Allora, proprio ieri sera è scattato il coprifuoco - dalle 23 alle 5, tipiche
ore di punta di movida, partite di calcetto clandestine, sessioni intensive di palestra e
assalti a treni e autobus - con l’emissione da parte di Fontana dell’ordinanza, in contrasto con gli... ordini del suo capitano (il quale
a sua volta ha l’unico obiettivo di scaricare la patata bollente nell’altro
campo, dove stanno i sindaci PD delle principali città lombarde, per poi
impallinare loro).
Ora, chi come il sottoscritto abita a mezz’ora (in moto)
o a 50 minuti (mediamente, con i mezzi pubblici) dall’Auditorium la cosa può
anche interessare poco: il concerto (al giovedi) finisce prima delle 22 (le
altre tre repliche sono ancora più anticipate) e quindi si ha il giusto tempo
per rientrare all’ovile; ma chi deve venire dall’hinterland o - peggio - da
fuori provincia, come fa? Il biglietto di ingresso può servire come
salvacondotto, da allegare all'autocertificazione? Ah, saperlo... Forse - come argutamente si scrive sul FattoQuotidiano - bisognerebbe imporre un
coprifuoco dalle 5 alle 23 per Gallera&C!
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Bene, dato a Cesare Fontana ciò che... non si
merita, vengo al sodo: riecco sul podio il Direttore
musicale Flor per il quinto
appuntamento del primo trimestre di questa stagione
covid-dipendente.
Appuntamento che vede il ritorno del tuttora
sottovalutato Leoš Janáček, già protagonista del concerto inaugurale alla Scala con uno dei
suoi ultimi lavori (Taras Bulba) e
del quale adesso si esegue invece un brano giovanile (composto a 23 anni) che
impegna i soli archi dell’Orchestra:
la Suite
del 1877. (Brano da non
confondere con la meno eseguita Suite per
Orchestra - fiati 2-2-3-2/3-2 inclusi, più timpani,
triangolo e arpa - del 1891, che è una
specie di centone ricavato da musiche
per il teatro.)
La Suite si presenta in 6 movimenti, originariamente
pensati proprio sul modello barocco, ma poi realizzati in modo del tutto (o
quasi) divergente da esso, tanto che l’Autore la fece pubblicare solo quasi mezzo
secolo dopo averla composta, e senza alcun sottotitolo. Abbastanza innovativa (per
qualcuno magari anche cervellotica...) la progressione tonale, che parte dal SOL
minore per chiudere in SI maggiore! Insomma, un bell’esercizio di un tipo promettente,
che poi - non per sua colpa - non ha mai veramente sfondato.
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Ecco qualche sommaria indicazione per seguirne lo
sviluppo, ascoltandola da Manfred Honeck alla
Philharmonie con gli archi di Pittsburgh.
Si parte (1’43”) con un Moderato in SOL minore (4/4 alla
breve, una novantina di battute) aperto da pesanti accordi con
acciaccatura. La prima sezione, caratterizzata da un tema energico, sfocia,
dopo rapide modulazioni a SIb maggiore e LA maggiore, verso una pausa di riflessione
(note pizzicate degli archi bassi) che prepara la seconda sezione. Che inizia a
3’02”
in DO maggiore, esponendo un tema più lirico e cantabile. A 3’35”
si modula a MIb maggiore, poi ancora (4’07”) a SOL maggiore per chiudere
con una cadenza morente.
Segue (5’29”) un Adagio in SOL maggiore (4/4, una trentina di battute) affidato ai
soli archi alti, divisi in 4 parti (Violini I, 2 Violini II e Viola). La
tonalità è continuamente increspata da inflessioni espressioniste (mahleriane,
si direbbe) e la struttura è in tre sezioni. La prima viene ripetuta a 6’25”,
la seconda (7’10”) presenta una fugace digressione a RE maggiore e viene a
sua volta ripetuta a 7’54”. La terza (8’38”)
ha la funzione di cadenza conclusiva.
Ecco ora (9’43”) un Andante con moto, ancora in SOL maggiore (4/4, meno di 30 battute).
Si tratta di un breve e gaio brano di danza popolare. La prima sezione viene
ripetuta a 9’55” e si chiude a 10’06”. La seconda sezione presenta
pure una ripetizione (ma non con il da-capo)
e porta, dopo due impertinenti quanto fugaci modulazioni a MIb maggiore, alla
rapida conclusione.
Lo Scherzo (10’45”)
è in RE minore e SOL (minore-maggiore) in 3/4 per circa 210 battute, e sa molto
di... Beethoven (nona): l’incipit del
Presto riprende pari-pari quello di un
piccolo esercizio (Intrada, per 4 violini) del 1875, nella
stessa tonalità. La prima sezione sfocia in SOL minore e viene ripetuta a 11’05”.
A 11’22”
ecco la seconda, che resta in SOL minore salvo una breve digressione alla
relativa SIb maggiore, per concludersi a 11’53”. Qui il tempo si fa Andante (è in effetti il Trio dello Scherzo) e la tonalità è SOL
maggiore: è una melodia soave e cullante, che si chiude a 12’57” con l’ultima
riproposizione nei gradi più alti della tessitura strumentale. A 13’17”
riprende il Presto che conclude il
movimento abbastanza sorprendentemente (tramite il FA# dei Violini II) in RE
maggiore.
Segue (14’12”) un secondo Adagio in RE e poi SIb maggiore (4/4,
poco più di 40 battute). Si caratterizza - a differenza di quello del secondo
movimento, riservato ai soli archi alti - per il ruolo preminente di quelli
bassi, che nelle prime 8 battute introducono, riprendendo il RE maggiore dell’ultima
semiminima dello Scherzo, il languido tema che (15’07”) viene esposto dai
violini ancora in RE, per poi virare, attraverso il SI, al SIb maggiore (15’37”)
dove viene ripreso dai violoncelli, quindi (16’15”) da violini, poi
viole, ancora violini e celli. A 17’18” ecco la sezione conclusiva,
affidata a celli e bassi, poi ancora ai violini, che ripropone il tema.
Chiude la Suite un nuovo Andante in SI minore (4/4, 80 battute). Anche questa è una parziale
sorpresa, criticata da molti (incluso l’autorevole biografo-esegeta di Janáček, Jaroslav Vogel): sia per il tempo (si preferirebbe un Allegro) che per la tonalità (tutta la Suite
tende a ruotare intorno al SOL, e il SI naturale gli è un filino distante - la relativa minore della
dominante RE). Il movimento rispetta abbastanza da vicino i canoni della forma-sonata: si inizia (18’33”)
con l’esposizione del primo tema, seguita
da quella del secondo (19’00”) nella relativa RE maggiore. L’esposizione
viene (19’24”) classicamente ripetuta, poi (20’12”) arriva lo sviluppo, che elabora principalmente il
secondo tema. Infine ecco (21’05”) la ricapitolazione dei due temi nella stessa tonalità di SI minore,
fino alla coda conclusiva (21’42”)
che vira inaspettatamente (forse, stante i precedenti...) a SI maggiore.
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Devo dire che un (sia pur minuscolo) lato positivo il Covid
ce lo ha portato: la possibilità (legata alla necessità) di ascoltare dal vivo opere,
come questa, che sono di assai rara programmazione, soprattutto da parte delle
maggiori compagini sinfoniche che - come laVerdi
- fanno del grande repertorio classico il loro cavallo di battaglia. Così è
accaduto anche per questa proposta invero interessante, che i ragazzi dell’Orchestra
hanno mostrato di affrontare con lo stesso entusiasmo che mettono in Mahler, Strauss,
Beethoven e Mozart.
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Che è l’autore del secondo ed ultimo brano in
programma, interpretato da un giovane di belle speranze, il 25enne Aaron Pilsan, tornato qui dopo quasi due anni. Allora aveva affrontato un mostro sacro qual è il Quarto beethoveniano, sorprendendo tutti
per la sua maturità nel padroneggiarlo. Adesso conferma la sua grande classe
con il Concerto per pianoforte
e orchestra K414 In LA maggiore, una
delle prime composizioni del Mozart viennese
(1782-3) destinata ad aprire la strada
alla gloriosa serie di concerti che culminerà con il K595 del 1791.
L’Orchestra è di struttura cameristica: soli quattro
fiati (coppie di oboi e corni) più il fagotto, ma solo ad-libitum in funzione di basso. Gli archi sono indicati a quattro, quindi i contrabbassi sono
eventualmente impiegabili come rinforzo dell’accompagnamento: qui in Auditorium
la configurazione è di 23 elementi (6-5-5-4-3).
Una curiosità - spesso citata nelle esegesi - riguarda
il centrale Andante, che si apre con
una esplicita citazione (tonalità compresa) del Bach
londinese (Johann Christian) che
era scomparso al tempo della composizione del Concerto e che Mozart aveva
conosciuto nel suo viaggio a Londra: si tratta del tema - sottilmente variato
nel ritmo - dell’Andante Grazioso
dall’Ouverture per un’opera di Baldassare Galuppi, intitolata La calamita de’ cuori:
Qui Peraya ci propone la giustapposizione dei due brani: prima il
passaggio di Bach, e poi (2’23”) l’intero movimento di Mozart.
Pilsan ci ha offerto questo piccolo
gioiello con la giusta delicatezza (Mozart ne parlava come di musica che deve
immediatamente piacere al pubblico, ma senza essere superficiale o cadere nel
volgare) e l’Orchestra a ranghi ridotti ha presumibilmente riprodotto
l’ambiente originale che caratterizzava queste esecuzioni. E in effetti il
pubblico non ha lesinato convinti applausi a tutti, solista, direttore e
strumentisti. Dopo un nuovo richiamo a mezzo applausi ritmati, per ringraziare
Pilsan ha offerto - a noi sparuti rari-nantes - dapprima un funambolico Chopin (Etude op.10 n°8) e poi questa personalissima Elisa.
Fuori, una pioggerella
pulviscolare ci riporta nella triste prospettiva del coprifuoco... Che - fate
voi chi - ce la mandi buona.