Riecco il Direttore Musicale sul
podio dell’Auditorium per un dirigervi concerto che presenta lavori di quattro
compositori (anche se i titoli in programma sono tre!) Il percorso che ci viene proposto si caratterizza per due
andata-e-ritorno fra ‘800 e ‘900, e non solo in termini strettamente temporali.
Infatti si parte dal Liszt padre
del Poema Sinfonico per passare al
‘900 nostalgico di Rachmaninov, quindi retrocedere all’800
di Musorgski con una specie di poema
sinfonico anticipatore del ‘900,
rivestito proprio da un modernissimo Ravel!
A dimostrazione del fatto che la musica non
può descrivere alcunchè (oggetti,
soggetti o concetti che siano...) Les Préludes, che nella versione
definitiva oggi eseguita dice - per bocca dell’Autore - di ispirarsi a Lamartine (la vita non è che una serie
di preludi alla morte) era nato
musicalmente sotto tutt’altra veste, che con l’opera del letterato francese
c’entra come i cavoli a merenda: trattandosi in effetti di un aggiustamento del
1854 - complice un collaboratore di Liszt (tale Joachim Raff) - di un brano di qualche anno addietro che faceva da
preludio alla cantata I quattro elementi
(su testi di Joseph Austran). Il
titolo del poema sinfonico e il riferimento alle Nouvelles
méditations poétiques (n°16) di Lamartine furono inventati e
appiccicati al preesistente brano a posteriori: esistono non meno di quattro prefazioni alla partitura, nessuna
riferibile direttamente a Lamartine, ma tutte prodotte dall’entourage di Liszt
(l’ingombrante Wittgenstein in primis).
A questo punto chiunque potrebbe sentirsi
autorizzato a indicare nel soggetto ispiratore anche La vispa Teresa piuttosto che Cappuccetto
rosso o Il Gatto con gli stivali (!)
A parte le battute, il genere musicale Poema
sinfonico è stato da sempre fonte di discussioni e di equivoci, proprio per
l’impossibilità materiale di associare in modo convincente i suoni a immagini o
a personaggi, o a stati d’animo, o a concetti filosofici. Vale per i 13 lavori
di Liszt come per quelli di Dvorak, di Franck, per le fantasie di Ciajkovski o per Sibelius, Rachmaninov, Respighi e
Strauss. Quest’ultimo, in alcuni, non tutti, i suoi Tondichtungen ha pensato bene di arricchire ogni pagina della
partitura con minuziosi riferimenti, per orientare l’ascoltatore ad associare
la musica al soggetto ispiratore: in assenza di tali indicazioni, tale
associazione rimarrebbe assai ardua se non impossibile da realizzare: chi
potrebbe con assoluta certezza individuare in Don Quixote e nelle sue avventure le note dell’Op.35, o nei
paesaggi alpestri quelle dell’Op.64, senza la guida di tali espliciti
riferimenti? E il ragionamento vale ovviamente anche per i Quadri di Musorgski, musica straordinaria in sè, che solo le
etichette appiccicatevi dopo averle staccate dalle opere esposte in pinacoteca ci
orientano a riferire ai dipinti di Hartmann.
Un caso eclatante di equivoco di fondo è rappresentato da Mahler, che dopo
aver contrabbandato il suo primo lavoro sinfonico per Poema (in 5 movimenti) ispirato al Titan di Jean Paul, si decise con gran disinvoltura a mutarne
radicalmente i connotati in quelli di Sinfonia
in RE maggiore (in quattro tempi). E anche le due successive Sinfonie
nacquero come musica a programma
(anzi, a programmi, poichè ne furono
redatti più d’uno) prima di assumere la forma
definitiva di musica pura (casomai con un programma interno e nascosto che sta
all’ascoltatore decifrare a sua discrezione).
Insomma, i riferimenti appiccicati a queste
composizioni lasciano il tempo che trovano: resta la qualità della musica a stabilire alle nostre orecchie se si tratti
di capolavori o di ciarpame (o di qualcosa di intermedio...) Tornando a Les Préludes, di certo il suo successo
presso il pubblico non dipende minimamente dall’avere come dichiarata (ma di
fatto fasulla...) ispirazione quella Méditation di Lamartine, ma dalla buona
fattura dei suoi temi musicali e dalla solidità della struttura del brano che
li racchiude e li organizza. Allo stesso modo si può apprezzare il Don Quixote
straussiano come grande musica, pur senza saper collegare i temi che via via
compaiono ai personaggi o alle situazioni che dovrebbero evocare; e restare
affascinati dai Quadri musicali, pur dimenticandone o ignorandone i titoli.
Cerchiamo di seguire la narrativa
(di Liszt, non di Lamartine) dei Prèludes
con l’aiuto di Zubin
Mehta e dei Berliner. Personalmente ho cercato di prescindere dalle esegesi
classiche, che insistono nel mettere i temi in relazione non a Lamartine, ma ai
testi di Austran: cosa che certamente aveva fatto il compositore, ma che - per
le ragioni più sopra esposte - finisce secondo me per condizionare
eccessivamente l’ascolto. Ecco perchè ho scelto, come rappresentato nella
figura sottostante, delle definizioni più astratte (anche se, ovviamente,
personali!) per i temi medesimi:
Liszt si conferma maestro nel far germinare quasi tutti i motivi del brano
da una minuscola cellula fondamentale,
di sole tre note, cellula che subirà una miriade di variazioni e trattamenti
(anche alla fiamminga...) E nel
cambiare i connotati ad un tema, riproponendolo sotto luci diverse (cosa di cui
diventerà super-maestro suo genero Richard
Wagner).
Introduzione -
Andante 4/4 DO M.
Dopo i due DO in unisono degli archi in pizzicato,
ecco apparire (8”) sempre negli archi la cellula
fondamentale, dalla quale si diparte una melodia curvilinea
(discesa-salita) che culmina nella riproposizione della cellula nei legni, con
virata a LA maggiore. La cosa si ripete (38”) ma sul RE minore, poi gli archi
(1’17”)
accompagnati da note tenute dei legni, ripercorrono ripetutamente da punti di
partenza sempre più alti il motivo curvilineo, fino a sfociare nella sezione
successiva.
Andante maestoso (2’12”). Qui viene esposto da
tromboni e archi bassi il tema A, in
DO maggiore, il cui incipit è costituito dalla cellula fondamentale: un motivo che evoca pompa e retorica. Non per
nulla il nazismo ne fece una sigla di trasmissioni
radiofoniche rivolte ai combattenti! (Ma nessuno associa Liszt a Hitler,
al contrario del trattamento riservato al futuro genero). Il tema tornerà
ciclicamente e trionfalmente a chiudere l’opera.
A 2’57”, L’istesso tempo, in 9/8 (3/4) ecco comparire negli
archi il tema B, che si diparte
sempre dalla cellula fondamentale. Un
tema ancora in DO maggiore, dal tratto languido, che poi (3’21”) viene reiterato in
MI maggiore (questo tema tornerà letteralmente trasfigurato più avanti). Gli
risponde a 3’45”, in 12/8 (4/4) un controsoggetto in DO minore, sfociante
sul SI, dominante del MI maggiore dove, sempre su L’istesso tempo, a 4’02”, in 4/4 (8/8) si prepara
l’arrivo (4’11”) del tema C, caratterizzato
da grande nobiltà, quasi una proposizione di alti ideali, esposto inizialmente
dai corni, che si appoggia al SOL# minore (4’41”). Si torna però subito a MI
maggiore (4’49”) per la reiterazione del tema, ora mirabilmente arricchito
da volute di archi e flauti, con un crescendo fino a 5’21”, dove il tutto si
sospende, modulando a DO maggiore, poi - 5’38” - a SIb maggiore. Ed ecco
riapparire (6’04”) in MI maggiore, sommesso e languido, con incipit variato
e andamento più regolare, il tema B,
poi reiterato dai flauti che si fermano sul RE, dominante del LA minore su cui inizia
la successiva sezione (6‘40”) dove l’atmosfera cambia
radicalmente.
Allegro ma non
troppo, 4/4. Sono
i violoncelli ad attaccarla, sempre con la cellula
fondamentale, cui segue un agitato motivo che via via, a folate successive,
coinvolge l’intera orchestra e sfocia a 7’12” in Allegro tempestoso, 12/8 (4/4). Qui, dalla cellula fondamentale si diparte
il tema D, quanto mai protervo e
minaccioso, subito reiterato (7‘16”) un semitono sopra, dal SIb,
fino ad un Molto agitato e accelerando
(7‘27”)
dove la cellula fondamentale, fiammingamente invertita, dà origine ad
un motivo sfociante (7‘34”) nella stessa cellula originale (DO-SI-MI). Il
processo si ripete e stavolta sfocia (7‘41”) in tre reiterazioni della cellula cui seguono pesanti accordi
dell’orchestra, con i flauti agitatissimi, che conducono (7’55”) ad una vertiginosa
discesa di legni e archi. Dopo uno schianto sull’accordo di LA minore ecco
presentarsi (8’05”) il tema E, incalzante
e carico di angoscia. A 8’12” viene ripetuto in LAb maggiore,
uno squarcio di sereno subito rimosso (8’23”) dal ritorno del tema in LA
minore.
Questa parentesi cupa si risolve a 8’44”
sul tempo Un poco più moderato e
tonalità SIb maggiore, dove torna il tema
B ancora sottilmente variato. A 9’29” lo stesso viene riesposto in
SOL maggiore e ci porta (grazie all’intervento dell’arpa) ad un’oasi di
serenità e di pace. Attacca infatti a 10’00” un Allegretto pastorale (Allegro moderato) 6/8 (2/4) in MI maggiore,
tonalità quanto mai appropriata alla circostanza. Il corno solo canta il
mirabile tema F, poi imitato (10’12”)
dall’oboe nella relativa DO# minore, e quindi (10’20”) dal clarinetto in
LA maggiore, con i flauti ad interloquire gaiamente. Ancora il clarinetto (10’33”)
in FA# minore, seguito dall’oboe. Adesso (10’48”) anche gli archi
interloquiscono con i legni, la tonalità si muove da LA a FA (11’05”)
per poi ripiegare (11’16”) a LA maggiore.
A 11’41” ecco tornare negli archi il tema C, poi ripreso (12’11”,
Poco a poco più mosso) anche dai
flauti con l’arpa ad accompagnare. Un’ardita modulazione (12’28”) ci porta a DO maggiore,
dove il tempo continua ad incalzare (Poco
a poco più di moto...) e il tema C
viene reiterato (12’34”) dai corni, mentre l’orchestra ribolle sempre più e a 13’03”
ancora lo ripete in modo colossale, chiudendolo poi con una cadenza (13’18”)
che vira - in fff a 13’26”
- al LAb maggiore, tonalità che prepara la strada per il successivo Allegro marziale animato, con il ritorno
(13’39”)
a DO maggiore per la riproposizione del tema
B che ora, da languido e sognante com’era nato, diventa (G) nerboruto ed autoritario (4/4 alla
breve)! E non per nulla lo contrappunta il retorico tema A!
Come curiosità si osservino le note riquadrate in
rosso nella figura: sono le stesse - a parte metro e tonalità - che Wagner impiegherà per scolpire in musica
il Walhall, poco tempo dopo la sua
permanenza nell’esilio di Weimar
presso il futuro suocero. Forse la cosa non è per nulla casuale: nel programma di Liszt (o chi per lui) si
trovano un’atmosfera di ineluttabilità della morte e l’innata, naturale
propensione dell’Uomo per la sfida e
il cambiamento. Che sono proprio i concetti (Wandel und Wechsel liebt, wer lebt) che Wagner traspone nella
figura e nell’approccio esistenziale di Wotan,
e di cui il Walhall è strumento materiale.
Una transizione (13’55”) caratterizzata da reiterati
interventi delle trombette conduce ad un nuova riproposizione (14’13”,
Tempo di marcia) del tema C, ormai assurto - da astratto
ideale - a vessillifero di grandiose imprese (si ascoltino i protervi
interventi del tamburo militare!) Dopo una prima entrata in DO, viene
riproposto (14’19”) in MIb maggiore, sfociando sulla dominante SIb, che per
enarmonia diventa LA#,
mediante del FA# maggiore sul quale (Più
maestoso, 14’25”) ricompare il tema
B, lui pure ormai esaltato dall’accompagnamento del tamburo. Ritorna (Vivace, 14’37”) la transizione
udita poco prima e si arriva così alla sezione conclusiva.
Andante maestoso, 12/8 (4/4) in DO maggiore (15’08”). È il tema A, che aveva fatto il suo ingresso
subito dopo l’Introduzione, a tornare
ciclicamente quanto strepitosamente per
occupare da solo l’ultima scena, chiusa da poche battute (15’50”) di enfatica Coda.
Se mettiamo in sequenza la comparsa dei diversi temi
abbiamo la seguente serie:
A - B - C - B / D - E - B - F - C / B - C - B - A
Come si può notare, se si esclude l’Introduzione,
il tema B detiene il maggior numero
di ricorrenze, ma soprattutto mantiene una posizione baricentrica e
perfettamente simmetrica all’interno della sequenza; mentre il tema A apre e
chiude il brano. Un’architettura assai robusta, che ha di certo la sua parte
nel rendere quest’opera così immediatamente accattivante.
___
Impeccabile l’esecuzione, che mette in risalto tutti i dettagli e i tesori
di questo brano, che sfugge ad ogni camicia di forza programmatica in virtù dei
suo intrinseco valore musicale.
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Tocca adesso al vulcanico 37enne barbuto e capelluto Feodor Amirov (viene da Dimitrovgrad, sul Volga, non lontano da...
Togliatti) proporci l’inflazionato Rach-2, l’opera con cui Rachmaninov tornò nel 1901 alla vita
dopo aver rischiato di lasciar le penne a seguito del fiasco della sua Prima Sinfonia. E la nuova vita fu in
realtà un ritorno alle comode certezze ciajkovskiane, che caratterizzeranno
tutta l’intera produzione successiva del nostro.
Amirov, che si presenta subito mostrando il suo carattere estroverso, facendo
una specie di saluto romano... ne dà un’interpretazione proprio crepuscolare,
tutta in punta di piedi, sfiorando la tastiera, ben assecondato dall’accompagnamento
discreto di Flor. Memorabile, nell’Adagio,
la cadenza dove i tre accordi sono esposti
con una incredibile teatralità.
Dopo tutto questo intimismo, ecco arrivare un altro Amirov, tutto
gesticolante, che propone come bis
una sua (così credo) improvvisazione da lasciar esterrefatti: dove lo strumento
viene impiegato come... batteria o come cimbalom o maracas, e dove il funambolo tartaro (!?) si sgola con
urla belluine! Una cosa mai vista e udita in una sala da concerto!
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Si chiude con la versione raveliana
dei Quadri
di Musorgski. (Rimando i curiosi ad una
mia nota di qualche tempo fa sulla struttura e contenuti dell’originale per
pianoforte). L’Orchestra, che ha in questo pezzo uno dei suoi cavalli di
battaglia, non manca l’appuntamento, suscitando l’entusiasmo generale. Sugli scudi
il sax contralto di Silvio Rossomando
nel n°2 del Vecchio castello.
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