Ennesimo cambiamento di podio in
questa strana stagione de laVerdi: il
tulipano Otto Tausk (sul cui sito
personale ancora figura l’appuntamento, anche se in
compagnia di Shai Wosner, da qualche tempo rimpiazzato in locandina da
Prosseda) viene sostituito dal casalingo Jader
Bignamini, a comporre quindi una coppia autarchica (ma non per questo meno apprezzabile).
Il programma è di quelli
piuttosto corposi, anche se piuttosto, diciamo così… sbilanciati, con un concerto lungo più di una sinfonia (come tale
era stato originariamente concepito) e una sinfonia corta come un… concerto
In un Auditorium ancora affollatissimo (buon segno…) il non ancora quarantenne Roberto Prosseda, che è un'autorità in Mendelssohn, qui ci presenta invece l’imponente Primo Concerto di Brahms.
Il suo (e di Bignamini, che tiene l’orchestra su un basso profilo) è un Brahms tutto in punta di piedi (quasi… Mendelssohn, smile!) leggero e forse fin troppo contenuto, ma assolutamente pregevole. Così il successo non manca e allora Prosseda ci regala un bis col suo – indovina? - Mendelssohn.
Il suo (e di Bignamini, che tiene l’orchestra su un basso profilo) è un Brahms tutto in punta di piedi (quasi… Mendelssohn, smile!) leggero e forse fin troppo contenuto, ma assolutamente pregevole. Così il successo non manca e allora Prosseda ci regala un bis col suo – indovina? - Mendelssohn.
Il quale arriva dopo
l’intervallo con la Reformations-Symphonie, numerata come
quinta (e ultima) della sua
produzione, ma in realtà composta come seconda, in occasione della ricorrenza
(1830) dei 300 anni dalla presentazione della Confessio Augustana (il documento recante la vision luterana riguardo i principii della Fede, presentato a Carlo V da sette nobili reggitori di Länder e da due Senati cittadini).
La Sinfonia, composta da un
Mendelssohn nemmeno ventenne e piuttosto retorico e pretenzioso, non trovò
posto nelle cerimonie celebrative del 25 giugno, anche perché pare che
l’origine ebrea dell’autore vi avesse gettato, agli occhi di molti, una luce
ambigua…
Ma lo stesso Mendelssohn fu il primo a
quasi ripudiarla, dopo alcune rare esecuzioni, come un maldestro e per nulla
riuscito tentativo giovanile; anche l’amata sorellina pare ne fosse assai poco
entusiasta; così l’opera fu per lungo tempo praticamente dimenticata. E in
effetti ancor oggi non è che sia poi troppo di casa nelle sale da concerto,
dove di norma si eseguono la Scozzese
e l’Italiana e, caso mai, la più impegnativa
Lobgesang.
A me pare che i principali difetti di
quest’opera siano innanzitutto i suoi smaccati riferimenti extra-musicali, che
la avvicinano ad uno spurio poema sinfonico a sfondo confessionale, e
dall’altra la miriade di spunti, citazioni e scopiazzamenti di cui è infarcita.
Insomma: qualcosa che si avvicina pericolosamente al classico vorrei, non posso… Si salvano i due
movimenti centrali, che se non altro mostrano una certa vivezza di invenzione e
sono scevri dalle pesanti incrostazioni che caratterizzano i due estremi.
___
La sinfonia è nei tradizionali
4 movimenti e rispetta (con alti e bassi) i canoni classici, sia nella
disposizione dei tempi (lo Scherzo
avanti all’Andante era ormai, dopo la
nona, quasi una regola) che nella
struttura degli stessi. La concatenazione tonale dei movimenti è abbastanza
scolastica: passaggi di terza per i primi tre (RE maggiore-minore – SIb
maggiore – SOL minore) e trasporto minore-maggiore per la prima parte del
quarto, seguita poi da un ritorno al RE maggiore di impianto generale. L’opera
presenta inoltre diversi caratteri di ciclicità
(anche questa un’invenzione dell’ultimo Beethoven).
Il primo movimento si apre con
una Introduzione (à la Haydn) in Andante di 41 misure, in RE maggiore-minore,
con una modulazione anche a DO maggiore. Sono le viole, per prime, seguite dai violoncelli, ad intonare
Il gregoriano Magnificat tertii toni,
con cui molti anni addietro Mozart aveva
caratterizzato il finale in DO della sua Jupiter
e che molti anni più tardi anche Richard
Strauss citerà, sullo stesso RE, nel suo Zarathustra (all’espisodio von
der großen Sehnsucht):
Enfatiche fanfare, che
anticipano il primo tema, insistono prevalentemente sui gradi di dominante,
tonica e sopratonica di RE, finchè a battuta 33 e per 4 battute (e ripetendolo
a battuta 38, dopo l’ultima fanfara) i violini, muovendosi per quinte parallele (primi e secondi)
intonano il Dresden Amen. Una serie
di accordi di ambigua interpretazione: se li riferiamo alla tonica RE (qui
tonalità d’impianto) sono ottenuti con salita da dominante a sopratonica nella
prima voce e da tonica a dominante (ma con quarta
aumentata) nella seconda; se li riferiamo alla tonica LA, contemplano una
salita da tonica a dominante (prima voce) e da sottodominante a tonica
(seconda):
Mezzo secolo dopo, Wagner
(anteponendogli l’incipit dell’Agape)
lo renderà ancor più famoso nel Parsifal come
motivo del Gral (ma anche Bruckner e Mahler lo infileranno in loro sinfonie).
A questo punto inizia l’Allegro con fuoco, rigorosamente in forma-sonata. E nell’Esposizione troviamo subito una chiara…
reminiscenza? o proprio un plagio in piena regola? La vittima dello scippo è
l’imparruccato Josephus Haydn, di cui
il nostro giovin di belle speranze si appropria del motivo dell’introduzione di
una delle ultime (se non proprio l’ultima) sinfonia, la 104. Per di più, nella
stessa tonalità di RE minore:
Che anni dopo anche Schumann imiti Mendelssohn in questo…
omaggio a Haydn (attacco della seconda sinfonia, in DO) sta solo a dimostrare
come gli eredi del vecchio maestro fossero altrettanto… disinvolti che
creativi!
Il primo tema sviluppa
furiosamente questo motto haydn-iano
con una modulazione alla relativa FA maggiore, poi torna a casa per sfociare,
dopo un fugace passaggio da FA e DO (sempre sul motto iniziale) in tonalità di
LA, dove entra il secondo soggetto, che si caratterizza subito con tre poderosi
accordi di LA minore e che vira momentaneamente – su una risposta delicata
negli archi - anche a LA maggiore,
per poi riprendere il minore, in
un’atmosfera ossianica che ricorda i turbini di vento delle Ebridi o della Scozzese (rispettivamente composta e abbozzata quasi
contemporaneamente alla Reformation) prima di chiudere l’Esposizione, che non
prevede alcun ritornello, ma introduce direttamente lo Sviluppo.
Sviluppo ancora incentrato sul
motto iniziale - presentato con accordi sempre più cupi e contrappuntato da
veloci quartine di crome negli archi - e da una fugace apparizione del secondo
tema che sfocia in un’autentica serie di ondate sonore in flauti e archi (anche
qui paiono le folate della Terza)
prima di chiudere con il ritorno ad accordi di dominante di RE. E sui quattro LA
in unisono di tutta l’orchestra ecco prepararsi il teatrale ritorno (singolo,
stavolta) del Dresden Amen, che a sua
volta introduce la Ricapitolazione.
La quale è abbastanza breve,
aprendosi con il primo tema, esposto però quasi in forma… depotenziata, insomma
alleggerito (vedi le note puntate o pizzicate degli archi) e privato dello sviluppo che
aveva avuto nell’Esposizione. Ecco poi subito il secondo tema, canonicamente
trasposto in RE, che ci guida (comprese le sue triplette di accordi) fino al
ritorno del motto iniziale nei fiati, cui gli archi fanno da scorta fino alla
maestosa, enfatica e pesante reiterazione del motto che chiude su un RE in
unisono di tutti gli strumenti, appena arricchito dal LA dei soli violini
secondi. Poco prima i fiati avevano
smaccatamente esposto una salita sulla triade di RE minore, dalla tonica alla
dominante un’ottava sopra, che in un certo senso anticipa quella (ancor più
estesa) in RE maggiore del Finale.
L’Allegro vivace (3/4 in SIb) è di fatto uno Scherzo con Trio. La
prima sezione del motivo principale ricorda nell’incipit trocaico la seconda
parte (battute 2 e 3) del motto di Haydn del primo movimento, e già con ciò
insinua un vago elemento di ciclicità
nell’opera:
Il tema principale si compone
di due sezioni: alla prima, nei soli fiati e ripetuta, caratterizzata da una melodia
per terze che scende e poi –
modulando alla dominante FA - specularmente risale, ne segue una seconda (pure
ripetuta) assai più ampia. Essa è costituita da un controsoggetto ancora nei
fiati, cui subentrano gli archi con una progressione ascendente che porta alla
riesposizione della prima sezione e poi ancora della prima metà di essa, la cui
discesa si prolunga negli archi e quindi a canone anche nei fiati; quattro
battute di cadenza in clarinetti e fagotti, con salita dalla dominante e
ripiegamento sulla tonica chiudono lo Scherzo.
Il RE, mediante del SIb di
impianto, diviene ora dominante del SOL maggiore su cui si dispiega il Trio, pure suddiviso in due sezioni: la
prima (ripetuta) presenta una lunga e cullante melodia, ancora per terze, esposta dagli oboi con i
flauti a trillare in una specie di idillio:
La melodia chiude sulla
dominante RE. Dopo la ripetizione ecco una specie di sviluppo del Trio, con
modulazione ancora a LA maggiore, da qui a minore e ancora a DO maggiore, da
cui si torna al SOL per la conclusione del Trio, affidata ad una cadenza
tonica-dominante negli archi. Essa porta, nei fiati, ad un brusco e abbastanza
cacofonico ritorno al SIb dello Scherzo, le cui sezioni ora non vengono
ripetute (come da sacre regole). Si arriva così alle quattro battute di cadenza
di clarinetti e fagotti che però ora (a differenza dell’esposizione) vengono
riprese dagli archi e poi anche dai fiati, che ampliano a dismisura tale
cadenza, portando gradatamente ad una rarefazione del suono (crome intervallate
da pause) fino al suo definitivo spegnersi in pianissimo, col pizzicato degli
archi e il tappeto dei clarinetti che scendono, sempre per terze, da mediante-dominante a tonica-mediante.
Il brevissimo Andante che segue (54 sole battute in 2/4,
SOL minore) è una vera e propria canzone, esposta praticamente dai soli primi
violini, accompagnati dagli altri archi e da tre soli interventi dei fiati,
rispettivamente di tre, cinque e sei battute. Come si vede, alla quinta battuta
del tema rifà anche qui la sua comparsa il motto
udito fin dal primo movimento.
Il tema si sviluppa toccando la
relativa SIb maggiore, con il primo intervento di flauti e fagotti. Ancora gli
archi con una divagazione che vira al MIb, per poi tornare al SOL minore. Qui i
violini primi riespongono il tema e vengono contrappuntati a canone largo da
flauti e fagotti (che entrano per la seconda volta).
Si noti al proposito la
straordinaria rassomiglianza con un analogo passo - secondo tema, in SI minore,
del movimento iniziale - della Terza
Sinfonia di Ciajkovski:
Pura combinazione? Sappiamo che
Ciajkovski scrisse la cosiddetta Polacca
nel 1875, quindi 7 anni dopo la pubblicazione postuma della Sinfonia di
Mendelssohn: che lui l’abbia potuta conoscere e ascoltare prima del 1875 non è
dato sapere (la ascoltò a Parigi nel 1879, come risulta da una sua lettera al
fratello); ma ciò che è certo è che il compositore russo (al contrario di tale
Wagner, smile!) aveva di Mendelssohn
la più alta considerazione, testimoniata dai numerosi articoli di stampa da lui
vergati proprio in quegli anni. Le 4 note del tema sono le stesse usate dal compositore
russo anche per aprire il suo primo Concerto per pianoforte, di pochissimo anteriore
alla sinfonia. Quindi…
Una cadenza finale che ricorda
il secondo tema del movimento iniziale sfocia in SOL maggiore e prepara la
tonalità con cui attacca il Finale. Il quale rappresenta
probabilmente il lato peggiore di questa sinfonia. Intanto dal punto di vista
della struttura, una cosa che definire bizzarra è un eufemismo: più che un
tempo di sinfonia sembra una fantasia di motivi, uno più enfatico dell’altro,
buttati lì quasi alla rinfusa. Vagamente possiamo distinguervi: un’Introduzione
(il corale luterano) presentata in tempo lento e subito ripetuta in tempo
veloce; poi l’esposizione di un’accozzaglia di motivi, proprio ammucchiati
l’uno all’altro; quindi un ritorno del corale introduttivo; una specie di
ripresa dei motivi precedenti, ma escluso il principale (!); infine la
pesantissima perorazione del corale.
È il primo flauto ad esporre,
in tempo Andante con moto (4/4), il
motivo del corale luterano Ein feste Burg
ist unser Gott (Una robusta fortezza è il nostro Dio):
Dopo
che tutta l’orchestra (violini, contrabbassi e timpani esclusi) ne ha ripreso e
sviluppato il tema, arriviamo all’Allegro
vivace (6/8) dove quello stesso tema – su un tappeto giambico degli archi -
si scatena nei fiati in una corsa degna di Quando
passano per via gli animosi bersaglieri… dico, pare di vedere il povero Martin Luther correre con la lingua
fuori (smile!)
Ma
in fondo siamo ancora all’introduzione del movimento, che entra finalmente nel
vivo dopo che gli strumentini hanno modulato il SOL come sottodominante di RE e
lo hanno ribattuto con ostinate terzine, portandoci al RE maggiore dell’Allegro maestoso (4/4) di tutta
l’orchestra. Qui l’esposizione ci presenta non meno di cinque (!) motivi,
indicati nella figura con le lettere a), b), c), d) ed e):
Il
primo di essi - mutuato
da quello in RE minore prima della chiusa del primo movimento, e suonato a voce spiegata (quasi… sguaiata) da tutta l’orchestra
- che sale dalla tonica alla mediante due ottave sopra, per poi scendere alla
tonica e risalire alla sesta (un procedimento mutuato dal beethoveniano Imperatore) non verrà più ripreso nel
seguito, quindi resta lì come un… cactus nel deserto (smile!) Segue il motivo b), sempre in RE maggiore e sempre a piena
orchestra e subito lo incalza il c) ancora in fortissimo. Poi subentra il d), nella relativa SI minore, di chiara
ispirazione bachiana, un motivo che Mendelssohn tratta ovviamente in
contrappunto, poi lo espande con le note ribattute nei fiati e le crome spesso
in tremolo negli archi. Si arriva così, modulando a LA maggiore, al motivo e)
che nasce piuttosto sommesso nei fiati e si sviluppa poi nella sua seconda sezione, per portare
dopo la sua fragorosa ripetizione ad accordi in fortissimo che conducono, su semiminime
puntate e pesanti (anche qui Ciajkovski pescherà qualcosa…) ad un climax
culminante in un accordo generale sulla dominante MI.
Ora
subentra una specie di pausa di riflessione: prima il fagotto e i violoncelli,
e poi il clarinetto ci ripropongono spezzoni del tema del corale luterano,
subito raccolto dall’orchestra, tornata al RE maggiore (che non verrà più
abbandonato) che ne espone una parte variata, sfociante nella ripresa del
motivo b). Al quale ora segue direttamente il d) con il suo seguito di
contrappunto, quasi esclusivamente negli archi.
Il
tema del corale, ora dilatato a
doppia ampiezza (anche se è cresciuto il tempo) torna enfaticamente nei fiati,
prevalentemente tromboni, contrappuntato dal motivo d) negli archi; lo segue il
motivo e) adesso esposto in fortissimo
dall’intera orchestra, nelle sue due sezioni, la seconda delle quali viene
ulteriormente ampliata e conduce ad un’atmosfera di preparazione alla chiusa,
in cui qualcuno sente anche una spruzzatina di Weber (il passo dell’Ouverture del Freischütz che richiama l’esternazione di Max (Ha! Furchtbar gähnt der düstre Abgrund!) alla gola
del lupo:
La
coda è aperta da un nuovo motivo, esposto da archi e strumentini, con gli altri
fiati a suonare quelli che vengono intesi come rintocchi di campane (tonica-dominante):
Il
motivo viene reiterato e poi lascia spazio ad un nuovo imperversare dello
scampanìo negli ottoni, irrobustito dai rintocchi LA-RE del timpano, finchè il corale non arriva con ampiezza (ed
enfasi e affettazione, di conseguenza) ulteriormente raddoppiata, a chiudere in
modo francamente assai più cattolico
che luterano questa controversa
sinfonia.
___
Devo
dire che Bignamini, oltre ad aver
messo a memoria tutta la (pur non sterminata) partitura, ha fatto del suo
meglio per rendercela quanto più digeribile: nel movimento iniziale ha ben
messo in risalto i chiaroscuri (i violini, guidati da Dellingshausen, hanno mirabilmente esalato l’Amen); nei due centrali ci ha messo la giusta liricità e in quello
conclusivo ha tolto il vivace dall’Allegro della seconda apparizione del corale (così il buon Martin non ha
rischiato di schiattare, smile!)
Quindi
grande successo per Direttore e Orchestra e arrivederci fra sette giorni quando
– si spera, con tutti questi contrattempi – tornerà Aldo Ceccato per riprendere il suo cammino in compagnia di Dvorak.