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consulta e zecche rosse

04 luglio, 2010

Giro di vite alla Fenice

No, non si tratta di un ennesimo decreto di Bondi per ripicca verso una città che ha rieletto a sindaco un esponente dell'opposizione… Ma dell'opera di Benjamin Britten: The turn of the screw, la cui ultima recita è andata in onda ieri pomeriggio.

Sulla strada per il Teatro, una interessante sosta alla Chiesa di San Maurizio Martire, dove è allestita la mostra Vivaldi e il suo tempo. Mostra – soprattutto – di strumenti musicali, a corde e a fiato, che ospita tesori della collezione di Artemio Versari, venerabile contrabbassista del Comunale di Bologna, docente ed esperto di strumenti d'epoca. Un bell'aperitivo prima di apprezzare la virtuosistica compagine cui Britten affida il sostegno della sua opera.

Bravissimi tutti gli interpreti. A cominciare dai due ragazzini, nei panni di Miles e Flora: l'undicenne Peter Shafran, che mostra un'esperienza da cantante navigato, che non ha bisogno di guardare continuamente il Direttore per prendere gli attacchi. Cosa che fa di continuo Eleanor Burke (12 anni) comunque sempre brava (poi mi è simpatica perché assomiglia in modo impressionante alla mia seconda figlia, quando aveva la sua età…)

Julie Mellor e Allison Oakes erano rispettivamente la governante Grose e miss Jessel e direi che se la sono cavata egregiamente, soprattutto la prima.

Eccellente Marlin Miller, nei ruoli del Prologo e di Quint: ha una voce da tenore più eroico che barocco (quale era Pears, dedicatario dei ruoli) ma si cala molto bene nel personaggio del peccatore-adescatore.

Su tutti Anita Watson, perfettamente a suo agio nel ruolo della protagonista-senza-nome: voce piena, potente, e grande presenza scenica.

Jeffrey Tate e i 16 professori della Fenice hanno saputo cavar fuori ogni dettaglio e ogni tesoro dalla partitura britteniana: trionfo anche per loro. Peccato che il Teatro presentasse ampi vuoti, sia in platea che nei palchi; vuoti – è un vezzo poco nobile – aumentati di numero dopo l'intervallo.

Regìa, scene e costumi erano di Pier Luigi Pizzi. Un approccio generale assai serio e conservativo: scene sobrie e funzionali (due piani verticali: sotto il soggiorno e gli ambienti di studio dei ragazzi, sopra la camera di Miles) e due diversi fondi: le finestrone sull'ingresso della casa e il bosco e il lago per le corrispondenti scene. Costumi e suppellettili allineati all'epoca del racconto di James (fine '800).

Quanto alla regìa, nessun'idea strampalata (un campione di Regietheater potrebbe, che so, trasformare i fantasmi in due personaggi di fumetti, che escono dalla play-station su cui giocano i bambini) e aderenza sostanziale all'originale, diciamo con qualche eccessiva (per me) sottolineatura in più rispetto alle esplicitazioni che già la librettista Piper e Britten avevano fatto sul testo di James.

Come ad esempio la prematura presenza dei piccoli all'apparizione di Quint alla finestra (Atto I, Scena V) che toglie un filo di drammaticità a ciò che poi accade nella Scena VIII. O anche (Atto I, Scena VI) Quint che appare proditoriamente (rispetto al libretto) a spiegarci da chi il piccolo Miles ha imparato certe filastrocche (malo, malo).

O ancora (Atto I, Scena VII) la piccola Flora che – all'apparizione di miss Jessel – invece di ignorarla (o fingere di ignorarla, come vuole il libretto) le tende la bambola con cui giocava: cosa che stride poi clamorosamente con il comportamento della piccola nella scena VII dell'Atto II, dove lei negherà sdegnosamente di vedere l'ex-istitutrice, riapparsa sul lago.

Poi anche il comportamento dei due fantasmi è piuttosto caricato (anche se ciò non stravolge il senso generale del racconto): nell'ultima scena (VIII) del primo atto, invece di presentarsi i tempi diversi (prima Quint, sulla torre, che chiama Miles che sta giù nel giardino; poi la Jessel, che dal lago chiama Flora, affacciata al balcone) i due fantasmi ex-amanti si presentano ai due piccoli insieme, anzi allacciati in atteggiamento palesemente erotico. Il che contrasta assai con la lettera – se non con lo spirito – del libretto.

Ancor più esplicito è il comportamento dei due nella prima scena del secondo atto, laddove Quint, entrando poco dopo la Jessel che gli chiede ragione della sua chiamata, le pianta subito la mano su una tetta, come se non si fosse intuito che fra i due doveva esserci stato qualcosa di piccante, quando erano in vita… E i due non sono in un chissà dove (nowhere nel libretto) bensì accomodati (si fa per dire) sulla scrivania dell'Istitutrice (dove di certo dovevano averne combinate di cotte e di crude da vivi, e magari in presenza dei fratellini).

Non solo, ma invece di scomparire, Quint e Jessel si sdraiano affiancati sulla scrivania, proprio mentre arrivano Miles e Flora che, invece di avviarsi verso la chiesa (già si odono le campane) recano un velo scuro con cui coprono i due fantasmi, depositandovi sopra le corone di alloro e di giglio che portavano in testa. Solo dopo si accodano all'Istitutrice e alla governante per recarsi in chiesa. Questa scena, di per sé gratuita, ha però due grandi pregi: il primo è di dare un valore immediato e concreto alla frase dell'Istitutrice che, rivolta alla Grose, afferma: I tell you they are not with us, but with the others, i due piccoli sono lì, ma non con loro, bensì con i fantasmi; il secondo è di natura pratica: andatosene Quint con il velo, la Jessel resta su quella scrivania, quindi già in posizione per la scena successiva, dove verrà per l'appunto sorpresa dall'Istitutrice.

Insomma, al di là di queste piccole (o meno piccole) forzature, una regìa del tutto aderente al libretto e di sicura efficacia.

Quindi non resta che fare i complimenti a tutta la squadra: questo è un esempio di come si possa ancora oggi fare del buon teatro musicale.

2 commenti:

mozart2006 ha detto...

Non c´entra col post ma la notizia è interessante.

Dal sito del Teatro alla Scala

Per la sopravvenuta impossibilità del consolidarsi di un sereno e costruttivo rapporto di lavoro, il maestro Jean-Christophe Spinosi, di comune accordo con la Direzione della Scala, ha deciso di lasciare la produzione de “Il barbiere di Siviglia”. La direzione dell’opera di Rossini è assunta dal maestro Michele Mariotti, che la Scala ringrazia per la sua disponibilità.

Traduzione dal linguaggio ufficiale: lo hanno protestato.

Conoscendo i dischi e i video di questo signore, approvo incondizionatamente. Per fortuna, la Scala conserva ancora un minimo di dignità.

Ciao

daland ha detto...

@mozart2006

Sì, però questo Spinosi non è mica spuntato dal nulla oggi! Quando lo hanno ingaggiato chi era, Karajan?

Mi fa piacere per Mariotti, che farà un buon riscaldamento rossiniano in vista del Sigismondo (+ Stabat Mater) del prossimo ROF.

Ciao!