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25 marzo, 2025

Alla Scala l’opera seria ridicolizzata da Calzabigi-Gassmann

Il progetto della Scala di rivisitazione del melodramma del ‘700 si materializza in questa stagione con un’opera che solo relativamente di recente (1994) è stata riportata alla luce (da René Jacobs) dopo aver conosciuto un grande successo a Vienna proprio alla fine del ‘700, seguito purtroppo da un totale oblio.

L’opera seria fu dovuta alla collaborazione dei due personaggi di spicco – nessuno dei due viennese! - del teatro musicale di Vienna dell’epoca (1769): il librettista Ranieri de’ Calzabigi, già collaboratore di Gluck (Orfeo, Alceste) dopo il pensionamento di Metastasio, e il compositore di origini boeme Florian Leopold Gassmann, fattosi le ossa in Italia (Venezia, in particolare). 

Il soggetto mette programmaticamente alla berlina le degenerazioni del melodramma (per intenderci, quello pre-mozartiano) e soprattutto del suo ambiente: teatri, impresari, librettisti, compositori e – ovviamente – cantanti e relative claque, pubblico compreso. Come crudamente esplicitato da Calzabigi nella prefazione al libretto:

Il soggetto rappresenta le ultime fasi di prova e la successiva rappresentazione di una nuova opera, ergo è un tipico esempio di teatro-nel-teatro. I primi due atti in cui si struttura ci portano infatti a casa dell’impresario, tale Fallito (Tradito, in partitura, per mettere subito in chiaro lo scenario) dove sono convenuti gli autori e gli interpreti per il briefing (Atto I) e la prova al clavicembalo (Atto II). L’atto conclusivo è ovviamente ambientato in Teatro, dove si registra il disastroso flop dell’opera seria, con lo spettacolo interrotto, dopo sole quattro scene, dalle intemperanze del pubblico e poi salvato solo dal provvidenziale balletto che subentra all’opera per calmare gli animi degli spettatori inferociti.

La scena conclusiva si svolge nei camerini, con i commenti di protagonisti e parenti e la simpatica scoperta che l’impresario si è dileguato con… la cassa! Ma la conclusione dell’opera sarà solo apparentemente disfattista nei confronti del mondo del teatro musicale, anzi: i protagonisti del clamoroso flop, traendo la giusta lezione dall’accaduto, matureranno, ciascuno per la propria professione, animosi propositi di riscatto e volontà di non mollare. Quindi una visione tutto sommato ottimistica sul futuro del melodramma!

Ecco qui i personaggi dei primi due atti e della scena finale, collegati a quelli dell’opera seria, intitolata L’Oranzebe, che Calzabigi mutuò piuttosto vagamente da Aureng-Zebe (Imperatore Mogul) di John Dryden (1676). Come si vede, gli interpreti dell’Imperatore e del suo Capitano non sono presenti alle prove, né cantano nell’opera:

Oltre a quello dell’Impresario e degli autori, anche i nomi dei principali componenti del cast sono scopertamente e parodisticamente allusivi. Le madri delle tre signore del cast intervengono solo nella scena finale, dando il loro valido contributo al tutti-contro-tutti che chiude l’opera in tragicomica farsa.

Il testo di Calzabigi, e la musica di Gassmann a ruota, sono proprio rappresentativi di due mondi dall’estetica assai diversa: il vecchio, incarnato da Metastasio, e il nuovo, del quale Calzabigi e Gassmann (e prima di lui l’ultimo Gluck) erano divenuti i campioni.

Non è quindi un caso che l’opera seria (L’Oranzebe, appunto) di cui la comedia di Calzabigi celebra il fallimento, sia mutuata come soggetto e testi proprio da Metastasio. E in particolare, come ha osservato il prof. Lucio Tufano (Sulle tracce di Oranzebe. L’opera seria di Calzabigi e Gassmann) che i quattro personaggi principali de L’Oranzebe e la vicenda che li lega fra loro rispecchino da vicino quelli del libretto metastasiano di Adriano in Siria: libretto evidentemente ben noto a Calzabigi, che a quel tempo era collaboratore del Poeta cesareo.

Una caratteristica peculiare del libretto (la scena sesta del second’atto ne è la testimonianza più smaccata) consiste nella stretta rete di relazioni fra la commedia (e i suoi personaggi) e l’opera, i cui personaggi saranno incarnati da quelli della commedia. Alcune di queste relazioni sono messe in evidenza nella succinta sinossi dell’opera, che segue più sotto.

Però, attenzione: nel terzo atto, dell’opera seria L’Oranzebe ascolteremo solo quattro scene e proprio nulla di ciò cui abbiamo assistito nella prova! La tabella che segue è una mia personale rielaborazione di quella presentata nel citato lavoro di Lucio Tufano. Mostra i riferimenti all’opera seria L’Oranzebe (atto III) che troviamo nei primi due atti (la comedia) relativi alle prove: tutti riferimenti irrisolti, evidentemente a parti dell’opera virtuale (L’Oranzebe, appunto) successive alla scena 4, quando avviene l’interruzione.


Comedia L'opera seria => Opera L'Oranzebe / Riferimenti irrisolti
I-1  propositi dell'impresario Fallito: eliminazione 40 versi di recitativo   
                                                          eliminazione dell'aria del fulmine 
                                                          eliminazione dell'aria del rusignolo 
                                                          eliminazione del minuetto
                                                          taglio di metà duetto
I-10 vanterie del librettista Delirio:   scena della battaglia
                                                         aria di Rossanara Pallid'ombra del misero amante
II-1 Diatriba sull'aria di Nascareno (interprete Ritornello) che va rifatta
II-3 Il librettista Delirio mostra a Ritornello il nuovo testo (Quel nocchier)
II-4 Il compositore Sospiro decide di usare la musica di Col tuo dolce amico oblio
II-5 Aria di Rana (Barbara! E non rammenti) cantata dal compositore Sospiro
II-6 Recitativo Nasercano (Abbastanza finora)
      Aria Saebe (No, crudel d’amor capace)
      Duetto Rossanara-Nasercano (Ah non mi dir così)
      Recitativo Rana (Già propizio à miei voti)
      Aria Rana (Delfin che al laccio infido)
      Aria Rossanara (Pallid’ombra del misero amante)
      Aria Nasercano (Quel nocchier)

In effetti, indovinare la trama dell’opera seria L’Oranzebe dal qualcosa di frammentario, che ascoltiamo durante la prova, e il poco che accade a teatro prima della sospensione, è impresa ardua assai!

Sinossi dell’opera

SINFONIA

ATTO I – Preliminari della preparazione dell’opera seria L’Oranzebe

Introduzione strumentale.

Scena 1. I due autori della nuova opera L’Oranzebe, Delirio e Sospiro, si complimentano a vicenda per la sublimità di testi e musica [Duetto, poi Terzetto Oh che bell’opera! Che bella musica!]; arriva però l’impresario Fallito [Con quell’estro bizzarro poetico] che poco dopo strapazza testo e musica [Aria Signor Delirio, tante sentenze]. I due Autori protestano, ma l’impresario è inflessibile e annuncia tagli di arie, recitativi e minuetti.

Scena 2. I due sfortunati autori non possono far altro che disperarsi [Duetto Ho di fuoco nel petto] imprecando contro l’impresario, il teatro e la città.

Scena 3. Arriva ora la primadonna Stonatrilla, issata su portantina dai suoi lacchè [Cavatina Camerieri! Staffieri! Lacchè!] A proposito di relazioni commedia-opera si noti come, nel L’Oranzebe, lei interpreti il personaggio della principessa Rossanara, che entrerà in scena proprio portata su un baldacchino! Si lamenta per l’accoglienza dimessa e per non aver potuto ancora provare gli abiti di scena. L’impresario cerca maldestramente di scusarsi.

Scena 4. Rientra il compositore e Maestro di Cappella, Sospiro, poi ecco Porporina, destinata ad interpretare, en-travesti, l’Ufficiale delle armate Mogul. Nascono subito attriti fra lei e la prima donna Stonatrilla [Aria Ragazzuccia, mettete giudizio]. L’impresario cerca invano di sedare lo scontro. Anche qui, nell’opera le due cantanti interpreteranno ruoli che le vedranno divise da opposti sentimenti.

Scena 5. Altro scontro: fra Porporina e il compositore Sospiro, suo spasimante, reo di averle composto un’aria modesta. Lui per tranquillizzarla gliela canta e se ne va. [Aria di Porporina, cantata da Sospiro, Cari quegli occhi amabili].

Scena 6. Arriva ora la Smorfiosa, cui Porporina confessa di snobbare il compositore, ma di tenerlo buono per… la pensione, quando potrebbe tornarle utile. La Smorfiosa si lamenta dei sarti che le hanno provato l’abito di scena, gente rozza e puzzolente; propone di chiedere che siano sostituiti da cavalieri.

Scena 7. Ecco ora presentarsi il primo musico (un castrato, all’epoca) Ritornello [Cavatina Benchè da te lontano]. Smorfiosa subito lo sequestra chiedendogli aiuto e conforto per la recita imminente. Porporina coglie al volo la situazione e si allontana, cantando un’aria alle due… tortorelle [Aria Più non si trovano fra noi le mutrie]. Anche qui, nell’opera seria, Ritornello e Smorfiosa si caleranno nei panni di un condottiero e della sua nobile preda di guerra…

Scena 8. Rimasti soli, Ritornello e Smorfiosa possono liberamente abbandonarsi ai propri sentimenti e lei gli canta un’aria piena di sdolcinato languore [Aria Mio dolce amorino]. Che anticipa ciò che accadrà nell’opera seria!

Scena 9. L’Impresario Fallito incontra ora tale Passagallo, compositore e coreografo dei balli che accompagnano l’opera. Costui convince il riluttante impresario a scritturare due coppie di famosi ballerini che sono lì di passaggio [Aria Vedrete che salti].

Scena 10. Rimasto solo, Fallito si abbandona ora ad una lunga esternazione [Recitativo accompagnato Maledetta l’impresa] colma di pessimismo e di amarezza per la vita stentata che conduce, piena di ostacoli e scarsa di soddisfazioni. Arrivano Stonatrilla e il librettista Delirio che hanno saputo dei ballerini e intendono visionarli. Poi Delirio assicura Fallito che lo spettacolo potrebbe essere un gran successo [Aria State attento a quest’Oracolo] soprattutto per una scena di battaglia e per merito delle qualità attoriali di Stonatrilla (e ovviamente dei suoi testi, come l’aria di Rossanara) ma che la musica rischia davvero di mandare tutto a meretrici!

Scena 11. Assemblea generale per verificare costumi, spartiti e tutto quanto serve allo spettacolo. Sorgono problemi a non finire, e tutti maledicono il teatro e quella loro vita insopportabile! [Concertato finale Io vi giuro mie dive adorabili. Stretta Che veleno mi bolle nel petto!].

ATTO II – Prova al clavicembalo di alcuni numeri importanti dell’opera seria L’Oranzebe

Scena 1. L’impresario Fallito incontra gli Autori di testo e musica, che stanno ancora reciprocamente congratulandosi per la sublime qualità dei rispettivi prodotti. Ma subito nascono i primi contrattempi: Ritornello (protagonista come Nasercano nell’opera) non gradisce per nulla la sua aria del torrente e chiede che venga rifatta. Librettista e compositore si palleggiano la responsabilità e la precedente armonia di intenti si sbriciola rapidamente, culminando in autentica rissa, con scambio di accuse e reciproche denigrazioni [Terzetto Asinaccio! Ignorantaccio!]. Fallito comincia a temere il peggio [Ora sì, siamo aggiustati].

Scena 2. Il librettista Delirio torna dall’Impresario e miracolosamente consegna il nuovo testo dell’aria, scritto – a dir lui - a gran velocità dopo un incontro con il protagonista Ritornello! Fallito lo mette in guardia: che non gli venga in mente, un domani, di far l’impresario [Aria Se di fare l’impresario] poiché farebbe una gran brutta fine… 

Scena 3. Il librettista Delirio incontra il protagonista Ritornello, che è lì per chiedergli di cambiare la sua aria. Scopriamo così che Delirio aveva già modificato il testo ancor prima di incontrarlo (come aveva riferito a Fallito). Il librettista chiede al cantante di leggere il nuovo testo (drammatico, un marinaio che sfida Scilla e Cariddi e vi fa naufragio) e ne corregge i continui errori di lettura [Duetto Quel cocchier]. Poi lo invita spocchiosamente a studiarlo bene, mentre sta arrivando il compositore, che dovrà riscriverci le note.

Scena 4. Il compositore Sospiro incontra quindi Ritornello, che gli propone il nuovo testo di Delirio da musicare. Il compositore lo mette in guardia da questi cambiamenti all’ultimo momento, che potrebbero metterlo in gran difficoltà. Ma, alle insistenze del cantante, che ha già sparsa in giro la voce del cambiamento, chiede di vedere il nuovo testo. E magicamente scopre che vi ci si adatta a meraviglia la musica di un’aria languida (un innamorato che invita l’amata a stendersi con lui sull’erba, vicino ad un ruscelletto) che lui aveva composto per una recita a Milano, dove Ritornello l’aveva cantata con gran successo. Ritornello la ricorda a memoria [Aria Col tuo dolce amico oblio]. E così l’affare è concluso con reciproca soddisfazione: e chi se ne frega se testo (drammatico) e musica (sdolcinata) fanno letteralmente a pugni (il pubblico si berrà tutto senza neanche capirlo).

Scena 5. Il compositore Sospiro incontra adesso la sua amata Porporina, che gli chiede di sentire al cembalo la sua aria (da cantarsi nell’opera da parte dell’Ufficiale Rana, che lei interpreta en-travestì) appena rimaneggiata dal compositore. Sospiro ne canta [Aria Barbara! E non rammenti] le prime due strofe e Porporina ne rimane affascinata, ma interrompe il canto di Sospiro senza fargli finire la ripetizione della strofa iniziale: un’aperta critica alle convenzioni metastasiane.  

Scena 6. Arrivano tutti gli altri interpreti, per la prova d’insieme. Ne mancano due (l’Imperatore Mogol e il suo Capitano Rutleno) ma si passa sopra al loro ritardo, data la scarsa rilevanza delle due parti. Inizia Ritornello (=Nasercano) con il suo recitativo accompagnato [Abbastanza finora] apprezzato nonostante il raffreddore che lo affligge. Librettista e compositore fanno qua e là osservazioni e correzioni. Poi arriva Smorfiosa (=Saebe) con la sua aria [No, crudel d’amor capace] preceduta dall’ultima parte del recitativo [Va! Sul tuo capo] e accolta con entusiasmo da compositore e da Ritornello, mentre il librettista Delirio non manca invece di criticare la musica per le sue bizzarre trovate, al che Sospiro si inalbera, accusando il librettista di passatismo. Arriva ora un duetto con Stonatrilla=Rossanara e Ritornello=Nasercano [Ah non mi dir così] che alcuni accolgono come sublime, mentre il librettista ancora critica le note. Ora c’è il recitativo [Dove corri, Rutleno] con Porporina (=Rana) e… tale Gastigo (=Rutleno) che però è sempre assente, sostituito dal compositore. Che poi decide di saltare la successiva aria di Porporina, in quanto lunga e noiosa (e a base di… tonni e delfini); ma Delirio insiste e così Porporina, dopo un recitativo accompagnato [Già propizio à miei voti] canta la sua aria [Delfin che al laccio infido] piena di virtuosismi, picchiettati e sovracuti, accolta dai lazzi del compositore, di Ritornello e di Smorfiosa, mentre il librettista difende altezzosamente i suoi versi. Ora tocca a Stonatrilla (=Rossanara) che si esibisce nella sua drammatica scena, uno dei brani-chiave dell’opera, che inizia con un lungo, cupo recitativo accompagnato [Dove son! Che m’arriva!] seguito da un’aria invero massacrante [Pallid’ombra del misero amante]. Il librettista si raccomanda la recitazione, fondamentale per rendere al meglio il dramma di una donna che, dando per morto l’amato, si vorrebbe suicidare. Il compositore pretende che le venga messa in mano una coppa con il veleno, che qualcuno surroga con un calamaio! Alla fine dell’aria ecco i soliti commenti simmetrici, fra chi resta rapito/disgustato dai versi e chi dalla musica. Il coreografo Passagallo chiede di provare il balletto, ma ancora manca la nuova aria di Ritornello (=Nasercano) di cui si sono occupati gli Autori nelle Scene 1>4. Ritornello [Aria Quel nocchier…] ripete gli stessi errori di lettura fatti nella Scena 3, provocando le nuove proteste di Delirio, che interrompe bruscamente il canto, oltretutto lamentando che la musica (quella languida, con oboe e sordini, affibbiata al testo drammatico dal compositore nella Scena 4) faccia a pugni con i suoi versi. Ritornello riprende l’aria [Ei ben scorge il rio periglio] ma non fa che suscitare altre ire del librettista, che incolpa il compositore di aver rivestito il suo testo con musica totalmente inadatta! Porporina sta con il compositore, Stonatrilla con il versificatore, l’Impresario per calmare le acque fa provare il balletto di Passagallo.

Con una breve introduzione strumentale inizia ora [Conoscete eh Porporina?] il concertato finale dell’Atto secondo. Una Ballerina viene presa di mira dai salaci commenti di tutta la compagnia di canto, che irride la danzatrice, brava a costruirsi la fama con le… gambe! Tutto il corpo di ballo, con Passagallo in testa, si ribella alle insinuazioni e ne nasce un progressivo crescendo di offese e contro-offese, che sfocia in un autentico parapiglia, interrotto da un poderoso colpo di tamburo! Che annuncia l'arrivo delle guardie (fatte chiamare da Fallito) per sedare il tumulto, che si spegne lentamente fino alla profetica esternazione finale del coreografo: sarà il suo ballo a salvare l’opera dalla bancarotta!  

ATTO III – Rappresentazione dell’opera L’Oranzebe e sua infausta conclusione

SINFONIA

Marcia trionfale.

Scena 1. Il Generalissimo Nasercano (=Ritornello) capo dell’Armata Mogol, rientra trionfalmente nella capitale dell’Indostan, Agra, dopo aver sconfitto i nemici dell’Impero [Recitativo accompagnato Valorosi guerrieri e Aria di bravura Se con voi do in braccio al vento]. Con lui la regina indiana Saebe (=Smorfiosa) in catene, che si lamenta del trattamento subito [Recitativo accompagnato Signor, soffersi assai]. Nasercano mostra comprensione [Non io, bella regina] e Saebe gli riconosce dignità [Di te non so dolermi] e confessa di amarlo [Aria Saprei costante, e ardita]. Nasercano [Quel tuo timor fa torto] si dice certo che l’Imperatore saprà riservarle addirittura il ruolo di Regina.

Scena 2. Rana (=Porporina) Ufficiale delle armate Mogol, accoglie Nasercano come eroe nazionale e gli annuncia [Recitativo accompagnato Presenta a Nasercano] la visita di Rossanara (=Stonatrilla) la sorella dell’Imperatore.

Scena 3. In Recitativo accompagnato Rossanara a sua volta si profonde in lodi per l’eroe nazionale [Duce, tornasti alfin] lasciando trasparire il suo amore per lui. Nasercano [Principessa gentil] la ringrazia per la sua stima e le presenta Saebe, affidandola alla sua benevolenza. Rossanara, turbata alla vista della regina indiana prigioniera, comincia a sospettare che lei sia innamorata di Nasercano [Aria di bravura No, se a te non toglie il fato].

Scena 4. Saebe scopre la gelosia di Rossanara [Recitativo accompagnato Rossanara è gelosa] e questo è per lei buon segno. Ma anche Rana, che evidentemente cova mire sulla sorella dell’Imperatore, comincia a sperare. Nasercano si preoccupa allora di tranquillizzare Rossanara.

XXX

È precisamente a questo punto che il pubblico inferocito interrompe la recita: tutti i protagonisti scappano dietro le quinte e il sipario viene abbassato. Si presenta allora Passagallo [recitativo Riveriti signori] che propone al pubblico un… passaballo, promettendo mirabilie [Aria I miei balli son tanti miracoli] come un qualunque navigato piazzista. 

Musica del Ballo.

Scena ultima. Nei camerini e corridoi del teatro si discute del mortificante flop. Le tre cantanti sono raggiunte dalle rispettive madri (anche queste dai nomi allusivi: Caverna, Befana e Bragherona). Ritornello e Passagallo discutono della qualità di testo e musica: il primo li difende, aggiungendo che di norma il pubblico viene a teatro per chiacchierare, giocare e cenare, senza curarsi troppo dello spettacolo… Il secondo riporta alcune reazioni del pubblico: il soggetto è puerile, innaturale, i personaggi senza carattere, i contenuti bambineschi; e quanto alla musica: il compositore si limita a scopiazzare da altri, senza ispirazione e arte, è un ciabattino, non un maestro. Ritornello ribatte che le stesse critiche si potrebbero fare a tutti gli autori e compositori di questo mondo. Il librettista Delirio non si scoraggia per l’insuccesso: la strada per il Parnaso è faticosa, e anche illustri letterati vi han fatto naufragio. Ora inizia una sezione con accompagnamento, protagoniste le mamme [Bragherona: Ohè dico, Caverna, ascoltate!] durante la quale le tre megere si scontrano, ciascuna denigrando le figlie delle altre due, con ampie citazioni di manchevolezze, incapacità e fiaschi collezionati in ogni teatro. Vengono rinchiuse nei camerini, mentre gli altri si chiedono che fare, e come minimo di avere il compenso. Ma si scopre che Fallito è fuggito col malloppo! Generale sconcerto (mamme comprese, tornate in scena) e maledizione contro gli impresari. Poi il finale, a strumentazione piena [tutti: Noi giuriamo per que’ numi] è una sequela di propositi apparentemente disfattisti e minacce di sabotaggi espressi in sequenza da: Sospiro, Porporina, Delirio, Stornatrilla, Passagallo, Smorfiosa, Ritornello e, a nome delle mamme, da Bragherona (in Appendice le rispettive esternazioni). 

Ma in effetti è chiaro che nessuno ha intenzione di lasciare quel mondo che pure dice di disprezzare!

Appendice: Principali numeri musicali dell’opera.

Segue una lista di numeri musicali, che include quindi i recitativi accompagnati, escludendo invece i recitativi secchi:

 
A-S
Interprete
Numero musicale
I-1
Delirio-Sospiro-Fallito 

Fallito
Terzetto Oh che bell’opera! Che bella musica! [D-S]
              Con quell’estro bizzarro poetico {F}
Aria Signor Delirio, tante sentenze
I-2
Delirio-Sospiro
Duetto Ho di fuoco nel petto
I-3
Stonatrilla
Cavatina Camerieri! Staffieri! Lacchè!
I-4
Stonatrilla
Aria Ragazzuccia, mettete giudizio
I-5
Sospiro (per Porporina)
Aria Cari quegli occhi amabili
I-7
Ritornello
Porporina
Cavatina Benchè da te lontano
Aria Più non si trovano fra noi le mutrie
I-8
Smorfiosa
Aria Mio dolce amorino
I-9
Passagallo
Aria Vedrete che salti
I-10
Fallito
Delirio
Recitativo accompagnato Maledetta l’impresa
Aria State attento a quest’Oracolo
I-11
Tutti
Concertato Io vi giuro mie dive adorabili
Stretta Che veleno mi bolle nel petto!
II-1
Delirio-Sospiro-Fallito
Fallito
Terzetto Asinaccio! Ignorantaccio!
Ora sì, siamo aggiustati
II-2
Fallito
Aria Se di fare l’impresario
II-3
Ritornello-Delirio
Duetto Quel cocchier
II-4
Ritornello
Aria Col tuo dolce amico oblio
II-5
Sospiro (per Porporina)
Aria Barbara! E non rammenti
II-6
Ritornello
Smorfiosa

Stonatrilla-Ritornello
Porporina-Sospiro
Porporina

Stonatrilla

Ritornello
Tutti
Recitativo accompagnato Abbastanza finora
                                        Va! Sul tuo capo
Aria No, crudel d’amor capace
Duetto Ah non mi dir così
Recitativo accompagnato Dove corri, Rutleno
                                        Già propizio à miei voti
Aria Delfin che al laccio infido
Recitativo accompagnato Dove son! Che m’arriva! 
Aria Pallid’ombra del misero amante
Aria Quel nocchier / Ei ben scorge il rio periglio
Concertato Conoscete eh Porporina?
III-1
Nascareno (Ritornello)

Saebe (Smorfiosa)
Nascareno (Ritornello)
Saebe (Smorfiosa) 
Recitativo accompagnato Valorosi guerrieri
Aria Se con voi do in braccio al vento
Recitativo accompagnato Signor, soffersi assai 
                                        Non io bella regina
                                        Di te non so dolermi
Aria Saprei costante, e ardita
III-2
Rana (Porporina)
Recitativo accompagnato Presenta a Nasercano
III-3
Rossanara (Stonatrilla)
Nascareno (Ritornello)
Rossanara (Stonatrilla)
Recitativo accompagnato Duce, tornasti alfin
                                        Principessa gentil
Aria No, se a te non toglie il fato
III-4
Saebe (Smorfiosa)
*** interruzione ***
Passagallo
Recitativo accompagnato Rossanara è gelosa
*** interruzione ***
Recitativo accompagnato Riveriti signori
Aria I miei balli son tanti miracoli
III-5
Tutti
Tutti
Sospiro
Porporina
Delirio
Stonatrilla
Passagallo
Smorfiosa
Ritornello
Bragherona
Tutti
Accompagnato Ohè dico, Caverna, ascoltate!
Noi giuriamo per que’ numi
Io se ancora mill’anni ho da vivere
Io per me non vuo’ darmi altro incomodo
Nello stile d’enimma o d’Oracolo
In que’ giorni che piena passabile
Io per quanto si spenda in vestiario
Mille smorfie io farò, mille squasimi
Quanto a me spargerò nemicizie
Di mammaccia seguendo la regola
Noi giuriamo per que’ numi

La citata registrazione di Jacobs fruibile in rete contiene (nel tracciato temporale del video e nel sottostante commento) i dettagli a singoli numeri musicali o scene (inclusi quindi anche recitativi secchi) che sono di grande ausilio (insieme al testo del libretto) per seguire al meglio l’esecuzione. [Avvertenza: Jacobs sposta a prima del concertato finale dell’Atto II l’aria di Passagallo I miei balli son tanti miracoli, collocata nell’originale dopo l’interruzione dell’opera seria nell’Atto III].

Inoltre, chi volesse anche esplorare la partitura manoscritta, può visualizzarla (non scaricarla, ahinoi, salvo farne esplicita richiesta via e-mail) a questi link: Atto I, Atto II, Atto III.


22 marzo, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.21 – Michael Sanderling

Il 21° Concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano vede il ritorno sul podio di Michael Sanderling, berlinese dell’est nato come violoncellista e poi passato (sulle orme del padre Kurt) alla direzione d’orchestra (oggi guida il KKL di Lucerna). In programma, omaggio ai 50 anni dalla scomparsa di Dmitri Shostakovich, la colossale e patriottica Settima Sinfonia, divenuta famosa fin dalle origini (1941) come Leningrado.

Sinfonia che esce da ogni schema precostituito, date le circostanze materiali in cui prese forma, essendo appunto nata con fini squisitamente politici (galvanizzare il popolo russo in un momento terribile e tragico della sua storia) più che artistici o estetici. In proposito, ecco un mio personale contributo al suo inquadramento.

Sinfonia divenuta da anni uno dei cavalli di battaglia dell’Orchestra, che la affronta oggi per la nona volta (a partire dal 2000) dopo essere stata guidata nell’impresa da direttori quali Caetani (3), Jurowski, Bushkov, Oue, Treviño e Boreyko.

Il Maestro tedesco ha ancora una volta diretto con il consueto basso profilo, non un movimento gratuito o plateale, ma gesto sobrio ed efficace. Che ha ottenuto sempre, dalla sterminata orchestra messa in campo da Shostakovich, gli effetti evidentemente voluti dall’Autore, dal colossale crescendo di suono e pathos (arrivo delle armate naziste) dell’Allegretto iniziale, all’oasi più serena, ma non senza sussulti, del Moderato (poco allegretto), all’inopinato ritorno della guerra nel religioso Adagio, fino allo smaccato Allegro non troppo del magniloquente finale, retoricamente ed anche forzatamente trionfalistico.

Così, con Sanderling la serie si è arricchita di un nuovo successo, testimoniato da entusiastici applausi, anche ritmati, di un pubblico tornato, numericamente, ad un buon livello quantitativo.

19 marzo, 2025

Scala: Bruckner può aspettare…

Un’indisposizione di Riccardo Chailly ci ha mandato a meretrici (almeno per il momento) il privilegio di poter godere di una delle tradizionali primizie che il Direttore Musicale è solito propinarci: in questo caso la prima esecuzione italiana della Nona di Bruckner arricchita del Finale ricostruito (o forse… immaginato?) da John A.Phillips, sulla scia di altre analoghe fatiche di addetti ai lavori. [Chissà se saranno più fortunati a Reggio Emilia, dove l’evento è in programma per il prossimo 12 maggio.]

E così abbiamo dovuto accontentarci (ma chissà che non sia stata una fortuna!) di un sempre grande e sempre più… ieratico Myung-Whun Chung, che ci ha portato in paradiso con Schubert e Beethoven!

Un programma che, date le circostanze, è evidentemente stato approntato cercando innanzitutto di andare-sul-sicuro, minimizzando i rischi e quindi scegliendo due opere perfettamente familiari a Direttore e Orchestra e indubitabilmente gradite al vasto pubblico, che avrebbe potuto considerare la proposta originaria come rivolta a pochi (relativamente) addetti-ai lavori.

E così ci siamo goduti queste musiche che non rischiano mai di restare… sullo stomaco! Soprattutto se dirette ed eseguite in modo davvero impeccabile, per non dire eccellente. 


Il Maestro coreano si è presentato sul podio in tenuta da jogger, precisamente la stessa che indossava l’ultima volta che l’ho visto dirigere, la scorsa estate alla sagra riminese.

Il suo Schubert mi sentirei di definirlo proprio confuciano: un Allegro moderato con il primo tema dolente, sforzato, con corone puntate a dividere le frasi, poi l’Andante con moto quasi una catarsi, quella che i tedeschi chiamano Verklärung. Memorabile!

Il Beethoven della Settima più che una danza (copyright Wagner) è un viaggio nell’eros, direi. Nel quale spicca l’Allegretto, quasi una presa di fiato e di… recupero di energie vitali per precipitarsi nelle due restanti orge sonore.

Tifo da stadio per Chung, che ha chiamato il pubblico agli applausi per ogni sezione dell’Orchestra, che evidentemente ha condiviso con lui (e con noi!) questa emozionante serata. [Della serie: non tutto il male vien per nuocere.]


16 marzo, 2025

Una lunga Tosca alla Scala.

Ci sono più intervalli che opera… Così una signora di prima galleria dopo i 50’ di sosta fra il primo e il second’atto (guai non meglio precisati nel cambio-scena).

A poco più di 5 anni di distanza è tornata alla Scala la produzione (Santambrogio 2019) affidata per l’allestimento a Davide Livermore, che però è come Paganini, non ripete, e quindi cede il testimone ad Alessandra Premoli.

[Qui le mie note critiche di allora; e qui invece, qualche mia elucubrazione… filologica sull’opera; e infine un parere sulla drammaturgia di Tosca, assolutamente politically-correct, dell’omnisciente IA.]

Oggi cambia il Direttore (Gamba subentra a Chailly) mentre nel cast restano, almeno per qualche recita, due dei personaggi chiave: Meli e Salsi, più il simpatico Spoletta di Bosi.    

Le mie perplessità sulla messinscena espresse allora ovviamente rimangono tali (non essendo io un personaggio politico, non ho la necessità di ribaltarle a seconda del ruolo in parlamento…)

Quindi mi limiterò a qualche considerazione sul fronte musicale. Anticipando che il pubblico (gallerie, quanto meno) si è ampiamente diviso fra applausi e contestazioni. Che hanno colpito Francesco Meli, fin dalla Recondita armonia e poi – assai più accese – dopo il Lucevan le stelle. Contestazioni che non mi sento di condannare del tutto, poiché all’apprezzabile livello dell’espressione non sempre ha corrisposto lo smalto della voce, tutt’altro che impeccabile.

Ma persino Salsi ha avuto alla fine qualche dissenso, personalmente non condiviso. Chiara Isotton è stata una Tosca più che positiva: voce corposa, calda e sempre ben impostata, non ha fatto troppo rimpiangere la Netrebko del 2019.

Bene il Sagrestano di Marco Filippo Romano e il veterano Carlo Bosi come Spoletta. Un po’ al di sotto Costantino Fiorucci (Sciarrone) e un cavernoso Huanhong LI (Angelotti). Gli accademici Xhieldo Hyseni (Carceriere) e la piccola Anastasia Fazio (Pastore) all’altezza dei compiti.

Detto del coro di Malazzi, sempre in gran forma, chiudo su Gamba, a sua volta oggetto di qualche dissenso, in mezzo a convinti applausi. Personalmente gli rimprovero solo qualche eccesso di bandismo, che in un paio di occasioni ha finito per coprire le voci.

Alla fine, nessuna uscita singola a sipario chiuso (…) Insomma, una ripresa di questa produzione non proprio entusiasmante, ecco.

15 marzo, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.20 – Andrew Litton

È il 66enne newyorkese Andrew Litton il Direttore che sale sul podio dell’Auditorium per presentarci un concerto all-Prokofiev! Tradizionalmente impaginato in tre componenti: breve brano di apertura, concerto solistico e sinfonia.

Si parte quindi con una Ouverture, quella che, insieme all’Epigrafe del coro, apre l’opera Guerra e Pace (composta pochi anni prima - 1941-43 - della versione della Sinfonia che chiude il programma). Trattasi di un piccolissimo cammeo (poco più di 5 minuti) che introduce un autentico kolossal (quasi 4 ore di musica, neanche fosse… Parsifal!) Fra l’altro, viene usualmente omessa, così come l’Epigrafe, nelle rappresentazioni moderne, che iniziano direttamente con l’aria di Andrej.   

Il brano inizia e termina con piglio eroico, fanfare e marce guerresche (la seconda parte dell’opera) ed ha una sezione centrale più intimistica (la prima parte dell’opera, con relative vicende sentimentali).

Insomma, un modo come un altro per… scaldare i motori all’orchestra e permettere a qualche ritardatario di entrare in sala per la parte sostanziosa del concerto… 

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Che si apre con il 42enne Alessandro Taverna che arriva per deliziarci con il Secondo concerto per pianoforte. Concerto composto prima dell’inizio della WWI e poi usato come… combustibile (tipo Bohème, per intenderci) durante la Rivoluzione d’Ottobre e faticosamente ricostruito dall’Autore, anni dopo, a memoria! Qui un mio personale tormentone esplorativo, dove si sottolinea (magari nel bene e nel male) la complessità della struttura del concerto: non solo quella macro (i 4 movimenti) ma anche e soprattutto quella micro, ricchissima (forse fin troppo) di materiale, il che comporta per l’ascoltatore parecchie difficoltà nell’individuarvi una narrativa chiara e lineare.

Taverna da parte sua ha sfoderato tutta l’energia e la tecnica di cui dispone, aggredendo letteralmente lo strumento (che in effetti, per Prokofiev, è proprio… a percussione!) ma traendone anche, ove dovuto, suoni di grande trasparenza ed espressività.

Per lui un grandioso trionfo, con applausi ritmati e boati di approvazione, di fronte ai quali non ha potuto esimersi da un mirabolante bis (Gulda, Play Piano Play N°6, Toccata presto possibile) suonato quasi in souplesse, dopo quel po’po’ di riscaldamento prokofieviano!

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Ha chiuso la serata la Quarta Sinfonia. Che ebbe curiose affinità di… parto con la precedente Terza. Entrambe nacquero in parallelo e come ripiego a due (iniziali o parziali) insuccessi di opere teatrali (o para-): rispettivamente l’opera L’angelo di fuoco e il balletto L’enfant prodigue.

Prokofiev ripercorse in questo la strada ampiamente battuta anni prima da tale Gustav Mahler, che aveva infarcito le sue prime cinque sinfonie di non meno di 11 riferimenti (più o meno precisi) ad altrettanti Lieder composti in precedenza.

Per di più, di questa Sinfonia l’Autore ha lasciato due versioni abbastanza diverse, tanto da essere catalogate con separati opus-number: la prima, op.47, del 1930 (prevalentemente composta in USA) e la seconda, ascoltata qui, op.112, approntata nel 1947 (quando Prokofiev risiedeva  da anni stabilmente in URSS). [Le partiture di Bosey£Hawkes contano rispettivamente 108 e 205 pagine, per durate che passano da circa 25 a circa 40 minuti!] Prokofiev non ebbe però il piacere – nel caso della prima versione per banali ragioni logistiche, in quello della seconda per via dei soliti fastidi sollevati dai simpatici censori sovietici - di poter ascoltare nulla di tutto ciò! 

Personalmente (per quanto possa valere) il mio voto più alto va alla partitura originale; la seconda mi pare – esempi lampanti i due movimenti esterni – troppo sovraccaricata di materiale non eccelso, oltre che troppo bombastica (forse per aggirare… Zdanov?!)

Salomonico e cerchiobottista (oltre che impreciso, riguardo al balletto sottostante) è, al proposito, il supremo Oracolo-IA! Di cui è da condividere comunque il suggerimento finale (ascoltarle entrambe); suggerimento che si può facilmente mettere in pratica, grazie alla grande rete; per esempio da Gergiev-47 e da Gergiev-112. Per poi decidere (se proprio si vuole) se ci convinca di più la prima o la seconda, o… entrambe o nessuna!

Il primo movimento è introdotto da una languida melodia in Andante assai, esposta prevalentemente dai legni, con brevi interventi degli archi. Il corpo è in forma-sonata, (piuttosto… eterodossa) con un primo tema in DO maggiore, Allegro eroico, dove compare ripetutamente una chiara reminiscenza mahleriana, dal primo movimento della Sesta:

Dopo una transizione che passa dal RE maggiore (Meno mosso) ecco arrivare (in Allegretto) il secondo tema, canonicamente nella dominante SOL maggiore.

Il ritorno dell’Allegro eroico chiude l’esposizione, e si passa ad un complesso sviluppo, dove ai temi principali si aggiunge molto nuovo materiale, di discutibile coerenza con il resto, incluse ardite modulazioni; l’atmosfera dell’Allegro eroico torna ripetutamente, quasi a forma di rondò, alternandosi a squarci più luminosi, tipici di musiche da film. Si arriva così ad una ripresa, anch’essa assai variata, dei due temi principali, ora entrambi in DO, come da sacri canoni. È sempre il primo a chiudere il movimento.  

Ecco poi l’Andante tranquillo, ancora in DO maggiore. La macro-forma è un ibrido di rondo e sonata, ma anche qui arricchita da motivi accessori. Dopo una breve introduzione con arpeggi di flauti e archi, il flauto solo espone la bellissima melodia del tema principale, poco dopo ripresa maestosamente dagli archi. Un breve intervento del clarinetto (in FA maggiore) porta alla sezione centrale, dove un motivo animato anche da marziali accordi del pianoforte incastona un passaggio (Più mosso) in SI.

Torna il tema principale, esposto però dai legni nella relativa MIb maggiore e ancora da archi bassi e fiati in SI maggiore, chiuso da pesanti accordi in minore. Ora subentra una transizione in MI minore, poi ancora sfociante in SI e poi al DO maggiore, che ci avvia alla fine (Un poco gravemente) con una reminiscenza dell’attacco della Sinfonia, seguita (Più largamente) dall’ultima, solenne riproposizione a piena orchestra del tema principale, che si adagia infine sull’ultimo DO dei fiati.

Segue il Moderato, quasi allegretto, che occupa il posto dello Scherzo. E in effetti ne ha qualche vaga caratteristica. Contrariamente allo Scherzo classico, che prese il posto del Minuetto e quindi è normalmente in 3/4 (salvo magari il Trio), qui, eccettuate due singole battute di collegamento, è tutto in 2/4. I motivi sono peraltro… scherzosi e proprio in punta di piedi, come del resto si addice alle sue origini, di brano preso di peso da un… balletto!     

Il finale è un Allegro risoluto, DO maggiore. Il rimaneggiamento cui Prokofiev sottopose quello dell’op.47 gli ha fatto perdere totalmente… i connotati! Della originaria forma-sonata non rimane praticamente nulla, sostituita com’è da una serie di invenzioni, o fantasie, motivi ora saltabeccanti, ora ondeggianti, misti a slanci eroici che ammiccano ai dettami di un patriottismo evidentemente auto-imposto per… necessità familiari (e purtroppo proprio la famiglia di Prokofiev, la moglie per la precisione, fu vittima di quel totalitario patriottismo).

Andrew Litton è un esperto di Prokofiev, avendone inciso tutte le Sinfonie (e molto altro…) con la Filarmonica di Bergen, di cui è stato per anni Direttore. E ieri sera ha mostrato di saper padroneggiare anche questa ostica partitura, guidando l’orchestra – al suo primo contatto con quest’opera? - con gesto sobrio e misurato (magari qualche agitazione in più gioverebbe, ehm… alla sua linea piuttosto rotondeggiante!)

E così il pubblico dell’Auditorium (anche ier sera non proprio sovraffollato) ha mostrato il suo apprezzamento, gratificando tutti di applausi e ovazioni.

08 marzo, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.19 – Claus Peter Flor

Dopo Xian Zhang, ecco il secondo Direttore Emerito dell’Orchestra Sinfonica di Milano fare la sua rimpatriata per proporci un concerto che accosta il maturo, ma ancora arzillo, Haydn londinese, al giovin di belle speranze DvořákPubblico… ehm… selezionato, ecco

Del capostipite riconosciuto della prima scuola di Vienna ascoltiamo una delle Sinfonie composte in terra albionica, catalogata come Hoboken 101 e nota come La Pendola, per il tipico ritmo da orologio che ne caratterizza l’Andante. [Qui una mia sommaria presentazione della Sinfonia.]

Flor ne aveva diretto la precedente apparizione qui in Auditorium nel luglio 2021, appena usciti dal Covid. E anche ieri, come allora, il quartetto delle prime parti degli archi è stato il protagonista dell’esecuzione. E Dellingshausen in particolare, avendo suonato da solista i diversi ritorni del tema della Pendola… Ma gli applausi sono andati poi a tutti i membri dell’orchestra, opportunamente smagrita per creare proprio l’atmosfera tutta settecentesca del brano.  

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La Quinta Sinfonia di Antonin Dvořák fu originariamente pubblicata dall’editore Simrock nel 1888 come Terza (dopo la 6 op. 60 e la 7 op.70) e con un numero d’opera (76) assai alto, per farla passare come fosse una primizia, mentre l’opera giaceva nei cassetti di Dvořàk da più di 13 anni ed era già stata anche eseguita a Praga quasi 10 anni prima!

La poca chiarezza sulla numerazione delle sinfonie del boemo fu anche colpa dell’autore medesimo, che trattava così maldestramente le sue composizioni da perderle per strada (come accadde alla prima sinfonia, il cui manoscritto, inviato ad un concorso, non gli fu mai restituito) o da vederle confiscate dal rilegatore (la seconda) che Dvořàk non aveva i soldi per pagare (!) Così per anni e anni circolarono solo alcune delle nove sinfonie, nell’ordine la 6-7-5-8-9 che erano numerate da 1 a 5. Si sospetta che Dvořàk giocasse anche un po’ con la cabala, inventando trucchi pur di non arrivare al fatidico nove

Questa Sinfonia era stata eseguita qui in Auditorium soltanto una volta, nel gennaio-febbraio 2013, all’interno di quello che avrebbe dovuto configurarsi come il ciclo completo – spalmato su tre stagioni - delle nove sinfonie dirette dal venerabile Aldo Ceccato. Il quale, forte della sua personale, lunga esperienza fatta in terra boema (come Direttore Artistico a Brno) aveva pensato di andare a ritroso, partendo dall’ultima (il Nuovo Mondo, ottobre 2011) per poi risalire fino alla prima (Le campane di Zlonice). [Di fatto il cammino si interruppe a ottobre 2013 con l’esecuzione della Terza…]

Ecco una mia presentazione dell’opera, scritta proprio in occasione della precedente esecuzione di Ceccato.

Flor ne ha dato un’interpretazione vibrante, impiegando modica ma sapiente quantità di rubato nel movimento iniziale, esaltando il carattere intimistico dell’Andante senza peraltro farne un pezzo decadente; trascinante lo Scherzo, dai tratti schubertiani e bruckneriani; travolgente poi il finale, con il suo tema spiritato e i poderosi, teatrali interventi dei corni.

Insomma, essendo difficile, anzi impossibile per chiunque, trasformare un’opera dignitosa in un capolavoro assoluto, dobbiamo ringraziare Flor e i ragazzi di avercela fatta digerire senza bisogno di… alkaselzer. Più che doverosi e meritati quindi gli applausi e le ovazioni di cui il pubblico li ha gratificati.


01 marzo, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.18 – Xian Zhang

Atteso ritorno in Largo Mahler per la Direttrice Emerita dell’Orchestra Sinfonica di Milano, che trascorse qui alcuni anni (09-16) assai particolari della sua carriera: inclusa la nascita del suo secondo figlio, che lei si portò dietro dentro anche sul podio fino all’ultimo giorno!

Il brano di apertura serve precisamente per scaldare l’uditorio per ciò che verrà poi, due composizioni fra loro legate dalla stessa paternità russa: Stravinski e Ciajkovski.

Quindi, ascoltiamo dapprima lOuverture dalle musiche per Die Weihe des Hauses (op.124) che occupa una posizione assai scomoda nel catalogo beethoveniano, stretta com’è nella stritolante tenaglia di Missa (op.123) e Nona (op.125). E sono anche gli anni delle ultime tre sonate pianistiche e delle variazioni Diabelli!

Il titolo del lavoro è stato tradotto in italiano in modo letterale (La consacrazione della casa) il che porta francamente fuori strada chi non sia informato delle circostanze che ne determinarono la composizione. Chiunque infatti penserebbe subito alla casa nell’accezione di dimora e quindi, in senso lato, di famiglia: quindi immaginerebbe che si tratti della solennizzazione della classica benedizione delle famiglie (a pochi verrebbe in mente di pensare all’inaugurazione di una... ditta!)

Invece Haus in crucco (così come House in albionico) è un termine impiegato (anche) per definire i teatri (es.: Royal Opera House, Opernhaus Zürich); ed è proprio l’inaugurazione di un teatro viennese (Theater in der Josefstadt) che fece arrivare a Beethoven la commissione di musiche di scena per il lavoro teatrale che doveva celebrare l’avvenimento. Per risparmiare tempo e fatica Beethoven propose l’impiego de Le Rovine di Atene (altra musica di circostanza composta 11 anni prima per l’inaugurazione di un teatro tedesco a Pest).  

Alla fine Beethoven si risolse di comporre tre nuovi pezzi (da incastrare nelle Rovine) fra i quali la nuova Ouverture (ironia della sorte, non eseguita all’inaugurazione, perché… non pronta!) Per la quale si dice che l’ispirazione estetico-formale sia venuta a Beethoven da Händel, ed in effetti sentiamo atmosfere da pomposità tipiche delle musiche che il tedesco trapiantato in Albione componeva per i Reali di lassù, ma anche un complesso contrappunto che caratterizza il nucleo della composizione.

Dandole però anche un retrogusto di pedanteria fiamminga, tecnicamente ammirevole ma che, unita alla persistente staticità tonale (DO-SOL e nulla più…) e alle dinamiche fin troppo invadenti, rischia di rendercela, in tutta franchezza, un tantino pesantuccia da digerire.

Ovviamente nulla di cui incolpare l’Orchestra, che ha fatto interamente il suo dovere!   

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Il brano centrale della serata è targato Igor Stravinski: si tratta del suo Divertissement dal balletto (non proprio passato alla storia) Le baiser de la fée. Balletto commissionatogli nel 1928 da Ida Rubinstein, che prendeva spunto dalla fiaba di Andersen La vergine dei ghiacci

Per la composizione del quale Stravinski si ispirò apertamente all’Autore dell’opera che chiude la serata: Ciajkovski, al quale la partitura è dedicata:

Nel 1873, proprio lo stesso periodo di creazione della Seconda Sinfonia, Ciajkovski aveva composto, su richiesta del teatro Malyj di Mosca, le musiche di scena (19 numeri per il Prologo e i 4 atti) per la fiaba popolare (messa in versi da Alexander Ostrovski) intitolata La fanciulla di neve. E da queste musiche, e da altre opere giovanili di Ciajkovski, prese spunto Stravinski per il balletto.

Nel 1934 poi Stravinski derivò dall’intero balletto il Divertissement, una specie di Suite che riprende circa il 50% (anche come durata) della musica del balletto:


Balletto
Divertissement
1. Prologo – Ninna-nanna nella tempesta
I. Sinfonia (meno n. 27-39)
2. Una festa al villaggio
II. Danze svizzere (troncato al n. 96)
3. Al mulino –
Passo a due (Entrata-Adagio–Variazione–Coda) –
Scena
III. Scherzo (meno n. 122-130 e 154-155)
IV. Passo a due (Adagio–Variazione–Coda)
(più 14 battute)
4. Epilogo – Berceuse delle dimore eterne
 

Come si vede, c’è un taglio nel Prologo (Sinfonia); un altro al termine della Festa (Danze svizzere); due tagli nella scena Al mulino (Scherzo); il taglio dell’Entrata del Passo a due; un’aggiunta in chiusura del Passo a due per chiudere il Divertissement; omessi quindi la Scena finale del brano 3 e l’intero Epilogo.

Sono 25 minuti di musica accattivante, dello Stravinski che si suol catalogare come neo-classico, ma che qui – grazie ai riferimenti all’amato Ciajkovski – in realtà sconfina ampiamente nel romanticismo. 

Xian però di romantico lascia poco, sottolineando i connotati più jazzistici della partitura, e trascinando il pubblico all’entusiasmo. 

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In chiusura ecco Ciajkovski e la sua Sinfonia n. 2, detta Piccola Russia dal nomignolo (di significato bifronte…) con il quale veniva apostrofata ai suoi tempi l’Ukraina, dove il compositore passò diverse estati e compose proprio questa Sinfonia.

In questo articolo scritto in occasione della precedente esecuzione qui della Sinfonia (sempre con Xian, nel settembre 2014) avevo proposto qualche nota introduttiva di carattere geo-politico sull’Ukraina ai tempi di Ciajkovski, proprio nei giorni in cui il Paese viveva i postumi della crisi (EuroMaidan) che aveva scalzato il Presidente filo-russo Janukovich, sostituito da un governo filo-occidentale, e provocato così la reazione russa culminata nell’annessione della Crimea, dando inizio a 8 anni di guerra civile nel Donbass, culminati nell’invasione russa del febbraio ’22, cui il faro della Meloni – come si è visto proprio ieri sera in mondovisione - proclama di metter fine senza badare all’etichetta…

Per curiosità ho interpellato l’omnisciente Intelligenza Artificiale per sottoporle una bizzarra domanda: Se Ciajkovski fosse vivo oggi, sull'Ukraina starebbe con Putin o con Mattarella? Devo dire che la risposta dell’oracolo (che ci ha dedicato ben 87 secondi del suo preziosissimo tempo!) mi è sembrata interessante, pur se venata da un certo fastidio per la pretesa inconsistenza della domanda, che vorrebbe mettere in relazione fatti e idee di momenti e personaggi storici così lontani e inconfrontabili. Quindi, giustamente, l’oracolo rifiuta di sbilanciarsi, limitandosi a fare ipotesi più o meno generiche.

Ma la cosa che mi sento di condividere totalmente è proprio l’ultimissima conclusione della risposta: Meglio concentrarsi sulla sua (di Ciajkovski, ndr) eredità artistica, che unisce Russia, Ucraina ed Europa.

Bene, non saprei dire se dall’interpretazione della Xian sia emersa precisamente questa eredità artistica, ma di sicuro se ne è potuta apprezzare la freschezza e l’assenza di retorica (rischio che si corre soprattutto nei due movimenti esterni). Come suo costume, la Direttrice sino-americana tende sempre all’essenziale, a prosciugare più che a rimpolpare (lei è nemica dei da-capo, per dire, e anche ieri ha omesso quello della seconda sezione dello Scherzo).

Risultato comunque elettrizzante, grazie ovviamente anche allo stato di grazia dell’Orchestra (mia menzione particolare per il corno di Amatulli nella lunga Introduzione con il tema del Volga). Pubblico folto prodigo di uragani di applausi per l'Orchestra e di ripetute chiamate per la rediviva Xian.