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07 dicembre, 2018

laVerdi 18-19 - Concerto n°10


Riecco il Direttore Musicale sul podio dell’Auditorium per un dirigervi concerto che presenta lavori di quattro compositori (anche se i titoli in programma sono tre!) Il percorso che ci viene proposto si caratterizza per due andata-e-ritorno fra ‘800 e ‘900, e non solo in termini strettamente temporali.

Infatti si parte dal Liszt padre del Poema Sinfonico per passare al ‘900 nostalgico di Rachmaninov, quindi retrocedere all’800 di Musorgski con una specie di poema sinfonico anticipatore del ‘900, rivestito proprio da un modernissimo Ravel!

A dimostrazione del fatto che la musica non può descrivere alcunchè (oggetti, soggetti o concetti che siano...) Les Préludes, che nella versione definitiva oggi eseguita dice - per bocca dell’Autore - di ispirarsi a Lamartine (la vita non è che una serie di preludi alla morte) era nato musicalmente sotto tutt’altra veste, che con l’opera del letterato francese c’entra come i cavoli a merenda: trattandosi in effetti di un aggiustamento del 1854 - complice un collaboratore di Liszt (tale Joachim Raff) - di un brano di qualche anno addietro che faceva da preludio alla cantata I quattro elementi (su testi di Joseph Austran). Il titolo del poema sinfonico e il riferimento alle Nouvelles méditations poétiques (n°16) di Lamartine furono inventati e appiccicati al preesistente brano a posteriori: esistono non meno di quattro prefazioni alla partitura, nessuna riferibile direttamente a Lamartine, ma tutte prodotte dall’entourage di Liszt (l’ingombrante Wittgenstein in primis).

A questo punto chiunque potrebbe sentirsi autorizzato a indicare nel soggetto ispiratore anche La vispa Teresa piuttosto che Cappuccetto rosso o Il Gatto con gli stivali (!) A parte le battute, il genere musicale Poema sinfonico è stato da sempre fonte di discussioni e di equivoci, proprio per l’impossibilità materiale di associare in modo convincente i suoni a immagini o a personaggi, o a stati d’animo, o a concetti filosofici. Vale per i 13 lavori di Liszt come per quelli di Dvorak, di Franck, per le fantasie di Ciajkovski o per Sibelius, Rachmaninov, Respighi e Strauss. Quest’ultimo, in alcuni, non tutti, i suoi Tondichtungen ha pensato bene di arricchire ogni pagina della partitura con minuziosi riferimenti, per orientare l’ascoltatore ad associare la musica al soggetto ispiratore: in assenza di tali indicazioni, tale associazione rimarrebbe assai ardua se non impossibile da realizzare: chi potrebbe con assoluta certezza individuare in Don Quixote e nelle sue avventure le note dell’Op.35, o nei paesaggi alpestri quelle dell’Op.64, senza la guida di tali espliciti riferimenti? E il ragionamento vale ovviamente anche per i Quadri di Musorgski, musica straordinaria in sè, che solo le etichette appiccicatevi dopo averle staccate dalle opere esposte in pinacoteca ci orientano a riferire ai dipinti di Hartmann.

Un caso eclatante di equivoco di fondo è rappresentato da Mahler, che dopo aver contrabbandato il suo primo lavoro sinfonico per Poema (in 5 movimenti) ispirato al Titan di Jean Paul, si decise con gran disinvoltura a mutarne radicalmente i connotati in quelli di Sinfonia in RE maggiore (in quattro tempi). E anche le due successive Sinfonie nacquero come musica a programma (anzi, a programmi, poichè ne furono redatti più d’uno) prima di assumere la forma definitiva di musica pura (casomai con un programma interno e nascosto che sta all’ascoltatore decifrare a sua discrezione).

Insomma, i riferimenti appiccicati a queste composizioni lasciano il tempo che trovano: resta la qualità della musica a stabilire alle nostre orecchie se si tratti di capolavori o di ciarpame (o di qualcosa di intermedio...) Tornando a Les Préludes, di certo il suo successo presso il pubblico non dipende minimamente dall’avere come dichiarata (ma di fatto fasulla...) ispirazione quella Méditation di Lamartine, ma dalla buona fattura dei suoi temi musicali e dalla solidità della struttura del brano che li racchiude e li organizza. Allo stesso modo si può apprezzare il Don Quixote straussiano come grande musica, pur senza saper collegare i temi che via via compaiono ai personaggi o alle situazioni che dovrebbero evocare; e restare affascinati dai Quadri musicali, pur dimenticandone o ignorandone i titoli.

Cerchiamo di seguire la narrativa (di Liszt, non di Lamartine) dei Prèludes con l’aiuto di Zubin Mehta e dei Berliner. Personalmente ho cercato di prescindere dalle esegesi classiche, che insistono nel mettere i temi in relazione non a Lamartine, ma ai testi di Austran: cosa che certamente aveva fatto il compositore, ma che - per le ragioni più sopra esposte - finisce secondo me per condizionare eccessivamente l’ascolto. Ecco perchè ho scelto, come rappresentato nella figura sottostante, delle definizioni più astratte (anche se, ovviamente, personali!) per i temi medesimi:


Liszt si conferma maestro nel far germinare quasi tutti i motivi del brano da una minuscola cellula fondamentale, di sole tre note, cellula che subirà una miriade di variazioni e trattamenti (anche alla fiamminga...) E nel cambiare i connotati ad un tema, riproponendolo sotto luci diverse (cosa di cui diventerà super-maestro suo genero Richard Wagner).

Introduzione - Andante 4/4 DO M. Dopo i due DO in unisono degli archi in pizzicato, ecco apparire (8”) sempre negli archi la cellula fondamentale, dalla quale si diparte una melodia curvilinea (discesa-salita) che culmina nella riproposizione della cellula nei legni, con virata a LA maggiore. La cosa si ripete (38”) ma sul RE minore, poi gli archi (1’17”) accompagnati da note tenute dei legni, ripercorrono ripetutamente da punti di partenza sempre più alti il motivo curvilineo, fino a sfociare nella sezione successiva.

Andante maestoso (2’12”). Qui viene esposto da tromboni e archi bassi il tema A, in DO maggiore, il cui incipit è costituito dalla cellula fondamentale: un motivo che evoca pompa e retorica. Non per nulla il nazismo ne fece una sigla di trasmissioni radiofoniche rivolte ai combattenti! (Ma nessuno associa Liszt a Hitler, al contrario del trattamento riservato al futuro genero). Il tema tornerà ciclicamente e trionfalmente a chiudere l’opera.

A 2’57”, L’istesso tempo, in 9/8 (3/4) ecco comparire negli archi il tema B, che si diparte sempre dalla cellula fondamentale. Un tema ancora in DO maggiore, dal tratto languido, che poi (3’21”) viene reiterato in MI maggiore (questo tema tornerà letteralmente trasfigurato più avanti). Gli risponde a 3’45”, in 12/8 (4/4) un controsoggetto in DO minore, sfociante sul SI, dominante del MI maggiore dove, sempre su L’istesso tempo, a 4’02”, in 4/4 (8/8) si prepara l’arrivo (4’11”) del tema C, caratterizzato da grande nobiltà, quasi una proposizione di alti ideali, esposto inizialmente dai corni, che si appoggia al SOL# minore (4’41”). Si torna però subito a MI maggiore (4’49”) per la reiterazione del tema, ora mirabilmente arricchito da volute di archi e flauti, con un crescendo fino a 5’21”, dove il tutto si sospende, modulando a DO maggiore, poi - 5’38” - a SIb maggiore. Ed ecco riapparire (6’04”) in MI maggiore, sommesso e languido, con incipit variato e andamento più regolare, il tema B, poi reiterato dai flauti che si fermano sul RE, dominante del LA minore su cui inizia la successiva sezione (6‘40”) dove l’atmosfera cambia radicalmente.

Allegro ma non troppo, 4/4. Sono i violoncelli ad attaccarla, sempre con la cellula fondamentale, cui segue un agitato motivo che via via, a folate successive, coinvolge l’intera orchestra e sfocia a 7’12” in Allegro tempestoso, 12/8 (4/4). Qui, dalla cellula fondamentale si diparte il tema D, quanto mai protervo e minaccioso, subito reiterato (7‘16”) un semitono sopra, dal SIb, fino ad un Molto agitato e accelerando (7‘27”) dove la cellula fondamentale, fiammingamente invertita, dà origine ad un motivo sfociante (7‘34”) nella stessa cellula originale (DO-SI-MI). Il processo si ripete e stavolta sfocia (7‘41”) in tre reiterazioni della cellula cui seguono pesanti accordi dell’orchestra, con i flauti agitatissimi, che conducono (7’55”) ad una vertiginosa discesa di legni e archi. Dopo uno schianto sull’accordo di LA minore ecco presentarsi (8’05”) il tema E, incalzante e carico di angoscia. A 8’12” viene ripetuto in LAb maggiore, uno squarcio di sereno subito rimosso (8’23”) dal ritorno del tema in LA minore.

Questa parentesi cupa si risolve a 8’44” sul tempo Un poco più moderato e tonalità SIb maggiore, dove torna il tema B ancora sottilmente variato. A 9’29” lo stesso viene riesposto in SOL maggiore e ci porta (grazie all’intervento dell’arpa) ad un’oasi di serenità e di pace. Attacca infatti a 10’00” un Allegretto pastorale (Allegro moderato) 6/8 (2/4) in MI maggiore, tonalità quanto mai appropriata alla circostanza. Il corno solo canta il mirabile tema F, poi imitato (10’12”) dall’oboe nella relativa DO# minore, e quindi (10’20”) dal clarinetto in LA maggiore, con i flauti ad interloquire gaiamente. Ancora il clarinetto (10’33”) in FA# minore, seguito dall’oboe. Adesso (10’48”) anche gli archi interloquiscono con i legni, la tonalità si muove da LA a FA (11’05”) per poi ripiegare (11’16”)  a LA maggiore.

A 11’41” ecco tornare negli archi il tema C, poi ripreso (12’11”, Poco a poco più mosso) anche dai flauti con l’arpa ad accompagnare. Un’ardita modulazione (12’28”) ci porta a DO maggiore, dove il tempo continua ad incalzare (Poco a poco più di moto...) e il tema C viene reiterato (12’34”) dai corni, mentre l’orchestra ribolle sempre più e a 13’03” ancora lo ripete in modo colossale, chiudendolo poi con una cadenza (13’18”) che vira - in fff a 13’26” - al LAb maggiore, tonalità che prepara la strada per il successivo Allegro marziale animato, con il ritorno (13’39”) a DO maggiore per la riproposizione del tema B che ora, da languido e sognante com’era nato, diventa (G) nerboruto ed autoritario (4/4 alla breve)! E non per nulla lo contrappunta il retorico tema A!  

Come curiosità si osservino le note riquadrate in rosso nella figura: sono le stesse - a parte metro e tonalità - che Wagner impiegherà per scolpire in musica il Walhall, poco tempo dopo la sua permanenza nell’esilio di Weimar presso il futuro suocero. Forse la cosa non è per nulla casuale: nel programma di Liszt (o chi per lui) si trovano un’atmosfera di ineluttabilità della morte e l’innata, naturale propensione dell’Uomo per la sfida e il cambiamento. Che sono proprio i concetti (Wandel und Wechsel liebt, wer lebt) che Wagner traspone nella figura e nell’approccio esistenziale di Wotan, e di cui il Walhall è strumento materiale.

Una transizione (13’55”) caratterizzata da reiterati interventi delle trombette conduce ad un nuova riproposizione (14’13”, Tempo di marcia) del tema C, ormai assurto - da astratto ideale - a vessillifero di grandiose imprese (si ascoltino i protervi interventi del tamburo militare!) Dopo una prima entrata in DO, viene riproposto (14’19”) in MIb maggiore, sfociando sulla dominante SIb, che per enarmonia diventa LA#, mediante del FA# maggiore sul quale (Più maestoso, 14’25”) ricompare il tema B, lui pure ormai esaltato dall’accompagnamento del tamburo. Ritorna (Vivace, 14’37”) la transizione udita poco prima e si arriva così alla sezione conclusiva.

Andante maestoso, 12/8 (4/4) in DO maggiore (15’08”). È il tema A, che aveva fatto il suo ingresso subito dopo l’Introduzione, a tornare ciclicamente quanto strepitosamente per occupare da solo l’ultima scena, chiusa da poche battute (15’50”) di enfatica Coda

Se mettiamo in sequenza la comparsa dei diversi temi abbiamo la seguente serie: 

A - B - C - B  /  D - E - B - F - C  /  B - C - B -

Come si può notare, se si esclude l’Introduzione, il tema B detiene il maggior numero di ricorrenze, ma soprattutto mantiene una posizione baricentrica e perfettamente simmetrica all’interno della sequenza; mentre il tema A apre e chiude il brano. Un’architettura assai robusta, che ha di certo la sua parte nel rendere quest’opera così immediatamente accattivante
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Impeccabile l’esecuzione, che mette in risalto tutti i dettagli e i tesori di questo brano, che sfugge ad ogni camicia di forza programmatica in virtù dei suo intrinseco valore musicale.
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Tocca adesso al vulcanico 37enne barbuto e capelluto Feodor Amirov (viene da Dimitrovgrad, sul Volga, non lontano da... Togliatti) proporci l’inflazionato Rach-2, l’opera con cui Rachmaninov tornò nel 1901 alla vita dopo aver rischiato di lasciar le penne a seguito del fiasco della sua Prima Sinfonia. E la nuova vita fu in realtà un ritorno alle comode certezze ciajkovskiane, che caratterizzeranno tutta l’intera produzione successiva del nostro.

Amirov, che si presenta subito mostrando il suo carattere estroverso, facendo una specie di saluto romano... ne dà un’interpretazione proprio crepuscolare, tutta in punta di piedi, sfiorando la tastiera, ben assecondato dall’accompagnamento discreto di Flor. Memorabile, nell’Adagio, la cadenza dove i tre accordi sono esposti con una incredibile teatralità.

Dopo tutto questo intimismo, ecco arrivare un altro Amirov, tutto gesticolante, che propone come bis una sua (così credo) improvvisazione da lasciar esterrefatti: dove lo strumento viene impiegato come... batteria o come cimbalom o maracas, e dove il funambolo tartaro (!?) si sgola con urla belluine! Una cosa mai vista e udita in una sala da concerto!     
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Si chiude con la versione raveliana dei Quadri di Musorgski. (Rimando i curiosi ad una mia nota di qualche tempo fa sulla struttura e contenuti dell’originale per pianoforte). L’Orchestra, che ha in questo pezzo uno dei suoi cavalli di battaglia, non manca l’appuntamento, suscitando l’entusiasmo generale. Sugli scudi il sax contralto di Silvio Rossomando nel n°2 del Vecchio castello.

Questa sera non si replica (per... rispetto alla prima del Piermarini). Nuovo appuntamento a Domenica ore 16.

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