affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

28 marzo, 2009

Per qual cagione la Musica sia detta subalternata all'Arithmetica, & mezana tra la Mathematica & la Naturale.



MA perche la Scienza della Musica piglia in prestanza dall'Arithmetica i Numeri & dalla Geometria le Quantità misurabili; cioè, i Corpi sonori; però si fà alle due nominate Scienze soggetta; & si chiama Scienza subalternata. Onde è da sapere, che di due sorti sono le Scienze; percioche sono alcune dette Principali, ò Subalternanti; & alcune Nonprincipali, o Subalternate. Le prime sono quelle, lequali dependono da i Principii conosciuti per lume naturale & cognitione sensitiua; come l'Arithmetica & la Geometria; le quali hanno alcuni Principij conosciuti per la cognitione d'alcuni termini acquistati per uia de i Sensi; come dire, che La Linea sia lunghezza senza larghezza; ch'è un principio proprio della Geometria; & che 'l Numero sia moltitudine composta de più vnità; che è proprio principio dell'Arithmetica; oltra i Principii communi, che sono quelli, che dicono; Il tutto esser maggior della sua Parte; La Parte esser minore del suo Tutto; & molti altri, de i quali l'Arithmetico & il Geometra cauano le loro conclusioni. Ma le seconde sono quelle, che oltra i proprij Principii, acquistati per il mezo de i Sensi, ne hanno alcuni altri, che procedono da i principii conosciuti nell'una delle Scienze superiori & principali; & sono dette Subalternate alle prime; come la Prospettiua alla Geometria: conciosiache, oltra i Proprii principii, ne hà alcuni altri, che sono noti & approuati nella Scienza à lei superiore, ch'è la Geometria. Et è di tal natura la Nonprincipale & subalternata, che piglia della principale l'istesso Soggetto; ma per sua differenza ui aggiunge l'Accidente; percioche se fusse altramente, non ui sarebbe tra l'una & l'altra alcuna differenza di Soggetto; come si uede della Prospettiua, che piglia per soggetto la Linea per sè; della quale si serue anche la Geometria; & ui aggiunge per l'accidente la Visualità; & cosi la Linea visuale uiene ad esser il suo soggetto. Il medesimo intrauiene ancora nella Musica, c'hauendo ella con l'Arithmetica per commune soggetto il Numero, aggiunge à questo per sua differenza la Sonorità, & si fà ad essa Arithmetica subalternata; tenendo il Numero sonoro per soggetto. Ne solamente hà la Musica i Proprij principii; ma ne piglia anco de gli altri dall'Arithmetica, per i mezi delle sue Demostrationi; accioche per essi habbiamo la vera cognitione della Scienza, E' ben vero, che tali Principii & mezi non sono tutte le conclusioni, che nell'Arithmetica si ritrouano; ma solamente una parte, della quale il Musico ne hà dibisogno; & sono di Relatione; cioè, delle Proportioni; & questo per mostrar le Passioni de i numeri sonori, secondo il proposito. Onde ancora noi pigliaremo quelle Conclusioni solamente, che ci faranno dibisogno; & le applicaremo al Suono, ouero alla Voce, che dal Naturale (come dimostra Aristotele) sono considerate; Il perche diremo, che la Musica secondo la dottrina di questo Filosofo: non solo alla Mathematica; ma etiandio alla Naturale è subalternata; non in quanto alla Parte de i Numeri; ma si bene in quanto alla parte del Suono, ch'è naturale; dalquale nasce ogni Modulatione, ogni Consonanza, ogni Harmonia, & ogni Melodia: la qual cosa è confermata anche da Auicenna, il qual dice; che La Musica hà i suoi Principij dalla Scienza naturale, & da quella de i Numeri. Et si come nelle cose naturali, niuna cosa è perfetta mentre ch'è in potenza; ma solamente quando è ridutta in atto; cosi la Musica non può esser perfetta, se non quando co 'l mezo de i naturali, ò arteficiali Istrumenti si fà udire; la qual cosa non si potrà fare co 'l Numero solo, ne con le Voci sole; ma accompagnando queste & quello insieme; massimamente essendo il Numero inseparabile dalla Consonanza. Per questo adunque sarà manifesto, che la Musica non si potrà dire ne semplicemente Mathematica, ne semplicemente Naturale; ma si bene parte Naturale & parte Mathematica; & conseguentemente mezana tra l'una & l'altra. Et perche dalla Scienza naturale il Musico hà la ragione della materia della Consonanza, che sono i Suoni & le Voci; & dalla Mathematica hà la ragione della sua forma; cioè, della sua Proportione; però douendosi denominar tutte le cose dalla cosa più nobile; piu ragioneuolmente diciamo la Musica esser Scienza mathematica, che naturale; conciosia che la Forma sia più nobile della Materia.

ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA,

Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Prima Parte. Capitolo 20. (MDLVIII)

24 marzo, 2009

In viaggio col cacciatore...

Giorni fa, dovendo fare una trasferta giornaliera di 300Km (all’andata neh, + altrettanti per tornare a casa) ho scelto, come al solito, un CD da infilare nel player per aggiungere un po’ di dilettevole all’utile. La scelta, quel giorno, è caduta su Der Freischütz, due ore e poco più (con tale Birgit Nilsson, non so se mi spiego...)

Di passaggio: chi - non so chi, lo ammetto - ha tradotto in italiano il titolo con “Il franco cacciatore” doveva essere un raffinato davvero. Escluso che franco stia per “francese”, ma nemmeno per “francone” (chè la vicenda si svolge in Boemia) nè certo per “schietto”, o “sincero” (Max non pare proprio un tipo così irreprensibile) nè si può proprio concludere che significhi “bravo”, “preciso”. In realtà è franco nel senso di libero (non incarcerato!) E poi cacciatore non è certo la traduzione letterale di Schütz, che sta per “tiratore” (di doppietta).

Ma non è del titolo che voglio parlare, bensì della musica, natürlisch! Anzi, di un piccolo, quasi microscopico particolare della partitura weberiana.

Allora, ascolto purtroppo con una certa superficialità - bisogna prima di tutto guidare, anzi... frenare, per evitare i postumi rimbrotti del tutor - e così arrivo al terzo atto, e a quella celestiale aria di Agathe “Und ob die Wolke sie verhülle“, introdotta e poi accompagnata dalla calda melodia del violoncello. Ecco qui:

.















.

Le note riquadrate in rosso coprono un intervallo di nona (da dominante a sesta) una cellula di una bellezza davvero sbudellante. E riappaiono più volte, nello strumento e nella voce, nel corso della cavatina.

Chissà perchè, mi ricordano qualcosa, ma al momento non riesco a far mente locale (devo anche badare al tutor, accipicchia!) Così alla sera, tornando a casa (i tutor sono già a nanna... almeno stando ai board, che si limitano a suggerire soste con sconto-caffè) ascolto più attentamente e cosa ti scopro? Che quelle cinque note costituiscono anche l’incipit del walzer, n°3 del primo atto! Come certificato di seguito:
















.
.

Certo, mentre con Agathe eravamo in un sognante adagio, qui siamo in un comodo andante, ma la materia prima è proprio la stessa (tonalità a parte).

Ma non finisce qui, perchè adesso mi rendo conto che, con tempo ancora più lesto (“Molto vivace”) quella cellula era apparsa ancor prima, proprio alla fine del primo coro “Victoria, Victoria!”:


















.

Sì, va bene, qui la terzina iniziale è sull’arpeggio di dominante e non di tonica... ma di fatto è la stessa cellula (che difatti appena dopo viene precisamente replicata) degli altri due riferimenti.

Insomma: non è certamente un leit-motiv, almeno in senso stretto wagneriano. Ma è pur sempre un segno, una traccia, quasi un’impronta che ricompare in momenti e contesti diversi e con diversi accenti: un piccolo “tema con variazioni” nascosto fra le pieghe di questo capolavoro.

(oh, ma i tutor erano davvero a nanna? ...dico: in caso, i punti vanno decurtati a Carl Maria, chiaro vero?!)
.

22 marzo, 2009

Vorrà dire che Mehta ce lo teniamo stretto noi!

.
Alan Rich è uno dei più importanti critici musicali americani. Sta a Los Angeles e da qualche tempo ha aperto un suo blog dove pubblica le sue recensioni su avvenimenti musicali.

L’ultima riguarda la recente tournée dei Wiener con Zubin Mehta, che hanno deliziato i californiani con un paio di concerti a Disney.

Bene, se volete leggere gli insulti più bassi e volgari al grande Zubin, accomodatevi qui! Il meglio che Rich abbia da dire sul direttore è che sale sul podio come se si fosse appena fatto la pipì addosso.

In realtà, scavando nel passato, si potrebbe scoprire che Rich (oggi ottantacinquenne - ma non tutti ad 85 anni sono rincoglioniti, però) non ha mai potuto vedere Zubin fin dai tempi in cui il direttore indiano era approdato, poco più che ragazzo, alla LA Philharmonic. E così non perde occasione per dargli dell’ignorante, nientemeno definendolo come incapace di penetrare l’essenza stessa del repertorio sinfonico (sic!)

Per loro fortuna, a LosAngeles non sono proprio tutti matti.
.

20 marzo, 2009

Daniele Gatti riconfermato a Bayreuth

.
La notizia è passata quasi sotto silenzio, ma non era poi così scontata, a fronte degli arricciamenti di naso che si erano visti in quel di Bayreuth dopo l’esordio di Gatti nel Parsifal 2008 di Herheim.

Il sito ufficiale del Festival conferma invece che anche nel 2009 sarà Daniele Gatti a dirigere le cinque rappresentazioni dell’ultima opera di Wagner. Immutato anche il cast, almeno nei ruoli-chiave.
.

19 marzo, 2009

Commenti all’Alcina di Carsen alla Scala.

.
Uno dei risultati - indubbiamente positivi - dello sbarco dell’Alcina di Carsen alla Scala è di aver sollevato discussioni sull’ormai annoso problema legato alla libera interpretazione di grandi opere del passato, e della loro riproposizione in chiave “moderna” e comunque diversa dallo stereotipo originale.

Magìa sì, magìa no è uno dei leit-motive di queste discussioni nei forum e delle recensioni che si leggono sui giornali. L’approccio e i tagli di Carsen sono un altro comune argomento di discussione.

Vediamo alcuni commenti scritti prima e dopo la prima, e reperibili in rete.

Angelo Foletto su Repubblica annunciava la prima con un riassunto dell’impostazione di Carsen (quale si poteva già leggere sul sito del teatro) derivata presumibilmente dall’esperienza parigina, con un fugace accenno ai ruoli di padrona e cameriera con cui Carsen veste Alcina e Morgana. E su quella di Antonini, di cui sembra citare passi di un’intervista.

Daniela Zuccoli sul Corriere anticipava così l’opera di Händel. Una presentazione succinta, ma assai fedele dell’approccio del regista canadese. Chi legge capisce benissimo che l’Alcina che vedrà alla Scala è ben diversa dall’originale barocco-magico, tutta incentrata invece su psicologia e analisi dei sentimenti.

Elsa Airoldi, sempre prima della prima, sul Giornale riferiva dell’approccio di Carsen, che mostrava di gradire, nella scolpitura dei sentimenti dei personaggi e nella scelta del finale, caratterizzato dal “senso di perdita”.

Sempre sul Giornale, a proposito della prima, Lorenzo Arruga si inventa - perchè l’ipotesi più probabile è che lui non ci fosse, o avesse nelle orecchie gli auricolari di un blackberry, e gli occhi fissi sul relativo schermino - un’accoglienza trionfale, con solo “...una manciatella sterile di buu...” Su Carsen comincia dicendosi incapace di “...capire cosa ci si guadagna a togliere la prospettiva della favola e della storia, vestire i personaggi come noi e lasciare a terra mostri volanti e affini...” per concludere, con logica stringente, che “... il suo gioco è ordinato, agile, coerente”. Esattamente come le idee di Arruga! Che ha lodi sperticate persino per il povero Alastair Miles, definito nientemeno che “autorevole”. Come Arruga, appunto.

Francesca Zardini, su AffariItaliani, elogia tutti, dal regista al maestro, ai cantanti, senza far cenno alla mezza gazzarra che aveva accompagnato la prima. Ma quel che stupisce è la disarmante ingenuità con cui tocca il tasto della regìa, da lei dapprima apprezzata senza riserve, ma poi di fatto criticata apertamente, per via dei tagli ai “sortilegi” (Atlante, l’anello di Angelica e lo scrigno). Quando basterebbe un minimo di analisi della concezione del regista per concludere che quei tagli ne sono la matematica conseguenza. O viceversa, se si censurano quei tagli, bisognerebbe allora aver il coraggio di criticare l’impostazione di fondo di Carsen, di cui sono figli.

Paolo Isotta, all’indomani della prima, oltre a considerazioni non del tutto fuori luogo riguardo la prassi di applaudire ogni aria, come era costume dei tempi, e come del resto si fa con Rossini, Donizetti e Verdi... parla di grande successo e di sua gran felicità, anche se cita la data di lunedi (sic!) e la contestazione a Carsen (vero) e alla Bacelli (falso, poichè la contestata era la Petibon) e ad Antonini (falso, come riportano tutte le testimonianze). Poi sembra dar ragione all’interpretazione tutta psicologica di Carsen, salvo però dirgliene di tutti i colori riguardo a scene, costumi e movimenti attoriali. Boh... chi lo capisce è bravo.

Alberto Mattioli su LaStampa apostrofa noi italiani come provinciali, non all’altezza di apprezzare le stratosferiche raffinatezze di un Carsen. Poi scrive testualmente: “Comincia come una commedia sexy da film brillante hollywoodiano e finisce svelando la faccia nascosta del capolavoro händeliano, dove la musica smentisce l’assunto moraleggiante del libretto. Quando svanisce l’isola della maga Alcina, anche nei paladini «conversi in onda, in fredde rupi e in belve» prevale la lancinante malinconia per quel mondo sparito, la nostalgia per il paradiso perduto.” Certo, è proprio così, ma questo è il finale dell’Alcina di Carsen, NON di quella di Händel. E i tagli, caro il mio Alberto, non sono motivati - come tu sostieni - da problemi di orario della metropolitana, eh no! Poi il nostro conclude buttando fango sui cantanti. Bontà sua, salva almeno Antonini e gli strumentisti scaligeri.

Chiudiamo ancora con Angelo Foletto, che su Repubblica porta Antonini al settimo cielo (e ci sta). Poi passa a Carsen e non si capisce se lo voglia fare santo subito, o spedire all’inferno. Scrive infatti: “L'illusionistica ricchezza musicale della partitura-capolavoro, esaltata dalla lettura strumentale e dalla flessuosità direttoriale, era di proposito negata dal cupo e bellissimo spettacolo di Robert Carsen che rappresentava l'isola magica come un regno di erotismi borghesi e sensualità funerea”. Insomma, Angelo, ha ragione Antonini o Carsen? La musica o la regìa che la nega? Ancora: “...il finale aperto, con Ruggiero stordito che forse non tornerà da Bradamante, è vero e toccante.” Quindi bravo Carsen? Però così chiude Foletto: “...il pubblico, già disorientato dallo scetticismo amoroso portato in scena da Carsen.” Insomma, un colpo al cerchio, uno alla botte e un terzo alla... logica!
.

18 marzo, 2009

Del Soggetto della Musica.

.














ET perche nella quantità Discreta detta di moltitudine alcune cose stanno per se stesse; come il Numero 1. 2. 3. 4. & gli altri; & alcune sono dette per relatione; come il Duplo, il Triplo, il Quadruplo; & altri simili; però ogni Numero, il quale stà da per sè; ne per l'esser suo hà dibisogno d'altro aggiunto, è detto Semplice; & di lui l'Arithmetica ne hà consideratione. Quello ueramente, che non può esser da sè; percioche all'esser suo ha dibisogno d'un'altro, è detto numero Relato; & di tal Numero si serue il Musico nelle sue speculationi. Ma nella quantità Continua detta di grandezza sono alcune cose di perpetua quiete; come la Terra, la Linea, la Superficie, il Triangolo, il Quadrato & ogni Corpo mathematico; & altre continuamente sono girate, & hanno in se stesse il mouimento; come i Corpi celesti. Delle prime se ne tratta nella Geometria; delle seconde, ne fà professione l'Astronomia; di modo che dalla diuersità delle cose diuersamente considerate nasce la uarietà delle Scienze, & la diuersità de i Soggetti; conciosia che si come l'Arithmetico considera principalmente il Numero; cosi il Numero è il Soggetto della sua scienza. Et perche i Musici, nel uoler ritrouar le Ragioni d'ogni musicale Interuallo, si seruono de i Corpi sonori, & del Numero relato, per conoscer le distanze, che si trouano tra suono & suono, & tra uoce & uoce; & per saper quanto l'una dall'altra sia differente per il graue & per l'acuto; però mettendo insieme queste due parti; cioè, il Numero & il Suono, & facendo un composto, dicono; che 'l Soggetto della Musica è il Numero sonoro. Et benche Auicenna dica, che cotal Soggetto siano i Tuoni & li Tempi; nondimeno considerata la cosa in sè, ritrouaremo tutto esser uno; cioè, riferirsi i Tempi al Numero, & li Tuoni al Suono.

ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA,

Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Prima Parte. Capitolo 18. (MDLVIII)

17 marzo, 2009

Interpreti allo sprint

.
La giornaliera scorsa ai blog di musica americani oggi mi ha indirizzato su una curiosa gara a distanza fra - nientemeno - Callas e Fleming. La specialità in cui si misurano? “O mio babbino caro”.

L’organizzatore della gara è Michael Monroe, che si è preso la briga di costruire un canone in piena regola (o meglio, un pochino a ruota libera...) sovrapponendo le prestazioni delle due soprano.

La Callas (o era colpa del furioso Pretre?) arriva con largo vantaggio sulla più giovane avversaria, e così il canone si conclude con la seconda voce a far da solista.

Con il massimo rispetto per la Fleming... mi sa che la Callas non è soltanto più veloce.
.

14 marzo, 2009

Alcina (selon Carsen) alla Scala.


Su Händel se ne leggono davvero di bizzarre... ci dev’essere qualche baricca anche in Albione (nessuna meraviglia, per carità). Ma il genio non viene stabilito per voto democratico, nè tantomeno per blog-parere e ormai Händel non lo può più seppellire alcuno. Alcina è poi una di quelle opere - chiedo scusa a Giovanni Bardi: dramma per musica - che solo una mente bacata potrebbe dileggiare: peggio per lei.

Per la verità l’Alcina che si rappresenta in Scala (ripresa, con qualche aggiustamento e ulteriore taglio, dall’edizione parigina di 10 anni fa) non è propriamente l’originale di Händel, ma una libera rivisitazione di Robert Carsen, che ha applicato anche qui nel modo più classico il processo tipico del Regietheater: si studia il soggetto originale, se ne deriva una propria libera interpretazione (il Konzept) e ci si costruisce un nuovo soggetto e tutta l’opera intorno. Laddove l’originale ha parti - anche musicali! - che non collimano con il nuovo Konzept, nessun problema: si cambia l’originale, anche radicalmente, per farlo aderire alla geniale idea del regista. Il risultato può magari essere - come nel caso in questione - un’opera d’arte... peccato che è altro da ciò che l’Autore aveva immaginato e scritto. Pazienza. O così, o... così. Nella fattispecie, l’Alcina di Händel, una barocca Zauberoper (dramma magico) a lieto fine, nelle mani di Carsen diventa uno spaccato psico-sociologico della moderna società borghese, con i relativi complessi e individui complessati. Anche scene e costumi, per conseguenza, si adattano: nessuna macchina straordinaria per mostrarci i miracoli, conseguenti alle diverse magìe, ma ambienti minimalisti, funzionali al simbolismo che caratterizza la vision del regista. A parte qualche caduta di stile, artisticamente di alto livello.

Comincio dai dettagli futili e tragicomici: ieri proprio all’inizio mi è parso di essere capitato ad una porno-kermesse, tanta era la gente nuda o mezza-nuda presente in palcoscenico. Io poi, in prima fila di loggione e armato del mio binocolo da marina, ho fatto due figure grame in un sol colpo: quella del voyeur ed insieme quella del checca, datosi che i nudisti erano esclusivamente di sesso (um) ...forte. Sia chiaro: da me non uscirà un sol verbo di condanna moraleggiante di questa gratuita trovata kitsch (in gergo: pagliacciata) del genio Carsen. Il fatto è che al peggio non c’è limite, e purtroppo essendoci in giro di peggio... chiediamo che la pratica sia insabbiata, vostro onore, e non se parli più. Salvo ricordare che nell’Alcina il nudo effettivamente c’è, ma espresso con somma poesia e pudicizia, in un unico verso, recitato all’inizio (Scena IV) da Ruggiero: “Servo ad Amor, che va senz’arme, e nudo.” Inutile dire che i nudi di Carsen (che tornano ripetutamente) non aggiungono un grammo di poesia, non dico di nobiltà, a quel verso, anzi trivializzano questo e le scene in cui sono presentati.

Peccato perchè, nel bene e nel male, Carsen è un genio per davvero - come Herheim, Konwitschny, Chéreau ed altri Regisseur - e non si capisce perchè debba talvolta abbassarsi al livello di un Bieito qualunque, invece di limitarsi a stravolgere “artisticamente” il soggetto: peggio per lui.

Quanto al suo Konzept, comporta cosette da nulla, come il totale sovvertimento della natura stessa di alcuni personaggi (massimamente Morgana e Oronte) e lo stravolgimento del libretto (con conseguenti tagli alla parte musicale) quando per l’appunto esso non “quadra” con il Konzept. Vediamo.

Intanto - già si nota dalla locandina, e non c’entra nulla con i tagli del FUS - manca del tutto un personaggio: Oberto (c’era, ma già castrato, nell’allestimento di Parigi). Quindi mancano anche le sue arie, tre perle di cui Carsen ci priva proditoriamente: “Chi m’insegna” nell’Atto I, “Tra speme e timore” nell’Atto II e “Barbara!” che si perde, compreso il Coro “Sin per le vie del sole”, insieme all’intera Scena VI dell’Atto III. Perchè Oberto stride con il suo Konzept! Carsen si fa un baffo della magìa (e delle maghe)! Händel ha scritto nientemeno che 5 opere (Bardi, scusami ancora: drammi per musica) su soggetti che implicano o richiamano la magìa? Chi se ne frega, io sono Carsen e per me la magìa è roba da baricchi, no scusate, da barocchi, siamo nel terzo millennio o no?

Quindi Morgana non è una maga, sorella della maga nonchè regina Alcina, anche lei signora degli uomini e dell’amore, no no: è una servetta di albergo che la dà via al primo che passa, come è tipico della nostra malata società, nicht wahr?

Oronte è (selon Carsen) un maggiordomo - e non il capo degli armigeri della regina - una vera macchietta, tipico complessato, che fa a volte l’untuoso, a volte la spia, secondo convenienza; si capisce bene perchè venga del tutto espunta la Scena VIII dell’atto conclusivo, laddove Ruggiero gli dovrebbe rendere la spada (ma come, la spada al maggiordomo?)

La scena di Melisso e Ruggiero all’inizio dell’Atto II (come concepita da Carsen) sarà pure geniale - niun lo nega - ma stravolge del tutto l’originale magico di Händel: secondo cui Melisso (sotto le spoglie di Atlante, altro magico particolare espunto da Carsen) porge a Ruggiero l’anello magico di Angelica, il che provoca il dissolvimento istantaneo della fastosa sala in cui si trovano, trasformata in landa desolata. È la magìa di Alcina che viene neutralizzata da altra magìa, facendo capire a Ruggiero di essere stato vittima di un sortilegio (baroccheria sopraffina). Invece il sociologo Carsen ci deve spiegare artisticamente che la magìa non esiste, ma solo il tradimento sessuale della ninfomane Alcina, mostrata a Ruggiero in una foursome orgy che apre il cervello al nostro ingenuo giovine, ma a noi spettatori mostra un’Alcina schiava del sesso, qui in totale contrasto con la complessa personalità della regina, peraltro ben rappresentata in tutto il resto dell’opera. (D’altronde anni fa abbiamo mandato Cicciolina a Montecitorio...)

L’ultima scena dell’Atto II (quello di Händel, si capisce) è ancora pervasa di magìa: Alcina cerca invano di evocare gli spiriti dell’Acheronte, perchè la difendano dal rinsavito Ruggiero; e solo quando getta la bacchetta magica, andandosene via, essi compaiono e si mettono a ballare, disturbando i suoi sogni. Carsen? Nulla di tutto ciò, anzi tutt’altro: Alcina che si aggira in mezzo ai corpi immobili (molti nudi, ovviamente) dei suoi ex-amanti! Suggestivo, nessun dubbio, ma cosa c’entri con l’originale lo sa solo Carsen.

La magìa - chiaro ormai - scompare del tutto anche nel finale, dove Alcina viene fisicamente ammazzata (o forse si suicida - à la Tristan - buttandosi sulla lama brandita da Ruggiero) e i suoi ex-amanti, molti nudi, al solito, si risvegliano per farle il funerale, depositandola su un letto. Lì dove, nell’originale, dovrebbe esserci lo scrigno delle magìe. A proposito, quello scrigno può essere benissimo immaginato come la rappresentazione del femminino (dell’utero, se proprio si vuol andar giù piatti) la cui profanazione fa cadere tutto l’incantesimo. Carsen invece va proprio al sodo-sodo, e ci mette direttamente il letto, dove noi comuni mortali facciamo le nostre per nulla magiche porcherie.

Adesso si deve chiudere: come? Con Händel? No di sicuro. Infatti, insieme ai balli (Bondi ha già tagliato il famoso corpo scaligero, per caso?) anche il finale - c’era da dubitarne? - viene brutalmente e puramente espunto (incluso il coro “Dopo tante amare pene” dove Casoni avrebbe fatto cose strabilianti) poichè unfitting con il Konzept del genio canadese, che ci mostra invece Bradamante e Ruggiero che - neanche mezz’ora dopo essersi felicemente ricongiunti - già separano le loro strade, andandosene via in direzioni quasi opposte, sul mesto accordo di SOL minore. Ovvio, noi gente scafata del terzo millennio mica vorremo credere ancora ad un lieto fine, in SOL maggiore, vero?

Carsen ha anche geniali intuizioni, come la giacca di Ruggiero, accarezzata prima da Bradamante (sull’aria di Melisso “Pensa a chi geme”) e poi da Alcina (sull’aria “Mi restano le lagrime”) a rimarcare un parallelo fra la donna (Bradamante) e la maga, finalmente ridotta a donna (Alcina) accumunate dal dolore per l’amante perduto (sempre viste a letto, peraltro). In altre circostanze Carsen è un po’ deboluccio, come nella scena dei “Verdi prati” (fondale che avrebbe mandato in bestia uno come Appia) o nella prima scena dell’Atto III, con Morgana e Oronte (la servetta e il maggiordomo) che rifanno il letto e ci si coricano amoreggiando (nulla di tutto ciò in Händel, manco a dirlo).

Insomma. L’interpretazione di Carsen immagino sarà apprezzata da chi non sopporta che un’opera barocca venga rappresentata come tale, o da chi - altrove - pretende che il wagneriano Ring sia sempre ed obbligatoriamente calato in una qualche dimensione della realtà politica o sociale contemporanea. Viva la libertà di espressione!

Veniamo alla performance artistica. Riedizione del caso Don Carlo? Alla prima il finimondo, alla seconda applausi e urla di bravo! per (quasi) tutti. Non solo per il maestro Antonini, che sembra proprio vivere in simbiosi con questa celestiale musica (peccato che - colpa del Konzept di Carsen - se ne sia dovuta tenere una buona parte nella bacchetta!) ma anche per gli interpreti, la Harteros-Alcina in testa, ma anche la Petibon-Morgana, letteralmente fatta a pezzi martedi 10. Trionfo anche per Bacelli e Hammarström, benevoli applausi per i due maschi della compagnia.

Carsen non si è fatto vedere. Forse è ancora appeso all’acero cui lo hanno impiccato martedi e ha deciso di passarci - à la Odin - 9 giorni e 9 notti, in modo da trasformarsi da genio direttamente in dio. Peggio per lui, perchè ieri sera sono sicuro che il loggione, oltre alla platea, avrebbe applaudito anche lui...

Modesto consiglio: visto che ci sono ancora parecchi posti disponibili per le prossime recite... chi appena può dia una mano a rialzare il PIL. Saranno quattrini spesi bene.
.

10 marzo, 2009

L’ignoranza impera in Albione

.
Tale Tom Service, sedicente critico musicale del Guardian (ma sì, un giornaletto da nulla, dopotutto...) scrive una recensione sul film Watchmen. E fin qui nulla da obiettare.

Datosi che nel film viene usata come sottofondo, con idea davvero incredibile e impensabile, la Cavalcata delle Valchirie, il nostro cronista si vuol dare delle arie di esperto wagneriano e così ci racconta che le Valchirie se ne andavano in giro ad ammazzare gente, essendo loro matte per il sangue e amanti dell’omicidio.

Dico: il Guardian!
.

07 marzo, 2009

Diuisione della Musica in Speculatiua ò Contemplatiua & in Prattica; per la quale si pone la differenza tra 'l Musico, & il Cantore.














INTRAVIENE quello nella Musica, che suole intrauenire in alcun'altra delle Scienze; conciosia che diuidendosi in due parti; l'una Theorica, ò Speculatiua ò uogliamo dirla Contemplatiua, & l'altra Prattica uien detta.Quella il cui fine consiste nella cognitione solamente della verità delle cose intese dall'Intelletto; ilche è proprio di ciascuna Scienza; è detta Contemplatiua; l'altra, che dall'essercitio solamente dipende, uien nominata Prattica. La prima (come uuol Tolomeo) fu ritrouata per accrescimento della Scienza; imperoche per il suo mezo potiamo ritrouar noue cose, & darle augumento; ma la Prattica solamente è per l'operare; come dissegnare, descriuere, & fabricar con le mani le cose occorrenti. Questa alla prima non altramente si sottomette, di quello che fà l'Appetito alla Ragione; & è il douere; conciosia che Ogni Arte & ogni Scienza naturalmente hà per più nobile la Ragione, con la quale si opera, che l'istesso Operare. Onde hauendo noi dall'Animo il sapere; & dal Corpo, come suo ministro, l'opera; è cosa manifesta, che l'Animo uincendo & superando di nobiltà il Corpo, quanto alle operationi, sia ancora più nobile; tanto più, che se le mani non operassero quello, che dalla Ragione gli è commandato, uanamente & senza frutto alcuno sia faticarebbono. Si che non è dubbio, che nella scienza della Musica è più degna la Cognitione della ragione, che l'Operare. Et quantunque la speculatione da per se non habbia dibisogno dell'opera; tuttauia non può lo Speculatiuo produr cosa alcuna in atto, c'habbia ritrouato nuouamente, senza l'aiuto dell'Artefice, ouero dell'Istrumento: percioche tale speculatione, se ben'ella non fusse vana, parrebbe nondimeno senza frutto, quando non si riducesse all'ultimo suo fine, che consiste nell'essercitio de Naturali & Arteficiali Istrumenti; col mezo de i quali ella viene à conseguirlo; come ancora l'Artefice senza l'aiuto della Ragione mai potrebbe condurre l'opera sua à perfettione alcuna. Et perciò nella Musica (considerandola nella sua perfettione) queste due parti sono tante insieme congiunte, che per l'assegnate ragioni non si possono separare l'una dall'altra. Et se pure si volessero separare; da questo si conoscerebbe lo Speculatiuo ò Contemplatiuo esser differente dal Prattico; che quello sempre piglierà il nome dalla Scienza, & uerrà detto Musico; & questo non dalla Scienza; ma dall'Operare; come dal Comporre sarà detto Compositore; dal Cantare, Cantore; & dal Sonare, Sonatore. Ma questo più espressamente si comprende da quelli, che essercitano l'opere Musicali da mano; i quali dall'Opera; cioè, dall'Istrumento, non dalla Scienza prendono il nome; come l'Organista dall'Organo, il Citerista, dalla Cetera, il Lirico dalla Lira; & similmente ogn'altro, secondo la sorte dell'Istrumento, ch'ei sona. Et però chi uorrà essaminar bene la cosa, ritrouerà tanto esser la differenza dell'uno dall'altro, quanto è il loro ufficio, & il loro fine diuerso. Onde uolendo saper quello che sia l'uno & l'altro, diremo; Musico esser colui, che nella Musica è perito & hà facultà di giudicare non per il Suono; ma per ragione quello, che in tal scienza si contiene; Il quale se alle cose appartinenti alla Prattica darà opera, farà la sua scienza più perfetta; & Musico perfetto si potrà chiamare. Ma diremo Prattico, ò Compositore, ò Cantore, ò Sonatore, ch'egli sia, colui, che i precetti del Musico con lungo essercitio apprende & li manda ad effetto con la Voce, col mezo d'alcuno arteficiale Istrumento. Di sorte ch'ogni Compositore, ilquale non per ragione, ne per scienza; ma per lungo uso sappia comporre ogni musical Cantilena; & ogni Sonatore di qual si uoglia sorte d'Istrumento musicale, che sappia sonare solamente per lungo uso & iudicio di orecchio; ancora che à tale uso l'uno & l'altro non sia peruenuto senza 'l mezo di qualche cognitione; Prattico si può dire. Et la Velocità delle mani, della lingua, con ogni mouimento & altro accidente, che si ritroua di bello nel Sonatore ò Cantore, si debbe attribuire all'Vso & non alla Scienza; conciosiache consistendo essa nella sola cognitione; se fusse altramente, seguirebbe che colui, ilquale hauesse maggior cognitione della Scienza, fusse anche più atto ad essercitarla; di che in effetto si uede il contrario. Hora hauendo ueduto la differenza, che si ritroua tra l'uno & l'altro, esser l'istessa, ch'è tra l'Artefice & l'Istrumento; il quale essendo retto & gouernato dall'Artefice, è tanto men degno di lui, quanto chi regge è più nobile della cosa retta; potremo quasi dire, il Musico esser più degno del Compositore, del Cantore, ò Sonatore; quanto costui è più nobile & degno dell'Istrumento. Ma non dico però, che 'l Compositore & alcuno, che esserciti i naturali, ò arteficiali Istrumenti, sia ò debba esser priuo di questo nome; pur ch'egli sappia & intenda quello, che operi; & del tutto renda conueneuole ragione: perche à simil persona, non solo di Compositore, di Cantore, ò di Sonatore; ma di Musico ancora il nome si conuiene. Anzi se con un sol nome lo doueremo chiamare, lo chiamaremo Musico perfetto: percioche dando opera, & essercitandosi nell'una & l'altra delle nominate, ei possederà perfettamente la Musica; della quale desidero & spero, che faranno acquisto coloro, i quali vorranno osseruare i nostri precetti.

ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA, Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Prima Parte. Capitolo 11. (MDLVIII)