Dopo l’anteprima del 28 settembre a
Busseto, si è inaugurato ieri sera a Parma, nella Cattedrale, il
Festival Verdi 2009. In programma il
Requiem.
Anche qui non sono mancati i contrattempi, primo fra i quali nientemeno che il
cambio di Kapellmeister! Poichè
Yuri Khatuevich Temirkanov (71 anni, da quest’anno
Direttore musicale del Regio, tuttora citato
qui) è stato rimpiazzato da
Lorin Maazel, vecchio marpione (79 anni!) rotto a tutte le avventure e a tutti i
compromessi, quindi buono per tutte le stagioni (e quindi i maligni insinuano… per nessuna?)
Qui una presentazione non burocratica dell’evento.
Recuperato a fatica un
ticket in internet, ho raggiunto Parma in un pomeriggio quasi estivo (26 gradi, al termometro del cruscotto…) e ho anche trovato il tempo per un’esplorazione rapida del
Battistero, questa gigantesca costruzione a pianta ottagonale all’esterno e esadecagonale all’interno, con le sue pareti esterne che salgono a nascondere la cupola, e con le sue bizzarre simmetrie (finestroni, finestre e lucernari) ed asimmetrie (loggetta interna, spioncino unico, lanterne grandi e piccole sulla sommità…)
Si entra in cattedrale solo dopo le 19:30, io ho un posto non proprio felice (navata laterale, con un paio di robusti pilastri a farmi da schermo a parte degli esecutori) e faccio solo a tempo a dare un’occhiata in giro: orchestra con disposizione moderna (violoncelli avanti) e assenza dell’
oficleide di ordinanza, sostituito come ormai consuetudine da un’argenteo contrabbasso-tuba. Le
trombe fuori scena stanno appollaiate sul
matroneo, verso metà navata, all’altezza del pulpito. I solisti trovano posto davanti, fra le prime file dell’orchestra, invece che fra orchestra e coro, come è usanza: scelta che mi ha lasciato perplesso. Pubblico? Anche Verdi deve proprio essere un
dio, se riesce a gremire una Cattedrale più che per Natale e Pasqua. Un religioso in rappresentanza della diocesi dà il benvenuto, dopo un buon quarto d’ora accademico, e verso le 20:20
Lorin Maazel fa partire il MI dei violoncelli.
Sotto voce, poi
il più piano possibile, e poi ancora
sempre ppp, prescrive Verdi al coro per l’incipit del
Requiem, fino al
luceat eis. Effetto grande, al tacere dell’orchestra – che ha suonato in
pp e
ppp - il
forte con cui il coro attacca a canone il
Te decet hymnus: questo è uno dei momenti toccanti dell’opera, e Verdi ce lo presenta subito, quasi a voler accattivarsi fin dalle prime battute la partecipazione dell’ascoltatore. Cosa che
Maazel&Faggiani hanno saputo fare con gran mestiere, diciamo la verità (il maestro ha avuto poche ore per familiarizzare con gli interpreti). Poi i 4 solisti si presentano (in sequenza: tenore, basso, soprano, alto) e devo dire che non è una presentazione molto felice – l’emozione? - salvo che per la
Daniela che, oltre che
alto, è proprio
alta e impone, oltre alla statura fisica, anche bravura ed esperienza. Meno male che, dopo l’avvio stentato, la resa del
Kyrie sia di buon livello.
Vinogradov ha una voce che nei bassi pare quella di Titurel quando si fa sentire dal suo giaciglio-sarcofago (nella circostanza ci può anche stare… chissà se la colpa è dei suoi armonici che vanno in risonanza con le volte del duomo). La
Vassileva sembra più che altro mancare di esperienza, a volte è imprecisa negli attacchi, sembra quasi stonare, ma vedremo che saprà cavarsela almeno nei passi più tecnicamente difficili.
Meli direi senza infamia né lode, una prestazione comunque più che sufficiente. Invece è il coro di
Faggiani a mostrare da subito grande affiatamento e precisione. Anche
l’acustica del locale sembra meno peggio del paventabile (Titurel a parte).
Lo strafamoso
Dies Irae (il cui incipit martellante torna tre volte nell’opera, sempre in SOL minore) è prescritto da Verdi con metronomo di
80 minime al minuto: una cosa davvero
feroce! Maazel lo fa forse un filino più trattenuto. Davvero travolgenti le 8 quartine di semicrome degli archi, che sprofondano dal SOL sovracuto per ben 4 ottave, in sole due battute! Verdi scrive – quale meticolosità! - le prime 6 di tali quartine con due note legate e due puntate, quasi il respiro strozzato e il
tremor di chi fugge a rotta di collo… ma obiettivamente è difficile, a quella velocità, per un orecchio
normale cogliere una tal sottigliezza (ed è obiettivamente difficile anche eseguirla al meglio); qui davvero non resta che
immaginare…
Impressionante poi il
Tuba mirum, col suo incipit arcano e le trombette dall’alto in stereofonia. Dove poi le terzine di archi e ottoni e le sestine degli strumentini creano un effetto davvero di finimondo, che copre la voce del basso, non quelle del coro, prima dello spettrale
Mors stupebit, che
Alex Vinogradov espone sulle figurazioni, proprio da stupore, degli archi e i rintocchi fatali della grancassa. Ancora la
Barcellona a far da protagonista (
Liber scriptus) con la precisa scansione delle sillabe
forte>piano e poi con grande efficacia sui FA# dello
Judex e poi del
Quid e ancora al culmine dello
Judicetur (LAb acuto, che regge al meglio il
fortissimo di tutta l’orchestra). Dopo il nuovo Dies irae, l’
Adagio religioso in cui le tre voci alte cantano il
Quid sum miser, dove tocca alla
Vassileva mostrare di avere anche buone qualità, con una salita al SI naturale. E siamo al
Rex tremendae introdotto dai maschi del coro, che conduce al
Salva me, al culmine del quale la soprano sale benissimo al DO acuto, la prima delle tre difficoltà vocali per lei in questa partitura. Bravissime poi le due soliste nel
Recordare, con l’emozionante crescendo della soprano fino al SIb (
Ante diem).
Ora tocca a
Francesco Meli con l’
Ingemisco. Il tenore lo canta col dovuto portamento supplicante, ed esegue sufficientemente bene i due
crescendo fino al SIb acuto. Nel passo
Inter oves bravissimi oboe e poi flauto e clarinetto, ad accompagnare il tenore. Bravo poi
Vinogradov nel
Confutatis, dove alterna assai efficacemente, come Verdi ordina, il canto
con forza al
dolce cantabile. E poi tiene bene i MI cui Verdi lo spinge prima della seconda comparsa del Dies Irae. Il quale prelude al
Lacrymosa, aperto in modo esemplare dalla Danielona, cui si aggiungono poi gli altri, magari non sempre esemplari, solisti (toccante però il contrappunto con il basso) e infine il coro, con un impressionante crescendo sonoro fino alla chiusa in SIb minore del
parce Deus. Poco dopo, rabbrividente il tremolo degli archi che introduce, modulando dal SIb minore al maggiore, l’
Amen, sugli arcani accordi di SOL e SIb che chiudono il N°2.
Nell’
Offertorio, lo dico subito, Maazel mi ha pienamente convinto. Già nel tempo che ha staccato,
a orecchio e croce assai vicino a quello prescritto dal metronomo di Verdi (Karajan e peggio Abbado – per fare esempi rintracciabili su Youtube - lo eseguono con eccessiva lentezza, dopodiché si possono anche gradire…) Lo aprono magnificamente violoncelli e flauti, ad introdurre mezzosoprano e tenore, cui si aggrega presto il basso (sul
Libera). Più avanti c’è l’altra difficoltà per la soprano, il
Sed, un
legato di 7 misure (
andante mosso in 6/8: 5 battute sul MI naturale, dal pianissimo
crescendo sempre e
portando la voce, e 2 battute in MIb, tornando al
ppp) che comporta – stando al metronomo – circa 13 secondi di
tenuta. La Vassileva – oltre al tempo spedito di Maazel-Verdi - evidentemente ha un bel serbatoio d’aria incorporato, e riesce a superare l’ostacolo, sfumando benissimo il MIb. Grande effetto fa il
Quam olim, un
Allegro mosso incastonato fra il precedente andante e l’
Adagio dell’
Hostias, con i 4 solisti e tutta l’orchestra a chiudere in religioso
diminuendo sul SOL.
Nell’
Hostias, Meli rispetta alla lettera Verdi (
dolcissimo e lente le semicrome) ben seguito poi dagli altri tre. Tutti bravi nel
sottovoce parlando del
faceas, Domine, de morte transire ad vitam, che significativamente, dal tempo
Adagio, ci riporta all’
Allegro del
Quam olim, stavolta sfociante in quei tre feroci
promisisti, che conducono poi alla chiusa, sul primo tempo dell’
andante mosso, e all’estremo
morendo del clarinetto e poi degli archi.
Potente e impressionante l’attacco del
Sanctus. Qui il coro è sdoppiato (Verdi prevede proprio due cori). Il risultato è comunque efficace, il contrappunto ben eseguito. Strepitosi gli svolazzi degli strumentini (ottavino in testa) a punteggiare la gigantesca fuga. Dal
Benedictus si aggiungono le crome puntate degli archi in contrappunto e alla fine dell’
Hosanna tutta l’orchestra esplode in
fortissimo le crome puntate ascendenti e discendenti, creando tre autentiche ondate sonore (la seconda
solo forte, di fagotti e archi bassi) fino alla cadenza conclusiva, con i classici e melodrammatici 6 accordi sulla perfetta trìade di FA maggiore. Davvero travolgente!
Senza un solo attimo di respiro Maazel attacca l’
Agnus Dei che fa da intermezzo, con le soliste femminili che introducono la forma allargata, rispetto all’iniziale requiem, del
Dona, una parola qui cantata su 7 semiminime, contro le 3 dell’incipit dell’opera (tempo pressoché identico): un chiaro segnale di un cammino compiuto, di una speranza di pace che qui si sta facendo certezza. Dopo il coro, ancora le soliste, con l’
Agnus in DO
minore. Ma il coro ristabilisce il
maggiore, imitato ancora dalle soliste, fino alla chiusa, sul definitivo
dona del coro, che accompagna il
sempiternam delle due voci.
Il
Lux Aeterna è totale responsabilità della Daniela, che lo espone sul misterioso tremolo di tutti i violini divisi in 4 parti, con interventi poi delle voci soliste maschili. La nostra se la cava assai dignitosamente, con il supporto eccellente dell’ottavino, che sul
Lux perpetua disegna i suoi trilli a quartine
molto staccato in modo davvero impeccabile! Ancora bravi gli strumentini, poi gli archi in
staccato, a supportare i solisti, prima della cadenza conclusiva, aperta dal toccante arpeggio di flauto e clarinetto.
Il
Libera me si apre con il declamato della
Vassileva, seguito da quello del coro. Non efficacissimo l’urlo della soprano sul LAb dell’
ignem. Drammatico invece il
timeo, che chiude in
maggiore la sezione di
DO minore, quasi un atto di fede nella misericordia divina, a dispetto dell’
ira che irrompe ancora, per la terza volta, sempre uguale a se stessa. Ma adesso, dopo il secondo urlo dell’
Ignem cambia tutto… l’ira sbolle e si stempera e oboi e corni introducono il
Requiem aeternam, e da qui è tutto in mano (anzi… in bocca!) alla Vassileva che lo chiude con un pulitissimo SIb acuto. Al suo nuovo stentoreo
Libera rispondono ora i contralti del coro interpretando al meglio la scansione delle sillabe in
forte>piano come puntigliosamente scrive Verdi. La fuga che segue, di proporzioni gigantesche, lascia sempre senza fiato, davvero degna di quelle del Requiem brahmsiano.
La Vassileva si cimenta ancora con un altro paio di SI acuti, ben eseguiti. E si arriva all’esplosione del
Domine, dove tutti ci mettono
tutta la forza possibile. La Svetla fa lo sforzo supremo, salendo al DO acuto sul
Libera me, prima dell’epilogo, dove il DO minore sfuma impercettibilmente in
maggiore. Gli ultimi
Libera me non sono più cantati, ma sussurrati con un fil di voce (
pppp!) quasi un rantolo che si può udire solo accostando l’orecchio alla bocca di un moribondo che esala le ultime sue sillabe. La cattedrale è prossima ad un vuoto pneumatico, l’orchestra cerca a sua volta di suonare
ppp, ma i fiati specialmente faticano a fare il
morendo e a rendere pienamente quella sensazione di suono terreno che sfuma nel silenzio dell’aldilà… Maazel chiude e ottiene almeno 10 secondi di silenzio. Qui ci vorrebbe a dir il vero il
minuto di raccoglimento, ma qualcuno non ne può più e così – appena Lorin abbassa le braccia - scoppia l’applauso, che poi diventa ovazione per tutti.
Che dire? Son quelle esperienze che – se non si fanno di persona dal vivo – non si possono importare da CD, DVD, Youtube, Webcast, iPod e consimili. Poiché queste ultime sono – per l’appunto -
diavolerie. Quindi, finchè si può, conviene farle ed anche ripeterle, queste esperienze; nel nostro caso: il 29 ottobre (Orchestra e Coro Verdi all’Auditorium, con
Zhang) e il 20 novembre (Orchestra e Coro della Scala al Piermarini, con
Barenboim).
Fuori la sera è mite, almeno 20 gradi ancora, e rischiarata da una luna ormai prossima al tondo perfetto.