La Betulia liberata di Mozart (composta su testi di Metastasio dopo una visita a Padova) è stata portata da Riccardo Muti a Ravenna, dopo il recente festival di Salzburg. E come in Austria, anche in Romagna Muti ha eseguito, come antipasto, a S.Apollinare, l'oratorio di Jommelli di pari oggetto.
L'azione sacra del quindicenne Teofilo (sono due ore e un quarto di musica) mostra già i segni del genio, a cominciare dall'Overtura in RE minore, 172 battute che non la fanno sfigurare al confronto di altre più mature e più celebri. Lo schema è quello dell'Oratorio, con recitativi ed arie che si alternano con perfetta regolarità. La prima parte dell'opera comprende 8 recitativi e arie, più il coro finale; la seconda comprende 7 recitativi e arie (incluso il coro finale).
Qua e là compaiono spunti che ritroveremo nel Mozart più maturo, come ad esempio l'incipit dell'aria-4 Pietà, se irato sei, che ci richiama da vicino quello del tempo centrale della Sinfonia Concertante per violino e viola.
Nella seconda parte abbiamo due recitativi fondamentali: il primo, semplice, all'inizio, fra Ozìa e Achior, una vera e propria tenzone filosofica fra il monoteismo del primo e il politeismo del secondo. E l'altro, accompagnato, che contiene il racconto di Giuditta, che descrive con grande realismo e particolari macabri e raccapriccianti la scena della decollazione di Oloferne:
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Certo, è ancora un Mozart piuttosto scolastico, che rispetta alla lettera le forme consolidate del suo tempo, e che ancora dovrà maturare le geniali innovazioni che ne faranno uno dei giganti della nostra civiltà musicale.
I sei della compagnia di canto, il coro Philharmonia di Walter Zeh e i ragazzi dell'Orchestra Cherubini hanno assecondato al meglio la direzione di Muti, che sappiamo avere una particolare predilezione per tutto ciò che in qualche modo si riconduce alla scuola napoletana (Mozart incontrò Jommelli poco prima di comporre la Betulia).
La decisione di proporre quest'opera in forma completamente scenica (con la regia di Marco Gandini) è assai coraggiosa, dato che le forme e i contenuti meglio si presterebbero ad una esecuzione in concerto. L'azione manca, se si esclude l'episodio dell'incontro Giuditta-Oloferne, comunque raccontato dalla protagonista (pure mostrata sulla scena della decollazione) e non vissuto in presa diretta; salvo che in alcuni recitativi, dove più personaggi dialogano fra loro, e i quattro interventi del coro, per il resto abbiamo arie cantate da un personaggio solo, che espone, per così dire, la sua visione del mondo, mentre tutti gli altri (protagonisti e coro) se ne stanno ad ascoltare, immobili o con lenti movimenti ed espressioni del volto a trasmettere i rispettivi stati d'animo.
Insomma, per quanto Gandini, con Italo Grassi (scene, molto interessanti), Gabriella Pescucci (costumi, assai appropriati) e Marco Filibeck (luci) abbiano fatto il massimo – e di ciò glie ne va dato merito – non si è potuta evitare quella staticità che è proprio congenita a questo tipo di opera, e che oltretutto si accompagna alla relativa monotonìa (per le nostre orecchie, assuefatte al Mozart posteriore) della parte musicale.
Alla fine però grande e meritato successo, con ripetute chiamate per ciascuno e per tutti, in un Alighieri gremito.
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