È Oleg Caetani (Markevitch) a tornare in Auditorium per proporci un programma classico, con due sinfonie particolari.
Contrariamente a quanto previsto in origine, in luogo di due brani di Glinka e Borodin è la Pastorale di Beethoven ad aprire il concerto, che così perde la precisa connotazione che aveva (un percorso esplorativo dell'800 russo) per assumerne una del tutto diversa: l'evoluzione (o… involuzione) del linguaggio e della forma sinfonica influenzati da soggetti o programmi extramusicali. Per la verità Beethoven ci tenne a chiarire che la sua Sesta non aveva in alcun modo finalità descrittive (confinate in poche battute di sapore ornitologico) ma intendeva evocare sensazioni che l'animo umano prova a contatto con la natura (inanimata e animata). E di sicuro si potrebbe apprezzare a pieno la sinfonia anche ignorando del tutto le didascalìe che Beethoven vi appose (non così, direi, dell'Op.58 di Ciajkovski).
Caetani ha il merito di non sovraccaricare la partitura di eccessiva enfasi o romanticherie; rispetta in pieno la strumentazione originale, niente raddoppi di fiati e sezione archi di proporzioni normali. Ne esce un'esecuzione che a qualcuno sarà sembrata eccessivamente leggera e magari soporifera, ma personalmente l'ho abbastanza apprezzata.
Dopo la pausa, ecco Ciajkovski e il suo Manfred. La storia che portò alla composizione di questa Sinfonia-a-programma è piuttosto lunga e complicata – e magari un pochino romanzata. Dunque: un Paolo Isotta (smile!) dell'epoca, tale Vladimir Vasilievich Stasov (uno dalle idee assai chiare, visto che reputava Musorgski un perfetto idiota) non contento di aver promosso la nascita del famoso Gruppo dei cinque (che comprendeva quello stesso idiota, smile!) si dedicò alla ricerca e alla stesura di soggetti per opere musicali (prevalentemente strumentali) da far comporre a chi, secondo lui, fosse degno dell'impresa. Così, dopo aver ascoltato l'Harold di Berlioz, venne fulminato da Byron e propose a Mili Balkirev (capo della sua banda dei 5) - ma proprio quasi ingiungendogliela – la composizione di una sinfonia sul Manfred, con tanto di suddivisione in 4 tempi, già corredati di programma letterario e addirittura di agogica musicale (ah, i critici!) Il quale Balakirev – che stancatosi della musica si era dato per qualche tempo alla… ferrovia, mettendosi il berretto rosso di capostazione – girò subito il programma al vecchio e malato Hector, che declinò l'invito.
Così, anni e anni dopo, il malcapitato prescelto (in terza battuta) fu proprio Ciajkovski, che sulle prime rifiutò piuttosto seccato (e rispettoso di Schumann, per le cui musiche di scena aveva la massima ammirazione) ma dopo un po' di tempo, avendo letto Byron, girovagato per le Alpi svizzere (teatro dell'azione nel testo originale) e ripensatoci su, evidentemente trovò che il soggetto - infarcito di drammi esistenziali e desiderio di autodistruzione – si addiceva alle sue personali attitudini, e così si buttò a corpo morto nell'impresa, conclusa nel 1886, nel periodo intercorrente fra le composizioni della Quarta e della Quinta Sinfonia. Balakirev, che si credeva un padreterno, aveva suggerito a Ciajkovski anche l'intero palinsesto musicale dell'opera, con tanto di definizione di temi, leit-motive e relative tonalità, e persino indicazioni sulla strumentazione! Gli aveva segnalato addirittura una serie di riferimenti ad opere da prendere a modello: dello stesso Ciajkovski (Francesca, Scherzo della 3a Sinfonia); di Berlioz (Finale dell'Harold, Adagio della Fantastica, La Regina Mab dal Roméo); Liszt (Hamlet) e Chopin (Preludi). Domanda: ma perché a questo punto non se lo componeva da sé, il suo Manfred?
Qui va ricordato un particolare importante - poiché ha un preciso riferimento con l'esecuzione di Caetani, su cui tornerò successivamente – che riguarda il finale dell'opera. Dunque: nel testo originale di Byron, Manfred muore senza accogliere l'invito del suo amico abate a recitare, magari solo con il pensiero, una preghiera. Le sue ultime parole, sprezzanti e quasi blasfeme, sono: non è così difficile morire. Invece nell'edizione tedesca, musicata da Schumann, il finale (forse per apparentarlo con quello del Faust) viene radicalmente mutato, con l'intervento dell'organo e del coro che recita il Requiem, e con la musica di Schumann che chiude con un MIb maggiore che sa di redenzione (rispetto al MIb minore della conclusione dell'Ouverture). Orbene, mentre Stasov nel suo programma si era attenuto a Byron, Balakirev – indubbiamente pensando a Schumann – aveva introdotto il finale religioso, con tanto di Requiem, suggerendo a Ciajkovski l'impiego dell'organo e la chiusa in maggiore. Cosa che Ciajkovski fece con il massimo scrupolo.
Per il resto invece il compositore (purtroppo o per fortuna?) se ne fregò dei suggerimenti e fece di testa sua, cominciando con l'inversione dei due movimenti interni (prima lo Scherzo - La Maga delle Alpi - e poi l'Andante – Scene di vita alpestre) e tutto sommato il risultato - non potendosi certo parlare di capolavoro – avrebbe anche potuto essere peggiore. In effetti noi posteri - che forse siamo di bocca buona… - riusciamo anche a mandarlo giù, ma i contemporanei la pensarono assai diversamente. Già in Russia l'opera non fu accolta con entusiasmo, ma alla prima viennese, diretta da Mahler nel gennaio 1901, i commenti andarono da "nebulosa, malsana… fiera del cattivo gusto" (Hanslick) a "mostruosa, di struttura folle" (Hirschfeld) a "un'ora di sofferenza per i nervi… opera mostruosa, incomprensibile, composta da frasi insignificanti, mal costruite e male assemblate" (Neues Wiener Tagblatt). E più tardi Stravinski la liquidò come l'opera più noiosa di Ciajkovski. Il quale peraltro fu il primo ad esserne scontento, al punto tale da progettare di distruggerla per tre quarti, lasciando in vita soltanto il movimento iniziale: raptus che peraltro rientrò in fretta. Da parte sua Arturo Toscanini si professò invece entusiasta del Manfred, amandolo al punto tale da coprirlo di cure particolari (smile!) materializzatesi in allegri tagli e cervellotici ritocchi all'orchestrazione…
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Ciajkovski mantenne in vita le indicazioni programmatiche di Stasov, trasmessegli da Balakirev, e il primo movimento – Lento lugubre / Moderato con moto / Andante, in SI minore - ci presenta Manfred che vaga sulle Alpi in preda a ossessionanti ricordi (Astarte in primo luogo) da cui cerca invano di liberarsi. A proposito di modelli: il Manfred – diciamolo francamente – è un po' una scopiazzatura (mediocre) del Faust, sul cui soggetto aveva già composto una poderosa sinfonia Franz Liszt; in essa, la figura di Faust è evocata con temi in tempo pari, mentre quella di Gretchen in tempo ternario. Forse a Balakirev la cosa era sfuggita, visto che non aveva citato la sinfonia di Liszt fra i suoi suggerimenti a Ciajkovski: il quale invece, nel primo movimento della sua opera, fa proprio la stessa cosa, affibbiando a Manfred temi in tempo pari e riservandone per Astarte uno in 3/4, sul quale tempo convergono poi anche i temi del protagonista.
La tonalità è SI minore, ma fatica ad affermarsi e in chiave non troviamo alcun accidente. Subito Ciajkovski ci presenta Manfred, caratterizzato da due lugubri temi principianti con intervalli discendenti e successive risalite, Il primo in LA minore, il secondo in DO# e poi MI minore:
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Una prima transizione ci porta alla riesposizione in SI minore del primo tema e poi - in SOL# e quindi SI minore - del secondo. Ora un lento crescendo conduce all'esplosione dei due temi - leggermente variati - in SI minore, in contrappunto, nelle trombe e nei corni: è la disperazione di Manfred:
Che raggiunge l'apice con un Con tutta forza dell'orchestra, culminante nella reiterazione della seconda sezione del primo tema, in trombe e tromboni. Adesso (Moderato con moto) si apre una parentesi di apparente lucidità, in cui spicca un nuovo tema esposto dal corno solo:
Poi ritorna il secondo tema di Manfred, che ora sembrerebbe meno cupo e disperato, inarcandosi in volute successive, quasi che il protagonista stia intravedendo un poco di azzurro farsi largo fra le dense nubi alpine, e sentiamo in effetti uno squarcio di RE maggiore negli strumentini, che sfocia in un inaspettato accordo di SIb. Dal quale si diparte una variante del secondo tema che va sfumando come se Manfred stia cadendo in un deliquio, in un dormiveglia nel quale deve aver l'impressione di vedersi comparire dinanzi… l'immagine della donna (peccaminosamente) amata. I due diesis in chiave in verità compaiono proprio ora, alla battuta 171 – qui rappresentando un peraltro mesto RE maggiore - sull'Andante che ci presenta la povera Astarte:
Il suo primo tema pare proprio di carattere lisztiano, e il secondo inciso (terzina-semiminima-croma) sembra quasi rappresentare la vana implorazione di Manfred: parlami! Dopo un dolce intermezzo del clarinetto basso, appare un secondo tema, esposto dai violini e poi ripreso dai flauti, che subito si anima, passando fugacemente per DO maggiore, su una scala discendente da LA a SOL e quindi cresce di ritmo e intensità, fino a sfociare – sostenuto dalle arpe – nel secondo inciso del primo tema, ripetuto due volte, proprio come una reiterata implorazione. Ma non c'è risposta, e gli archi, dapprima fff e poi sempre diminuendo, paiono far sprofondare Manfred nella più cupa disperazione. Che esplode – in ffff – con la riproposizione del primo tema del protagonista, ora in 3/4, in un feroce SI minore urlato da archi e flauti, con gli ottoni e gli altri strumentini a scandirlo con terzine sincopate; il tema, di cui all'inizio era stato esposto solo il torso, adesso si sviluppa con lunghe ondate di crome, chiaramente mutuate dal secondo tema di Astarte (ah già, la consanguineità) e sfocia in una perorazione dei corni, che porta – Più animato e Con tutta forza – alla pesantissima chiusura.
Come detto, rispetto al poema di Byron e ai suggerimenti di Stasov-Balakirev, Ciajkovski anticipa al secondo movimento (lo Scherzo, in effetti) la scena della cascatella alpina dietro i cui iridescenti vapori compare La Maga delle Alpi. Il tempo è Vivace con spirito, 2/4 in SI minore. La struttura è assai semplice, tipo A-B-A, dove A in realtà non è nemmeno un tema, ma una serie di effetti che ci dovrebbero rappresentare il pulviscolo acqueo che circonda la cascatella, entro il quale compare poi la Maga (Trio, tema B, in RE maggiore):
Il tema viene più volte ripetuto e variato, ma soprattutto si fonde con il primo tema (completo) di Manfred, che nel poema di Byron confessa alla Maga il suo amore maledetto. Maga che scompare poi alla sua vista, coperta dai vapori della cascata, lasciandolo lì con un palmo di… tema.
Il terzo tempo, Andante con moto è sottotitolato Pastorale: vita semplice, libera e spensierata dei montanari. È in 6/8, SOL maggiore, una siciliana che presenta un tema assai accattivante - per quanto difficilmente riconducibile a paesaggi alpestri – inizialmente esposto dall'oboe:
Dopo la lunga esposizione, chiusa da una cadenza in SI maggiore, ecco il corno farsi udire con un motivo che ha assai poco di allegro richiamo di cacciatori (qui Ciajkovski si dev'essere ricordato dell'ammonimento di Balakirev: niente volgarità tipo Jägermusik!):
È lontano parente di quello esposto, sempre dal corno, nel primo movimento e in effetti pare una mesta cantilena, più consona allo scenario di Tristan a Kareol! Ma possiamo sempre immaginare che rappresenti invece le sensazioni e le reazioni emotive del povero Manfred… Torna il tema principale, che adesso si sviluppa con un'impennata alla sopratonica e poi cadenza dolcemente verso la chiusa, sulla quale è il clarinetto ad innestare un gaio intermezzo, che porta ad un nuovo episodio, in SI minore, caratterizzato da martellanti semicrome dei fiati che accompagnano un cupo motivo degli archi: forse è la cattiva coscienza di Manfred che fa capolino… ma presto l'atmosfera si rasserena, torna il SOL maggiore e il flauto si libra in arpeggi di semicrome, prima che gli archi espongano per due volte un nuovo motivo, che sale da sesta a tonica, passando per la sopratonica, prima di RE, poi di DO. Li imitano gli strumentini, poi rapide scale ascendenti dei violini ci portano a dapprima a SI, poi a DO maggiore, dove il motivo si sviluppa assai per poi tornare al SOL di impianto e virare subitaneamente al SI minore, dove le trombe, poi i corni, in fff urlano ancora il primo tema di Manfred, evidentemente ripiombato nella più cupa disperazione. Qui si odono in lontananza (fuori scena) sette rintocchi di campanella, su un pedale di corni e archi, che introducono la ricomparsa del mesto motivo del corno, che si spegne lentamente, lasciando il posto al ritorno del tema principale, in SOL, che si mostra adesso in tutta la sua magniloquenza. Ancora il richiamo del corno, che si perde in lontananza, quindi i clarinetti portano dolcemente il movimento alla conclusione, con l'incipit del tema che scende dal flauto all'oboe, al clarinetto, su un pianissimo quasi impossibile (ppppp) degli archi.
L'ultimo movimento evoca Il palazzo sotterraneo di Ariman, con tempo Allegro con fuoco, in SI minore. Dapprima abbiamo due motivi che caratterizzano questa specie di bolgia (francamente Schumann qui sta parecchi gradini al di sopra…) nella quale poi metterà piede Manfred:
Arriva infatti Manfred, accompagnato dal suo secondo tema, che scatena la reazione dei demoni, con i relativi due temi in contrappunto; che una Fuga fosse il mezzo musicale più adatto a dipingere questa scena infernale sarebbe da discutere, ma Ciajkovski evidentemente non trovò di meglio. O forse pensò (smile!) che quella scolastica forma fosse la più adatta a rappresentare la fuga degli spiriti maligni (che nel poema di Byron vengono neutralizzati da Nemesi). Finalmente Astarte ricompare, con un grande dispiegamento di arpe, in REb, quindi in tonalità degradata rispetto al primo movimento; Manfred implora solo e sempre: parlami! ma la donna svanisce, perennemente muta, lasciandolo ancora nella sua disperazione (primo tema in fagotti e clarinetto basso). Qui Ciajkovski addirittura copia con la carta carbone la corrispondente sezione del primo movimento (metodo assai sbrigativo per realizzare un procedimento ciclico!) che sfocia però… al cimitero. Entra infatti anche l'armonium ad accompagnare, prima in DO e poi in SI maggiore, il nostro pseudo-eroe all'ultima dimora.
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Questa è una di quelle composizioni che definirei a basso rendimento: poiché richiedono un grande dispiegamento di forze e suprema tecnica esecutiva, mentre in cambio ti lasciano poco o nulla. Quindi sono da elogiare – cosa che il pubblico ha fatto puntualmente - i professori dell'orchestra per aver portato a compimento la loro impresa in modo rimarchevole. Ma di certo questo Manfred non deve aver migliorato di molto la sua posizione di classifica (da play-out, direi) nelle preferenze del pubblico.
Ma adesso vengo, come promesso, a Oleg Caetani. Lui ha di sicuro una grande dimestichezza con questa partitura, che conosce e dirige a memoria: l'unico appunto che mi sentirei di fare alla sua direzione è la lentezza esasperante con cui ha condotto l'Andante con moto. Ma l'intervento davvero proditorio e del tutto ingiustificato è stato il suo stravolgimento del finale. Un vago sospetto si era avuto già in partenza, notando l'assenza dell'armonium sul palco (ma si poteva pensare che venisse fatto suonare fuori scena, come la campanella, per accrescere il senso di arcano) e il sospetto è divenuto certezza quando, dopo la riproposizione del tema di Manfred, Caetani ha buttato nel cesso le ultime 70 e più battute della partitura (la cadenza del tema di Manfred e l'ingresso, appunto, dell'armonium) sostituendole pari pari col finale del primo movimento, ad eccezione dell'ultima croma, trasformata in nota tenuta. Quindi, ciò che nessuno, a parte Byron (né Schumann, né Balakirev, né soprattutto Ciajkovski) aveva negato a Manfred (una specie di estrema unzione, in modo maggiore) Caetani l'ha perfidamente negato, seppellendo il malcapitato sotto una pesantissima lapide di SI minore. Nobbuono…
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