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20 gennaio, 2023

laVerdi 22-23. 12

Poulenc e Ciajkovski sono al centro del concerto di questa settimana, che vede arrivare sul podio dell’Orchestra Sinfonica di Milano un… ragazzino, o poco più, il 23enne finlandese Tarmo Peltokoski, che quando non dirige fa pure il pianista.

Però alla tastiera del primo brano in programma - si tratta del Concert champêtre per clavicembalo (ma anche pianoforte) e orchestra di Francis Poulenc – siede Jean Rondeau, altro men-che trentenne ma già affermato solista.

Poulenc compose il brano nel 1927-28 per la grande Wanda Landowska, che ne fu l’ispiratrice e la prima interprete. Vent’anni più tardi lo incise lui stesso ma, paradossalmente, eseguendolo al pianoforte. E comunque il concerto è concepito (come altri, tipo quello di DeFalla) per essere eseguito su strumenti moderni (tipo i Grand Pleyel) suggeriti e sponsorizzati ai tempi proprio dalla Landowska. Per la cronaca, qui il clavicembalo era moderatamente amplificato, per evitare di essere sommerso dal suono orchestrale.

Pregevolissima l’esecuzione di Rondeau, un vero guru dello strumento, capace di estrarci sonorità che gli sembrerebbero precluse. E poi grande cura ai particolari, compresi i silenzi e le pause e le cadenze: lunga quella a metà del primo movimento, lunghissima quella tenuta proprio alla conclusione.  

L’orchestra lo ha supportato al meglio e Peltokoski ha fatto di tutto per non… penalizzarlo troppo, scatenandosi soltanto quando il solista tace, e per il resto lasciandogli sempre il primo piano.

Caloroso successo (in un Auditorium con parecchi vuoti) ricambiato con un sognante bis. 
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La seconda parte della serata è occupata interamente dalla inflazionata Patetica ciajkovskiana, uno dei tanti cavalli di battaglia de laVerdi.     

E qui è venuto fuori il fenomeno: questo ragazzino ha davvero una stoffa eccezionale. A parte mandare a memoria la sinfonia (cosa non da tutti e che testimonia della cura che pone alla preparazione) ma Peltokoski (mi) ha veramente stupito per la padronanza e l’autorevolezza della sua direzione. Gesto ampio, accompagnato da movenze da ballerino, ma senza mai apparire affettato o pleonastico, anzi, sempre attento alla scansione dei tempi; attacchi di precisione assoluta, affilati come lame. E infine capacità (alla sua età!) di cogliere tutti gli aspetti estetici e pure – nel caso di Ciajkovski - esistenziali dell’opera.

Efficacissimi i mutamenti di tempo nel primo movimento: quello fra l’introduttivo Adagio e l’Allegro non troppo; e poi l’improvviso scoppio al passaggio in Allegro vivo: ma soprattutto straordinario l’effetto ottenuto nella fatale discesa all’inferno, prima della ripresa dell’Andante, con gli ottoni a scandire la caduta, di girone in girone, fino all’annichilimento!

Dopo lo sghembo (2+3) walzer dell’Allegro con grazia, proposto precisamente con grazia, ecco la travolgente marcia dell’Allegro molto vivace, chiusa dal ta-ta-ta-taaaa sul SOL, che ha suscitato l’immancabile (peraltro abbastanza isolato) battimani, costringendo forse il Direttore a ritardare un attimo l’attacco del conclusivo Adagio lamentoso. E proprio di lamento si deve parlare, chiuso con la più pessimistica delle visioni esistenziali.

Inutile dire del successo tributato a tutti, ma in particolare al giovin Maestro per questa eccellente proposta.   

Infine: sapete qual è l’unica dote che ancora manca a questo genio? Il sorriso! 
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Appendice. Il concerto campestre di Poulenc.

Seguiamone sommariamente la struttura accompagnati dal grande Trevor Pinnock con la BSO diretta da Seiji Ozawa.

Il primo movimento ha davvero poco del concerto barocco, e ancor meno di quello classico: la forma è quasi indecifrabile (per non dire bizzarra): inizia con un’introduzione lenta (Adagio) che porta all’Allegro molto, dove il solista espone il tema principale, in RE maggiore. Questo tema viene riproposto - ma assai variato - da orchestra e solista nella dominante LA maggiore (e qui effettivamente siamo al barocco). Infine sarà ripreso (in RE, a mo’ di ricapitolazione) alla conclusione, che però sarà in minore. Ma fra queste comparse del tema troviamo un… universo di divagazioni, avventure e colpi di scena: insomma, una fantasia, o un divertimento, più che un movimento di concerto!

Dopo l’introduzione in Adagio, ecco (1’56”) il solista proporre il tema principale, in Allegro molto:

L’orchestra lo accompagna nella risposta, su un controsoggetto, poi (2’26”, Animez un peu) il solista accelera il tempo e si esibisce in virtuosistiche volate di crome, in dialogo con l’orchestra. Il tema principale (2’43”) viene ora riproposto – variato e mischiato al controsoggetto – nella dominante LA maggiore. Una grandiosa figurazione di crome ascendenti dei corni (2’56”) poi ripresa dal solista, introduce un passaggio che conduce inopinatamente (3’08”, Presser) ad un’enfatica fanfara che scende di una terza, al FA maggiore, cui il solista pone rimedio riportandoci al LA maggiore che chiude l’episodio.


Ma subito se ne apre un altro (3’26”, Tragique) invero sorprendente, e che sarà interminabile, un’autentica peregrinazione fuori-le-mura: i corni, partendo da un lontano DO# e girando le campane bene in alto, espongono un segnale militaresco:


Cui il solista risponde prontamente, lasciando poi spazio al clarinetto per una breve melopea interrotta ancora dal solista in modo brusco (4’15”, Feroce) per riproporre il segnale di cui sopra. Si fa poi viva (4’24”) anche la tromba, che riprende il segnale (dal SIb) e lo chiude portando a due schianti dell’orchestra, il secondo (4’31”) sul SI minore.

 

Tonalità in cui il solista riprende il richiamo eseguendo una specie di cadenza che porta ad un nuovo schianto orchestrale (4’52”) cui segue, sempre in SI minore, un lungo passaggio ancora basato sullo sviluppo dello stesso motivo. La tonalità, nel frattempo, modula a SOL minore, dove inizia (5’29”) una nuova sezione di questo lungo intermezzo. Ancora (5’45”) continue modulazioni, a RE minore, MI minore, SI minore e SI maggiore, finchè un forsennato crescendo (En animant toujours) dell’orchestra (cui il solista assiste muto e sgomento…) si chiude su un botto (6’24”) generale di MIb minore (sporcato dai DO di tuba e archi bassi)!

 

Tutto finito? Nemmeno per idea! Mica si può lasciare a metà il discorso iniziato e poi interrotto dalla lunga divagazione (fuori tema?) Però non è nemmeno facile riprenderlo come se nulla fosse, e allora ecco (Très lent) una nuova ampia introduzione, caratterizzata da un mesto incedere del solista, fatto di pesanti accordi (2-3-4 note) seguiti, dopo una risposta di corni e archi bassi, da una melopea del clavicembalo (7’36”, Allargando) in LA minore, seguita (8’38”) da una nuova irruzione del primo corno che ripropone – variato e partendo dal LA – proprio il segnale militaresco che aveva aperto la lunga precedente divagazione.

 

Ora (8’53”) il tempo torna Subito Allegro molto, LA maggiore, e solista e orchestra si producono in una transizione dove ancora i corni (9’06”) sono protagonisti dell’ennesima riproposizione del segnale militaresco. La chiusa è riservata ad un beffardo accordo di LA minore inquinato dal tritono DO-FA#.

 

Ma è solo un modo per preparare (9’10”) la ripresa - in RE maggiore nel solista - del tema principale e del relativo controsoggetto. Non abbiamo qui, come nell’esposizione, la riproposta del tema nella dominante, ma passiamo direttamente (9’29”) alla scalata dei corni (sempre sul RE) e poi al bizzarro ingresso (9’39”) della fanfara che, invece che dal LA al FA, scende ovviamente dal RE al SIb. Il solista riporta l’ordine (RE maggiore) con veloci discese in croma. Accelerando (9’50”) si arriva finalmente al dunque, con solista e orchestra che si rincorrono più volte prima che sopraggiunga il tutti conclusivo: un accordo perfetto di RE minore!

 

Ecco poi l’Andante, SOL minore, tempo di 6/8 (Siciliana). Lo aprono i primi violini presentando il tema principale, la cui frase chiude sulla dominante RE:

 

Gli rispondono (30”) oboe e fagotto, con un controsoggetto che ci riporta a casa (SOL minore).

 

Adesso (59”) entra il solista, che quasi si limita, scandendo accordi, a sottolineare il ritmo del tema, interroto da due schianti dell’orchestra. Il tema è ripreso (1’27”) da oboe e corno in SIb minore, con il clavicembalo a contrappuntare, seguito da i fiati che chiudono questa prima sezione dell’esposizione.

 

Il secondo tema, in una tonalità eterodossa (LAb maggiore, non la relativa SIb come ci si aspetterebbe) viene esposto (2’07”) da corno inglese e oboe:



e quindi ripetuto e completato anche dal fagotto. Poi si sviluppa (2’34”) su un controsoggetto altrettanto sognante che chiude, passando arditamente per MI, sul MIb maggiore, tonalità dove il tema viene riproposto (3’00”) dal caldo suono dei corni, con il solista ancora a contrappuntare. La melodia viene improvvisamente deformata (3’29”) e porta l’orchestra ad uno schianto dove l’accordo perfetto di SIb maggiore è sporcato dai SOL e SI dei corni!

 

Segue ora, interrotta all’inizio da un nuovo strappo dell’orchestra, una nervosa cadenza del solista, sulla quale si staccano (4’21”) due guizzi del clarinetto, che tocca il RE acuto. Torna il tempo di siciliana e I corni (4’33”) seguiti subito dal solista e quindi da flauti e fagotto riportano la tonalità a RE minore, ma con evidenti dissonanze. Ma ecco (5’22”) apparire improvvisamente nei violini, poi in flauto e oboe, un’oasi in SOL maggiore, dove udiamo riproposto il secondo tema, che poi (5’42”) salta arditamente di una terza, a SI maggiore.

 

Ma la cosa dura poco, poiché (5’54”) il flauto ripropone la melodia tornando a SOL maggiore, dove peraltro ci si sofferma pochissimo, dato che (6’07”) archi, ottoni e fagotto riprendono solennemente il tema scendendo di una terza, a MIb maggiore! Ma la cosa copre si e no due battute, che<è si torna (6’17”) al SOL minore, dove una scalata delle trombe alla seconda abbassata (LAb) dà inizio alla chiusura (6’30”) : flauti, poi oboi, quindi clarinetti e infine il solista reiterano impertinenti e acuti incisi attorno al SOL minore; gli archi lo ribadiscono sommessamente, dopodichè, mentre il secondo corno tiene un lungo SOL, il clavicembalo (6’48”) fortissimo, ribadisce girandogli attorno, il SOL. Ma è un SOL maggiore, che l’orchestra piena ribadisce con il tonfo finale. (Poulenc ha riproposto, specularmente, il trucco già sperimentato nel movimento iniziale: là era RE maggiore che chiudeva in minore, qui è SOL minore che chiude in maggiore.)

 

Infine il Finale, RE maggiorePresto. Il solista attacca subito il primo tema, che qualcuno ha apparentato con quello dell’Aria con variazioni (Il fabbro armonioso) dalla Quinta Suite di Händel:


Poi (20”) ecco la risposta, accompagnata discretamente dagli archi, che poi innescano con il solista un fitto dialogo, con la comparsa di diversi motivi, come quello (40”) di stampo marziale, o l’incedere ostinato (57”) dell’orchestra e lo strappo (1’11”) in SOL minore. Più avanti ecco (1’35”) un altro motivo marziale, in FA, che ricorda la Patetica (3° movimento).

 

Sulla base di questo motivo continua il serrato dialogo fra solista ed orchestra, che porta infine ad un punto cruciale: con l’indicazione Eclatant (2’37”) il solista propone un motivo – di fatto il secondo grande tema - che terrà banco per il resto del movimento. Qui è in MIb maggiore ed ha un sapore allegramente festaiolo:



Altri motivi di sapore marziale si affacciano (2’58”) in MIb e poi (3’17”) in RE maggiore, finchè il tema esposto poco prima dal solista esplode (4’02”, Pesant) in SI maggiore!

 

Allargando subito (4’12”) il solista apre una specie di oasi di calma, tornando al Tempo del 1° movimento e indugiando sull’inciso FA#-RE#, seguito dai corni che brucknerianamente esplorano l’ottava di DO#. Ancora un dialogo fra solista e clarinetti-fagotti e poi si torna (5’09”) all’Allegro giocoso dove il solista reitera il secondo tema, in RE maggiore, poi si abbandona ad una breve cadenza, finchè (5’35”) il secondo tema riesplode nell’orchestra.

 

Ancora (5’58) un intervento interlocutorio del solista, poi (6’18”) il secondo tema ricompare in SOL maggiore e infine (6’26”) in RE maggiore. Il concerto si chiude quindi tornando (6’50”) al Tempo 1° movimento, che ospita la chiusura mesta del solista su lacerti del primo tema; dopo due incisi acuti del flauto, ecco nel clavicembalo l’accordo di RE... indovinate? minore.

15 gennaio, 2023

La tribolata Salome se la cava alla Scala.

Questa Salome già era nata sotto cattivi auspici, che si materializzarono in epoca-Covid, quando l’opera fu messa in scena (con un anno di ritardo e in… streaming) in un teatro vuoto, con platea occupata dall’orchestra. E con Chailly (non il designato Mehta) sul podio. Mehta che ha ancora dovuto dare forfait, sostituito dal volonteroso Axel Kober (per 4 recite) e dal meno conosciuto Michael Göttler per le 2 restanti.

Tuttavia mi sento di dire che il pericolo è scampato, ecco. Kober è ormai un vecchio marpione del tardo-ottocento wagneriano (è approdato a Bayreuth…) e l’Orchestra scaligera ne ha ben assecondato la lettura a fosche tinte.

Anche il cast si è ben difeso: su tutti Michael Volle, autorevolissimo Jochanaan (anche lui è stato presentato, come fanno quasi tutti i registi che applicano lo stereotipo del profeta nel deserto: età minimo 70 anni e aspetto cimiteriale, quando sappiamo che il nostro aveva al massimo 30 anni – coetaneo di Gesù – e viene descritto da Wilde-Strauss come molto giovane e con la carne d’avorio!)

Poi bene la protagonista, la bella lituana Vida Miknevičiūtė, che magari potrei criticare per insufficiente cattiveria – sul piano scenico – ma che su quello musicale mi è parsa davvero encomiabile.

Da apprezzare anche l’Erode di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, assai efficace nei suoi accorati quanto ingenui – e quindi infruttuosi – tentativi di pagare in banalità materiali il cruento debito inconsapevolmente contratto con la nipotina terribile.

Due veterane dei palcoscenici d’opera (la Herodias di Linda Watson e la travestita Lioba Braun, che il regista, bontà sua, degrada da giovin paggetto della prima a babbiona badante di casa) hanno fatto onestamente e con profitto la loro non impervia parte.  

Positiva menzione anche per il complessato Narraboth di Sebastian Kohlhepp, voce squillante e ben impostata.

Onesti tutti gli altri (in particolare i 5 ebrei) che completano il cast.

Per tutti alla fine applausi abbastanza nutriti da parte di un pubblico che francamente non mi aspettavo così folto (rispetto al Boris, per dire).
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La messinscena di Michieletto mi aveva lasciato fra l’indifferente e il deluso vista in streaming. Oggi non ha migliorato molto il suo voto: il regista non rinuncia mai a dare la sua interpretazione del soggetto inventandosi dei precedenti che non si trovano né in Strauss né in Wilde, e quindi possono poi giustificare ogni deviazione rispetto all’originale.

Per il resto invenzioni riciclate (lo sferone appeso al soffitto che ricorda Prova d’Orchestra) o pacchianate a buon mercato, come la testa di Jochanaan che sale dal pozzo come un grande cammeo incastonato in un gigantesco ostensorio da altare, mentre alla povera Salome tocca accarezzare e baciare un rinsecchito teschio amletico… Oppure l’infinite volte abusato trucco di presentare una controfigura della protagonista da bambinella che assiste all’ammazzamento del padre, per spiegare perché la bambinella medesima sia cresciuta con qualche freudiano problemino…

Ma tutto sommato Michieletto ne ha fatte anche di peggio, quindi accontentiamoci così.

14 gennaio, 2023

laVerdi 22-23. 11

La stagione principale è ripresa ieri con il Concerto n°11, diretto da Kolja Blacher. Il quale questa volta si è limitato a calcare il podio, lasciando l’onore del solista di violino a Javier Comesaña, 23enne andaluso in rapida ascesa, dotato di un Guadagnini del 1765.

La prima parte del concerto è riempita da Lenny Bernstein e dalla sua Serenata dal Simposio di Platone, opera del 1954, composta su commissione della Fondazione Koussevitzky e presentata in origine alla Fenice, con l’Autore sul podio e il grande Isaac Stern al violino, accompagnato dalla Israel Philharmonic. Rimando all’Appendice per un’esplorazione più dettagliata dell’opera.

Opera che viene opportunamente introdotta da una simpatica quanto interessante esegesi-parafrasi del Simposio presentata dal grande Massimiliano Finazzer Flory.

Poi arriva Comesaña e sciorina tutta la sua sopraffina tecnica nel porgerci questa musica che mescola tradizione classica con jazz, bachiane cadenze ed atmosfere da musical

E l’ensemble che lo accompagna, sapientemente guidato da Blacher e dal Konzertmeister Dellingshausen, svolge alla perfezione il suo compito, meritandosi convinti applausi dal pubblico non propriamente oceanico (insomma: pochi ma buoni!): sugli scudi in particolare il violoncello di Mario Shirai Grigolato, degno partner di Comesaña nella difficile cadenza di… Diotima. 
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Dopo l’intervallo, ecco la Scozzese di MendelssohnBlacher ne dà un’interpretazione asciutta ma vibrante, che evoca perfettamente le atmosfere ossianiche delle Ebridi, le folate di vento e le mareggiate che costellano l’iniziale Allegro un poco agitato. Fausto Ghiazza arabesca da par suo le acrobazie del clarinetto nel Vivace non troppo. Mirabile la resa della struggente melodia dell’Adagio, e poi trascinante l’Allegro vivacissimo, chiuso infine dalla vittoriana apoteosi.

Grande successo per tutti, e Insomma ancora una gratificante serata di musica.
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Appendice: la Serenade dal Simposio.

Queste le note introduttive al lavoro redatte dallo stesso Bernstein:

Nel Simposio di Platone si celebrano le magnifiche e progressive sorti dell’Amore. La Serenade è strutturata in cinque parti che ripercorrono, senza rispettarne rigorosamente la sequenza, i lavori del Simposio (che fu in realtà una prosaica mangiata e soprattutto… bevuta) evocando i principali interventi di sette dei convenuti, i cui nomi compaiono in testa a ciascun movimento del concerto.  

Bisognerebbe entrare nella mente di Bernstein per cogliere le oscure sensazioni da lui provate alla lettura del Simposio e poi dalla sua penna tradotte in musica. Le note lasciate dal compositore e riportate più sopra furono in realtà redatte a-posteriori, e chiariscono più che altro le relazioni di carattere musicale fra i diversi movimenti del concerto. Questa è comunque musica che si può apprezzare anche senza necessariamente rifarsi al platonico testo

Orchestra poco più che cameristica, con totale assenza di fiati: al corpo degli archi si aggiungono l’arpa e una nutrita schiera di percussioni.

Proviamo ad esplorarla inquesta esecuzione (1986) della LSO con Gidon Kremer, guidati dall’Autore.

I Lento – Allegro [Phaedrus-Pausanias] 

Abbiamo qui l’inizio delle… ostilità de simposio, artefici Fedro cui risponde Pausania. Il violino solista introduce, in tempo Lento, il delicato tema di Fedro, l'amore descritto come il dio più antico. L’inciso a (soprattutto nella forma a’) ricorda da vicino un motivo che compare (e poi ne costituisce parte rilevante) nell’Andante della Sesta di Mahler. Un altro (b) anticipa scopertamente (salita da tonica a quarta aumentata e poi alla quinta) l’appassionato Maria! di West Side Story:

Il tema (fugato) viene ripreso a canone (1’02”) dai primi violini, quindi (1’55”) irrobustito dall’ingresso delle viole e infine espanso al massimo grado (2’48”) da quello dei bassi, che reiterano enfaticamente l’inciso b, ulteriormente marcato dagli schianti del piatto sospeso e con il tempo che accelera vistosamente per preparare la… replica di Pausania.

 

Dopo questa Introduzione, passiamo al corpo si questo movimento, che possiamo definire di spuria forma-sonata: il solista vi presenta per due volte i due temi (T1 e T2) di Pausania, sempre variati e intervallati da opportune transizioni. Una coda (con lacerti dei due temi) chiude poi il movimento.

 

Il tempo passa in Allegro marcato (2’58”) dove viole e celli sembrano proprio riprendere il discorso di Fedro, cui il violino solista Pausania (3’03”) comincia ad… obiettare, limitandosi per ora ad esporre (quasi timidamente e un tono più sotto di quando arriverà il momento) la cellula iniziale (c) del suo secondo tema. Ma per ora il suo primo intervento (e relativo tema T1) non fa che riprendere il motivo a di Fedro per discettarci sopra ampiamente:



Gli archi per un po’ lo seguono pazientemente, fino però a sbottare (3’22”, supportati anche da arpa, glockenspiel e tamburi) in una vivace contestazione, con successivo e ripetuto botta-e-risposta con l’intervenuto:



Questa transizione porta (3’44”) all’esposizione nel violino solista della sua compiuta visione dell’amore (tema T2) a partire dalla cellula c, alzata di un tono intero (il nostro ha preso coraggio!) rispetto al suo iniziale apparire:













Questo secondo tema contrasta nettamente con il primo, presentandosi irregolare e guizzante, come testimoniano le ricorrenti acciaccature (d): se Fedro ha santificato l’amore, Pausania si occupa dell’amato, perché no, anche sul piano… omosessuale (sappiamo come questo aspetto fosse caro a Bernstein…)


Una nuova – diversa, trionfale, che riprende una parte del tema T2 - irruzione degli archi (4’30”, con arpa e percussioni) sembra voler irridere Pausania, che è costretto a difendersi citando ancora Fedro (motivo a). Dopo un momentaneo rallentamento, riprende il tempo Allegro (4’49”) con l’orchestra che induce Pausania a tornare al tema T1.

 

Si ripete la prima irruzione degli archi (5’12”) cui Pausania risponde (5’27”) con la riproposta del suo tema T2, che stavolta però scende (forma-sonata?) di una quinta giusta, partendo dal SI sotto il rigo!


Torna (6’12”) la seconda, trionfale irruzione degli archi (con rintocco di campana!); archi che poi (6’30”) innescano la coda, evocando una caotica diatriba fra le posizioni di Fedro e Pausania, con i due temi che sembrano schizzare qua e là. Finchè (6’51”) è una versione distorta del tema T2 (con fuoco) a tagliar corto alla discussione!


II Allegretto [Aristophanes]

Si noti che Bernstein qui non rispetta la sequenza degli interventi come esposta da Platone (nel Simposio è Erissimaco a parlare prima di Aristofane il quale, con una scusa, salta il suo turno e parla dopo, criticando sia Pausania che Erissimaco). Il movimento – senza interventi delle percussioni - alterna un tema languido, femminino, e uno secco, mascolino: un modo intelligente per presentarci poeticamente il mito dell'andrògino, caro ad Aristofane. Sono i violoncelli (7’10”) ad introdurre il primo tema (T3) esposto dal solista:

Si notino le acciaccature (d, caratteristiche del tema T2 di Pausania) che si ripeteranno anche nel seguito del brano. Gi archi riprendono il tema modulando sottilmente (per 29 battute compaiono ben 7 diesis in chiave!) mentre il violino solista si abbandona ad una melopea che richiama -largamente – anche l’inciso a di Fedro.

Un nobile motivo (e, cantando) viene esposto (8’30”) a canone da celli e viole:

Esso fa da ponte verso l’esposizione (9’01”, scherzando) del secondo tema (T4) di Aristofane, nettamente contrastante con il primo, preceduto da un motivo (f) che il solista riprende dagli archi:

L’esposizione di T4 è chiusa dal solista (9’27”, poco largamente) con la ripresa del motivo e, poi tornato anche negli archi. I quali (9’54”) ripropongono anche il motivo f, subito imitati dal solista.

Ci si avvia ora alla conclusione: si odono (10’10”) lacerti del tema T3 nel solista e – assai enfatizzati (10’39”) - negli archi e arpa, poi la melopea del solista (10’54”), accompagnata da timidi interventi di archi e arpa, che sembra svanire nel nulla.

III Presto [Eryximachus]

Erissimaco è un medico, ma possiede anche grandi conoscenze musicali e il suo è un appassionato intervento in favore dell'armonia, nel corpo come nello spirito. In questo brevissimo movimento (poco più di 100 secondi) il solista propone delle idee e l'orchestra, con sonori interventi delle percussioni, risponde sempre e perfettamente a tono.

La prima battuta (11’42”) è suonata da archi, xilofono, timpani e tamburino: presenta con gran vigore l’inciso g che diventerà protagonista di uno degli interventi del medico, per poi chiudere (nelle sole percussioni) il movimento.  Si noti l’ascendenza all’inciso c di Pausanias:

Il solista espone subito il suo tema (T5) di svolazzanti semicrome:

Tema che evidentemente attira subito l’attenzione - e il massimo interesse - dei presenti: e così l’orchestra (11’50”) commenta vivacissimamente questo primo intervento del medico-musicista:

Si noti come l’organico suonante si irrobustisca via via (divisione dei violini I e II, verso la fine anche delle viole) il che sembra evocare il progressivo associarsi di voci di commensali ai commenti e alla discussione! Cosa confermata da come violini I e !! si dividano le parti (metà battuta a testa).

Il giochetto si ripete subito: il solista (11’57”) propone il tema T6 (variante del T5):

e l’orchestra (12’01”) risponde sempre allo stesso modo, ma stavolta chiudendo con lo sberleffo g. 

Ora il solista (12’06”) riprende il tema T5 (sottilmente variato) a cui appende (12’11”) una cantilena ostinata sull’inciso g!

Il quale passa ora (12’16”) a violini e viole, che lo reiterano mentre il solista guida una transizione, sempre in semicrome, poi progressivamente allargando i tempi, con l’orchestra che lo contrappunta con il tema T5.

Ancora un passaggio (12’32”) veloce del solista, sottolineato dal motivo g nei violini e lacerti del tema T5 negli archi bassi. Quindi (12’37”) tutti gli archi, in fortissimo, ripetono la loro risposta al tema T5, chiusa dall’inciso g.

Ci si avvia ora alla conclusione (12’46”) con il tema T6 nel solista, subito rimbeccato (12’50”) dall’orchestra; segue nel solista (12’54”) il tema T5. Xilofono, triangolo e piatto sospeso mettono il sigillo con l’inciso g.

Non c’è che dire… Un’efficacissima narrativa di dialogo fra un singolo e una muta di interlocutori!

IV Adagio [Agathon] 

Agatone descrive l'Amore come il più buono e bello e giovane di tutti gli dèi. E Bernstein ci costruisce un mirabile adagio (anzi, se si esclude un centrale climax, con prolungato rullo di timpano, quasi un… adagietto mahleriano!) dove agli archi si aggiungono spesso l’arpa e i sommessi tocchi di timpano.

 

La struttura del movimento si può così schematizzare:

 

- Presentazione del tema T7, suddiviso in tre parti: T7aT7b - T7c;

- intermezzo orchestrale e climax;

- cadenza solistica;

- ripresa parziale del tema T7: T7aT7c;

- coda.


Caratteristica peculiare del brano è il richiamo scoperto all’inciso a di Fedro, che compare fin da subito (13’24”)font-size: 12pt; proprio nella prima battuta, in violini I e celli, ad introdurre e poi accompagnare il canto del solista:


Solista che espone ora la sua nobile e lunga melopea (tema T7):



Al T7a succede (14’23”) il T7b, poi (14’57”) il T7c.


Dopo due battute di ponte, ecco la sezione centrale (15’47”) riservata ad archi e timpani, dove fa ancora capolino l’inciso a di Fedro e che si chiude (16’55”, Largamente) con un climax dal quale prende avvio la Cadenza solistica:


Al termine della quale (18’28”) il solista ripropone, salvo la battuta iniziale, il tema T7a (con l’inciso a a far capolino negli archi) e poco dopo (19’01”) il tema T7c.

Sei battute (19’34”) in ulteriore rallentando, con il solista a tenere un lungo LA e archi e arpa ad emettere spizzichi dell’inciso a chiudono l’accorato intervento di Agatone.

V Molto tenuto - Allegro molto vivace [Socrates - Alcibiades]

Socrate è introdotto, in tempo sostenuto, dall'intera orchestra, che lascia poi spazio al solista, concertante con il violoncello: è la nobile perorazione del filosofeggiare di Diotima di Mantinea. Poi arriva Alcibiade, ubriaco, e l'orchestra infatti dà in escandescenze, con le percussioni a contrappuntare rumorosamente il solista.

Molto tenuto. I soli archi (con iniziale rintocco di campana) espongono (20’23”) il nobile tema (T8) di Socrate (in figura solo la parte dei primi violini):

Ora (21’59”) il violino solista e il primo violoncello, a canone, espongono, a mo’ di cadenza, la filosofia di Diotima (l’Amore è un dèmone, né divino né umano):

Il solista riprende poi (23’14”) il tema di Socrate, variandolo (T8a) sia nella tonalità che nella struttura, accorciata e modificata nella parte finale per prefigurare il… putiferio che si annuncia:



2. Allegro molto vivace. È l’irruzione nel simposio di Alcibiade ed altri ubriaconi. Bernstein lo cataloga come un (in realtà eterodosso) Rondò. Si può schematicamente suddividere così:

- Introduzione: è puramente orchestrale, aperta da due schianti (24’37”), e anticipa alcune caratteristiche ritmiche (tipicamente jazzistiche) del brano e uno dei temi (T9) che tornerà nel seguito.

- sezione A: è proprio il tema T9, assai melodico, che viene ripreso (25’18”) e poi ampliato dal solista (vi fa capolino anche l’inciso a di Fedro):

Il quale poi lo completa (25’31”) con un passaggio improvvisamente più nervoso, per poi zittirsi mentre l’orchestra (25’42”) gli risponde con un tema (TA) che ha il sapore proprio di una danza da un musical di Broadway:

Tema ripreso subito (25’48”) dal solista, che poi prosegue la sua melodia, finchè (26’16”) accompagnato dall’orchestra, non ne presenta una variante ancor più smaccata (TAb), cui segue una nuova scorribanda (proprio da musical) che poi sfuma, portando a chiudere questa sezione.

- sezione B: (26’51”) dopo un iniziale esplosione, sembra occupata (26’58”) da una pausa del frenetico vociare precedente, con solista e orchestra che paiono smozzicare frasi sconnesse e poi sonnolente; ma (27’35”, Agitato) ecco ripartire l’allegra goliardata di Alcibiade&C, con grandiosi e frenetici passaggi sincopati.

- sezione C: ripropone (28’09”) pari-pari la sezione A.

- Coda: è il solista (29’45”) a dare il via alla parte conclusiva del simposio, con il tempo che gradatamente accelera e il suono dell’orchestra (30’01”, Presto vivace) che si ispessisce sempre più. Ricompare anche (30’17”) il pacchiano tema TAb, poi (30’40”) il solista si imbarca in un travolgente passaggio in semicrome che culmina nella precipitosa chiusura.

01 gennaio, 2023

Concerti di Capodanno

Da milanese (sia pur adottivo) e quindi dotato di prospettiva assai limitata (!?) mi limito (?!) a censire (non re-censire, sia chiaro!) i tre concerti che mi son passati sotto gli occhi-orecchi (dal vivo o tramite corrieri assortiti). 

È una classifica nettamente determinata dai rispettivi Kapellmeister:

 1° assoluto (e di gran lunga): Guggeis con la Nona de laVerdi;

 Harding con la Fenice;

 3° Il figlio-di-papà Welser-Mòst dal Musikverein.

 Diciamo pure che un 2022 come questo non meritava di più, ecco. Il guaio è che il 2023 già parte male nella culla...