affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

13 gennaio, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°13


Oggi pomeriggio l’Auditorium (discretamente frequentato) ha ospitato il secondo concerto dell’appuntamento n°13 della stagione. Sul podio ancora il Direttore Musicale, mentre al pianoforte, per ben due impegni, si è rivisto quell’Alexandre Tharaud che era stato ospite de laVerdi nel settembre 2017 per l’apertura di stagione alla Scala.   

Si parte con Haydn e con il suo Concerto per pianoforte - o clavicembalo - e orchestra in RE maggiore. Interessante, oltre che piacevole, ricordare come, quasi 7 anni fa e proprio con Flor sul podio, ne abbia dato una convincente interpretazione con l’arpa solista la bravissima Elena Piva, prima parte de laVerdi allo strumento.

Concerto di struttura assai semplice, ma non per questo banale, anzi. Il Vivace iniziale (4/4) è monotematico, con il motivo esposto prima in RE, poi in LA e quindi sviluppato con passaggi anche sulla relativa SI minore. Lo chiude una cadenza (non scritta).    

Stesso discorso per il centrale Un poco adagio, 3/4 in LA maggiore. Il tema principale, anche qui assai semplice, ma tutt’altro che disprezzabile, viene proposto dall’orchestra e passa poi al solista. Quindi viene sviluppato in una poetica sezione centrale nella dominante MI, prima di tornare sul LA per la ripresa. Anche qui è una cadenza solistica a precedere la chiusura del movimento.

Chiude il concerto un Rondo all’unghereseAllegro assai, 2/4 in RE maggiore. È il solista ad esporre per primo il tema principale, poi imitato dall’orchestra. La struttura (A-A’-B-A-C-A) si basa su elaborazioni continue di questo tema. Dapprima riesposto sulla dominante LA maggiore, dove viene sviluppato dal solista con ulteriori modulazioni (MI, DO) prima di tornare al LA. Ecco poi una sezione in RE minore, dove il tema è ancora variato, con pesanti interventi dei corni (tonica-dominante) prima di tornare in RE maggiore. Altro episodio nella relativa SI minore prima del definitivo ritorno alla tonalità d’impianto.

Tharaud - che come sempre si tiene lo spartito sul leggio - ne dà una lettura in punta di... dita, curiosamente quasi a voler simulare il clavicembalo, se non proprio l‘arpa.

Dopo i meritati applausi, questo cinquantenne dall’aria sbarazzina torna subito alla tastiera per proporci il celeberrimo (grazie anche ad... Elvira Madigan!) Concerto in DO, K467 di Mozart, composto solo 3 anni dopo quello di Haydn. Ma le differenze sembrano separare i due lavori di qualche lustro, anche se sono più accentuate sul lato dell’accompagnamento orchestrale che su quello della scrittura pianistica.

Accattivante l’interpretazione di Tharaud che poi risponde alle reiterate chiamate congedandosi con questo Scarlatti!
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Ha chiuso il concerto la Quarta di Franz Schmidt. Del compositore austriaco si potrebbe dire - con una battuta in filino irrispettosa - che fosse uno che arrivava sempre in ritardo (musicalmente parlando) di una ventina d’anni sui tempi. Così, scomparso da poco Mahler, lui scrisse un sinfonia (la sua seconda) ispirandosi a (o scimmiottando, secondo i maligni...) Bruckner - suo maestro - e Brahms. Vent’anni dopo, in compenso, scrisse questa quarta che si potrebbe scambiare per... l’undicesima di Mahler (suo Direttore alla Hofoper dove lui suonava il violoncello)! Ecco, questa specie di marchio di inattualità ha certo pesato, insieme alle vicende legate alla politica e ai rapporti del musicista con il nazismo, sul giudizio non proprio lusinghiero dato su di lui e spiega il dimenticatoio nel quale le opere di Schmidt sono cadute. Riesumarle, come ha fatto laVerdi con la Seconda e ora con la Quarta, è operazione comunque apprezzabile, quanto meno dal punto di vista filologico. (E al proposito mi permetto un suggerimento, per una prossima stagione: presentare una Sinfonia di Kurt Graunke, magari la Quinta...)     

Sinfonia con tragici legami autobiografici - la triste vicenda della grave malattia mentale della prima moglie, internata in un manicomio, dove sopravvisse al marito che nel frattempo sposò una sua allieva; la sua stessa salute malferma; e finalmente la morte prematura della figlia, in seguito al suo primo parto - che ne indirizzarono il taglio e i contenuti: un Requiem, come lo stesso compositore ebbe a definirla.

Mahleriano è il lugubre recitativo di apertura affidato alla tromba (sullo stile di quello delle viole della Nona): un motivo atonale che torna - come l’altro tema suo parente della sezione iniziale, assai lirico - ciclicamente nel corso della sinfonia. Così come mahleriano e bruckneriano è l’impiego del gruppetto, una figurazione che caratterizza questo lavoro di Schmidt.

La sinfonia presenta quattro sezioni (più che veri e propri movimenti classici) tra loro giustapposte senza soluzione di continuità. Non vi manca lo Höhepunkt, nella seconda sezione in Adagio, e anche qui non si può evitare un riferimento ad un altro Adagio, quello della mahleriana Decima (a sua volta di chiara ascendenza parsifaliana).

L’unico chiaro stacco di agogica è individuabile con l’inizio della terza sezione (Molto vivace, 6/8) che rappresenta in un certo senso lo Scherzo classico (ma sa anche di saltarello... fugato) dove si riaffacciano anche i motivi ricorrenti. Essa sfocia, con un progressivo spegnersi, nell’ultima sezione, che riprende a sua volta i motivi della prima, con accenti anche qui chiaramente mahleriani nei corni e poi negli archi. Essi conducono - dopo ultimi sussulti di vitalità, ancora scopertamente mahleriani - alla ricomparsa del recitativo della tromba e allo spegnersi del suono, sul DO conclusivo.   

Che dire? Quando in una composizione di 40 minuti o giù di lì si ha per almeno una dozzina di volte la sensazione del déja-entendu... ecco, è difficile esaltarsi. Certo, c’è di molto peggio in giro, se è per quello.

Pubblico comunque prodigo di applausi per tutti e per le singole parti, giustamente chiamate da Flor a godersi il meritato riconoscimento per la prestazione tecnicamente ineccepibile.

12 gennaio, 2019

Alla Scala sempre la stessa Traviata


È dal 1990 che La traviata che si rappresenta alla Scala è sempre la stessa: sì, certo, quella di Verdi. Ma io mi riferisco alla messa in scena da Liliana Cavani. Per dir la verità un’eccezione (ma proprio unica) si è registrata negli ultimi tempi: fu a SantAmbrogio del 2013 con la produzione del genio Tcherniakov (Gatti sul podio e Lissner alla soprintendenza). Poi già nel 2017 tornò quella che era stata impiegata in ben altre 8 stagioni (91-92-95-97-01-02-07-08) dopo quella dell’esordio.

Delle due l’una: o nei magazzini del teatro sono andate a fuoco le scene (ma anche i testi della sceneggiatura) del regista russo, oppure mi sa proprio che quella del 2013-14 non fosse una produzione destinata ad entrare nella storia...
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Ecco, sistemati rapidamente l’epicedio per Tcherniakov e l’epinicio per Cavani, vengo al sodo, cioè alla parte strettamente musicale della serata. Che ha avuto per protagonista Myung-Whun Chung, già da come si è presentato con il Preludio, attaccato con un ppppp quasi impossibile, e poi caratterizzato (in ciò farà il paio con l’altro preludio) da sapienti incertezze di agogica che sembravano descrivere l’instabilità fisica (e pure psichica) della protagonista.

La quale è Marina Rebeka da Riga, che mi è parsa progredire nel corso dei quattro quadri dell’opera, dopo un avvio non proprio impeccabile, compreso l’attacco del primo Sempre libera. Forse (e senza forse) erano per lei gli isolati ma chiari buh piovuti dalla seconda galleria all’uscita dopo il primo atto: certo, se motivati solo dall’assenza del famigerato MIb finale, allora sarebbe da buare il buatore. Non particolarmente memorabile anche l’interpretazione, un po’ carente di... carisma; tutto sommato una Violetta appena discreta, che però, come detto, è cresciuta via via e ha finito per meritarsi i consensi arrivati alla fine. Adesso, passata quasi indenne dalla rottura del ghiaccio, c’è da aspettarsi che possa solo migliorare ancora.   

Francesco Meli è invece un Alfredo ben centrato sul personaggio. Mi pare stia ultimamente un po’ esagerando con l’impiego della mezza-voce, voce che per il resto è sempre un piacere ascoltare.

Leo Nucci ormai ha l’età di... nonno Germont! Ma è un nonno che canta ancora come e meglio del figlio (cioè di Germont-padre, sia chiaro, non vorrei offendere Meli). Efficace anche (come sempre, del resto) la sua interpretazione, efficacia già manifestatasi all’entrata in scena, proterva e minacciosa. Così come il progressivo... ammorbidimento, fino al conclusivo mea-culpa.

Tutti gli altri - la Flora di Chiara Isotton, Douphol di Costantino Finucci, Grenvil di Alessandro Spina e Obigny di Antonio Di Matteo - su standard più che dignitosi, come quelli degli accademici Caterina Piva (Annina), Riccardo Della Sciucca (Gastone), Sergei Arbkin (Giuseppe) e Jorge Martiniz (domestico).

Tutto sommato, una compagnia bene assortita cui ha... tenuto compagnia il solito splendido coro di Bruno Casoni (anche qui dopo una partenza non centratissima).

Durante la recita applausi a scena aperta sempre piuttosto contenuti; alla fine e alle singole uscite invece il consenso è cresciuto e i protagonisti - compresa l’immarcescibile Liliana Cavani - hanno avuto la loro buona dose di applausi.  Per il Direttore, anche ovazioni e bravo! (pienamente meritati).

Che dire, questa è una di quelle proposte dove i rischi superano di gran lunga le speranze di successo; quando invece il successo (pur contenuto) arriva... la scommessa è vinta.

30 dicembre, 2018

Capodanno in musica


Il Capodanno viene festeggiato in tutto il mondo anche da Istituzioni musicali grandi e piccole, e l’Italia non fa eccezione: cito solo la Fenice di Venezia e la Scuola di Fiesole.

Ieri sera laVerdi ha iniziato la sua quattro-giorni con la prima esecuzione della Nona di Beethoven, appuntamento ormai divenuto immancabile. Sul podio quel Claus Peter Flor che 19 anni fa (proprio in questa circostanza) esordì quasi per caso con l’Orchestra di cui oggi è Direttore Musicale.

Auditorium al gran completo e orchestra colorata di rosso dagli abiti delle rappresentanti del gentil sesso (Viviana esclusa, in canonico nero). La co-spalla Dellingshausen affianca come concertino la spalla Santaniello; i quattro solisti (entrati in posizione dopo lo Scherzo) sono collocati dietro l’orchestra (disposizione con violini secondi al proscenio) e davanti al coro.

Inutile dire della trionfale accoglienza per un’esecuzione che definire impeccabile è ancora poco. Le quattro voci (Gal James, Sonia Prina, Cameron Becker e Jochen Kupfer) hanno retto abbastanza bene l’impegno, anche se, non essendo fulmini di guerra, forse la dislocazione sul palco non le ha premiate come meriterebbero. 

Grandissima, al solito, la prestazione del Coro di Erina Gambarini, accomunato insieme a orchestra, solisti e direttore in un entusiastico applauso, anche ritmato, che ha chiuso questa prima tappa del passaggio di consegne da questo poco commendevole 2018 a... auguri! 
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A proposito di esordi, ecco che il tradizionalissimo appuntamento di Vienna ospita quest’anno il battesimo di Christian Thielemann. Abbastanza curiosamente, il suo curriculum pubblicato sul sito dei Wiener non cita la posizione di Musikdirektor del Festival di Bayreuth (?!) 

Martedi prossimo, ore 11:15, appuntamento su Radio3 per la diretta audio. 

Qui la classifica aggiornata dei Direttori delle 80 edizioni (2019 compreso) che si sono succedute senza alcuna interruzione dal 1940 (in realtà il primo concerto si tenne a SanSilvestro del 1939):

Willi Boskowsky 
25
1955-1979
Clemens Krauss 
13
1940 (31/12/1939)
1941-1945
1948-1954
Lorin Maazel 
11
1980-1986
1994
1996
1999
2005
Zubin Mehta
5
1990
1995
1998
2007
2015
Riccardo Muti
5
1993
1997
2000
2004
2018
Mariss Jansons
3
2006
2012
2016
Josef Krips 
2
1946-1947
Claudio Abbado 
2
1988
1991
Carlos Kleiber 
2
1989
1992
Nikolaus Harnoncourt
2
2001
2003
Georges Pretre †
2
2008
2010
Daniel Barenboim
2
2009
2014
Franz Welser-Möst
2
2011
2013
Herbert von Karajan 
1
1987
Seiji Ozawa
1
2002
Gustavo Dudamel
1
2017
Christian Thielemann
1
2019

 

15 dicembre, 2018

laVerdi 18-19 - Concerto n°11


Per questo ultimo appuntamento pre-natalizio de laVerdi (per la verità il 19 ci sarà Jais con laBarocca per il tradizionale Messiah) si rivede in Auditorium Giuseppe Grazioli, uno che qui è di casa e che ci regala un programma tutto italiano (lui è uno specialista assoluto di questo repertorio). 

Il fil-rouge che lega i 4 brani in programma è la Sicilia, con un percorso ad arco che parte dall’epopea medievale sublimata dal più grande compositore italiano dell’800 per arrivare al ‘900 fra le due guerre, quindi avanzare ancora fino ai tempi del miracolo economico, per poi ripiegare a inizio secolo.

Si parte con Giuseppe Verdi e l’Ouverture da I Vespri Siciliani, un vero capolavoro sinfonico, per compiutezza di forma e sapientissimo uso dei temi conduttori dell’opera. laVerdi l’ha suonata diverse volte negli ultimi anni ed anche ieri non ha mancato di far vibrare le corde del pubblico che ha accolto l’esecuzione con grandissimo calore.
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Ecco poi Alfredo Casella con la sua Suite Sinfonica Op.41b tratta dalla commedia coreografica La Giara, ispirata a Pirandello, che vide la luce a Parigi nel 1924. Suite della durata di 20 minuti o poco più, che comprende i 2/3 (in termini di tempo) dell’intero lavoro.
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Questa è la struttura completa della Commedia; la parte riquadrata è quella non inclusa nella Suite:

I - a) Preludio b) Danza siciliana

Preludio
- Andantino dolce, quasi pastorale
- Poco più lento, quasi adagio
- Allegro grottesco ed animato (Zi' Dima passa e scompare)
- Tempo primo

Chiòvu (Chiodo, danza popolare siciliana)
- Allegro vivace (Scena: aia siciliana; entrano i contadini)

Danza generale
- Allegro vivace
- Lontano - Avvicinandosi - Brillante e giocoso
- Sempre più forte, ma senza affrettare - Con tutta la forza - Calmato
- Lontano - Avvicinandosi - Giocoso
- Sempre più brillante e fortissimo - Stringendo

- Vivace (Irrompono tre ragazze spaurite)
- Grave, funebre (La grande giara spaccata; tutti piangono; strazio generale)
- Vivace (Un contadino chiama tre volte Don Lolò)
- Allegro drammatico (Don Lolò appare e scende; scena di furore; finimondo; contadini atterriti)
- Poco a poco stringendo (Entra Nela che riesce a placare le ire del genitore)
- Allegro vivace e grottesco (Entra Zi' Dima; i contadini lo accolgono come a una messa; tutti lo circondano e gli raccontano il fatto; lo conducono davanti alla giara)
- Lento (Zi' Dima esamina la giara; silenzio religioso)
- Dio nuovo animando (Zi' Dima annuncia che riparerà la giara; “Evviva Zi' Dima”)
- Stringendo (Don Lolò si spazientisce e scaccia i paesani; tutti fuggono; Don Lolò esce con Nela)
- Andante moderato (Zi' Dima prepara la riparazione; si fa notte; fora i pezzi col trapano)
- Vivace (Le tre ragazze spiano Zi' Dima)
- Andante moderato (Zi' Dima riprende il lavoro)
- Vivace (Le tre ragazze riappaiono; Zi' Dima non le vede)
- Andante moderato (Zi' Dima riprende ancora il lavoro)
- Allegro animato (Rientrano giocosamente i contadini)
- Stringendo (Zi'  Dima viene introdotto nella giara, poi chiusa con lembo rotto)
- Lento molto e misterioso (La giara sembra nuova; i contadini sono ammirati)
- Pesante ed allegro (I contadini cercano si estrarre Zi' Dima, ma la cosa non va)
- Agitato (Zi' Dima urla; nuovi tentativi dei contadini; nuove urla del vecchio; sforzi eroici)
- Allegro vivacissimo (Arriva Don Lolò stravolto e fa ruzzolare a terra i salvatori; disputa violentissima fra padrone e contadini)
- Alla breve, stringendo (I contadini vogliono spaccare la giara per liberare Zi' Dima; Don Lolò non lo permette: prima Zi' Dima deve pagare il danno; baruffa generale)
- Prestissimo (Don Lolò, dispersi i contadini, risale in casa)

II - a) “La storia della fanciulla rapita dai pirati” b) Danza di Nela c) Entrata dei contadini d) Brindisi dei contadini e) Danza generale f) Finale

- Allegro animato (Un contadino torna, accende la pipa a Zi' Dima e lo tranquillizza)
- Lento, calmissimo (Notte; chiaro di luna; calma; dalla giara escono le volute di fumo della pipa)
- “La storia della fanciulla rapita dai pirati” (Dal fondo della campagna s’innalza un canto popolare) (testo di Alberto Favara, 25 battute musicali in FA# maggiore cantate dal tenore)
- Vivacissimo e leggero (Nela scende dalla casa; danza attorno alla giara; chiama i contadini)
- Allargando (Entrano tutti i contadini festosamente)
- Pesante (Viene portato da bere)
- Allegro deciso (Brindisi dei contadini che acclamano Zi' Dima)

Danza generale
- Allegro rude e selvaggio (I contadini ebbri danzano intorno alla giara)
- Orgiastico e brutale (Don Lolò, destato dal baccano, si affaccia e vede la scena)
- Allegro vivacissimo (Don Lolò scende come toro infuriato; spavento generale)
- In due (Don Lolò abbranca la giara e la fa ruzzolare giù dall’altura; terrore dei contadini che si precipitano in soccorso di Zi' Dima)
- Allegretto molto moderato e rustico (Rientrano i contadini, innalzando in trionfo Zi' Dima liberato)

Finale
- Prestissimo (Don Lolò, disperato, è fuggito; Nela guida la danza generale)
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Brano pieno di verve, ovviamente monopolizzato (canzone esclusa, che il giovane ucraino - trapiantato qui da noi - Denys Pivnitskyi ci ha esposto da dietro le quinte con bel portamento) da motivi di danza, ora graziosi ma più che altro sfrenati, che non possono non trascinare all’entusiasmo, cosa puntualmente accaduta ieri.
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Di Nino Rota (uno dei beniamini di Grazioli, che ne ha inciso con laVerdi una montagna di musica) abbiamo ascoltato una parte della splendida Suite di musiche dal Gattopardo di Visconti, del 1963. Liberamente tratta dalla colonna sonora (di cui non segue la sequenza legata alla pellicola) ci propone però i temi principali del film, sapientemente organizzati in una struttura che ne esalta le bellezze.

Titoli di testa (Allegro maestoso)
N.6 - 
Viaggio a Donnafugata (Allegro impetuoso)
N.19 - 
Senza titolo (Sostenuto appassionato)
N.11 - 
Angelica e Tancredi (Andante)
N.7 -
I sogni del Principe (Un poco mosso ma tranquillo e sognante - con ansia - sentito - lo stesso tempo sereno e dolce)
N.3 - 
Partenza di Tancredi (Andante)
N.21 - 
Amore e ambizione (Sostenuto, quasi lento ma inquieto)
N.22 - 
Quasi in porto (Andante)
Finale (Stesso tempo)

Tutto ciò è anche riportato sul programma di sala, ma Grazioli salta direttamente da Angelica&Tancredi al Finale (?!) Anche il pubblico resta un filino perplesso.
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Ha chiuso la serata Gino Marinuzzi con la sua Suite Siciliana, che si può apprezzare qui proprio in una registrazione di Grazioli con laVerdi. Composta a 27 anni, nel 1909, è chiaramente tributaria del tardoromanticismo d’oltralpe: con una battuta, e parafrasando Strauss - del quale Marinuzzi diverrà sommo ed apprezzato interprete - potremmo re-intitolarla Aus Sizilien!  

Come la Fantasia sinfonica del tedesco, si articola in quattro quadri ispirati ad altrettanti aspetti caratteristici della regione:

1. Leggenda di Natale (Andante triste)
2. La canzone dell’emigrante (Andante sostenuto)
3. Valzer campestre (Un po’ lento)
4. Festa popolare (Allegro vivace) 

Ottima prestazione dei ragazzi, accolta da convinti applausi. Forse per farsi perdonare l’auto-riduzione del Rota, Grazioli e l’Orchestra ci regalano il pezzo forse più siciliano dell’intero repertorio operistico!