Impossibilitato a dirigerla il Direttore Musicale, è il redivivo Kolja Blacher a proporci questa settimana un’opera fra le più impegnative; per l’ascoltatore e per gli esecutori: la Nona di Gustav Mahler. Programmata in tempi di restrizioni-Covid, la sinfonia è eseguita con organico ridotto, quindi nella versione cameristica predisposta da Klaus Simon (del quale già avevamo seguito nel 2020, prima del nuovo stop, la Quarta mahleriana, allora diretta da Flor).
Blacher ha suonato tante volte la sinfonia da Konzertmeister, in particolare sotto la bacchetta di Claudio Abbado, come qui, nel 2010, a Lucerna:
Non mi è dato sapere se questa sia la prima occasione che ha Blacher di dirigere la sinfonia, e di certo è impossibile pretendere che qualcuno faccia resuscitare Abbado... Così devo dire che, del sommo Maestro, Blacher ha perlomeno conservato quella che definirei religiosità dell’approccio interpretativo. Una religiosità... laica per così dire, che del resto pervade quest’opera nella quale Mahler ripercorre, dall’alfa all’omega, tutta un’esistenza: la sua esistenza, ma in fondo anche l’esistenza di tutti noi.
Già le primissime battute dell’iniziale Andante comodo racchiudono simbolicamente l’intero ciclo artistico del compositore: la citazione (secondo corno, battute 4-5) è dall’opus-1 (Das Klagende Lied) del Mahler ventenne diplomato al Conservatorio, e quella (secondi violini, battute 6-8) è dall’ultimo Ewig che la voce esala in chiusura dell’Abschied del Lied von der Erde! Tutto il primo movimento è un susseguirsi di slanci eroici e di scoraggianti cadute; la parte centrale (il Landler-Walzer piuttosto sgangherato e lo spettrale Rondo.Burleske) sembra dipingere gli aspetti più enigmatici che la vita ci presenta ogni giorno. Infine l’Adagio prende atto della caducità delle cose terrene, accettandola con strazio pari alla compostezza.
Devo dire che questa riduzione
cameristica (con armonium e pianoforte a far da ripieno di suono) lascia un po’ di perplessità (anche se è
complessivamente apprezzabile) proprio a livello di impasto del suono; in
compenso premia la bravura degli strumentisti (soprattutto
i fiati, che sono soltanto in 8, contro i 29 dell’originale!) i quali diventano altrettanti solisti di un concerto per orchestra... Fa eccezione l’Adagissimo del finale, dove già nell’originale suonano solo gli
archi, i quali devono peraltro produrre il
meno suono possibile, compatibilmente con la percezione dell’orecchio umano!
Al proposito, Abbado soleva (come nel 2004 a Santa Cecilia o nel 2010 a Lucerna e nel 2011 a Firenze) far abbassare le luci fin quasi al buio totale sulle ultime battute della sinfonia, per poi restare per interminabili secondi ad ascoltare il... silenzio seguito al morire della triade di REb esalata da violini secondi, viole e celli: una teatralizzazione che a qualcuno poteva sembrare eccessiva, ma che lui poteva davvero permettersi.
Senza arrivare a quei... celestiali eccessi Blacher (che ha diretto a mani nude) ha però lasciato il tempo necessario a far decantare la tensione immancabilmente prodotta da quelle ultime battute della Sinfonia, che ci portano in una dimensione... ultraterrena, ecco.
Eccellente - come sempre - la prova dell’Orchestra, premiata con il Direttore, dopo il rispettoso silenzio, da applausi sempre più intensi e prolungati.
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