apparentamenti

consulta e zecche rosse

31 ottobre, 2021

La Calisto dalla Scala via etere

In attesa di assistere dal vivo, per poter giudicare complessivamente lo spettacolo, pochi cenni sulla prima de La Calisto di Francesco Cavalli, che Radio3 ha irradiato ieri sera dalla Scala.

Per apprezzare soprattutto le scelte di Christophe Rousset: sulle voci (Giove-in Diana interpretato da... Diana e Linfea affidata ad una voce femminile); sull’organico strumentale (rinforzi solo quanto basta per l’ampiezza del Piermarini); e sulla scelta delle musiche da eseguire in assenza di indicazioni nel manoscritto originale (la sinfonia da Orione dello stesso Cavalli e la trascrizione della passacaglia di Frescobaldi dal secondo libro delle toccate, in chiusura dell’opera).

Per quante riserve si possano fare sull’ascolto tecnologico, mi sentirei di promuovere a pieni voti la prestazione di tutti.

29 ottobre, 2021

laVerdi 21-22. Concerto 5

Impossibilitato a dirigerla il Direttore Musicale, è il redivivo Kolja Blacher a proporci questa settimana un’opera fra le più impegnative; per l’ascoltatore e per gli esecutori: la Nona di Gustav Mahler. Programmata in tempi di restrizioni-Covid, la sinfonia è eseguita con organico ridotto, quindi nella versione cameristica predisposta da Klaus Simon (del quale già avevamo seguito nel 2020, prima del nuovo stop, la Quarta mahleriana, allora diretta da Flor).

Blacher ha suonato tante volte la sinfonia da Konzertmeister, in particolare sotto la bacchetta di Claudio Abbado, come qui, nel 2010, a Lucerna:

Non mi è dato sapere se questa sia la prima occasione che ha Blacher di dirigere la sinfonia, e di certo è impossibile pretendere che qualcuno faccia resuscitare Abbado... Così devo dire che, del sommo Maestro, Blacher ha perlomeno conservato quella che definirei religiosità dell’approccio interpretativo. Una religiosità... laica per così dire, che del resto pervade quest’opera nella quale Mahler ripercorre, dall’alfa all’omega, tutta un’esistenza: la sua esistenza, ma in fondo anche l’esistenza di tutti noi.

Già le primissime battute dell’iniziale Andante comodo racchiudono simbolicamente l’intero ciclo artistico del compositore: la citazione (secondo corno, battute 4-5) è dall’opus-1 (Das Klagende Lied) del Mahler ventenne diplomato al Conservatorio, e quella (secondi violini, battute 6-8) è dall’ultimo Ewig che la voce esala in chiusura dell’Abschied del Lied von der Erde! Tutto il primo movimento è un susseguirsi di slanci eroici e di scoraggianti cadute; la parte centrale (il Landler-Walzer piuttosto sgangherato e lo spettrale Rondo.Burleske) sembra dipingere gli aspetti più enigmatici che la vita ci presenta ogni giorno. Infine l’Adagio prende atto della caducità delle cose terrene, accettandola con strazio pari alla compostezza.

Devo dire che questa riduzione cameristica (con armonium e pianoforte a far da ripieno di suono) lascia un po’ di perplessità (anche se è complessivamente apprezzabile) proprio a livello di impasto del suono; in compenso premia la bravura degli strumentisti (soprattutto i fiati, che sono soltanto in 8, contro i 29 dell’originale!) i quali diventano altrettanti solisti di un concerto per orchestra... Fa eccezione l’Adagissimo del finale, dove già nell’originale suonano solo gli archi, i quali devono peraltro produrre il meno suono possibile, compatibilmente con la percezione dell’orecchio umano!   

Al proposito, Abbado soleva (come nel 2004 a Santa Cecilia o nel 2010 a Lucerna e nel 2011 a Firenze) far abbassare le luci fin quasi al buio totale sulle ultime battute della sinfonia, per poi restare per interminabili secondi ad ascoltare il... silenzio seguito al morire della triade di REb esalata da violini secondi, viole e celli: una teatralizzazione che a qualcuno poteva sembrare eccessiva, ma che lui poteva davvero permettersi.

Senza arrivare a quei... celestiali eccessi Blacher (che ha diretto a mani nudeha però lasciato il tempo necessario a far decantare la tensione immancabilmente prodotta da quelle ultime battute della Sinfonia, che ci portano in una dimensione... ultraterrena, ecco.

Eccellente - come sempre - la prova dell’Orchestra, premiata con il Direttore, dopo il rispettoso silenzio, da applausi sempre più intensi e prolungati.

26 ottobre, 2021

Alla Scala torna il barocco

Archiviato il suo particolare ROF, la Scala torna al barocco mettendo in scena un’opera di Francesco Cavalli, La Calisto, in programma a partire dal 30 ottobre.

Sul podio Christophe Rousset, che porta con sè i suoi Talens Lyriques a rinforzo dei barocchisti scaligeri. Il musicista francese ha già diretto l’opera anni fa a Strasburgo, con una messinscena e con interpreti diversi da questa nuova produzione del Piermarini, affidata a David McVicar.

Il soggetto del drama-per-musica, messo in versi da Giovanni Faustini e liberamente tratto dalle ovidiane Metamorfosi - che ebbe la prima a Venezia alla fine del 1651 - è centrato sulla vicenda della ninfa Calisto (seguace osservante della casta Diana) concupita dal Giove travestitosi proprio da Diana; vicenda contornata dalla narrazione di una serie di rapporti sentimentali per lo più proibiti o... equivoci, di cui sono protagonisti la stessa Diana, il pastorello Endimione e il dio Pan. Completano il quadro un Satirino, il figlio e portaborse di Giove (Mercurio) e la gelosa Giunone, oltre alle Furie, ad un paio di altre mitologiche comparse (Linfea e Silvano) e alle divinità concettuali che occupano il Prologo (Natura - Eternità - Destino).

Faustini - a parte due righe poste in calce all’elenco dei personaggi e un fugacissimo accenno nel finale dell’opera - ignora del tutto le implicazioni (leggasi: Arcade) dell’amore Giove-Calisto ed anzi gioca sull’equivoco narrandoci solo di baci-e-baci-e-baci, quasi che Giove avesse assunto proprio tutte le prerogative di Diana - a partire dalla voce, mutata da basso a soprano - e che quindi fra il capo degli dei (sotto le spoglie della dea cacciatrice) e la ninfa fosse intercorso un classico amore saffico, nulla più (?) Poi però ci pensa la perfida Giunone a metterci una pulce nell’orecchio. Conoscendo fin troppo bene le attitudini del fedifrago consorte chiede a Calisto: dì la verità, ma a parte tutti questi baci-e-baci-e-baci, fra te e la tua capitana è mica per caso successo dell’altro? E Calisto, testualmente: Un certo dolce che, che dir non te 'l saprei. Ah ecco, volevo ben dire!

A proposito della mutazione di Giove in Diana, è normale far cantare la parte di Giove(-in Diana) alla stessa interprete (soprano) della dea (mai i due personaggi sono contemporaneamente in scena...) Nel caso in questione noi vediamo in scena prima Giove, poi la falsa Diana e abbondantemente dopo la dea verace, che noi riconosceremo come tale dal suo cadere dalle nuvole e poi dal mostrarsi offesa al sentire Calisto magnificare l’estasi del loro incontro amoroso. Pare che invece nelle prime rappresentazioni veneziane i due ruoli di Giove e Giove(-in Diana) fossero interpretati dallo stesso cantante, il basso Giulio Cesare Donati, capace di cantare (in falsetto, il cosiddetto basso-alla-bastarda) anche la parte della falsa Diana!  

L’altra vicenda piccante riguarda proprio Diana (aka Cinzia, aka Delia, aka Febea, aka Trivia, aka Trigemina) della quale scopriamo un lato interessante, quanto non insolito, del comportamento, non dissimile da quello di molti paladini della castità nonchè fustigatori di costumi: predicare bene e razzolare male! Veniamo a sapere infatti che la dea, prima di darsi alla cacciagione e al proselitismo di ninfe votate al nubilato, se l’era fatta col dio Pan, che l’aveva sedotta con uno dei classici strumenti che i maschi impiegano alla bisogna: coprirla di regali, in particolare di preziose vestimenta. Poi, finiti i regali... finito il piacere, e ora il povero Pan si dispera e sospetta che la dea abbia trovato un altro manico con cui trastullarsi. E non si sbaglia davvero, giacchè scopriamo che un modesto e umile pastorello - tale Endimione - gode delle simpatie della dea, peraltro costretta - onde evitare pubblici... ehm, sputtanamenti - ad aver con lui incontri clandestini e fugaci. Ai quali assiste però il Satirino per riferirne subito a Pan e per poi divulgarli per vendetta sui social dell’epoca (#CinziaLaCastaDèaTuttaÉLussuria).

In effetti questa leggenda che vuole Diana e le sue ninfe come donne caste e pure fa acqua da tutte le parti: oltre alla capitana e alla protagonista, anche l’altra comprimaria (Linfea) non scherza affatto quanto a libidine: basta ascoltarla quando proclama voglio esser goduta! Insomma, che il termine ninfomane abbia assunto nel tempo un ben preciso significato non è certo un caso...

Poi nel testo non mancano situazioni da... farsa, come la commedia degli equivoci fra Giove(-Diana) e il povero Endimione, che prende Mercurio - sempre al fianco del padre, pur travestito - per un nuovo amante della dea, la (il) quale gli fa perfidamente credere che la casta-diva ha altri amanti segreti! Salace il commento del tirapiedi Mercurio: caro Giove, lascia perdere questo travestimento, altrimenti invece di belle femmine troverai solo mariti! (però era stato lui a consigliare quel travestimento...) E infatti subito dopo nell’equivoco cade anche Pan, che fa una scenata di gelosia contro Diana(-Giove) minacciando di uccidere il tapino rivale Endimione e inducendo così Mercurio a convincere il metamorfosato papi a squagliarsela in fretta e furia.

In omaggio allo scenario forestale che fa da sfondo alla vicenda, alla fine del primo atto - che ha per protagonisti Pan, Satirino e Silvano - sei orsi escono dalle frasche e inscenano un balletto. Altro balletto alla fine del second’atto, protagonisti satiri e ninfe (le quali, in maggioranza numerica e sotto la minaccia delle loro appuntite frecce, li mettono in fuga). Orsa diventa poi anche Calisto, dapprima trasformata in bestia per punizione dalla petulante Giunone, e infine mutata, come premio, in celeste costellazione dal riconoscente Giove.

Insomma, un soggetto a metà strada fra il serio, il faceto e il piccante, che Cavalli ricoprì di musica secondo i principii - mutuati dal suo maestro Monteverdi e formulati poco meno di un secolo addietro dalla Camerata de’ Bardi - del recitar cantando. Che però Cavalli comincia ad arricchire con qualche innovazione, tipo una maggior vivacità melodica nei declamati (che perdono un po’ di austerità, vero, ma pure quel rischio - per noi schizzinosi - di indigeribile monotonia...) e l’introduzione di virtuosismi canori che qualche tempo dopo la faranno da padrone nei teatri, aprendo la strada al melodramma (incluse le sue degenerazioni) e poi al belcanto, prima che qualcuno (Berlioz, poi Wagner, in parte l’ultimo Verdi) provasse a tornare alle origini del dramma-per-musica.

La prima di sabato 30/10 sarà trasmessa da Radio3 (ore 20).

22 ottobre, 2021

laVerdi 21-22. Concerto 4

É un’altra vecchia conoscenza de laVerdi a far ritorno sui Navigli per il 4° appuntamento stagionale: trattasi di John Axelrod, che vi dirige un concertone di quelli proprio tosti, Schumann e Beethoven!  

Ecco quindi la Quarta del grande Robert, composta quasi contemporaneamente alla prima (1841) e poi rivista 10 anni più tardi, dopo la nascita della seconda e della renana, e quindi pubblicata come la sua ultima...

All’inizio pare Haydn (introduzione lenta al tempo Vivace) ma poi presenta una gran quantità di innovazioni: dal ricorrere di temi in movimenti diversi, all’assenza di cadenze e pause fra i 4 movimenti, alla presenza di autentici colpi di teatro, tutte cose che piaceranno assai ad un certo Mahler che - oltre a permettersi di riorchestrarle - ne trarrà ampiamente ispirazione per le sue sesquipedali sinfonie.     

Poi la Settima beethoveniana, tanto cara a Wagner quanto diversa da Schumann, con le sue mirabili simmetrie e con il suo rigore costruttivo. Due opere quindi assai distanti, e non solo per i 30 anni (o 40) che le dividono, ma per la diversissima concezione che le anima.

Axelrod? Beh, se devo giudicarlo dalle agogiche, cioè dai tempi staccati, potrei dirne solo bene. Peccato che - a mio modestissimo parere - abbia male interpretato le dinamiche, eccedendo nei fracassi soprattutto degli ottoni, che sia in Schumann che in Beethoven hanno nuociuto assai alla resa complessiva, penalizzando gli archi, sempre sovrastati dalle strappate di corni, trombe e (in Schumann) tromboni.

Insomma, eccessiva foga e bandismo, che magari avranno eccitato il pubblico - prodigo di applausi al termine di entrambi i brani - ma che mi sembra abbiano un po’ banalizzato i due capolavori.

15 ottobre, 2021

laVerdi 21-22. Concerto 3

Alpesh Cauhan sta ormai diventando di casa all’Auditorium: il giovane Direttore albionico - terminato il mandato a Parma con la Toscanini è tornato al luogo natìo e al ruolo di Direttore Musicale dell’Opera di Birmingham - vi ricompare questa settimana per proporre un programma di musiche italiane di autori stranieri innamorati del BelPaese: Stravinski e Mendelssohn

Del primo ascoltiamo la versione originale di Pulcinella, completa delle parti di canto riservate a soprano, tenore e basso. Non solo si tratta di un genere (balletto-con-canto) ben poco esplorato nella letteratura musicale, ma ciò che stupisce (positivamente) è come gli autori del misfatto (al servizio del patron Diaghilev) abbiano saputo tenere insieme: musiche (e testi annessi) di origine eterogenea (Pergolesi fu dato per l’unico autore, ma si scoprì poi che era solo primus-inter-pares...) con la trama del balletto, ideata dal coreografo Léonide Massine sulla base del pezzo di commedia dell’arte settecentesco I quattro Pulcinelli simili, che ha legami assai labili con i testi cantati (non parliamo poi delle scene di Pablo Picasso, già oggetto di contestazioni dagli altri autori nella fase di creazione dell’opera).

Gli interessati possono esplorare i contenuti del balletto nelle note in calce al post.

L’esecuzione è stata più che apprezzabile e le tre voci si sono ben distinte in queste parti per nulla facili: in testa metterei il basso Johannes Held, voce calda e ben impostata, poi il tenore James Way, voce chiara e penetrante e infine il soprano Francesca Lombardi Mazzulli, la cui voce mi pare manchi un po’ di penetrazione.

Devo dire però che l’esecuzione delle musiche comprensive delle parti cantate ma senza il balletto desta qualche perplessità, poichè viene a mancare -  a causa dell’eterogeneità dei testi - il sostrato narrativo dell’opera, quello che rende almeno vagamente comprensibili gli accostamenti fra le parti puramente strumentali e quelle cantate. Assai più appropriato sarebbe invece - in assenza di balletto - proporre la Suite, che si può più agevolmente gustare come musica pura.
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A chiudere è poi arrivata l’Italiana di Mendelssohn, che Chauhan ha affrontato con piglio garibaldino, forse fino eccessivo: parlo dei due movimenti esterni, dove la velocità è andata un poco a scapito della pulizia e della perfetta definizione delle linee melodiche mendelssohniane. Discutibile anche il taglio del ritornello dell’iniziale Allegro vivace. Molto meglio i due movimenti interni, in particolare l’Andante con moto.

In ogni caso il successo non è mancato, in una sala che ancora non è tornata al (consentito dalla legge) 100% di tasso di occupazione.
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Pulcinella

La partitura reca i riferimenti ai personaggi della vicenda e una succinta descrizione della trama, tratta come detto da I quattro Pulcinelli simili. Quattro perchè, oltre al vero e autentico Pulcinella, ne compaiono altri tre: uno è Fourbo, amico e sodale del protagonista; gli altri due (Caviello e Florindo) sono giovani innamorati di due fanciulle (Prudenza e Rosetta) che li snobbano, preferendo rincorrere il seducente Pulcinella (che per parte sua ha una fidanzata gelosa, tale Pimpinella). Il Dottore e Tartaglia con rispettive consorti completano il quadro dei personaggi del balletto (più altri figuranti).

La trama è coì presentata:

Tutte le ragazze del luogo sono innamorate di Pulcinella, ma tutti i ragazzi cui sono fidanzate sono pazzi di gelosia e tramano per ucciderlo. Proprio quando pensano di esservi riusciti, s'impadroniscono di costumi simili a quello di Pulcinella e si presentano alle innamorate così travestiti. Ma Pulcinella - astuto - è riuscito a farsi sostituire da Furbo, il suo doppio, che finge di soccombere ai colpi dei nemici di Pulcinella. Il vero Pulcinella ora si traveste da mago e resuscita il suo doppio. Nel momento in cui i quattro uomini, pensando di essersi liberati del loro rivale, vengono a reclamare le innamorate, Pulcinella ricompare e combina i matrimoni. Egli poi sposa Pimpinella, ricevendo la benedizione di Furbo, che a sua volta, assume l'aspetto di mago.

Seguiamo il balletto messo in scena tempo addietro dal coreografo Nils Christe con lo Scapino Ballet di Rotterdam e con la London Symphony diretta da Claudio Abbado e le voci di Teresa Berganza, Rayland Davies e John Shirley-Quirk. Lo facciamo con l’ausilio della tabella sottostante che reca, oltre alla suddivisione in numeri del balletto, anche le opere che hanno ispirato Stravinski (secondo lo studio di Helmut Hucke) i testi cantati e una (mia) plausibile esplorazione della trama, ovviamente dedotta dall’interpretazione del soggetto originale proposta da Christe, che può chiaramente differire nei dettagli da altre produzioni (ad esempio nella realizzazione del personaggio del Mago).


08 ottobre, 2021

laVerdi 21-22. Concerto 2

Dopo aver fatto il suo esordio con laVerdi in primavera (concerti in streaming) e in estate (apertura e chiusura del ciclo dei 9 concerti in presenza) Krzysztof Urbański torna sul podio dell’Auditorium per questo secondo appuntamento della nuova stagione. Che presenta un programma incentrato sulla Quarta di Ciajkovski, uno dei tanti cavalli-di-battaglia dell’Orchestra, oltre che uno dei titoli più inflazionati di tutta la storia della musica.

A far da antipasto al piatto-forte è una piccola composizione di un compatriota del Direttore, quel Vitold Lutoslawski del quale ascoltiamo la breve Little Suite, del 1950, composta per piccolo ensemble e poi rivisitata per un organico più ampio. Siamo ancora nel periodo neoclassico e folk del compositore, che anni dopo (tramontato lo spauracchio della censura di stampo sovietico che aleggiava anche sui satelliti di oltre-cortina) si sentirà libero di volgersi al serialismo ed anche alla musica aleatoria.

Viceversa qui si tratta, sull'esempio della suite barocca, di una sequenza di (4 in questo caso) danze in diversi tempi e ritmi, prese dalla tradizione popolare polacca, in particolare dalla zona di Machów, nella provincia di Rzeszów, ai confini con l’Ukraina:

1. Fujarka (Il piffero).

2. Hurra Polka (La polka).

3. Piosenka (Il canto).

4. Taniec (La danza).

Si tratta di deliziosi quadretti, poco più di 10 minuti di musica, che si lascia davvero ascoltare con piacere. Tuttavia la struttura dei brani mostra, ad un più attento esame, una certa complessità e rigore costruttivo. Rimando quindi per qualche ulteriore dettaglio alle note in appendice al post.

Urbański - che ha già registrato il brano con la Elbphilharmonie - ce ne ha fatto apprezzare tutta la freschezza e la brillantezza. Sugli scudi in particolare Ilaria Ronchi, protagonista con l’ottavino del primo brano della Suite.
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Ecco quindi il clou della serata, quella Quarta di Ciajkovski che tante volte è risuonata in Auditorium sotto la bacchetta di altrettanti Direttori.

Urbański l’ha diretta, come sua consuetudine, a memoria e ne ha messo in evidenza ogni dettaglio, con pieno rispetto dell’agogica (mai sconfinamenti indebiti o gigionerie assortite, solo un uso discreto del rubato) e con grande cura alle dinamiche, facendo emergere, a fianco delle grandi perorazioni dei fiati (ottoni in particolare) gli squarci più intimistici ed espressivi (negli archi soprattutto).

Per lui un autentico trionfo e devo dire che più lo si ascolta più ci si rende conto di essere di fronte ad un (quasi) giovane che farà molto parlare di sè.

É proprio fresca-fresca la sospirata notizia della rimozione del contingentamento dei posti nei teatri: ultimo passo per il ritorno - si spera definitivo - alla completa normalità.
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Note sulla Little Suite

1. Fujarka. Allegretto, 3/8, SOL maggiore e LAb maggiore.

La struttura generale è costituita da tre sezioni (A-B-A’) più una breve coda.

La sezione A è a sua volta composta da tre elementi di base, P>, A1 e A2, indicati in figura, dove P rappresenta il richiamo - la sequenza della triade di SOL maggiore - del Piffero (l’ottavino solista) e P> il richiamo protratto:

La struttura della sezione A è la seguente: P> | A1-A1 | P> | A1-A1 | P> | A2 | P> | A2 | P>. Qui la comparsa del richiamo P> è sempre accompagnata dal rullo del tamburino senza corde. Le ripetizioni di A1 e A2 si differenziano sottilmente nell’accompagnamento, che si irrobustisce fra una esposizione e la successiva.

La sezione B - dove l’ottavino tace salvo per due singole battute - vira a LAb maggiore e si caratterizza soprattutto per il ritmo molto più marcato. É costituita da tre parti, subito ripetute, più una breve coda.

La prima parte presenta un ostinato pedale degli archi sul quale si inseriscono interventi dei fiati (corni e fagotti). Nella seconda parte emerge un intervento impertinente (a) delle trombe, chiuso dalla discesa sulla triade MIb-DO-LAb. Nella terza parte il flauto riprende questa figurazione e la sviluppa con una melodia (b) prettamente diatonica. La ripetizione, come accaduto nella sezione A, non varia la melodia ma potenzia l’accompagnamento. La coda è costituita da sette reiterazioni (a canone) della cellula a’ che riconducono la tonalità al SOL, ribadito tre volte dall’ottavino.

Qui ritorna la sezione A variata (A’) che ha una struttura semplificata e mutata rispetto all’originale, in particolare per quanto riguarda l’elemento A2, che ora assume quattro forme ridotte:

Abbiamo quindi A’ così strutturato: A1-A1 | P> | P>’ | A2’ | P> | P>’ | A2” | P>’ | A2’’’ | P>’ | A2’’’’ | P>’. P>’ si differenzia dall’originale perchè scala la triade di RE maggiore (qui settima di dominante del SOL) ed è esposto dalla tromba in luogo dell’ottavino. Variata anche la presenza del tamburino. Da notare come l’armonizzazione si vada progressivamente sporcando per poi rasserenarsi nella breve coda di sei battute che si chiude con un’ultima comparsa nel solo ottavino del richiamo P>
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2. Hurra polka. Vivace, 3/4 (2/4, 4/4), RE maggiore.

Ciò che colpisce a prima vista in questo brano è il tempo con il quale attacca: 3/4! Davvero strano, visto che la Polka è una danza in tempo pari. Tuttavia ciascuno dei tre tempi della battuta può essere interpretato come una battuta in 2/8... Poi, lungo il percorso del brano troveremo anche passaggi in 2/4 (o 4/8) e 4/4 (8/8).

La tonalità di RE maggiore resta costante, e l’unico tema viene continuamente reiterato, in tutto (a) o in parte (a”) e da strumenti diversi.

La struttura generale è assai semplice: due sezioni (soggetto e controsoggetto) ripetute, più una coda. Il soggetto si compone del tema a alternato da tre battute di puro ritmo (r) come segue: r - a - r - a - r - a - r.

Il controsoggetto, prevalentemente in 2/4, riprende la parte a” del tema, ed ha questa struttura: a”-a”-a” | 1(2) | a”-a”-a” | 1(3) | a”-a”-a” | 1(4) | a”-a”-a”,

dove 1(2), 1(3) e 1(4) rappresentano battute singole di collegamento in 2, 3 e 4 quarti.

Dopo che le due sezioni sono state ripetute (anche qui arricchendone la strumentazione) abbiamo una coda che sviluppa una progressione di a” raggiungendo un culmine di suono a piena orchestra, e poi chiude con il clarinetto che riprende, separandole, le parti a’ e a” del tema.
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3. Piosenka. Andante moto sostenuto, 3/4, SOL maggiore, DO maggiore, FA maggiore, SIb maggiore.

Presenta un unico tema, composto da soggetto (a) e controsoggetto (b) che vengono reiterati su tonalità diverse, muovendo sul circolo delle quinte, dal SOL iniziale al SIb.

Attacca il primo clarinetto in SOL maggiore con a (che chiude sul LA, dominante di RE) e b, che dal RE torna al SOL. Il flauto lo segue riproponendo b ma dal SOL e chiudendo quindi sul DO maggiore.

Ora è l’oboe, partendo dal DO, ad iniziare un nuovo ciclo, presentando a (chiuso sul RE, dominante di SOL) e b, che dal SOL torna al DO. Il flauto lo segue riproponendo b ma dal DO e chiudendo quindi sul FA maggiore.

Adesso un terzo ciclo è iniziato dai violini primi che, partendo dal FA, presentano a (chiuso sul SOL, dominante di DO) e b, che dal DO torna al FA. L’armonizzazione però si intorbida sempre più (come già accaduto verso la fine del primo brano). I violini ripropongono b ma dal FA e chiudono quindi su un irriconoscibile SIb maggiore, affogato in un mare di... rumore.

Il brano si chiude con una coda che dal SIb torna, su spezzoni di b, al FA, e da qui a RE minore e infine alla triade di SOL maggiore esalata da archi e clarinetto.
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4. Taniec. Allegro molto, Poco più largo, Tempo I, Presto, 2/4 (3/4, 1/2), FA maggiore, LA maggiore, MI minore, DO minore, FA maggiore.

La macro-struttura del brano è così schematizzabile: A - A | B - B | C - C - C - C’ | A - A | coda. 

É la tromba ad attaccare il tema A in FA maggiore; dopo 4 battute di ponte sono i violini primi a ripetere A. Altre 4 battute di ponte ed arriva l’esposizione negli oboi del tema B, in LA maggiore, chiuso da 4 battute di cadenza. Il tema B viene ripetuto col da-capo

Ora, Poco più largo, eccoci al tema C, in MI minore, di mozartiana ascendenza, esposto dai violini in quarta corda e poi ripreso dall’oboe, quindi da flauti, corni e tromba mentre l’accompagnamento si ispessisce assai, culminando in un tutti dell’orchestra su veloci semicrome dei legni. Adesso il primo corno e il primo violino espongono una variante di C (C’) in DO minore, costituita dal solo segmento c’, ripetuto dal clarinetto con troncatura dell’ultima battuta.

Torna quindi (Tempo I e FA maggiore) il tema A, esposto dagli oboi e poi ripreso - dopo il ponte di 4 battute - da tromba e trombone. Ora il ponte si sdoppia in 8 battute, nel fragore delle crome ribattute di tutta l’orchestra: è il passaggio verso il Presto conclusivo, tempo 1/2, 26 battute travolgenti con un’iniziale scalata di crome, alcuni strappi e una finale discesa (su spezzoni di a’) verso lo schianto in FA maggiore.

01 ottobre, 2021

laVerdi 21-22. Concerto 1

Entrando in Auditorium, subito una confortante sorpresa: la sala è tornata normale! Le file di poltrone rimosse causa regole di distanziamento sono state rimesse al loro posto, grazie all’aumentata capienza ammessa per i teatri. E la presenza di pubblico è tornata ad essere quasi... normale. Speriamo davvero che i vaccini stiano facendo il loro dovere! E al pubblico la Presidente Ambra Redaelli ha voluto personalmente dare il ri-benvenuto nella casa de laVerdi, fra l’altro reduce da una meritoria operazione di transizione ecologica (sanificatori dell’aria ed elettricità da fotovoltaico). 

Bene. Dopo due appuntamenti mancati causa virus, finalmente Alondra de la Parra ha avuto il piacere (almeno così si spera, a giudicare dall'accoglienza ricevuta) di dirigere laVerdi nel primo concerto in abbonamento di questa prima tranche della stagione 21-22.

La simpatica 41enne, newyorkese di nascita ma di origine messicana (il nome non ha nulla a che vedere con la capitale britannica... è una variante di Alejandra ma è anche l’allodola) ha ormai una lunga carriera alle spalle ed è sempre più presente anche nelle sale da concerto europee (in Italia è già stata ospite di Santa Cecilia). 

Con lei il tenore tedesco (a dispetto del nome francese...) Julian Prégardien (suo compagno anche nella vita) che ha interpretato Mahler (Fahrenden Gesellen) e Ravel (Cinq mélodies): lo stesso accoppiamento già sperimentato in passato (qui a Copenhagen lo scorso anno). I due brani vocali erano incastonati in altrettanti brani strumentali (musiche da balletto) di ambientazione americana, di Copland (nord) e Milhaud (sud).

La serata si è quindi aperta con Aaron Copland e la sua Appalachian Spring Suite.

Si tratta di una - oggi la più eseguita - delle diverse musiche tratte dal Balletto per Martha del 1944: balletto composto appunto per la danzatrice e coreografa Martha Graham e strumentato per un ensemble di 13 esecutori (doppio quartetto d’archi, contrabbasso, pianoforte, flauto, clarinetto e fagotto). Qui il video di un’esecuzione del Balletto del 1958 trasmessa in televisione.

La trama e il titolo furono ispirati da due diverse fonti, e pure... contraddittorie: la prima da una raccolta di Edward Deming Andrews (A Gift to be Simple) di danze, canzoni e usanze delle comunità rurali di pionieri Shakers; da essa Copland citò in particolare il famoso Simple Gifts, musicato come tema con variazioni nell’Interludio. Il secondo (proposto dalla coreografa dedicataria dell’opera, che decise anche di ambientare la vicenda in Pennsylvania) da una poesia (The Dance) di Hart Crane, che magnifica una sorgente d’acqua (Spring) delle Appalachian Mountains, la lunga catena montuosa che occupa gran parte dell’Est degli USA, Pennsylvania compresa. Dove peraltro gli Shakers mai misero piede... L’altro significato di Spring - Primavera - torna poi comodo a caratterizzare l’ambientazione bucolica del brano.

Nel 1945 Copland produsse una prima versione della Suite, destinata ad una grande orchestra e costituita da circa il 75% delle musiche del balletto (24 su 32 minuti all’incirca) ottenuta tramite un grosso taglio - 3 delle 8 sezioni - prima della sezione finale, la ristrutturazione della sezione 4 (tema con variazioni, il Simple Gift) e altri piccoli tagli qua e là. Successivamente - nel 1954 su richiesta di Eugene Ormandy per la Philadelphia Orchestra - Copland realizzò una versione per grande orchestra della partitura dell’intero Balletto, ma lo fece in modo alquanto frettoloso ed abborracciato, prendendo come base la Suite (?!) e inserendovi, ristrumentati, i principali tagli del 1945.

Poi, nel 1970, Copland predispose la Suite con la strumentazione per 13 esecutori. Quest’ultima, pubblicata nel 1972, è la versione ormai quasi universalmente eseguita e registrata, ed è quella programmata in questo concerto. Copland lasciò però ai Direttori la libertà di estendere il numero di archi da 9 fino a 28 (8-8-6-4-2), ed è ciò che viene spesso fatto, come nel nostro caso, dove si è andati anche oltre, schierando 34 archi (2 violini primi, due celli e due bassi in più dei 28). Ecco una registrazione del brano diretto proprio da Alondra de la Parra a Francoforte con un ensemble di una trentina di esecutori.

La storia delle tante versioni (alcune assai poco authoritative) dell’opera è stata accuratamente ricostruita in recenti studi, come questo del 2017, o quest’altro, mentre recentissimamente la Copland-Foundation ha promosso l’edizione critica dell’intera opera, in particolare mettendo riparo all’inadeguatezza della versione del Balletto di Copland del 1954.

Più sotto una succinta guida all’ascolto della Suite, seguendo la citata registrazione della direttora messicana.

La quale ha uno stile assai sobrio, scevro da movenze appariscenti; dirige scandendo quasi scolasticamente, ma efficacemente, ogni tempo della battuta, ma soprattutto mostra di averne approfondito ogni dettaglio, agogico e dinamico: cosa emersa proprio in questo brano e poi in Mahler.
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É infatti arrivato subito dopo il compagno della Direttora per interpretare le quattro canzoni del 24enne boemo (1884) intitolate Lieder eines fahrenden Gesellen, canti di un... nomade, insomma. L’ibridazione di Lied e Sinfonia, tanto caratteristica del Mahler giovane (ma anche di quello maturo...) trova qui uno dei suoi primi e chiari esempi, con due melodie delle quattro canzoni che Mahler riprenderà pochi anni dopo per infilarle nel suo Poema Sinfonico (poi promosso a Sinfonia) ispirato al Titan.   

Prégardien ha messo in bella evidenza la sua voce chiara (mozartiana, si potrebbe dire) che bene si accorda con la strumentazione tersa e leggera di Schönberg, impiegata qui in luogo di quella originale mahleriana. Poi la direzione della compagna, assai curata nei dettagli, ha fatto il resto, così l’accoglienza del pubblico è stata più che calorosa.    
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Ancora il tenore tedesco per le Cinq mélodies populaires grecques di Maurice Ravel, originariamente composte (1904) per accompagnamento pianistico e successivamente orchestrate (1 e 5) da Ravel stesso e le altre da Manuel Rosenthal. Fu il poliedrico Michel-Dimitri Calvocoressi (francese di origine greca) a raccogliere queste canzoni e a tradurne i testi in francese.

Le tonalità delle canzoni sono raccolte in un solo tono pieno: SOL, SOL#=LAb e LA; le prime due sono in modo minore, le altre tre, in maggiore. I tempi si alternano con regolarità, fra il vivace e il lento. 

1. Chanson de la mariée (Canzone della sposa) 2/4 SOL minore, Modéré.

2. Là-bas, vers l'église (Laggiù, presso la chiesa) 2/4 SOL# minore, Andante.

3. Quel galant m'est comparable (Quale spasimante può starmi a pari) 2/4 SOL maggiore, Allegro.

4. Chanson des cueilleuses de lentisques (Canzone delle raccoglitrici di lentischio) 3/4 (2/4) LA maggiore, Lent.

5. Tout gai! (Tutto è allegro!) 2/4 LAb maggiore, Allegro.

Più sotto i testi delle cinque canzoni con la traduzione italiana e brevi note sulla loro struttura motivica.

Canzoni che sono delle miniature, non più di 8 minuti di musica, ma di natura assai godibile, di un Ravel ancora quasi ottocentesco, che il tenore tedesco ha presentato con grazia ed eleganza, meritandosi altri convinti applausi. 
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Ha chiuso la serata Le boeuf sur le toit (balletto-pantomima del 1919) di Darius Milhaud: anche qui possiamo apprezzare l’interpretazione che ne ha dato Alondra a Parigi nel 2015.

Curiosa la vicenda della nascita dell’opera: Milhaud era reduce da due anni trascorsi a Rio (in servizio civile al seguito del plenipotenziario Paul Claudel) e si era innamorato del paese sudamericano e della sua musica popolare. Al ritorno in Francia aveva quindi composto il brano, per violino e pianoforte, destinato a fare da colonna sonora ad un qualunque film (muto) di Charlie ChaplinIl bizzarro titolo lo aveva preso da una canzone brasiliana (O Boi no Telhado) ascoltata a Rio, forse durante un carnevale.

Poi fu Jean Cocteau a convincerlo a trasformare la musica, orchestrandola e facendone il supporto di un balletto moderno con una trama pur essa bizzarra assai, a partire dal sottotitolo, The nothing doing bar (Il bar del non far nulla). Vi compaiono diversi personaggi: ovviamente il Barman (col tema del ritornello del Rondò) poi una Signora russa, una Signora in decolletée, un Poliziotto, un Boxeur nero, un Bookmaker, un Signore in abito da cerimonia e un Nano nero che gioca al biliardo. La trama come detto è piuttosto demenziale, con decapitazione e resurrezione del Poliziotto al quale alla fine il Barman (responsabile dei misfatti) presenta un kilometrico conto.

É un quarto d’ora o giù di lì di musica accattivante (beh, col Brasile di mezzo ci vuol poco...) che però nasconde una complessa impalcatura strutturale, oltre che il ricorso a trucchi e innovazioni dell’epoca, tipo politonalità e simili arditezze. Quindi rimando a più sotto per altri dettagli sull’opera e una succinta guida all’ascolto della citata registrazione della Direttora mexicana.

Che ha confermato le sue qualità, meritandosi un autentico trionfo, applausi ritmati inclusi. Così lei e i ragazzi dell’orchestra (per questo brano cresciuta nell’organico fin quasi alla... normalità) ci hanno regalato come bis la ripresa del finale (dalla sezione dopo il Rondò 12) con il pubblico a scandire il ritmo con i battimani. 

Serata da incorniciare. 
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Note

Appalachian Spring.  

Contrariamente a quanto avveniva nell’800, dove le Suite dai balletti erano di norma una libera raccolta di numeri, senza alcun riferimento al soggetto dell’opera (la sequenza dei brani rispondeva caso mai a canoni estetici) questa di Copland è invece costituita dalla ripresa rigorosa della musica del Balletto (del quale quindi rispetta, per così dire, la trama) salvo l’espunzione di una parte ritenuta musicalmente ridondante e della ristrutturazione delle variazioni del Simple Gifts.

Qui una schematica tabella (derivata dal citato studio della Fondazione Copland) che mostra le strutture di Balletto e Suite:

Come si vede, a parte le sezioni espunte, per il resto le differenze si concentrano sul trattamento del Simple Gifts, ristrutturato nella sequenza e sottoposto a tagli e modifiche, principalmente per ragioni di concatenazione tonale (fra 4.4 e 4.5) legate proprio al grosso taglio delle sezioni 5-6-7. In totale, sulle meno di 980 battute del Balletto, i tagli nella Suite ammontano a 298 battute (circa il 30%) delle quali ben 219 sono dovute all’espunzione delle sezioni 5-6-7.

Veniamo quindi all’esecuzione di Alondra de la Parra, sulla base di alcuni commenti alla partitura forniti dello stesso Autore:

1. Prologo

12” Presentazione dei personaggi, uno a uno, in una luce soffusa.
Tonalità LA maggiore, Very slowly. Clarinetto e poi flauto espongono una dolce melopea, che introduce l’atmosfera bucolica del brano.

2. La valle dell’Eden

3’09” Sentimenti di esultanza e fede religiosa.
Siamo in Allegro, tonalità LA maggiore, poi (3’33”) DO maggiore e ancora (3’52”) LA maggiore e infine (4’28”) FA maggiore. Sentiamo (soprattutto da flauto e clarinetto) quelli che Mahler chiamava Naturlaute, suoni di natura, che evocano allegria e spensieratezza. Poi (5’20”) assumono un carattere più contemplativo e, appunto, religioso. È una classica atmosfera di pionieri che vivono a stretto contatto con la Natura e onorando il Creatore.

6’01” Duetto di sposa e promesso sposo. Scena di tenerezza e passioni.
Tempo Moderato, tonalità SIb maggiore. Dopo una breve introduzione degli archi che preparano il terreno, è il clarinetto (6’14”) ad esporre una melodia che richiama quella udita nell’Introduzione. Poi, improvvisamente (6’53”) gli archi attaccano una robusta melodia dal sapore atonale, interrotta dai fiati, dapprima (7’33”) con un passaggio in SOLb maggiore, poi (8’17”) da clarinetto e flauto con una nuova citazione dall’Introduzione, in MI maggiore e ancora (8’25”) in SI maggiore, ulteriormente sviluppata. Questa sezione dal sapore sentimentale è chiusa dagli archi e poi (9’25”) dal flauto.

9’36” L’Evangelista e i suoi seguaci. Sentimenti e danze popolari con suonatori di campagna.
Tempo Fast e tonalità SI maggiore, con frequenti modulazioni. Clarinetto e flauto sono i protagonisti di questa sezione, scatenandosi in impertinenti svolazzi, accompagnati qua e là dall’orchestra e supportati nel ritmo dal pianoforte. La tonalità svaria (10’03”) a MI maggiore, poi torna (10’35”) a SI maggiore, quindi passa (10’41”) a FA# maggiore e ancora (10’46”) a RE maggiore, dove torna (11’29”) dopo una digressione (11’22”) a FA maggiore. Altro stacco di tonalità (12’07”) a MI maggiore e tempo rallentato, dove torna (12’59”) il motivo dell’Introduzione, che chiude questa brillante sezione del brano.

3. Festa di sposalizio

13’11” Danza della sposa. Annuncio di maternità. Gioia, timore e stupore.
Tempo Allegro e tonalità MIb maggiore, ritmo spiccatamente sincopato. La tonalità subitaneamente muta (13’25”) a DO maggiore, dove gli archi espongono un motivo brillante che ricorda vagamente la seconda sezione del brano. Motivo che prolunga assai la sua presenza, con fugaci modulazioni e momentanei arresti. Il flauto (16’14”) attacca una sezione assai lenta, ricordando ancora il languido motivo dell’Introduzione. Una nuova modulazione (16’49”) a MI maggiore porta alla tranquilla cadenza conclusiva, sul SI del fagotto.

17’17” Transizione
Tempo Slow, tonalità LAb maggiore. La tonalità repentinamente passa a LAb maggiore, per queste 20 battute, ancora ispirate all’atmosfera dell’Introduzione, che preparano l’arrivo del famoso Simple Gift.

4. Interludio: scene di vita

18’36” Scene di vita quotidiana della sposa e del marito agricoltore. Cinque variazioni su un tema Shaker (The gift to be simple).
Il tema (soggetto a e controsoggetto b) è esposto in LAb maggiore. A 19’05” ecco la Variaz1one 1 in SOLb maggiore; poi (19’30”) la Variazione 4 del Balletto (viole e celli, poi violini) trasposta da LA maggiore nella tonalità della precedente. A 20’06” fa una fugacissima comparsa la Variazione 2 del Balletto, che già era assai succinta nell’originale e che ora viene ulteriormente ridotta da 20 a 6 battute di modulazione a DO maggiore. Qui (20’14”) ritroviamo la Variazione 3 del Balletto, assai veloce e modificata nella sezione conclusiva (20’36”) che rallenta assai e si ricollega così direttamente (20’56”) alla Variazione 5, assai enfatica e retorica.

5. Il giorno del Signore

21’35” La sposa si siede fra i vicini. La coppia viene lasciata sola, tranquilla e forte nella sua nuova dimora. Sommesso canto corale.
Tempo Moderato, tonalità DO maggiore. Una lenta e nobile melodia degli archi corona degnamente questa giornata di festa. Il flauto (23’28”) intona ancora, ripetutamente e religiosamente, il motivo dell’Introduzione. Poi il clarinetto introduce la cadenza conclusiva, che va a morire su un dimesso accordo politonale, dove al DO maggiore si sovrappone il SOL maggiore (con il SI e il RE dei violini).
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Cinq mélodies populaires grecques

La struttura motivica delle canzoni è la seguente (si confronti con il testo):

1. Chanson de la mariée: aa-bb’bb’ / aa-bb’bb’.
2. Là-bas, vers l'église: abcc / abcc.
3. Quel galant m'est comparable: abcc’d / abcc’d.
4. Chanson des cueilleuses de lentisques: abcd / a’bcd’. (quarta aumentata)
5. Tout gai!: abb’c / a’bb’c.  

Testi delle canzoni:

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Le boeuf sur le toit. 

Come detto, la struttura del brano è tutt’altro che naif; al contrario, presenta aspetti che la assimilano ad una costruzione ingegneristica! Si tratta di un Rondò, con 3 cicli in ciascuno dei quali il ritornello (unico motivo di invenzione di Milhaud) compare 4 volte, più una ricapitolazione e coda dove il ritornello compare 3 volte, per un totale di 15 ritorni!

Gli altri motivi (ben 28!) sono mutuati da canzoni brasiliane di autori noti o sconosciuti. Un’altra peculiare particolarità del brano è la sua progressione tonale, che si muove su cicli di tre terze minori ascendenti (altrettante settime diminuite):

1. DO-MIb-SOLb-LA
2. SOL-SIb-REb-MI
3. RE-FA-LAb-SI
4. LA-DO   

Come si può notare, nei quattro cicli (la cui tonalità iniziale si muove sul circolo delle quinte DO-SOL-RE-LA) si esplorano tutte le 12 tonalità della scala cromatica.

Ecco qui una tabella riassuntiva che mostra la struttura completa del brano, con i riferimenti alle sezioni del balletto.

Seguiamo quindi la musica diretta da Alondra de la Parra:

Ciclo 1

       23” Rondò 1 DO maggiore
          39” Entrata dei Neri DO minore > MIb maggiore
   
   1’20” Rondò 2 MIb maggiore
      1’33” Entrata delle Signore MIb minore > SOLb maggiore
   
   2’13” Rondò 3 SOLb maggiore
      2’27” Entrata dei Signori FA# minore > LA maggiore
  
   3’15” Rondò 4 LA maggiore
      3’28” Entrata dei Signori LA maggiore > SOL maggiore

Ciclo 2

   4’22” Rondò 5 SOL maggiore
      4’39” Caduta del nero SOL minore
      5’02” Danza del Bookmaker SIb maggiore
  
   5’36” Rondò 6 SIb maggiore
      5’52” Tango delle due Signore SIb minore
      6’58” Fischio della polizia REb maggiore
   
   7’13” Rondò 7 REb maggiore
      7’25” Entrata del Poliziotto MI maggiore
   
   8’13” Rondò 8 MI maggiore
      8’28” Danza del Poliziotto MI maggiore > RE maggiore

Ciclo 3

10’20” Rondò 9 RE maggiore
   10’35” Morte del poliziotto RE minore
   11’18” Danza del Negretto FA maggiore

11’55” Rondò 10 FA maggiore
   12’10” Danza di Salomè FA minore > LAb maggiore

13’05” Rondò 11 LAb maggiore
   13’17” Uscita di alcuni avventori LAb minore > SI maggiore

14’34” Rondò 12 SI maggiore
   14’45” Uscita degli altri avventori SI maggiore > LA maggiore           

Ricapitolazione

16’07” Rondò 13 LA maggiore
   16’23” Resurrezione del Poliziotto LA minore > DO maggiore

17’04” Rondò 14 DO maggiore

Coda

17’31” Rondò 15 DO maggiore
   17’37” Il Barman presenta il conto al Poliziotto DO maggiore
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