percorsi

da stellantis a stallantis

30 aprile, 2009

Götterdämmerung del Maggio (per ora) alla radio

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Qualche battuta sulla prima di ieri sera, ascoltata su Radio3.

Una prima nota di biasimo per la presentazione: visto che (poco, magari) li paghiamo, gli esperti di Radio3 che commentano questi collegamenti dovrebbero meritarsi la parcella, evitando di raccontare banalità o - peggio - stupidaggini o imprecisioni apparentemente piccole, ma in realtà gravi. Ne cito alcune.

1. Prologo: “Siegfried e Brünnhilde non conoscono cosa si cela (la maledizione) dietro l’anello”. Scusate, ma vuol dire non conoscere nulla del Ring: poichè Siegfried, effettivamente, nulla sa della maledizione di Alberich, ma Brünnhilde sì che lo sa, e molto bene, avendolo appreso nientemeno che dal padre, nel secondo atto della Walküre.

2. Atto I (scena II): “Siegfried racconta ai Ghibicunghi la sua vita, la lotta col drago, il possesso dell’anello e la conquista di Brünnhilde”. Falso, della Valkiria non parla proprio, si limita a brindare a lei, nominandola fra sè e sè, ma nulla di lei rivela a Gunther e Gutrune (Hagen sa già tutto dal padre...).

3. Atto II (scena I): “Scena onirica: Hagen sogna il padre Alberich”. Invenzione bella e buona: Hagen è inizialmente nel dormiveglia, ma Alberich è lì, aggrappato alle sue ginocchia, e il loro colloquio è tutto fuorchè un sogno.

4. Atto III, scena II, racconto di Siegfried: “Siegfried è sempre più inorridito da ciò che ha fatto, ricordando Brünnhilde”. Inorridito? La didascalìa recita: “esaltandosi sempre di più”.

Insomma: superficialità francamente incredibili ed imperdonabili.

Venamo al merito:

Ryan/Siegfried all’inizio è piatto e dalla cantata volgare, aperta; piccolo, ma importante particolare: quando fa Gunther, ha sempre la stessa voce di Siegfried (!?) Migliora un pochino con l’andare del tempo, ma poi alla fine imbrocca a malapena il suo DO acuto e chiude con grande fatica e assai poca poesia.

Wilson/Brünnhilde potente, precisa, ma apparentemente senza quell’autorevolezza da protagonista assoluta del dramma, che il personaggio richiederebbe.

Hönig/Hagen e Kapellmann/Alberich impeccabili, come canto ed espressione.

Stoll/Gunther onesto, senza infamia nè lode.

Flaitz/Gutrune davvero modesta, urlatrice più che cantante.

Wyn-Rogers/Waltraute bravissima, voce e portamento sontuosi.

Norne e ninfe oneste, nulla più.

Coro molto compatto e preciso, anche nella prescritta sguaiataggine.

Mehta ha festeggiato al meglio i suoi 73 (forse non è lecito pretendere di più?): qualche libertà nei tempi (Rheinfahrt, introduzione atto II); lodevole peraltro l’equilibrio con cui ha condotto la Trauermarsch, dove anche specialisti tipo Thielemann cadono a volte in gratuite gigionerìe. E soprattutto il finale, il famoso passaggio alle ultime sette misure, dove Wagner ha semplicemente omesso segni di legatura, ma non ha notato alcuna pausa o corona puntata, che invece maestri anche famosi si inventano, secondo il presupposto arbitrario che quelle ultime misure debbano rappresentare la nascita di un mondo completamente nuovo e migliore di quello che crolla e brucia.

Professori bene in genere, con qualche sbavatura qua e là, ma in un quadro ampiamente positivo.

Vedremo prossimamente dal vivo, in particolare l’allestimento furioso.
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28 aprile, 2009

Addio al compagno delle notti dei fine-settimana

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Con una intera pagina sul suo Manifesto, lo ricordano i suoi colleghi di Radio3.



27 aprile, 2009

Breakthrough research (?!)

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Negli USA - per la sicurezza nazionale - non badano a spese. E così, nell’ambito di ricerche sui comportamenti dell’uomo (ad esempio, dei terroristi) hanno anche ipotizzato che il cervello umano emetta radiazioni trasformabili in musica. Tale musica può essere poi fatta ascoltare all’autore, al fine di ottenerne reazioni positive: ad esempio, per un vigile del fuoco, mantenere la calma necessaria in un momento di emergenza, oppure rilassarsi adeguatamente fra un turno e l’altro.

Insomma, in ciascuno di noi sarebbe latente un Mozart o uno Chopin!

A giudicare da questo esempio, o anche da questo, più che di Mozart o Chopin, parrebbe trattarsi di Allevi...
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25 aprile, 2009

Aspettando che arrivi il Crepuscolo: un ripasso critico del “plot“

In attesa di ascoltare (Radio3, mercoledi 29, ore 18) e poi di assistere dal vivo al Götterdämmerung del Maggio, faccio un rapido ripasso della trama, mettendone anche in evidenza alcune piccole o grandi smagliature.

Le vicende narrate in Götterdämmerung costituiscono uno dei più intricati, contorti ed anche improbabili soggetti che un dramma in musica abbia mai avuto. Perchè tale è il soggetto - di cui Wagner volle rappresentare una parte sostanziosa - del Nibelungenlied, un tremendo e indigeribile polpettone medievale austro-germanico. Cosa ci troviamo? Vicende di vita quotidiana presso corti, castelli, villaggi; rendiconti di viaggi, spedizioni, traghettamenti, visite di stato, matrimoni regali, innumerevoli battaglie e faide di vario genere; poi ancora aggiornamenti sui colloqui e battibecchi che intercorrono fra persone che fanno tranquillamente il bagno nel fiume; e, naturalmente, ci troviamo anche pettegolezzi, invidie, rivalità, antipatie, “corna” (oltre che amori). Il poema si conclude infine con un’indigestione apocalittica di stragi, ammazzamenti, sangue e orrori (un solo esempio: pranzo con menu a base di cuore umano, annaffiato con sangue, umano anch’esso…) descritti con tale realismo da far impallidire certa filmografia moderna...

Bene, da questo ammasso di frattaglie Wagner estrasse prima un abbozzo (Der Nibelungen-Mythus, il Mito dei Nibelunghi) e poi la Siegfrieds Tod, ovvero la Morte di Sigfrido, una “grande opera eroica” (per non dire - tout cour - un Grand Opéra). Vi era condensato – nel Prologo – tutto l’antefatto sommariamente descritto nel suo Nibelungen-Mythus. Evidentemente – nel 1848 - Wagner non aveva ancora maturato le geniali intuizioni che – di lì a poco – lo avrebbero portato ad inaugurare letteralmente una nuova “era geologica” nel campo del dramma in musica e poi non era ancora sufficientemente temerario da immaginare un “ciclo” di quattro melodrammi su cui spalmare le vicende della sua personalissima rielaborazione delle saghe eddico-germaniche.

Solo che la posteriore scrittura, andando a ritroso nel tempo, delle altre due giornate e della vigilia finì per comportare inevitabili dissimmetrie e parecchie incongruenze. In Götterdämmerung possiamo proprio dire che tutti i nodi vengono al pettine, e fatalmente Wagner faticò a riannodare coerentemente tutti i “fili pendenti”. Per salvare l’intero dramma si vide costretto anche ad accettare qualche forzatura al realismo, ad ammettere qualche comportamento di taluni personaggi francamente improbabile o illogico. Il risultato è che Götterdämmerung è infarcito di incongruenze grandi e piccole, legate proprio alle modalità e ai tempi con cui il Ring fu composto.

Intanto: quanto dura, in termini di tempo effettivo? Si parte nel bel mezzo di una notte; poi si vive un’intera giornata, fino alla fine del primo atto; il secondo atto occupa a sua volta un’intera giornata; e un’altra ne occupa, fino a tarda notte, il terzo atto. Quindi, in tutto: tre giorni pieni.

Tutto il canto delle Norne non è che l’ennesimo (ma il primo, nella cronologia della stesura dei poemi del Ring) “bigino di storia cosmica” che Wagner ci propone. In effetti nel racconto delle Norne non ci sono fatti e notizie che già non ci siano noti da dirette precedenti esperienze all’interno del Ring, o come minimo da altri racconti già uditi prima (come quelli dell’incontro Mime-Viandante nella seconda scena di Siegfried). Peraltro, cominciamo a notare proprio qui una delle tante incongruenze cui Wagner non potè sfuggire, data la gigantesca mole della sua opera. La prima Norna ci racconta di Wotan che viene a bere alla fonte sgorgante dal frassino (Yggdrasil, per la cronaca) e cede un occhio (per averne in cambio sapienza, come ci informano le Saghe). Abbiamo però appreso, nel Rheingold (scritto e composto successivamente) che Wotan cedette un occhio per avere in moglie Fricka. Quest’ultima è un’invenzione – certamente suggestiva - di Wagner, che però si è poi scordato di renderla coerente con il testo del Götterdämmerung, scritto in precedenza.

Ora arrivano i due “sposini”, freschi di una notte d’amore (la prima e ultima?): si preparano a lasciarsi, non prima di essersi scambiati doni e profferte amorose. Così Siegfried consegna a Brünnhilde l’anello (per la prima volta nella Storia, e sarà anche la penultima, l’Anello viene spontaneamente ceduto, e non forzatamente sequestrato! Ciò è reso possibile dall’ignoranza, da parte di Siegfried, delle proprietà e dei retroscena che lo caratterizzano) ricevendone in cambio lo scudo e il destriero Grane, ormai divenuto “terreno” - proprio come la padrona - e privato delle sue prerogative di “ippogrifo”.

Domandiamoci: ma perchè due che si amano - e che hanno a mala pena cominciato a stare insieme - devono subito lasciarsi? Non solo, ma è la donna ad accettare quasi con entusiasmo questa separazione, riconoscendo di non poter più “dare nulla” al compagno, ma di poter solamente “acconsentire” alla di lui volontà. E lui si chiede se è solo per la di lei virtù che dovrà compiere nuove e gloriose imprese... Beh, molti anni più tardi Freud scriverà cosucce interessanti sull’abbandono, ma ancora una volta Wagner dimostra di saperla lunga sulla psicologia del rapporto di coppia: un amore non può “essere consumato e basta”, deve essere rigenerato continuamente, ed ecco quindi la proposizione della catena: “amore > imprese > amore”, legata strettamente ad un’altra: “imprese > rischio > pericolo > rinunzia all’amore medesimo”.

Facciamo qui una considerazione sull’anello, ora in possesso di Brünnhilde: Siegfried lo dona alla compagna come simbolo delle sue passate eroiche gesta e come pegno d’amore. Qui, correttamente, Siegfried afferma che l’anello è la conseguenza, l’effetto delle sue gesta, non già la causa e il fine originario: in effetti lui non ne conosceva nemmeno l’esistenza, lo ha avuto come premio – su indicazione dell’Uccellino - per il suo coraggio e la sua bravura. Vedremo come Siegfried modificherà sostanzialmente la sua versione dei fatti nel dialogo con le Ninfe all’inizio del terzo Atto (ancora sotto l’effetto del filtro di Hagen) per poi ritornare su quella corretta - una volta “tornato normale” - nel ricordo finale. Attenzione però: Siegfried poco o nulla sa dei retroscena, maledizione inclusa (per la verità il morente Fafner gli ha genericamente parlato di “oro maledetto”) che riguardano quel manufatto e l’Uccellino gli ha parlato di un “anello che rende padroni del mondo”, nulla più. Invece Brünnhilde sì che conosce tutto per filo e per segno: ha appreso dalla viva voce di Wotan (Walküre, Atto II, Scena II) tutta la storia, nei minimi particolari; sa da dove viene l’anello, sa che sui suoi possessori grava la maledizione di Alberich e che soltanto la restituzione dell’anello al Reno potrà salvare Wotan e il relativo “ordine costituito”; sa anche che il tesoro, anello compreso, era custodito da Fafner (e del resto persino la sorella Schwertleite, nel terzo atto di Walküre, aveva dimostrato di conoscere perfettamente questo particolare) e adesso sa che l’anello donatole da Siegfried è esattamente “quell’anello”, che il ragazzo ha prelevato dal tesoro custodito dal drago. Dovremo ricordarci di questo importante particolare nella terza scena del primo Atto, al momento dell’incontro di Brünnhilde con la sorella Waltraute.

Veniamo ai Ghibicunghi, Atto I: Hagen propone a Gunther di conquistare Brünnhilde, per avere una moglie degna di lui, ma afferma che solo Siegfried può riuscire nell’impresa, e che a ciò verrà convinto dal filtro magico. Una delle tante domande che sorgono spontanee in relazione alla plausibilità della vicenda qui narrata riguarda il fatto che Hagen, raccontandola ai fratellastri, mostra di conoscere perfettamente la storia di Siegfried, ma solo fino all’uccisione del drago Fafner (come se la notizia della conquista di Brünnhilde non fosse ancora arrivata alle sue orecchie…) In realtà la spiegazione logica della incompletezza del racconto di Hagen a Gunther e Gutrune è che lui conosce già il seguito, ma lo tace deliberatamente, per poter così ordire la sua trama, volta al recupero dell’anello, che assegna il ruolo di vittime anche a loro, oltre che a Siegfried e Brünnhilde. In effetti, Hagen (come risulterà via via sempre più chiaro) ha saputo tutto da sempre (non per nulla suo padre è tale Alberich!) ed ora sta iniziando a mettere in atto la sua infernale macchinazione. Essa comporta che Gunther e Gutrune ignorino dell’avvenuto incontro carnale fra Siegfried e Brünnhilde, in modo da giudicare perfettamente lecito l’uso del filtro magico che farà innamorare di Gutrune “lo scapolo Siegfried”, rendendolo disponibile a conquistare per Gunther “la nubile Brünnhilde”, come contropartita per la mano di Gutrune. Hagen invece sa perfettamente che ciò porterà – tramite la reazione dell’ignara ex-Valchiria – allo scoppio di uno scandalo planetario da cui lui, e nessun altro, potrà trarre profitto, recuperando l’anello!

Knechte sind ihm die Nibelungen”, dice Hagen ai fratellastri: i Nibelunghi gli sono schiavi (a Siegfried). Nel Nibelungenlied (avventura 8) si racconta di Alberich, potente capo degli elfi scuri, dotato di elmo, di maglia metallica e di frusta d’oro, che soccombe in combattimento a Siegfried (che lo immobilizza con una curiosa mossa di wrestling, afferrandolo cioè per la barba!) e diviene suo schiavo, con tutti i sudditi: quest’ultimo particolare viene qui da Wagner citato, coerentemente con la saga, ma del tutto a sproposito rispetto alle vicende del Ring. Evidentemente Wagner lo inserì nella stesura iniziale della Siegfrieds Tod, dimenticandosi poi di espungerlo quando mutò radicalmente la trama del “suo mito”, dove Siegfried ed Alberich nemmeno hanno occasione di incontrarsi di persona. E del resto, sarebbe inspiegabile come i Nibelunghi possano essere tuttora schiavi di Siegfried, mentre il loro capo Alberich se la spassa tranquillamente in libertà presso il figlio Hagen, alla corte dei Ghibicunghi.

Siegfried afferma di aver preso il Tarnhelm, senza conoscerne le qualità, e così è Hagen (figlio del committente e nipote del costruttore!) a spiegargliele a dovere (ma fra pochissimo vedremo come questa rivelazione sia da Wagner collocata nel tempo in modo illogico.) Siegfried rivela di aver arraffato anche un anello, che ha poi lasciato in custodia ad una nobile donna (Brünnhilde! sussurra fra sè Hagen, mentre Gunther sembra non fare caso a questo particolare, evidentemente considerando normale che Siegfried abbia avuto delle amanti, ma non pensando lontanamente che abbia già conquistato la ex-Valkiria). Anche qui Siegfried la racconta giusta, riguardo l’anello: lo prese dal tesoro, da lui scoperto solo dopo aver ucciso Fafner, e grazie al suggerimento dell’Uccellino (ripeto che, nel terzo Atto, Siegfried darà una versione assai diversa del suo possesso dell’anello).

Siegfried beve la pozione, che ha effetto immediato, e lui comincia subito a perdere la memoria. Altro fatto da “mettere agli atti”: qui, secondo Wagner, Siegfried perde completamente la memoria (la didascalìa in partitura non lascia dubbio alcuno in proposito). E del resto, solo così si potrebbe riconoscere che tutte le successive azioni del giovane siano fatte, ancora e sempre, in perfetta buona fede, anche se potranno risultare del tutto incomprensibili ed inspiegabili (o spiegabili con motivazioni sbagliate, comportando altrettanto sbagliate reazioni) a chi aveva già consuetudine con lui (leggi Brünnhilde): e ciò è esattamente quello che Hagen vuole che accada, per trarne profitto per sè. Peraltro, lo stesso Wagner sarà successivamente indotto in piccole o grandi contraddizioni nella gestione dei ricordi di Siegfried, per necessità legate allo sviluppo del dramma. E lo vedremo via via. Resta però aperto un punto di capitale importanza: il tradimento di Siegfried verso Brünnhilde è davvero un atto inconsapevole, perché commesso “fuori dal possesso delle proprie facoltà mentali”? Se sì, non si vede allora perché Brünnhilde, alla fine dell’opera, ne faccia addebito all’eroe… se no, allora Siegfried non si meriterebbe più le onoranze che gli verranno tributate, e tutto il significato dell’opera rischierebbe di venirne pericolosamente stravolto.

Siegfried si offre a far da “procacciatore di moglie” a Gunther, in cambio della mano di Gutrune. E lui stesso spiega come farà: usando il Tarnhelm per trasformarsi in Gunther. Ecco qui un’altra – labile, per la verità – incongruenza in cui Wagner cade: abbiamo appena visto che Siegfried ha totalmente perso la memoria, dopo aver bevuto il filtro di Hagen. Ma allora, chiediamoci: come fa a ricordare adesso una cosa (il magico potere dell’elmo) che Hagen gli ha insegnato prima dell’assunzione della droga? È chiaro d'altronde che tutto ha un limite (Siegfried, ad esempio, continua a riconoscere i padroni di casa ghibicunghi, quindi non è totalmente “svanito”…) e che Wagner dovette accettare qualche compromesso - piccolo, come qui, o grande, come vedremo più avanti - sul piano dello stretto realismo della sua favola.

Siegfried e Gunther si avviano alla barca, che Siegfried spinge in mezzo al fiume, cominciando a remare controcorrente; ancora un marginale appunto da fare a Wagner: Siegfried è arrivato - provenendo verosimilmente dalla rupe di Brünnhilde - controcorrente (così ci aveva detto Hagen poco prima); adesso deve tornare verso la stessa rupe, e rema ancora... controcorrente.

Ora siamo da Brünnhilde, presso cui arriva una sorella. Il lungo racconto di Waltraute contiene un’evidente incongruenza, riguardo al legame fra l’anello e la sorte degli dèi e del Walhall. Dapprima essa afferma che Wotan aspetta dai corvi la “buona novella” che lo farebbe sorridere ancora una volta sì, ma per l’ultima volta... Ciò è esattamente quel che accadrà alla fine, ma la cosa è in contrasto con quanto da sempre ci è stato notificato: cioè che la restituzione dell’anello al Reno farebbe la salvezza di Wotan&C. E infatti Waltraute, proprio pochi versi dopo e prima di implorare la sorella di cedere l‘anello, le riferisce le parole di Wotan, che è tuttora convinto della propria redenzione, nel caso di un “bel gesto” della figlia ribelle.

Brünnhilde liquida sdegnosamente l’implorazione della sorella. Ci eravamo soffermati poco fa (nel Prologo) sul rapporto di Brünnhilde con l’Anello, sottolineando il fatto che lei ne conosce alla perfezione tutti i retroscena ed è anche informata della serietà della maledizione che grava su di esso: che i due Giganti ne sono già stati vittime glie lo hanno riferito Wotan (nella Walküre, per Fasolt) e Siegfried medesimo nel citato Prologo (per Fafner). Ma allora, perchè mai Brünnhilde non decide di liberarsene in tempo, ma compirà il nobile gesto solo alla fine del Ring, e per di più “in ritardo” rispetto al fuoco di Loge che avvolgerà Wotan e tutti gli dèi? La sua spiegazione è convincente solo fino ad un certo punto: vero è che a lei l’anello è stato donato come pegno d’amore e in modo del tutto disinteressato, da un uomo che ne ignora le drammatiche proprietà; ma è pur vero che a lei tali proprietà sono perfettamente conosciute. Invece purtroppo anche la ex-Valkiria commette un atto di superbia, come Wotan prima, Fasolt e Fafner poi: pensare di poter “controllare” le proprietà dell’anello, in sostanza di “usarlo a fin di bene” (venale o etico poco importa). Non per nulla giustifica la volontà di tenere per sè l’anello con ragioni - sul piano etico - non poi molto dissimili da quelle - sul piano venale - accampate da Alberich nel Rheingold. E ciò inevitabilmente la perderà. (Una spiegazione più banalizzante di questa incongruenza della Valchiria può trovarsi, al solito, nella sequenza di composizione dei poemi del Ring: quando Wagner scrisse la Siegfrieds Tod non conosceva nemmeno lui cosa sarebbe successo - prima-dopo - in Siegfried, Walküre e Rheingold...)

Arriva sulla rupe Siegfried, annunciato dallo squillo del suo corno. Dal punto di vista della logica, la cosa ha pochissimo senso: perchè mai Siegfried, che opera sotto le mentite spoglie di Gunther, dovrebbe “farsi riconoscere” così platealmente? Diverso il discorso dal punto di vista psicologico-musicale: quel suono annuncia a Brünnhilde l’arrivo di qualcuno, e per lei questo qualcuno non può essere - per definizione - che Siegfried. Nello scontro con Siegfried-Gunther, Brünnhilde gli oppone l’anello, ma Siegfried, dopo un breve corpo-a-corpo, glielo strappa (con maniere non meno brusche di quelle impiegate a suo tempo da “nonno Wotan” per sfilare l’anello dal dito di Alberich e poi da Fafner per strapparlo a Fasolt!) e se lo infila al dito. Vedremo fra poco come questo gesto condizioni tutto il seguito della vicenda. La logica - e le stesse parole di Siegfried-Gunther al riguardo - vorrebbe che l’anello venga poi consegnato appunto a Gunther, insieme alla Valchiria; ma ciò non avverrà… per salvare la Tetralogia!

Siegfried e Brünnhilde si preparano a passare la notte insieme ma – a differenza del primo incontro, alla fine della seconda giornata del Ring - qui Siegfried, rimanendo perfettamente fedele al patto con Gunther, di cui ha temporaneamente assunto le sembianze, pone fra sé e la ex-Valchiria la propria Nothung, a far da “custode della castità” della donna che dovrà andare in moglie al sodale. Si tratta di uno degli aspetti più controversi dell’intero Ring, dal punto di vista della plausibilità della vicenda. Ciò deriva, in primis, dalla farraginosità dei contenuti delle saghe. Cosa ci troviamo, al proposito?
- Snorri (Skaldskaparmal) ci dà questa versione, in se stessa coerente, anche se povera di contenuti drammatici e psicologici: Sigurd(Siegfried) che ha già svegliato Brynhild(Brünnhilde) - senza però unirsi a lei e senza regalarle l’Andvaranaut, l’anello di Andvari(Alberich) - si reca da Gjuki e ne sposa la figlia Gudrun(Gutrune) senza alcun intervento di filtri magici o altro trucco-inganno. Poi conquista Brynhild (nel frattempo protetta dal fuoco) in nome e per conto del cognato Gunnar(Gunther) di cui assume temporaneamente le sembianze. Passa con lei tre notti “caste” (ponendo la sua spada fra sé e la donna). Dona, solo adesso, a Brynhild l’Andvaranaut e riceve in cambio un altro anello d’oro. In seguito, facendo il bagno nel Reno, Brynhild apprende da Gudrun (che le mostra proprio quell’anello da lei donato in cambio dell’Andvaranaut a Sigurd, creduto Gunnar) che il suo conquistatore fu appunto Sigurd e non Gunnar, quindi fa ammazzare Sigurd. Poi la storia continua su un percorso divergente (per nostra fortuna!) da quello del Ring wagneriano.
- La Völsunga Saga introduce il filtro magico, che fa scordare a Sigurd il precedente legame con Brynhild. Anche qui c’è il riferimento alla spada usata come “separatore”, mentre si inverte il passaggio di anelli: Brynhild restituisce spontaneamente a Sigurd(Gunnar) l’Andvaranaut, avuto da lui nel primo incontro, anello che poi – al bagno - vede al dito di Gudrun, dalla quale è informata dello scambio Sigurd-Gunnar…
- Stessa solfa, più o meno, nel Nibelungenlied, seguita dalle orripilanti vicende con Attila e soci…

Tornando ora a Wagner: Siegfried nulla ricorda del precedente rapporto con Brünnhilde, essendo sotto l’influsso del filtro di Hagen (viceversa l’intero intreccio non avrebbe alcun senso logico). Ma allora, insinuano maliziosamente alcuni critici-spacca-capello-in-quattro, visto che lui in quel momento rappresenta in tutto e per tutto Gunther (e ammettendo che il Tarnhelm funzioni come da specifiche tecniche…) perché mai si deve mantenere casto con Brünnhilde, dopo averla eroicamente (ri)conquistata ed averle esplicitamente detto che lì, nella sua stanza, lei dovrà essere sua? Sì (continuano) perchè lei non può non essere sorpresa e non trovare strano e insolito un tale comportamento: in fin dei conti, lei crede che (anche) Gunther, dopo Siegfried, sia stato capace dell’impresa e sa che (anche) a lui è tenuta inevitabilmente a soggiacere (e difatti se l’è già presa, per questo, con Wotan…) Inoltre, in caso lei ricordasse più tardi al vero Gunther il loro rapporto avvenuto immediatamente dopo la “conquista”, Siegfried potrebbe tranquillamente giustificare, agli occhi del sodale, il suo comportamento con la necessità di rendere più “realistica” l’intera vicenda agli occhi della donna appena conquistata. Ma in tal modo lo “scandalo” verrebbe risolto, e ciò che ne consegue sarebbe del tutto evitato (con tanti saluti al resto del Ring!) A questi critici si può obiettare, con Wagner, che Siegfried ha due nobili ragioni per comportarsi in quel modo onesto: il rispetto dei patti con Gunther e la fedeltà a Gutrune. Ma poi ci si mette di mezzo anche l’anello, che Siegfried ha strappato a Brünnhilde come pegno di nozze per Gunther e che poi si tiene incomprensibilmente al dito, invece di consegnarlo al cognato, come vorrebbero la logica e quel medesimo rispetto dei patti invocato per mantenere la “castità della notte”… Insomma, Wagner stesso deve essersi reso conto che c’erano parecchi scricchiolii in tutta questa storia complicata, e si è evidentemente adoperato per (quantomeno) “limitare i danni”, in modo da poter perseguire comunque i suoi obiettivi artistici.

All’inizio dell’Atto II troviamo Alberich-Hagen: si tratta di una delle scene più strabilianti di tutto Wagner, sotto il profilo drammatico, espressivo e musicale. Val la pena intanto considerare come Wagner scolpisce gli atteggiamenti di padre e figlio: Alberich, il padre invecchiato e fisicamente malconcio, ha però ancora una carica tremenda di vitalità, che si esprime musicalmente con frasi di andamento mosso e parlata frettolosa e concitata, quella di chi ha un animo in ansia e teme di perdere definitivamente (con la possibile e temuta restituzione dell’oro alle tre Ninfe e al Reno) il suo patrimonio; Hagen, il figlio, che invece mostra una calma olimpica, quella di chi sta ormai portando a compimento un disegno perfettamente, scientificamente organizzato in tutti i particolari, che matematicamente garantirà il risultato atteso. Si confronti il rapporto Hagen-Alberich con quello - antipodico - Amfortas-Titurel nel Parsifal: là avremo un vecchio padre religiosamente rassegnato alla santa morte e desideroso soltanto di godere, una volta ancora, della beatitudine del Gral, ed un figlio dilaniato - non solo fisicamente, ma soprattutto esistenzialmente - da una ferita incurabile e conseguentemente ridotto in uno stato di spaventevole agitazione. Alberich incalza: “Ein weises Weib lebt dem Wälsung zu Lieb'...“, una saggia donna vive per l’amore del Wälso. Abbiamo qui un ulteriore indizio del fatto che Alberich sappia tutto, ma proprio tutto, di Siegfried (e quindi anche Hagen con lui…)

Siegfried è il primo ad arrivare, da solo, spostandosi alla velocità della luce (Siegfried ha davvero imparato a meraviglia a sfruttare una delle fondamentali proprietà del Tarnhelm: quella di trasportatore di materia! Solo nei film di fantascienza di due secoli dopo - tipo StarTrek - verranno inventate simili diavolerie tecnologiche): Gunther e Brünnhilde seguono a distanza, in barca. Anche qui abbiamo una gratuita smagliatura nella vicenda: Siegfried-Gunther, la sera prima, ha strappato l’anello a Brünnhilde e se lo è infilato al dito; adesso Brünnhilde passa diverso tempo in barca col vero Gunther: possibile che non noti che costui non ha (più) l’anello al dito? Però, se lo notasse, e magari ne chiedesse conto a Gunther, tutta la successiva scena-madre (al momento per Brünnhilde di veder l’anello al dito di Siegfried) andrebbe a farsi friggere!

Siegfried racconta ad Hagen e Gutrune di come ha conquistato Brünnhilde. Comprensibilmente, Gutrune si informa sui dettagli della notte trascorsa sulla roccia; Siegfried risponde, come sempre, in perfetta buona fede e dicendo la verità: non ha nemmeno sfiorato la ex-Valchiria.

Adesso devono arrivare Gunther e Brünnhilde: Hagen chiama a raccolta il popolo contro un incombente pericolo. E perché mai si dovrebbe nascondere un pericolo nell’arrivo del Re e della sua bella e giovane sposa? Ma questa non è per nulla un’incongruenza di Wagner, al contrario. È stato Hagen ad organizzare tutta la manfrina, ed ora lui vuole raccogliere attorno a sé il popolo, che gli deve servire da testimone non già di un matrimonio, ma di un autentico putiferio, da cui lui conta di uscire con l’anello al dito! Hagen istruisce i suoi guerrieri: “...traf sie ein Leid, rasch seid zur Rache!”, se Brünnhilde subisce dei torti, siate pronti a vendicarla“. Anche questo apparentemente gratuito “mettere in guardia” - perchè mai Brünnhilde, che va sposa ad un RE, dovrebbe subire torti? - si inserisce perfettamente nello scenario della macchinazione di Hagen, che è matematicamente certo dello scandalo che scoppierà di lì a poco, e ne prepara così l’atmosfera ai suoi armigeri, mettendoli sul “chi vive”.

Brünnhilde, che nulla sa del filtro di Hagen, vedendo Siegfried con Gutrune, pensa ovviamente ad un tradimento di Siegfried, che si sarebbe presto dimenticato di lei, per farsela con la principessa ghibicunga. Effettivamente Brünnhilde, fin qui, potrebbe solo accusare (ma senza prove!) Siegfried di averla tradita per Gutrune; in più, non avrebbe (ancora) alcun motivo di dubitare che fosse il vero Gunther colui che l’aveva conquistata la sera precedente. Quindi: sulla questione capitale della loro passata vita coniugale, saremmo alla sua parola contro quella di Siegfried, cosa che non basterebbe a lei, ma soprattutto ad Hagen, per reclamare la punizione dell’eroe, e addirittura la sua morte. Adesso capiremo come invece tutto ciò – con quel che segue - possa accadere… in virtù di una gratuita forzatura di Wagner. Lo abbiamo già anticipato, ma ora vediamo di preciso il perchè.

Brünnhilde vede l’anello al dito di Siegfried! Questo momento davvero topico, da cui scaturisce tutto quanto l’amba-aradam successivo, e su cui – parliamoci chiaro – si regge l’intero disegno criminoso di Hagen (e quindi l’intero disegno drammatico di Wagner) è reso possibile dall’incongruenza - invero gratuita - del comportamento di Siegfried alla fine del primo atto, laddove il nostro eroe rispetta in pieno il patto con Gunther, ma poi si tiene al dito l’anello, invece di consegnarlo al sodale. È chiaro che Wagner non poteva accontentarsi della scialba vicenda descritta nelle saghe, dove Gudrun conosce da sempre la verità e la racconta quasi per caso a Brynhild, suscitandone l’ira mortale verso Sigurd! E così, pur di conservare drammaticità e profondità artistica alla sua opera, ha dovuto fare un pesante “strappo alla logica” e al realismo.

Sorpresa di Gunther e Gutrune. Essi deducono ovviamente che Siegfried abbia “approfittato” della donna al momento di sequestrarla per consegnarla a Gunther, e chiedono a Siegfried di discolparsi dall’accusa di tradimento (nei confronti loro, non già di Brünnhilde!) Osserviamo nuovamente che lo scandalo potrebbe essere facilmente “coperto” con spiegazioni plausibili (come quella che Siegfried darà tra poco a Gunther riguardo al Tarnhelm) se non fosse per l’anello al dito di Siegfried, che dà a Brünnhilde la prova provata che fosse lui, e non Gunther, la persona che la soggiogò la sera prima, e quindi la convince della doppia valenza del tradimento di Siegfried: la prima – tutto sommato comprensibile – di normali “corna”, che non giustificherebbe la pena di morte; e la seconda – questa sì, davvero insopportabile, perché odiosa ed infame – dell’inganno deliberato! Ed è precisamente ed unicamente a questo particolare che Hagen si può aggrappare, nella quinta scena, per convincere Brünnhilde ad allearsi con lui, appoggiandone la “sentenza di morte” per Siegfried.

Siegfried nega che l’anello gli sia venuto da una donna, e ricorda di esserselo procurato a Neidhöhle, dopo aver ucciso un drago. Qui davvero non ci si può esimere dal prendere Wagner in castagna! Poiché si danno solo due possibilità. Se Siegfried è ancora sotto l’effetto della droga di Hagen, allora non dovrebbe ricordare nulla del passato e dovrebbe invece ricordare benissimo ciò che ha fatto la sera precedente, anello in primis! Quindi abbiamo un’incongruenza (il ricordo) o una – del tutto gratuita, oltre che deleteria per l’intero Ring - brutta sorpresa (Siegfried mentitore!) Se invece Siegfried sta cominciando a ricordare, allora non si capisce perché si fermi a Fafner, e non ricordi anche vicende immediatamente successive (col che, tutto il seguito del Ring sarebbe però da rifare di sana pianta!) Anticipiamo qui che Siegfried ricorderà spezzoni del suo passato in altre occasioni, nel terzo atto, fino a quando, solo dopo aver bevuto il “contro-filtro”, poco prima di morire, rievocherà anche gli avvenimenti più recenti (il primo incontro con Brünnhilde). Il che porta a ipotizzare (ma è un’ipotesi quasi offensiva per lui, poiché conduce comunque a conseguenze spiacevoli) che Wagner volesse attribuire al filtro di Hagen poteri di “intervento selettivo” sulla psiche umana, eliminando dalla memoria di Siegfried solo una parte dei ricordi (esclusivamente quella legata ai suoi trascorsi con la ex-Valchiria e all’anello) e non altre. Ma allora rimarrebbe l’incongruenza legata al ricordo dell’anello ai tempi di Neidhöhle (che ancora qui è assolutamente corretto: l’anello avuto come premio per la vittoria sul drago)… e così siamo daccapo, alle prese con una coperta che è sempre corta. Insomma, qui Wagner presta purtroppo il fianco all’accusa di irrealismo e di banalità: la perdita di memoria di Siegfried riguarderebbe solo ciò che serve, di volta in volta, all’artista per “tenere in piedi” la trama del suo Ring. Peraltro, il “convento” (di saghe e racconti) non gli passava di meglio!

Il battibecco fra Brünnhilde e Siegfried è il classico “dialogo fra sordi”, dove tutti e due hanno ragione (o torto, fa lo stesso): lei, poiché ricorda tutta la vita precedente; lui, poiché ricorda solo le ultime 24 ore (qualcuno ha provato a calcolare esattamente il lasso di tempo che intercorre fra l’assunzione della droga da parte di Siegfried e lo scoppio dello scandalo, di cui Hagen è ideatore e regista tanto ingegnoso, quanto diabolico). Per il resto, a ulteriore riprova della “perdita di controllo” su alcuni particolari, di cui Wagner mostra di soffrire (nell’intricatissimo ginepraio di tutti questi accadimenti) notiamo come Siegfried – che ha or ora negato di aver recuperato l’anello la sera prima - ricordi però benissimo la notte appena trascorsa, quando giura di aver posto la Nothung fra sé e Brünnhilde. Mah… bisognerà perdonare al nostro rapsodo queste incongruenze, per goderci la sua arte.

Hagen chiede a Brünnhilde in che modo Siegfried possa essere abbattuto. Lei risponde di averlo schermato in tutto il corpo, tranne che nella schiena, dato che mai Siegfried la potrebbe volgere al nemico. Oltre che ritrovarsi in Omero (il famoso “tallone d’Achille”) la tradizione della vulnerabilità parziale e locale di un eroe viene direttamente dalle saghe nordiche. Che ci raccontano di Balder, figlio prediletto di Odin, ucciso da una freccia di legno di vischio (l’unica cosa al mondo da cui la madre Frigg non aveva pensato a proteggerlo) fabbricata dal malvagio e vendicativo Loki.

All’inizio dell’Atto III ritroviamo le tre Figlie del Reno, i primi esseri viventi che abbiamo incontrato – quanto tempo fa, ormai? – al’inizio della grande Fiaba. È appena il caso di ricordare come – nel Nibelungen-Mythus – Wagner introduca le Ninfe solo a questo punto (all’inizio del racconto ci descrive direttamente un Alberich ammalato di “desiderio di potere”, senza spiegarcene il perchè). Il rapporto – tutto psicologico-filosofico-politico - amore-oro-potere è totalmente assente nell’abbozzo del mito scritto nel 1848, mentre diventerà letteralmente il pilastro del definitivo impianto poetico e musicale del Ring.

Siegfried chiarisce alle ninfe di aver ucciso un pericoloso drago, per procurarsi l’anello. Ancora ritorna a porsi il problema pratico della “memoria selettiva” di Siegfried. Inoltre – e qui sarebbe Wagner a dover dare spiegazioni per una palese, anche se probabilmente involontaria, inversione di nesso causa-effetto - le cose non stanno propriamente come il ragazzo le presenta alle ninfe; a suo tempo, lui può aver ucciso Fafner per millanta ragioni, ma una sola è categoricamente da escludersi: conquistare l’anello!

Siegfried ricorda alle ninfe che la sua spada mandò in pezzi una lancia: parimenti potrà tagliare il filo delle Norne. Quanto alla maledizione, già un drago lo avvertì, ma senza insegnargli la paura; altro inspiegabile e gratuito “spiraglio” nella memoria di Siegfried: ricorda del drago e dello scontro col nonno (avvenuto a ridosso dell’incontro con Brünnhilde)… ma poi ci ripete che la sua unica donna è Gutrune. E altra incongruenza di Wagner: nel Siegfried, Fafner mette in guardia il ragazzo dalla macchinazione di Mime, non già dalla maledizione di Alberich!

Dopo essere stato raggiunto da Hagen, Gunther e compari, Siegfried comincia a raccontare la sua storia, a partire dall’infanzia trascorsa con Mime. A questo punto si può anche realisticamente pensare che l’effetto del filtro di Hagen cominci a sfumare, rendendo così plausibile (anche per il concorso dell’alcool che scorre qui a fiumi…) il crescente ritorno di memoria in Siegfried. Il quale spiega che il nano gli insegnò a temprare e fondere metalli ma che lui stesso dovette ricostruirsi la spada, che Mime giudicò idonea all’impresa… A dir la verità: non è ciò di cui siamo stati testimoni nel Siegfried. Là Mime affermava di aver insegnato “la furbizia” al ragazzo che però, sul fronte della professione di fabbro, ci è stato presentato come un autentico naìf, che l’arte forgiatoria si è inventato di sana pianta e di sua testa, e vi ha avuto successo proprio perché non condizionato dalle ormai obsolete practices di Mime. Evidentemente questo racconto, inserito da Wagner nella stesura originaria della Siegfrieds Tod, riporta (fin troppo) fedelmente ciò che si legge nelle saghe, dove effettivamente Sigurd figura come apprendista del fabbro Regin (che peraltro gli forgia anche la spada Gram). Successivamente, al momento di comporre il Siegfried, Wagner deve aver pensato bene (e quanto!) di cambiare le carte in tavola, dimenticandosi però di sistemare coerentemente le cose nel Götterdämmerung.

Hagen a questo punto versa nel vino un estratto di erbe: possiamo immaginare che si tratti del “contro-filtro”, che deve far tornare completamente la memoria a Siegfried, in specie riguardo alla sua prima unione con Brünnhilde. Infatti Siegfried finalmente racconta del bacio e dell’amplesso con la Valchiria. Qui la reazione di Gunther (“in höchstem Schrecken aufspringend“ – balzando al colmo del terrore – avverte la didascalia in partitura) ci dà la prova provata della sua ignoranza dei precedenti trascorsi fra Siegfried e la ex-Valchiria. Per Hagen, ben lo sappiamo, nessuna sorpresa, anzi: l’avvicinarsi dell’agognato traguardo!

Dopo che Brünnhilde annichilisce Gutrune, paragonandola ad una ballerina e concubina, abbiamo quella che possiamo chiamare l’orazione funebre di Brünnhilde per Siegfried. Come già anticipato, nelle parole di Brünnhilde si parla di Siegfried come di un grande eroe onesto e di un grande traditore allo stesso tempo. Il concetto è di indubbia suggestività e drammaticità… ma non si accorda con i fatti ormai accertati: Siegfried ha tradito inconsapevolmente, in forza di un imbroglio, perpetrato ai suoi danni da Hagen, e perciò dovrebbe essere “assolto con formula piena”, riconoscendo in lui una vittima innocente di giochi che sono passati sulla sua testa. Al massimo gli si potrebbe rimproverare eccessiva dabbenaggine, nel momento in cui si fidò dell’ospitalità “pelosa” dei ghibicunghi. Perché, se viceversa Siegfried fosse un vero traditore, allora che senso avrebbe glorificarlo? È possibile che Wagner abbia cercato, quasi “sinfonicamente”, di far convivere due stati esistenziali di Siegfried: quello soggettivo, vissuto personalmente (l’uomo tutto d’un pezzo, sempre fedele a se stesso e sempre in perfetta buona fede) e quello oggettivo, vissuto di riflesso da Brünnhilde (un grande amatore prima, un grande traditore, sia pure incolpevole, poi).

Sulla chiusa del Ring Wagner stesso ebbe ripensamenti e incertezze: alla fine decise per un finale buono per tutte le stagioni e tutte le interpretazioni. Una cosa è certa, dalla lettura delle didascalìe: alla fine, oltre all’insignificante Gutrune e ai beceri sudditi ghibicunghi, sopravvivono al putiferio universale, e a 15 ore di musica, le tre Figlie del Reno e Alberich... cioè si torna alla casella zero!

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22 aprile, 2009

Riccardo Muti, docente

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Il Gruppo Editoriale L’Espresso ha iniziato lunedi 20 aprile un ciclo di 8 pubblicazioni (inserti settimanali di Repubblica e Espresso) che hanno come protagonista Riccardo Muti nelle vesti di maieuta, oltre e prima che di interprete. Come spiega Muti nel video di presentazione il suo metodo di insegnamento consiste nello smontare il brano musicale, proporne i pezzi smontati al pubblico, per poi rimontare il tutto e mostrare come dai singoli ingredienti si ottenga il manicaretto pronto da gustare.

La prima puntata, come poi sarà la seconda, è dedicata a Hector Berlioz, con la Symphonie phantastique, cui farà seguito Lélio, ou le retour à la vie, il melologo che Berlioz aveva programmaticamente posposto alla sinfonia.

La registrazione della prima lezione di Muti è stata fatta al Teatro Alighieri di Ravenna, con i giovani dell’Orchestra Cherubini (un’invenzione del Maestro) rinforzata da altri ragazzi, componenti di quella farulliana di Fiesole. Muti viviseziona l’opera, citando innanzitutto i particolari autobiografici che ne sono alla base, e legandoli alle note scritte in partitura; poi si sofferma su alcuni temi (in primo luogo l’idée fixe, ovviamente, di cui esemplifica, facendolo suonare ai singoli strumenti, le diverse trasformazioni - vedi i 5 esempi riportati sotto - ma anche altri peculiari passaggi della fantastica).


















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Un approccio non nuovo (mi viene in mente un ciclo ciaikovskiano di Vladimir Delman trasmesso in TV 15 anni fa) ma che indubbiamente ha una sua efficacia, rendendo meno criptico il tessuto di un’opera - in questo caso una sinfonia - anche all’ascoltatore impreparato o comunque non studioso dei particolari.

In sostanza, al di là di tutte le critiche che si possono muovere all’operazione, mi pare un’iniziativa lodevole, una di quelle piccole spintarelle che possono portare qualcuno ad entrare in una sala da concerto, a procurarsi un CD di musica classica e ...chissà, a scoprire così un intero universo.
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17 aprile, 2009

Quali cose nella Musica habbiano possanza da indur l'Huomo in diuerse passioni.















S'IO non dubitassi d'esser tenuto mordace & maldicente, uorrei hora mostrare in parte l'ignoranza & temerità d'alcuni sciocchi Compositori, non dirò Musici, moderni; i quali, perche sanno porre insieme quattro, ouer sei Cifere musicali, predicano di loro stessi le maggiori cose del mondo; riputando nulla gli Antichi & poco istimando alcun'altro de i Moderni; di modo che chi loro udisse, senza dubbio direbbe, che ualessero più costoro nell'arte della Musica, che non ualsero Platone & Aristotele nella Filosofia. Questi alle uolte, dopo l'hauersi lambicato il ceruello per molti giorni, pongono fuori alcune loro assai bene inordinate & goffe compositioni con tal riputatione & superbia, che li pare hauer composto un'altra Iliade, ouero un'altra Odissea assai più dotta di quella di Homero. Meschini che sono, si douerebbono pur'accorgere del loro errore; percioche mai si udirà, che col mezo delle lor compositioni, habbiano conseruato la pudicitia & l'honestà d'alcuna femina; come già fece uno de gli Antichi la pudicitia di Clitennestra moglie di Agamennone; come lasciarono scritto Homero & Strabone; ne meno si udirà, che la Musica loro à i nostri tempi habbia costretto alcuno à pigliar l'arme; come si legge appresso de molti, & spetialmente appresso di Basilio Magno, del grande Alessandro; ilquale da Timotheo musico qual si fusse, fù col mezo della Musica sospinto ad operare un tale effetto. Non si udirà ancora, che col canto loro habbiano fatto diuentare alcuno furioso mansueto; come mostra Ammonio d'un giouane Taurominitano; che dall'accorgimento di Pitagora, & dalla virtù del Musico, di furioso ch'era, diuentò humano & piaceuole: ma ben si ode al presente il contrario; che le uituperose & sporche parole contenute nelle lor cantilene, corrompono spesse uolte gli animi casti de gli vditori. Et se ben costoro sono degni d'ogni biasimo & d'ogni castigo; sono nondimeno più da riprendere & castigare coloro, che in luogo di ammonirli della lor pecoraggine, pigliano gran piacere & molto si rallegrano, & lodano grandemente simili cantilene; mostrando di fuori quanto bene siano composti nell'habito interiore; & di ciò non ci dobbiamo marauigliare; poi che l'Animo lasciuo (come dice Boetio) ouer si diletta e gode de i Modi lasciui; ouer che udendoli spesse uolte diuiene molle & effeminato; percioche Ogni simile appetisce il suo simile. Ma lasciamo hormai costoro; poi che questi & simili altri errori lungamente si potrebbono piangere, ma non già emendare; & ritorniamo al nostro proposito, & diciamo, che grandemente dobbiamo lodare & riuerire i Musici antichi; conciosia che per la loro virtù, col mezo della Musica, essercitata nel mostrato modo, succedeuano tali & tanti effetti marauigliosi, che 'l uoler raccontarli, sarebbe quasi impossibile; & l'affermare che ciò fusse uero incredibile. Ma à fine che queste cose non parino fauolose & strane da udire, uederemo quello, che poteua esser la cagione de tali mouimenti.

ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA,
Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Seconda Parte. Capitolo 7 (incipit). (MDLVIII)

15 aprile, 2009

Come? Un viaggio a Reims?


Scusi, per Sharm vi è mica rimasto qualcosa?

Così sembrava doversi rispondere dopo la prima del 7, accolta - a quanto riportano le cronache - da parecchi buh per cantanti e maestro Dantone. (anche perchè una settimana sul Mar Rosso oggigiorno costa all’incirca quanto un biglietto di platea alla Scala).

Ma ormai, al Piermarini, vige la regola del buona la seconda, e così ieri sera, dopo un inizio un po’ freddino, è stato proprio un crescendo rossiniano di consensi, fino al conclusivo trionfo per tutti e per ciascuno. Se poi qualche gorgheggio, soprattutto nelle cosiddette prime ottave delle signore e dei signorini (tenori) ha faticato a salire fino al loggione e se ogni tanto la banda in buca ha soverchiato qualche voce... pazienza, lasceremo precisazioni e recriminazioni ai più esperti in materia.

Pregevolissimi gli interventi sul palco del flauto e dell’arpa, Formisano e Prandina, a deliziarci con due autentiche perle dell’immensa partitura rossiniana. Carlo Colla ha stupito ancora con le sue quattro marionette ballerine, autentiche Fracci e Savignano mosse dalle mani espertissime sue e dei figli.

Inossidabile davvero la regìa di Ronconi, con un solo patema alla fine, quando sullo schermo gigante in palcoscenico si sono viste le comparse del codazzo di Re Carlo farsi Piazza Scala correndo all’impazzata (forse se l’erano presa comoda in galleria?) per arrivare - sia pur trafelate - in tempo in platea ad applaudire con tutto il pubblico sugli ultimi accordi fracassoni dell’orchestra.

Insomma, una piacevole serata che non ha fatto rimpiangere la barriera corallina.
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11 aprile, 2009

A Berlino si sono montati la testa


Sì, certo, c’è stato il 1989, il muro fatto a pezzi, la Unter den Linden e la 17 Giugno senza più soluzione di continuità, Potsdamer Platz rimessa a lustro da Piano, il Bundestag tornato a casa dal paesino di provincia dov’era relegato dalla disfatta del Terzo Reich... ma forse a Berlino esagerano, credendosi l’ombelico del mondo.

Ecco come la Tageszeitung (TSZ) commenta l’ultima impresa artistica (l’Armida di Gluck) del solito Calixto: sotto il titolo - di per sè inequivocabile - sexy-teatro erotomane, si legge quanto segue: “...qualcosa di così radicale e disinibito che solo a Berlino è oggi possibile (vedere). Il sexy-teatro erotomane di Bieito in ogni altra città sarebbe uno scandalo, mentre a Berlino viene compreso ed acclamato.”

No, non vi montate la testa, amici berlinesi: il vero scandalo è che uno dei vostri tre teatri d’opera inviti - un giorno sì e l’altro pure - registi come Bieito a sfogare le loro turbe psichiche, e che tanta gente - evidentemente amante del porno e non dell’opera - paghi per assistere a simili idiozie.
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Qui da noi siamo più ruspanti: ai pornostar gli facciamo fare la pubblicità delle patatine.
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10 aprile, 2009

Crepuscolo o gral?

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Sì, va bene, può capitare anche alla RAI di incappare in sviste grandi e piccole. In un sottotitolo, poi...

Però appiccicare a Götterdämmerung l’etichetta di Parsifal è un pochino troppo.
(o anche la Fura si è papizzata?)
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Ps: nella locandina dettagliata poi, compare in coda a Wagner un pezzo di annuncio della Julie di Boesmans andata in scena a Bolzano a gennaio scorso.
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Ma noi, imperterriti, continuiamo a pagare il canone!
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Ed emesso un alto grido, spirò...

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09 aprile, 2009

Bayreuth: largo ai giovani (!?)


A Bayreuth, oltre al tempio wagneriano, esiste anche un’Università, di cui uno degli Istituti di Ricerca si occupa - toh, che strano! - di teatro musicale.

Adesso la direzione del Festspielhaus ha avuto una nuova idea: coivolgere studenti di quell’Università nella redazione dei programmi di sala - con particolare focalizzazione agli allestimenti - del Festival.

L’idea è di presentare qualcosa di diverso dalle solite belle immagini e dai testi ormai risaputi. Ci saranno almeno 120 pagine in tre lingue: tedesco, inglese e francese (e gli arabi? ndr).

Oggi sono 15 gli studenti che collaborano all’impresa con i Bayreuther Festspiele.

Consci dei possibili effetti non propriamente edificanti sul valore dei libriccini, i responsabili dell’iniziativa sono già corsi ai ripari: i nuovi programmi di sala si potranno acquistare per meno di 10 €.
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07 aprile, 2009

Rincorrendo Beethoven


Nel bel mezzo dell’Alaska, precisamente a Fairbanks, sede di un’importante Università, si tengono varie celebrazioni dell’inizio della primavera e dell’estate. Il 22 giugno si corrono i 10Km del Midnight Sun Run (la corsa del sole di mezzanotte) e vengono stilate classifiche per tutte le tipologie di concorrenti (sesso, età, handicap, etc.)

Un certo Steve Bainbridge, oggi sessantenne, è sempre fra i primi della sua fascia di età. Che c’entra con la musica? Ecco: Steve intanto è membro del Consiglio di Amministrazione della Società che gestisce l’Orchestra Sinfonica di laggiù. Ogni anno, per raccogliere fondi per l’Orchestra, viene organizzata (siamo alla 16ma edizione) una singolare gara podistica: la Beat-Beethoven-5K. Per 25$ ci si può iscrivere per cercare di battere Beethoven. Come? Correndo i 5Km del percorso (attorno al Campus della locale Università dell’Alaska) in un tempo inferiore alla durata (fra 30 e 31 minuti) dell’esecuzione della quinta del maestro di Bonn, suonata dall’Orchestra Sinfonica da sostenere e diffusa da altoparlanti posti lungo il percorso. Come premio si vince un biglietto per uno dei concerti della stagione.

Ma Steve Bainbridge sostiene qui un ruolo speciale: impersona proprio Beethoven che corre, coprendo i 5 Km nel tempo esatto della durata della quinta. Per vincere il premio, i concorrenti dovranno perciò fisicamente arrivare al traguardo davanti al sommo Ludwig.

Americanate?
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06 aprile, 2009

Il gran ritorno di Abbado


Grande fermento in giro per l’annunciato ritorno di Claudio Abbado alla Scala.

Verdi (non Giuseppe!) ed ecologisti in tripudio per i 90.000 alberelli che verranno piantati come pagamento del ri(s)catto abbadiano (Penati - ma sarà poi rieletto a giugno? - e la zia Letizia hanno già in mano zappe e badili). Del resto bisogna pur compensare i 90.000.000 di metri cubi di colate di cemento che caleranno su Milano e dintorni in vista dell’Expo...

Due concerti soltanto (più uno per i giovani) a giugno 2010, con l’ottava di Mahler: evidentemente per avere di più si sarebbe dovuto trasformare la Lombardia in Amazzonia2...

Il tutto da immortalare in DVD, una copia del quale verrà seppellita sul monte Olimpo a futura memoria della nostra civiltà (e se le vendite andranno bene, si pensa di spedirne una anche su Marte, con la prossima corsa del Voyager).

Non è chiaro ancora il luogo delle rappresentazioni: il teatro del Piermarini, nonostante la ristrutturazione gli abbia ampliato il fondo-sc(hi)ena, pare inadeguato ad ospitare più esecutori che spettatori (e non si potrebbe usare il palco reale per metterci gli strumentisti che Mahler vuole Isoliert postiert, poichè lì ci sarà una gran ressa di gente che si dichiara cultore della musica, e contemporaneamente taglia i fondi che servono a produrla).

Dato il contenuto dell’ottava (un miscuglio di vespro e di oratorio, con vaghi richiami alla madunina) si era pensato al Duomo, con fastosa cerimonia di ingresso del Maestro e dei musicisti, usciti dal Teatro, seguiti dal corteo di notabili, uscito da Palazzo Marino, dopo attraversamento della galleria Vittorio Emanuele in un tripudio di folla. Ma Tettamanzi ha negato l’agibilità, temendo di perdere il posto.

Così è possibile che ci si troverà in un Palasport, scelto fra i diversi disponibili in zona. Egoisticamente mi augurerei che la scelta cada sul Palasesto (fatto costruire anni fa - toh! - da Penati) a un tiro di schioppo da casa mia... ma temo che rimanga un pìo desiderio (anche perchè si vocifera che la struttura possa essere abbattuta nel frattempo, essendo incompatibile con la vision post-falck di Piano).

Infine, occhio alla cabala e ai menagrami! A proposito di agende riempite a distanza di più di un anno, c’è chi ricorda (si legga il commento di Andew Powell su OperaChic) che Leonard Bernstein aveva in programma la registrazione proprio dell’ottava, per chiudere il suo terzo ciclo mahleriano con la NYPO, a fine 1990. Ma il grande Lenny non arrivò mai a quell’appuntamento...
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04 aprile, 2009

Götterdämmerung al Maggio: primi indizi

In attesa di assistere dal vivo, e di giudicare soprattutto musicisti e cantanti (della Fura e di Padrissa sappiamo ormai abbastanza per non doverci aspettare nè scempiaggini, nè arditezze da Regietheater, il che con Wagner è già qualcosa...) si possono vedere in rete alcuni bozzetti dei costumi dei protagonisti, disegnati da Chu Uroz. La provenienza delle immagini non è segnalata sul sito che le linka, ma credo non si debba dubitare della loro autenticità, visto che una delle immagini (le Norne) è già presente sul sito del Maggio. Non c’è Siegfried, e nemmeno Alberich, c’è una Brünnhilde versione sado-maso (e quindi tralasciamo commenti, evitando anche di immaginare i relativi possibili scenari) mentre ci sono le Norne (che, invece di tessere il filo, vi si sono appese) più alcuni bozzetti sui personaggi Ghibicunghi: Hagen, Gunther e Gutrune.

Certo da pochi disegni non c’è molto da decifrare o da ipotizzare o da indurre sull’insieme dell’allestimento del dramma, ma una piccola obiezione si può avanzare (è chiaro che stiamo ragionando sulle sabbie mobili, poichè tutto potrebbe cambiare prima del 29). Come si può verificare, parrebbe che i due fratelli “ingenui” (G&G) vengano abbigliati, come il fratellastro “cattivo” Hagen, con abiti che recano i simboli del denaro. Ecco, questa sarebbe davvero una generalizzazione gratuita e francamente fuori luogo: Hagen è certamente assetato di oro, e dal padre spinto al recupero dell’anello a tutti i costi, ma Gunther e Gutrune, figli di sovrani, non sono certo mossi dalla fregola di arricchirsi di più. Il loro comune desiderio è di trovare, rispettivamente, una moglie ed un marito degni del loro (presunto) blasone. Al proposito la domanda che Gunther pone ad Hagen in apertura del primo atto è quanto mai esplicita: “Wen rätst du nun zu frein, dass unsrem Ruhm' es fromm'?“ “Chi consigli tu, dunque, di sposare,che porti a nostra fama giovamento?” (come traduce impeccabilmente il grande Guido Manacorda). Ed è infatti toccando questo tasto che il cattivone li trascinerà in un’avventura a pessimo fine.

Speriamo che magari Chu ci ripensi, e lasci i simboli di dollaro, yen, euro, sterlina etc. solo sulla giacca di Hagen (e magari su quella di Alberich) e li tolga invece dalle vesti dei due regali ghibicunghi, che almeno si meritano le attenuanti generiche per la loro complicità nell’omicidio di Siegfried...

Se Bardi l’avesse previsto...

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Il Corriere della Grisi riporta in primo piano l’ormai annoso problema delle regìe di opera, pubblicando un decalogo di regole di comportamento cui i registi - e i loro datori di lavoro, sovrintendenti e direttori di teatri - dovrebbero attenersi, allo scopo di limitare, da un lato, il fenomeno della sistematica distorsione della natura delle opere, e dall’altro di calmierare i costi di allestimenti che coniugano la scelleratezza artistica con un ormai insostenibile sperpero di risorse del contribuente.

Di certo v’è da chiedersi se Giovanni Bardi avrebbe deciso lo stesso di fondare la sua Camerata, se avesse previsto che fine avrebbe fatto l’opera lirica, anzi il dramma per musica da lui così fermamente voluto, a 500 anni di distanza.

Perchè - purtroppo - ciò che Bardi inventò è una cosa talmente speciale e unica al mondo che - unica, appunto, fra tutte le arti - si presta alle più stampalate (o anche serie a volte) manipolazioni, adulterazioni, ai più grotteschi o cervellotici stravolgimenti fra ciò che l’Artista autore aveva ideato e scritto sulla carta e ciò che un tizio, chiamato regista, si arroga il diritto di mettere in scena. Colui che dovrebbe essere il servo di quell’opera e quindi della volontà del suo Autore, è oggi assurto al ruolo di libero ricreatore dell’opera originale. E spesso e volentieri si tratta di ricreazioni che andrebbero gratificate mettendo il ricreatore a ricrearsi nell’ora d’aria di un carcere. Invece sono ricompensate con cachet milionari.

Tanto per fare un esempio, ve lo immaginate un regista che ambientasse l’Enrico IV ai giorni nostri, calando il Re d’Inghilterra, che so, nei panni del George W. Bush che si appresta a far guerra all’Iraq, dopo aver messo a ferro e fuoco l’Afghanistan? Sentite come esordirebbe il 43:

Scossi ancor come siamo
e spalliditi dai recenti affanni,
non concediamo tuttavia respiro
a questa nostra spaurita pace
e, con voce pur rotta dall’affanno,
ritorniamo a parlar dell’altra guerra
da portare su più lontani lidi.

Una gran farsa, diciamolo pure, nulla più. E infatti nessuno ha avuto - per ora almeno - il coraggio di proporre una simile stupidaggine.

Invece un Bieito qualunque può impunemente rappresentare il Ratto ambientandolo in un postribolo, con sesso orale esplicito... tanto c’è la musica di Mozart che lo salva, e il pubblico medio poco bada alla “trama”, addirittura alle parole e al fatto che il regista abbia stravolto la prima e manipolato le seconde. Perchè se la performance musicale è di livello, si passa sopra anche alle più bieche idiozie del regista, anzi quasi le si apprezza perchè allora sembrano dare un tocco di vita e di novità ad oggetti che altrimenti apparirebbero, appunto, come ammuffiti in un museo (oh, che barba, rivedere la Gioconda di Leonardo per la ventesima volta; godiamoci quella baffuta di Duchamp, che è più moderna!) Sembra poi un paradosso, ma quanto più le regìe sono strampalate ed arbitrarie, tanto più necessitano di un’esecuzione musicale (canto e orchestra) di primissimo ordine, poichè il pubblico in fin dei conti è andato lì principalmente per ascoltare la musica e apprezzare il canto, non perchè attirato dalla profondità dei testi o dalla plausibilità della trama (manco per Wagner... che è tutto dire).

Sul fronte più serio, i Carsen e gli Herheim, come i loro maestri-brechtiani-DDR-impastranati alla Götz Friedrich, mettono in scena spettacoli che sono - in se stessi - delle opere d’arte ma, appunto, sono il Parsifal di Herheim (non di Wagner) o l’Alcina di Carsen (non di Händel).

Oggi si arriva ormai (Carsen docet, proprio con Alcina) a far forza alla musica, con tagli anche sostanziali precisamente funzionali allo stravolgimento che il regista ha fatto del soggetto. Domani, per le stesse ragioni (modernità, appeal verso il pubblico, innovazione) si arriverà anche ad intervenire sui righi, sull’orchestrazione, e così via.

A ben pensarci, ne può uscire un business enorme: basta immaginare quante versioni diverse, una più interessante dell’altra, si potrebbero scrivere del Fidelio, del Lohengrin, dell’Otello!
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01 aprile, 2009

Bigini d’opera

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A.C.Douglas ci segnala - da youtube - questo simpatico riassunto di famose opere liriche e drammi musicali.

Cui una scolaresca ha già risposto, con questo altro bigino, francamente più banale; e con l’aggravante, per tale scolaresca, di essere parte della Tulsa School of Arts and Sciences.

Se non altro - a voler per forza essere ottimisti - constatiamo che l’opera resta ancor oggi un oggetto di curiosità e uno spunto per più o meno umoristiche composizioni.
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