotín-farruca introdotto da una fanfara e dove si distinguono tromba, fagotto e oboe, che introduce enfaticamente (21’00”, Andante) un nuovo idillio (chotis) in FA maggiore.

Eccoci alla terza parte (21’33”, Vivo, 6/8, RE maggiore): è il tanguillo che torna alla ribalta con interventi di trombe, oboe e clarinetto e poi (22’08”, 2/4) con il secondo motivo, che rallenta (22’18”, Meno vivo) per far posto (in SIb) a una delle varianti del primo tema comparsa nello sviluppo del primo movimento.

Infine, a 22’34”, Andante, ecco la Coda conclusiva, con i motivi dello chotis (grandioso) e della petenera a unirsi per una spettacolare conclusione in RE maggiore.
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É un brano poco conosciuto, ma che meriterebbe di essere eseguito più di frequente: credo che laVerdi fosse al primo incontro con quest’opera, e devo dire che l’ha subito digerita e assimilata alla perfezione, grazie a Manuel Coves che da nativo andaluso questa musica deve averla nel sangue. Sugli scudi i fiati (in particolare Paola Scotti al corno inglese) e il pacchetto dei celli, guidato da Mario Shirai Grigolato, oltre al violino di Dellingshausen.
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Ecco quindi Georges Bizet e le sue musiche dalla Carmen, un estratto delle due Suite sinfoniche approntate da Ernest Guiraud (il curatore della prima edizione dell’opera) dopo la prematura morte dell’Autore:

- Preludio Atto I (prima parte, in Allegro gioioso)

- Preludio Atto I (seconda parte, in Andante moderato)

- Entr’acte (3° - 4° atto, Aragonaise)

- La garde montante (1° atto)

- Habanera (1° atto)

- Entr’acte (2° - 3° atto)

- Marche des Contrabandiers (3° atto)

- Chanson du Toreador (2° atto)

- Les Dragons d’Alcala (Entr’acte 1° - 2° atto)

- Danse Bohème (2° atto)

Jesús Carmona entra sul proscenio con un ampio scialle che gli serve subito per interpretare la seconda parte del Preludio (tema del destino). Ai due lati alcuni grossi proiettori lo illuminano di taglio con luci di diversi colori (rosso, giallo, blu...) a seconda dell’atmosfera. Ovviamente indossa stivaletti zapatos, con i quali comincia a sottolineare i ritmi di flamenco.  

Strepitoso il suo assolo di zapateado (due minuti a orchestra muta, prima della conclusiva Danse bohème): un intero branco di cavalli scalpitanti non avrebbe potuto ottenere quell’effetto! E chiude quindi in bellezza con Les tringles des sistres tintaient, accolto da un uragano di applausi.

Così, come bis, ci viene riproposta l’Aragonaise.

Davvero una serata da incorniciare, che avrebbe meritato qualche spettatore in più nel catino dell’Arcimboldi. Ma questa sera si replica e gli assenti di ieri possono ancora rimediare.

01 luglio, 2021

laVerdi tutta viennese

L’ultimo appuntamento in Auditorium, prima che la sala venga sottoposta a maquillage, per esser pronta alla ripresa autunnale, vede un programma tutto viennese diretto da Claus Peter Flor: due opere accomunate dalla stessa tonalità di RE maggiore.

Invertendo l’ordine della locandina pubblicata, ecco dapprima la Pendola, nomignolo affibbiato alla Sinfonia 101 di Franz Joseph Haydn. L’avevamo ascoltata qui nel febbraio 2017, suonata dall’Orchestra Haydn di Trento-Bolzano e perciò rimando ad alcune mie note scritte in quell’occasione. 

Eccellente la prova dell’Orchestra, sapientemente guidata dal Direttore Musicale, in cui hanno spiccato il quartetto degli archi e il flauto di Nicolò Manachino, non per nulla chiamati da Flor per due volte a ricevere speciali applausi.
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É Mozart a chiudere il programma con il celebre Krönungskonzert K537, risuonato qui in precedenza nel marzo 2015 (interpretato e diretto da Olli Mustonen). Nell’occasione a proporcelo è il 44enne Andrea Bacchetti, ex-bambino prodigio oggi all’apice del successo.  

Il Concerto K537 è impropriamente detto dell’Incoronazione, dato che fu suonato da Mozart a Francoforte in occasione dell’ascesa di Leopoldo II a Imperatore (settembre 1790): ma in realtà a quel tempo il concerto aveva più di due anni di età ed era già stato eseguito dall’autore a Dresda. Peraltro nel manoscritto originale rimasero mancanti diversi righi della parte solistica (soprattutto della mano sinistra) il che ha poi comportato completamenti più o meno pertinenti eseguiti da altre mani.

È il penultimo concerto per pianoforte del Teofilo e presenta molte idee innovative, sia in fatto di libertà di interpretazione della forma-sonata nell’Allegro di apertura (un inusitato proliferare di temi e motivi) che in arditezze armoniche, come questa - e una immediatamente successiva, al limite della bizzarria - che troviamo nell’esposizione del secondo tema in LA maggiore: un inopinato abbassamento a minore che al primo ascolto induce a pensare ad un clamoroso errore del solista:  

Più tradizionale, per così dire, il Larghetto in LA maggiore, dove Mozart riprende una sua antica consuetudine: due gruppi tematici (AA’ e BB’) che si susseguono con lo schema A-B-A. Un vero gioiellino di grazia e serenità.

Si torna alle (mirabili!) complicazioni nel conclusivo Allegretto: un Rondò di struttura del tipo A-B+C-A-B+C-A: alle tre macro-ricorrenze del tema principale si interpongono due sezioni costituite in realtà da due temi ben distinti, B e C. La tonalità di base è RE maggiore, su cui verrà sempre esposto il tema principale A. Anche qui le arditezze tonali non mancano: Il tema B è inizialmente pure in RE; C inizia in LA minore in orchestra ed è ripreso in LA maggiore dal solista. Il ritorno di B è in SIb maggiore, poi SOL minore, quello di C in RE minore in orchestra, ripreso poi in RE maggiore dal solista.  

Andrea Bacchetti ha davvero cesellato questo gioiello, anche impreziosendolo (nel Larghetto in particolare) con la propria inventiva. Ben coadiuvato da un’orchestra dai colori eterei come si conviene a quest’opera.

Applausi e ovazioni per lui, che ci delizia con il suo amatissimo Bach: un Preludio e una Fuga dal secondo libro del Wohltemperierte Klavier: il Preludio del BWV870 in DO (qui da 23” a 2’56”) e la Fuga del BWV878 in MI (qui da 44’00” a 46’26”). 

24 giugno, 2021

laVerdi tutta in minore

Dopo quasi tre anni Kolja Blacher torna in Auditorium in entrambe le sue vesti: di solista al violino e di direttore. In programma - come da tradizione - un pezzo breve introduttivo, un concerto solistico e una sinfonia. Tre brani qui accomunati dal tono minore.

Si inizia con Valse triste di Jan Sibelius, componente delle musiche di scena (6 brani, pochi minuti) per un dramma di Arvid Järnefelt (cognato di Sibelius) intitolato ottimisticamente (Kuolema) alla morte! Lo spettro del marito deceduto si affaccia sulla camera da letto della moglie malata per portarsela via. É annunciato da una musica arcana che sveglia la donna, che si mette a danzare, insieme ad apparizioni che si manifestano via via per ballare con lei questo improbabile walzer a metà fra sogno e incubo. Dopo una pausa di... riposo, attacca una danza sfrenata che culmina nell’apparizione della Morte, che reclama il suo pegno.

Seguiamo l’esecuzione di Eduard vanBeinum al Concertgebouw: per me la più rispettosa dell’agogica prescritta. Si attacca in Lento con i soli archi e con i contrabbassi in pizzicato (suoneranno sempre così delle minime puntate e solo verso la fine prenderanno l’arco, per poche battute); la tonalità del motivo iniziale è cangiante da FA# minore (16”) attraverso il RE (29”) a SOL maggiore (40”); quindi ancora lo stesso motivo è presentato in SOL minore (44”) poi, via MIb, sfocia in LAb maggiore (1’09”). All’indicazione deciso (1’15”) ma senza che il tempo cambi, ecco farsi largo, in staccato negli archi, la tonalità di SOL maggiore, con violini e celli che insistono sulla dominante RE, e si muovono fra questa e la tonica superiore, chiudendo su essa dopo una languida digressione sulla scala minore.

Qui (2’04”) flauto (poi contrappuntato dal clarinetto) e violini primi espongono il delicato tema principale, subito ripetendosi:

Poi (2’26”) segue una salita sulla relativa MI minore, che dal SOL scende al FA (2’44”) per una pausa in corona puntata; da qui (2’52”) si va sul FA#, dove ritroviamo (2’58”) il passaggio udito all’inizio. Ma la frase è bruscamente interrotta (3’13”) dalla ripresa del tema principale nel flauto, cui ancora risponde il clarinetto (senza ripetizione) seguito dalla salita in MI minore.

Questa però adesso sfocia, sul primo vero cambio di tempo (Poco risoluto, 3’34”, contrabbassi finalmente con arco!) in un perentorio nuovo tema in SOL maggiore (salita da dominante a sopratonica e appoggio sulla tonica) sfociante in Mi minore:

Subito riproposto ma con successiva scalata (3’45”) per toni interi fino al MI e successiva discesa cromatica sulla mediante SI. Cui segue una nuova impennata sul SOL acuto (3’55”) e discesa cromatica sulla dominante RE.

Il tempo accelera ancora (4’02”, Più risoluto e mosso) e gli archi si esibiscono in accordi ribattuti di SOL minore; poi sempre più veloce (4’07”, Stretto) sugli arpeggi (sempre di SOL minore) degli archi bassi riascoltiamo, in note aumentate, il motivo iniziale, stavolta sul RE minore.

Si torna a Lento assai (4’23”) dove abbiamo ancora 4 battute di RE minore prima che 4 violini soli esalino, prendendo il testimone dal RE dei corni, un ultimo respiro (4’33”): SOL-FA#-SOL, minore.

In sostanza il brano ha un’agogica piuttosto semplice: apre in Lento e poi, a partire dal Poco risoluto, accelera continuamente fino a morire sul ritorno finale del Lento. Per il resto, solo variazioni minuscole e assai brevi.  

Chi comincia a derogare dalla lettera di Sibelius è Vladimir Ashkenazy con la Chamber Orchestra of Europe. Che comincia ad abbandonare il Lento già sulla scansione dei RE (1’28”) e poi decisamente accelera sul tema principale (2’17”). Parrebbe quasi che il russo abbia seguito le orme di Sergiu Celibidache, qui con la RAI Milano.

Per curiosità ascoltiamo invece cosa combina Ole Schmidt con la Royal Philharmonic: interpreta l’indicazione deciso (a 1’43”) come un Allegro subito, raddoppiando la velocità fin dalla scansione dei RE che precede l’entrata del tema principale. Torna poi bruscamente a Lento (2’38”) per la riproposta della frase iniziale, quindi altro colpo di reni (3’23”) sulla ripresa del tema principale; e da qui a rotta di collo fino al Lento dell’epilogo (4’25”).  

Alfred Scholz con la London Festival fa la media fra il Lento e il Poco risoluto e poi la applica da inizio a fine, in un improbabile e continuo Allegretto!

Infine ecco Herbie con i Berliner: addirittura Lentissimo! Poi però - e al momento opportuno! (4’38”) - si scatena in un’orgia parossistica...
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Blacher? Intanto va detta la cosa più importante: come ha già fatto in passato, qui lui presenta una versione del brano per soli archi. Ma non quella della primissima esecuzione, cui Sibelius aggiunse successivamente i tre fiati e i timpani... bensì una moderna, orchestrata dal violoncellista Georg Oyen. Che lascia un retrogusto un po’ amarognolo, poichè privarlo dei pur sporadici interventi dei fiati (flauto e clarinetto soprattutto) toglie al brano quel tocco decadente che è la sua principale caratteristica: e qui due campioni come Manachino e Ghiazza avrebbero davvero fatto la differenza!

Quanto ai tempi, Blacher - che ha suonato sulla sedia della spalla, facendo traslocare Santaniello su quella del concertino - ha sostanzialmente rispettato la lettera di Sibelius, solo anticipando di poco l’accelerazione al Poco risoluto.
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Mendelssohn è l’autore del Concerto per violino in cui si cimenta direttamente Blacher. Ma non è quello celeberrimo in MI minore (che ascoltammo proprio da lui nel marzo del 2018) ma il meno famoso (ed eseguito) in RE minore. Lo avevamo ascoltato qui nel lontanissimo dicembre del 2012 interpretato da Vadim Repim con l’Orchestre de la Suisse Romande.

Composto all’età di 12 anni, fa parte di quella produzione mendelssohn-iana orientata prevalentemente agli archi (vedi le 12 sinfonie): erano questi, oltre al pianoforte, gli strumenti che davano vita ai concerti in casa Mendelssohn. Così anche quest’opera vede il solista accompagnato esclusivamente da questa sezione dell’orchestra.

Anche qui, come Prima Sinfonia udita poco tempo fa, troviamo un Mendelssohn tutto pieno di furore adolescenziale, che si manifesta nei due Allegro esterni, mitigato dal languido Andante centrale. La struttura è simile a quella del futuro fratello (composto 22 anni più trdi) anche in dettagli come l’attacca che collega il secondo e il terzo tempo.

Blacher si fa sistemare due leggii: uno per sè come solista (e anche questo è un segno della scarsa dimestichezza con quest’opera) e uno, opposto al primo, per sè come direttore. Girandosi ora verso il pubblico (solista) ora verso l’orchestra (direttore). 

Apprezzabile la sua interpretazione (la tecnica certo non si discute) che però non rimuove da questo brano (se si esclude qualche squarcio nell’Andante) l’impressione di una certa freddezza, o di accademismo che guarda più al passato che al futuro.
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É Mozart a chiudere la serata con la stra-celebre K550. Il che consente anche alla sezione fiati dell’Orchestra di avere doverosamente la sua parte. Blacher dirige senza bacchetta e affronta questo capolavoro con gran cipiglio e tempi sempre ben serrati. E poi non ci fa mancare uno solo dei da-capo, inclusi quelli del movimento finale.

Per lui e i ragazzi un gran trionfo con gli ormai consueti applausi ritmati. Replica questa sera.

17 giugno, 2021

laVerdi fa altre serenate

Dopo la prima di Brahms eseguita poche settimane fa, ecco in Auditorium un programma di sole serenate. Per dirigerlo torna - dopo il concerto di Capodanno in streaming - il 27enne Thomas Guggeis, uno degli astri nascenti della direzione d’orchestra. Programma bifronte quanto alla presenza degli strumenti: prima parte quasi monopolizzata dai fiati e seconda per soli archi. (Così diventa più facile anche rispettare il limite al numero di esecutori sulla scena senza penalizzare troppo la resa sonora...)

Apre una serenata sui-generis, la Fanfare for the Common Man di Aaron Copland, composta nel 1942 per la Cincinnati Symphony. Destinata ad aprire i concerti in tempo di guerra (gli USA erano appena scesi in campo...) è poi diventata uno dei brani più eseguiti (e... saccheggiati) d’America: lo stesso Autore la auto-imprestò al finale della sua Terza Sinfonia.

Al Common Man (per noi l’Uomo qualunque?) il vice di Roosevelt (Henry Wallace) aveva dedicato nientemeno che il Secolo XX! Una glorificazione interessata: c’era da convincere il contribuente a pagare tasse sempre più salate, stante il crescente - e, per noi, benedetto! - impegno bellico del Paese. Ma più che l’onorificenza, alla bisogna servì l’introduzione del Sostituto d’Imposta (!) che fece schizzare le entrate federali da 3 a 20 miliardi di dollari in due anni.

La strumentazione è proprio bandistica: 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni e tuba; più timpani, grancassa e tam-tam. E sono le percussioni ad aprire e poi accompagnare la fanfara, con secchi rintocchi che ricordano vagamente... la marcia funebre di Sigfrido!

SIb e MIb sono le tonalità - tipicamente da banda - toccate nei 3 minuti (scarsi) del brano. Che chiude però su uno stentoreo RE.

Guggeis dispone gli 11 fiati a semicerchio; da sinistra: i 4 corni, poi le 3 trombe, quindi i 3 tromboni e, al proscenio a destra, la tuba. Le percussioni sono dislocate in funzione stereofonica: a sinistra, dietro i corni, il tamtam e la grancassa; a destra, dietro i tromboni, i timpani. Bellissime le sonorità uscite dalle 11 campane degli ottoni, che suscitano applausi calorosi, anche da parte di chi forse non si aspettava una durata così limitata del brano!
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Fiati in primo piano anche nel secondo brano in programma: la Seconda Serenata di Brahms, composta a ridosso della prima (1858-9) in quel di Detmold. Qui gli archi (privati del tutto dei due pacchetti di violini!) fanno da sottofondo, creando l’atmosfera calda ma anche un poco ombrosa del brano. Scelta confermata nel 1875 dall’abbandono delle due trombe (più due dei quattro corni) che l’Autore aveva messo in organico nella prima stesura.

Musica davvero allo stato puro, serena o contemplativa che sia: non per nulla elogiata dall’esteta Hanslick, che condannava ogni inflessione espressionista o sentimentale dell’arte musicale. Ascoltandola si può solo apprezzarne il rigore formale (Bach...) e la purezza dei temi, ma niente emozioni, sia chiaro! Vedremo tutto l’opposto in Ciajkovski...

Guggeis - che non ha mai preso la bacchetta in tutta la serata - ce la porge con grande discrezione, misurando il gesto, a volte ampio e disteso, altre secco e preciso, a seconda delle necessità imposte dalla partitura. E il pacchetto dei fiati mostra di essere una squadra di autentici... solisti! Ben coadiuvati dagli archi guidati per l’occasione dalla suadente viola di Miho Yamagishi.
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La chiusura del concerto vede quindi impegnate le sole stringhe (!) interpreti della Serenata per archi op. 48 che Ciajkovski compose nel 1880, durante uno dei suoi periodi di permanenza in Ukraina (già allora una dépendance della madre Russia) ospite di sorella e cognato nella grande tenuta di Kamenka.

Opera pervasa da serenità mista a malinconia, espressione pura di sentimenti ma anche di turbamenti profondi; in sintesi: tutto l’opposto rispetto all’asettico rigore di Brahms! A proposito si legge che il russo qui abbia mutuato molto da Mozart: mi permetto rispettosamente di osservare che è assai più mozartiana la Serenata di Brahms.    

La struttura è quasi di Sinfonia, con i classici 4 movimenti (qui un walzer rimpiazza lo Scherzo, ma ciò accadrà anche nella Quinta Sinfonia).

Il primo movimento - DO maggiore, 6/8 - presenta un’Introduzione in Andante non troppo, dove viene esposto un motivo che tornerà ciclicamente verso la fine dell’opera. Dopo quattro sue apparizioni e poche battute di riposo attacca l’Allegro moderato. Che è sostanzialmente bitematico (tonalità DO, con sfumature anche minori nella seconda frase, tema elegiaco; e SOL, motivo assai agitato in semicrome staccate) ma privo di sviluppo in quanto tale. Viene chiuso con un ritorno dell’Andante introduttivo, questa volta ridotto a 2 esposizioni del motivo.

Anche il secondo movimento rifugge da facili effetti, è un walzer in SOL maggiore assai lontano dai classici modelli da balletto, pur familiari al compositore. Un piccolissimo particolare lo testimonia, nella chiusura della frase iniziale:

A chiunque verrebbe spontaneo di sostituire le due semiminime evidenziate (SOL-SI) con una figurazione molto più... ammiccante: semiminima puntata + croma! Un secondo motivo impreziosisce il walzer, che chiude sommessamente con una gentile cadenza.

L’Elegia - Larghetto, 3/4 RE maggiore - è di certo (almeno a mio parere...) il punto più alto della composizione, con il suo nobile, struggente e cantabilissimo tema:

Così come il primo tempo, anche il finale (2/4, forma-sonata) è preceduto da un’Introduzione in Andante, che riprende il RE dell’Elegia come dominante di SOL maggiore, per preparare il terreno all’Allegro con spirito, Tema russo, canonicamente in DO maggiore, dal sapore frizzante. Un controsoggetto più cantabile segue in MIb maggiore nei violoncelli, poi i due temi sono sottoposti ad un robusto sviluppo, prima di tornare in sequenza (ma con il secondo ovviamente in DO) in sede di ricapitolazione.  

La coerenza dell’ispirazione complessiva è testimoniata dal ritorno ciclico, ad attaccare una curiosa Coda, del motivo dell’Introduzione alla Serenata; ecco il punto dove quel motivo si... trasforma in quello popolare del finale:

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Guggeis, oltre alla bacchetta, lascia a casa anche la partitura, che evidentemente ha tutta ben scolpita in mente: così non trascura nessuna delle mille sfumature del brano, dalla leggerezza del Valse alla crepuscolare Elegia. Insieme ai redivivi violini (capeggiati da Dellingshausen) In grande evidenza i violoncelli guidati dal veterano Mario Shirai Grigolato. Festa per tutti e applausi ritmati.

10 giugno, 2021

Ancora nuova musica da laVerdi

Alpesh Chauhan sta ormai diventando ospite abituale dell’Auditorium: è infatti al suo terzo appuntamento in tre anni con laVerdi. Per l’occasione dirige un concerto ben assortito, con musica che va dall’oggi a ieri all’altroieri!    

Dopo quella recente di Colasanti, ecco una nuova primizia a testimonianza della vitalità dei nostri compositori: Hello, World, uscito dalla penna di quella vecchia voce di Radio3 che risponde al nome di Nicola Campogrande.  

L’aquilana Vittoriana De Amicis ha prestato la sua bella voce sopranile a questo ciclo di 4 Lieder che ci racconta qualche arcano dell’informatica: come far dire (o comparire sullo schermo) al computer il messaggio Hello, World impiegando quattro diversi linguaggi di programmazione!

1. Linguaggio B

main( ) {

extrn a, b, c;

putchar(a); putchar(b); putchar(c); putchar(’!*n’);

}

a ’hell’;

b ’o, w’;

c ’orld’;

2. Linguaggio Unix Shell

#!/bin/sh

echo “Hello world”

3. Linguaggio Delphi

program Project1;

uses

qdialogs;

const

s = ‘Hello World’;

begin

showmessage(s);

end

4. Linguaggio Malbolge

(=<`#9]~6ZY32Vx/4Rs+0No-&Jk)”Fh}|Bcy?`=*z]Kw%oG4UUS0/@-ejc(:’8dc

Va da sè che i simboli - che nei linguaggi di programmazione abbondano, rispetto alla normale lingua scritta - non siano musicabili, quindi (in italiano, visto che l’Autore è italiano) ne viene musicata la pronuncia, tipo chiuse le virgolette o anche chiocciola o parentesi aperta, cancelletto, e così via. Insomma, un moderno... divertimento. Tutto sommato gradevole, poichè Campogrande è un esponente di quella che chiamerei corrente nostalgica (in senso assolutamente buono!) della musica contemporanea. Tanto per dire, il primo brano attacca in RE maggiore à-la-Korngold e poi presenta un cantabile in LA (!) Proprio sull’ultima nota la De Amicis sfoggia un MIb sovracuto degno di...Violetta!

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Due fratelli tulipani, rispondenti ai nomi di Lucas e Arthur Jussen (di 28 e 25 anni rispettivamente) si cimentano poi con il Concerto per due pianoforti di Poulenc. Eccoli qui in una prestazione di pochi anni fa. Invece qui qualche mia nota in proposito, scritta più di 8 anni orsono in occasione di un’esecuzione in Auditorium di Lupo & Pedroni.

Brano di tutta gradevolezza, che i due giovani interpretano quasi (o senza quasi) divertendosi, e così raccolgono un meritato trionfo, che ci ripagano con un Mozart in salsa italo-svizzera... e poi con il sommo Bach.  

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Infine si retrocede in pieno ottocento con il 15enne Mendelssohn e la sua Prima Sinfonia in DO minore per orchestra a ranghi completi, sfornata precisamente fra il 3 e il 31 marzo del 1824 (prima ne aveva composte, in soli due anni e tanto per farsi le ossa... ben 12 per orchestra d’archi!)  

È un frutto ancora piuttosto acerbo e velleitario, se lo si confronta con capolavori quali l’Ottetto e l’Ouverture del Sogno che arriveranno nel giro di nemmeno 3 anni. Qui il ragazzo sembra ancora affetto da eccessiva carica Sturm-und-Drang, per dire: se si esclude l’Andante, un’oasi di pace e tranquillità, ricca di spunti degni di nota, la Sinfonia è tutto un succedersi di motivi dal piglio asfissiante e da dinamiche che raramente scendono sotto il forte, con rari momenti meditativi; insomma, una narrativa piuttosto... aggressiva, ecco. E non è escluso che l’Autore stesso fosse cosciente di ciò, se per le esecuzioni londinesi del 1829 rimpiazzò il concitato Menuetto con l’etereo Scherzo del suo recentissimo Ottetto! 

L’Allegro molto di apertura (4/4) presenta subito il primo tema nervoso in DO minore, che sfocia poi verso la relativa MIb maggiore, dove ospita dapprima un inciso di sapore beethoveniano (Imperatore) e un motivo di transizione verso il secondo tema. Che a prima vista sembrerebbe più cantabile, quindi efficacemente contrastante con il primo. Ma (purtroppo?) solo per poco, poichè anch’esso si fa ben presto contagiare dalla veemenza dell’altro. Dopo la canonica ri-esposizione, ecco lo sviluppo, dove Mendelssohn mostra una certa fantasia nell’intrecciare i motivi e nel divagare su tonalità, come il SIb maggiore e il RE, poi il FA minore. La ricapitolazione vede il secondo tema portato a LAb maggiore. Segue una lunga coda basata sul primo tema che transita temporaneamente a DO maggiore. Nella concitazione permanente viene inserita una breve oasi di calma, 8 battute dove due corni suonano un SIb in ottava, seguite da lamenti di legni e archi. Pian piano riprende il primo tema che va a chiudere pesantemente - ricordando il Mozart della K550 -  sul DO minore di impianto.

L’Andante (3/4, MIb maggiore) è come detto il movimento più ispirato dei quattro. È sostanzialmente bitematico, ma con i due temi che hanno grande affinità. Dopo che il primo ha aperto, scendendo nei violini dalla dominante SIb sulla tonica, il secondo subentra imprevedibilmente, nel flauto, in DOb maggiore, salendo dalla dominante SOLb alla mediante MIb per poi degradare lentamente verso SIb. Dopo breve transizione è su questa tonalità che l’oboe ripropone il primo tema, che viene ripetuto dai legni. Violini contrappuntati dall’oboe, poi raggiunto dal flauto, espongono per due volte un motivo che sale di una settima, da dominante a sottodominante, per poi ripiombare velocemente sulla mediante (RE).

Un ostinato sforzato degli archi modula provvisoriamente a FA# maggiore dove i violoncelli ripropongono il secondo tema, poi ripreso dai violini e dai flauti in SI maggiore. Una transizione ci riporta al Sib e da qui al MIb dove torna il primo tema nei violini, poi nell’oboe, con il flauto ad accompagnare con veloci volate in semicroma. Ancora nei violini contrappuntati da flauto e oboe riappare per due volte il motivo che scala una settima per calare sulla mediante. Una coda di 12 battute chiude mirabilmente questo piccolo gioiello.

Ecco ora il Menuetto, Allegro molto, 6/4, DO minore. Ha una struttura e il piglio di uno Scherzo indiavolato. Come di prammatica presenta due sezioni (da ripetersi) di cui la seconda è un’estensione della prima. Quest’ultima inizia con il tema energico esposto dai violini, tema che ben presto sfocia sulla relativa MIb maggiore. La seconda sezione, più vasta, ripresenta il trema con diverse modulazioni: dapprima a REb e poi a DO maggiore. Il ritorno a DO minore sopraggiunge per chiudere questo pseudo-minuetto.

Il Trio - due sezioni da ripetersi più una terza - scende plagalmente alla sottodominante LAb maggiore, con un specie di corale di clarinetti e fagotti, che i flauti chiudono tornando a MIb. La seconda sezione riprende il motivo in REb per poi chiudere sul LAb. La terza sezione inizia (fagotti e flauti) degradando dalla settima abbassata (SOLb) alla dominante MIb. Qui arriva una sommessa transizione, protagonisti archi e... timpani (secondo molti osservatori: Beethoven Quinta) che ci riporta a DO minore: sono gli archi ad introdurre - a mo’ di rincorsa - il ritmo che prepara il ritorno al Menuetto (senza ripetizioni).

Il conclusivo Allegro con fuoco (4/4, DO minore) prosegue e conclude quest’opera in modo davvero ossessionante, esasperando se possibile l’atmosfera mozartiana del finale della K550. È in forma-sonata, quindi l’esposizione presenta due temi contrapposti: il primo è composto da due frasi, una concisa, da ripetersi, che riprende veloci discese degli archi già comparse nell’Allegro iniziale (e richiamate anche nel Menuetto) e chiude sul SOL; l’altra caratterizzata da tre lamenti dei clarinetti e chiusa dagli archi sul DO. Dopo la reiterazione, questa seconda frase viene sviluppata assai, riproponendo le discese negli archi e virando appropriatamente verso la tonalità di MIb minore. Chiude una melodrammatica discesa di clarinetto e fagotto verso il MIb maggiore, dove si presenta il secondo tema.

Tema curiosamente abbordato dai soli archi con un lungo pizzicato di 28 battute, dalla 13ma delle quali si modula a SIb maggiore, dove il clarinetto espone il suo tema; che poi, sul terminare del pizzicato degli archi, modula al MIb maggiore. E qui abbiamo - in luogo di un canonico sviluppo - un lungo passaggio dal cipiglio marziale, pare una pesante cadenza di fine opera, preannuncia il finale del futuro celebre concerto per violino, chiude su 5 trilli del flauto ma... vira repentinamente e sommessamente a DO minore, dove gli subentra sorprendentemente una fuga in piena regola! Evidentemente Bach era già ben presente nel mondo estetico del ragazzo, che 5 anni più tardi a Berlino riesumerà in modo spettacolare la Matthäus-Passion.

La fuga (in due sezioni) esplora principalmente le tonalità di SOL minore e poi MIb maggiore, chiudendo sul DO minore e sulla seconda parte della prima frase del primo tema, per preparare la ricapitolazione. Il primo tema viene ripresentato senza le due ripetizioni (11 battute in meno) e con un piccolo ulteriore taglio di 6 battute. Questa volta non modula a MIb, ma chiude sulla settima di dominante di DO minore dove riudiamo in clarinetto e fagotto, più il flauto, la caduta dalla sottodominante FA alla tonica DO. Riudiamo le battute in pizzicato degli archi che introducono il secondo tema, esposto ora in DO minore dal flauto, partendo dalla dominante SOL. Dopo una rapida escursione a LAb maggiore si torna a DO minore, con il passaggio marziale che porta alla ricomparsa della fuga, sempre nella tonalità di impianto, ma qui accorciata alla sola prima sezione.

Subitaneamente si passa da DO minore a DO maggiore (Più stretto) per la perorazione finale, 30 battute assai retoriche, tutte in ff (ma solo perchè ancora fff e ffff non erano stati inventati...)  

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Maiuscola la prova dell’Orchestra, che Chauhan ha impegnato allo spasimo, tenendo tempi serratissimi, come da copione. In compenso, dall’Andante ha saputo cavar fuori tutto il lirismo e la poesia che lo caratterizzano.

Anche lui ormai è un beniamino del pubblico e dell’Orchestra, che gli ha riservato un applauso ritmato, cui il giovane maestro ha risposto con parole di ammirazione e ringraziamento.