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25 febbraio, 2010

Peter Grimes a Torino (su Radio3)

Ieri sera Radio3 ha diffuso la diretta della prima di Peter Grimes al Regio di Torino.

In attesa di assistere dal vivo, ecco le mie telegrafiche impressioni ricavate dall'ascolto via-etere, e qualche commento su quest'opera - ai non-più-teen-agers ancora contemporanea - per la quale si potrebbe quasi-quasi spendere la definizione di capolavoro.

Grimes era Neil Shicoff, a cui le 61 primavere cominciano evidentemente a pesare: ci ha messo l'anima e tutta l'espressività di cui è capace, ma la voce è quella che è, piuttosto impiccata e con difficoltà di intonazione. Convincente la Nancy Gustafson in Ellen: voce calda e gradevole. Grande il Balstrode di Marc S.Doss. Elena Zilio come Mrs.Sedley mi è sembrata eccedere nel parlare: quando ha cantato, lo ha fatto piuttosto bene. Su standard più che accettabili tutti gli altri/e. Preciso e pulito il coro di Gabbiani.

La direzione di Yutaka Sado mi è parsa davvero eccellente. Tempi sempre accurati e ottima resa delle ricche sonorità britteniane, non solo nei famosi interludi.

Sentiremo meglio dal vivo (ma con altri interpreti). Intanto qualcosa sul soggetto.

Non vorrei scomodare paragoni irriverenti o …pruriginosi, ma il Grimes è nato in un'atmosfera esistenziale non poi tanto diversa da quella (inizio 1800) in cui un tale Rossini scriveva opere per una tale Colbran. Nei primi anni '40 Ben Britten e Peter Pears stavano da tempo felicemente convivendo, il secondo collaborò in modo determinante con Montagu Slater alla stesura del libretto e fu il primo e forse - Vickers permettendo – il più grande interprete di Grimes. E proprio al tempo della creazione dell'opera i due si trasferirono al Aldeburgh, luogo dove il Grimes è ambientato e che si trova poco a sud di Lowestoft, dove lo stesso Britten era nato e aveva vissuto da ragazzo. Insomma, ci sono molti ingredienti – certo non sufficienti, ma utili – per garantire una buona riuscita dell'impresa.

La caratterizzazione del personaggio Grimes fu evidentemente condizionata da Pears (che a sua volta condizionò il librettista Slater e il compagno compositore Britten): da individuo quasi congenitamente perverso (pur figlio di un omonimo padre amorevole e ammirevole) qual è il Peter Grimes originale di George Crabbe, quello di Pears-Britten diventa un poveraccio perseguitato dal destino-cinico-e-baro (la sfiga che gli fa crepare, uno dopo l'altro, i suoi apprendisti) e contemporaneamente dalla società che lo circonda (anzi, che lo bracca, propriamente). Vive in un circolo vizioso: strafare e rischiare oltre il ragionevole per promuovere la propria immagine è incappare così in una disavventura dopo l'altra è vedere quindi la propria immagine deteriorarsi ulteriormente è rischiare ancor più per recuperarla è e così via precipitando in vite… un cerchio che lo stringe sempre più da presso, fino a schiantarne la robusta fibra e la folle determinazione.

Sui risvolti personali e sui paralleli autobiografici con l'opera (le vicissitudini a sfondo pedofilo vissute da Britten durante la pubertà e le loro ripercussioni sui suoi comportamenti da adulto; la coppia gay Britten-Pears guardata con qualche storcimento di naso dalla puritana società albionica del secondo dopoguerra) penso sia meglio lasciar perdere: se anche possono avere costituito – come è verosimile – un qualche stimolo per la creazione artistica, mi pare che non trovino alcun particolare riscontro dentro l'oggetto della creazione medesima. Non aveva quindi tutti i torti Jon Vickers (pur non apprezzato come interprete – ma solo sul fronte estetico - dallo stesso Britten, che aveva comprensibilmente negli occhi e nelle orecchie solo il suo Pears) a rifiutare qualunque caratterizzazione del personaggio in senso omosessuale o, peggio ancora, pedofilo.

Né alla tragica condizione di Grimes all'interno della società in cui vive si può assimilare quella dei due autori, che in fin dei conti – grazie certo alla loro preminente posizione – poterono condurre un'esistenza più che serena spiritualmente, oltre che materialmente agiata (Britten fu anche insignito del titolo di pari). Insomma, Britten e Pears erano dei diversi che poterono vivere passabilmente bene, senza subire più che tanto le conseguenze della loro diversità. Merito loro è comunque di aver artisticamente rappresentato – in Grimes, e in altre opere successive - la condizione di tanti altri diversi anonimi, poveracci e bistrattati dalla società cosiddetta benpensante.

Nel 1830, epoca in cui è ambientata la vicenda (e in cui Crabbe scrisse i versi che ispirarono più di un secolo dopo Britten&C) i ragazzini orfani o abbandonati venivano ancora sbolognati – per pochi soldi – dagli istituti a chiunque se li volesse prendere per farne liberamente uso, ad esempio impiegandoli in umili attività manuali, con trattamenti che sfioravano, se non configuravano in pieno, aspetti di vera e propria schiavitù e – purtroppo – anche di brutalità sessuale. Insomma, una situazione quasi normale e tollerata dalla società, che però parallelamente sfogava il suo ipocrita moralismo su qualche soggetto assunto a capro espiatorio di tutte le comuni colpe. Ed è su quest'ultimo aspetto che Pears e Britten misero l'accento, mostrandoci Grimes come una vittima (della società e dei suoi pregiudizi, del gossip dei vari Bob Boles e Mrs.Sedley) e non come un aguzzino violentatore di poveri orfanelli.

Nel Grimes c'è il classico spaccato della nostra società contemporanea: persone per bene, con la testa sulle spalle e cristiana carità (Balstrode, Ellen, Hobson); bigotti, visionari e falsi moralisti (Boles e Sedley); gente che pensa solo agli affaracci suoi (Keene, Auntie e nipotine); pubblici ufficiali o religiosi, che sembrano sempre agire con qualche secondo fine (Swallow, Adams). E poi – fondamentale – il coro, l'opinione pubblica, potremmo dire, che si muove ondeggiando, proprio come un branco di pecore, o un banco di aringhe nella fattispecie, a seconda di come tira il vento o il mare. Il povero Grimes sta lì in mezzo, disadattato e insolubile in questa brodaglia, il classico diverso, ora tollerato - ma sempre guardato di sottecchi - ora apertamente braccato, come pubblico pericolo.

E la sua fine è quanto di più pessimistico e addirittura nichilista si possa immaginare. Se è vero che - come unica alternativa alla prospettiva di essere catturato e sottoposto a sommaria giustizia dalla parte ipocrita della società, ormai fattasi maggioranza - anche la parte ancora sana e pietosa di quella medesima società non riesce a suggerire, per non dire imporre, a Grimes altro che il suicidio! In particolare, un verso di Balstrode è addirittura agghiacciante: Since the solution is beyond life - beyond dissolution (Poiché la soluzione è oltre la vita – oltre la dissoluzione). Sembra la maledizione di Ahasvero! Ma lo stesso Grimes, poco prima, aveva così delirato: Where's my home? Deep in calm water (Dove è casa mia? Nel profondo dell'acqua calma).

Dopodichè – sistemata in qualche modo la faccenda Grimes - la vita del borgo tornerà a scorrere pigramente, sempre uguale a se stessa, perfetta immagine dell'eterno tira-molla della marea. E con il coro a chiudere in LA maggiore, proprio come aveva aperto nel primo atto, come nulla fosse accaduto, in attesa del prossimo uragano, e del prossimo gossip.

Come ogni dramma che si rispetti, anche il Grimes ha il sui momenti tòpici, quelli che i tedeschi chiamano Höhepunkte, punti culminanti. Coinvolgono sempre il protagonista, com'è giusto che sia. L'ultimo di questi si trova quasi alla fine, ed è il disperato sfogo del pescatore, ormai incapace di connettere, prima di "lasciarsi convincere" a farla finita. Ecco come lo interpretò il grande Jon Vickers. A sottolineare questo allucinato monologo di Peter, Britten prescrive una tuba fuori scena, che impersona il Fog-horn, la sirena che avverte i naviganti in caso di nebbia: suona sempre – la udiamo esattamente per 12 volte - un'unica nota, MI bemolle, con finale appoggiatura sul RE puntato, un effetto rabbrividente davvero (lo si ode per la prima volta, nel filmato, e bisogna farci caso con molta attenzione, proprio immediatamente prima dell'entrata di Peter, fra i due richiami - Grimes! - del coro).

Immediatamente dopo ciò che si vede e ascolta nel filmato, Grimes canta (tradotto):

Quale porto ripara la tranquillità?

Lontano dalle onde di marea, lontano dalle tempeste

Quale porto può rinchiudere Terrori e tragedie?

Il suo seno è anche un porto – In cui la notte si volge in giorno.

Sono precisamente le ultime parole di Peter, rivolte ad Ellen e a Balstrode, ma in realtà al vuoto. Non sono nuove: sono (quasi) le stesse che Grimes aveva pronunciato nel primo atto (qui sempre Vickers) al momento dell'incontro-confessione con lo stesso Balstrode, di fronte allo scatenarsi dell'uragano. Ma è la musica a spiegarci stupendamente come ora davvero non ci sia più speranza: là quei versi erano cantati in chiave di LA naturale, con la notte che volge in giorno a salire ostinatamente, dal MI al FA#; adesso invece la fine si avvicina, e quindi tutto si degrada, un semitono più sotto, chiave di LA bemolle, e il volgersi della notte in giorno è in realtà un precipitare in basso, un autentico e profetico inabissarsi, quasi un'ottava, dal RE al MIb, sul quale incontrare proprio il cupo suono del Fog-horn.

Miracoli dell'espressività musicale!

Qui uno spezzone di questa scena, fino alla conclusione dell'Opera, dalla produzione BBC del 1969, Britten sul podio e il suo compagno (e co-autore) Pears nella parte di Grimes. Da notare come Britten, per il drammatico frangente del commiato di Balstrode ed Ellen da Grimes, rinunci alla musica e ricorra al semplice e nudo parlato:

Balstrode (si avvicina a Peter e parla): Avanti. Vi aiuterò con la barca.

Ellen: No!

Balstrode (parlando): Fate vela finché perdete di vista la terra. Poi affondate la barca. Mi sentite? Affondatela. Addio, Peter.

Sulla spiaggia ciottolosa di Aldeburgh, affacciata sul Mar del Nord, circa 160Km da Londra, che ispirò George Crabbe, prima ancora che Ben Britten e Peter Pears (di cui divenne la dimora e sede di festival) da qualche anno è stata posta una contestata scultura (The Scallop, la capasanta) che reca, traforato sul bordo, un verso del Grimes (monologo alla fine dell'Atto II, altro Höhepunkt dell'Opera): Odo quelle voci che non annegheranno













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Sono quelle voci che ricordano implacabilmente a Grimes il suo tragico destino di uomo senza dimora, senza pace e senza speranza.

Ma un uomo capace anche di esternazioni come questa (Atto I):

Ora l'Orsa Maggiore e le Pleiadi, man mano che la terra si muove,

Raccolgono le nuvole della sofferenza umana

Con un solenne respiro nella notte profonda.

Chi sa decifrare nella tempesta o alla luce delle stelle

I caratteri scritti di un destino favorevole –

Mentre il cielo ruota per cambiarci il mondo.

Ma se l'oroscopo è incomprensibile

Come il sommovimento lampeggiante di un banco di aringhe,

chi, chi, chi, chi,

chi può riportare indietro i cieli e ricominciare daccapo?


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(le traduzioni sono di Maria Luisa Bignami)

4 commenti:

Giuliano ha detto...

Un capolavoro, emozionante: il mio primo incontro con Britten fu appunto per i "Quattro interludi" che si eseguono regolarmente anche in concerto.
Però, quante volte, ascoltando le opere di Britten, mi sono trovato a pensare: ah, se si fosse innamorato di Giuseppe Di Stefano!
:-)
(povero Pears! ce la mette tutta ed è bravissimo, ma la voce era quel che era)

mozart2006 ha detto...

In quest´opera il grande Jon vickers ha offerto una delle sue piú memorabili interpretazioni, come sanno coloro che c´erano alla Scala nel 1976

Amfortas ha detto...

Bellissimo post Daland, a proposito di un vero e proprio capolavoro, a mio parere.
Pears non aveva certo bella voce, ha ragione Giuliano, però in alcuni ruoli è comunque convincente.
Qui giocava in casa, è proprio il caso di dire.
Ciao!

daland ha detto...

Grazie a tutti!

Vickers è l'esempio palese di come un interprete può far grande un personaggio quasi a dispetto del suo autore e del suo "interprete naturale"!

@Giuliano, adesso non esageriamo con la libertà di costumi! (Come avrebbe reagito il buon Giuseppe?)
Non ho mai capito perché, già che c’era, Britten non abbia inserito anche il sesto interludio nella suite.

@mozart2006: purtroppo non vidi Vickers alla Scala nel ’76. Mi accontento del CD con Colin Davis.

@Amfortas, forse sono troppo severo, ma termini come “capolavoro” sono spesso usati con eccessiva larghezza di maniche. Magari il “giro di vite” lo merita di più? Comunque, avercene!