affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

11 gennaio, 2011

In montagna con Harding e la Filarmonica della Scala


Come pre-riscaldamento prima di slanciarsi contro le asperità del dittico verista (la prima di domenica 16 sarà trasmessa, oltre che da Radio3, anche in video da RAI5 - chissà se pure in web…) Daniel Harding ha diretto Il primo concerto del 2011 dei Filarmonici scaligeri, con un programma che ha affiancato due autori assai lontani per concezione, approccio e ideali, pur avendo convissuto per 40 anni nello stesso secolo.

Ha aperto il concerto la Suite A dell'Ulisse di Luigi Dallapiccola. Solisti di canto Manuela Bisceglie e Lucio Gallo (ascoltato sabato 8 dal MET, nei panni di Jack Rance). Domandarsi perché un'opera come Ulisse abbia avuto – dal 1968 – rappresentazioni che si contano con le dita di una sola mano è cosa forse stucchevole… guarda caso l'altra sera i commentatori-radio della Fanciulla americana si domandavano perché l'opera più innovativa di Puccini (che oltretutto gli aveva dato la consacrazione di sommo musicista) fosse anche la meno eseguita e la meno amata dal grande pubblico! (perché non c'è quasi nulla da potersi fischiettare, o cantar sotto la doccia, era la spiegazione aleggiante colà…) Ergo, tirèm innanz.

Nella seconda parte del concerto Harding ha guidato i Trepper nell'ipertrofica Eine Alpensinfonie di Richard Strauss. La dotazione minima indicata da Strauss è un'orchestra-base di 107 professori, cui se ne dovrebbero aggiungere, per un passaggio nella scena della Vision, altri 10 (a raddoppiare alcuni strumentini); più – tanto per gradire – altri 16 ottoni posti in lontananza, nell'episodio Der Anstieg. Due arpe, possibilmente da raddoppiare, percussioni a josa, incluse macchina del vento e – per sole 3 battute di impiego, quale spreco! – macchina del tuono (in realtà un lamierone appeso ad un trespolo e percosso con mazza da tamburo). In tutto: almeno 133-135 elementi, roba da bengodi, non da Bondi... Forse ieri c'era qualche elemento in meno (gli ottoni fuori scena poi, chi poteva contarli? Di sicuro c'erano 5 corni, poi entrati in orchestra… )

Le difficoltà per gli strumentisti dei fiati sono così tremende, che Strauss medesimo si è preoccupato di aggiungere una nota in calce alla partitura, consigliando loro di usare l'aeroforo di Bernard Samuels (inventato proprio a ridosso della composizione, nel 1912) per avere adeguata dotazione d'aria alla bocca, con cui far fronte ai lunghi legati! Il marchingegno non ha avuto grande successo, a dir la verità, presentando più controindicazioni che vantaggi, come riconosciuto da qualche diretto interessato. Né risulta che alcuno abbia mai proposto di installare (dietro le quinte, o sotto il tavolato del palcoscenico) un impianto centralizzato di erogazione aria (simile a quelli impiegati in ospedale per l'ossigeno e l'azoto) con qualche decina di cannelli, sbucanti dal pavimento, a disposizione degli strumentisti bisognosi.

Che dire? Harding ha dato una lettura sobria di questo elefante, senza esagerare troppo con l'enfasi e l'affettazione e mostrando il meglio proprio nei passi più intimistici e raccolti di questa partitura. L'orchestra ha risposto bene, e particolarmente nella sezione che è solitamente definita come suo tallone d'Achille: gli ottoni, e i corni in particolare. Grandi ovazioni per tutti: un buon viatico per il Direttore, in vista dell'appuntamento con Mascagni-Leoncavallo.
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Nella sinfonia (un poema sinfonico, in realtà) si esplora un intero giorno, da notte a notte, dall'alzataccia per i preparativi dell'escursione al ritorno a casa, dopo una giornata faticosa, anche pericolosa, ma entusiasmante ed indimenticabile. I vari momenti dell'avventura musicale sono chiaramente indicati in partitura, precisamente con 22 sottotitoli, che ci guidano meticolosamente per tutto l'arco della giornata.

Quindi un'opera programmaticamente descrittiva, per quanto possa la musica descrivere cose, luoghi, animali, e atteggiamenti, movimenti e sensazioni umane. Se ad un ascoltatore, ignaro del soggetto, si fa udire il tema dell'ascesa, chiedendogli cosa ci vede, c'è una probabilità su qualche milione di miliardo che lui indovini trattarsi del passo spedito di un escursionista alle pendici delle Alpi (in ciò un Hanslick qualunque ha perfettamente ragione). Idem se gli si chiede cosa vede nel tema wagneriano della spada (se nessuno lo avverte che quel tema vuol rappresentare, appunto, una spada). Peraltro è indiscutibile che, una volta che noi sappiamo che quel tale tema vuol rappresentare il passo del camminatore (o la spada di Wotan, nel secondo caso) noi non possiamo far a meno di riconoscere che effettivamente quei temi sono assai calzanti agli oggetti o movimenti che intendono rappresentare. Il che significa che gli autori di quei temi hanno saputo idearli e metterli sul pentagramma con grande abilità e sopraffino genio musicale.

Tornando a Strauss, la musica che ci descrive quelle 22 stazioni è perfettamente attagliata a luoghi, circostanze, sensazioni, pericoli, visioni che un escursionista incontra sul suo cammino e prova al cospetto di ciò che incontra. Ovviamente, come musica potrebbe piacere (o dispiacere) anche se quei sottotitoli mancassero, oppure se ve ne fossero appiccicati di totalmente diversi (è il solito Hanslick a garantircelo).

Ed infatti – complice il medesimo Strauss, bisogna dire, con le sue sparate sull'Antichrist – ci sono i soliti scafati che vengono a spiegare (a noi poveri pirla) come e qualmente, in quest'opera, sotto l'esteriorità del programma naturalistico si celino in realtà problematiche socio-politico-filosofico-psicologico-esistenziali di abissale profondità. E che quindi i titoli delle 22 stazioni si potrebbero sostituire con altri, del tipo: l'uomo nella notte dell'ignoranza e della religione; scocca la scintilla della ragione e si fa luce; il lungo cammino verso la conoscenza; il pensiero umano si inoltra nella foresta del dubbio; le prime conquiste della scienza; errori ed eresie; finalmente la pienezza della liberazione e della purificazione morale… e così via inventando. Diciamo la verità: con simili sottotitoli la Alpensinfonie diventerebbe una stucchevole, velleitaria riproposizione dello Zarathustra o della narcisistica e megalomanìaca Heldenleben

Volendo, si potrebbero proporre anche altre, diverse e ancor meno naturalistiche, visioni dell'opera. A partire da quella autobiografica: nel 1915 Strauss, a 51 anni (l'età che aveva il suo amico-rivale Mahler al momento di morire, quattro anni prima) dopo aver composto e fatto eseguire tutti i suoi Tondichtungen e quattro cosucce come Salome, Elektra, Rosenkavalier e Ariadne, si sentiva all'apice del successo, avvertendo allo stesso tempo che gli sarebbe stato difficile rimanere in vetta per sempre e che forse stava già per cominciare anche per lui la fase di discesa (in effetti durata ben 34 anni, durante i quali continuò comunque a produrre musica tutt'altro che disprezzabile). Così come si può interpretare questo racconto come un film sulla parabola dell'arte musicale mitteleuropea ed occidentale, che – agli occhi di Strauss e a fronte di rivoluzioni in atto (Schönberg, Stravinski) – poteva sembrare avviata al tramonto, dopo i fasti wagneriani, brahmsiani e… straussiani! O anche – stante la grande guerra in pieno svolgimento – come la presa d'atto, con gran rimpianto, del tramonto di un'intera civiltà, dopo le vette toccate a cavallo del secolo.

Ecco perché, personalmente, tendo ad apprezzare quest'opera proprio guardandola - e ascoltandola, soprattutto! - con l'occhio-orecchio ingenuo dell'escursionista che passa una bella giornata in montagna! E che giornata…

1. Nacht – notte

Tempo lento e tonalità di SIb minore. Un moto discendente di archi e fagotti, che in 8 misure copre precisamente due ottave, a partire dalla tonica SIb, fa da introduzione al solenne tema della montagna ancora avvolta dalle tenebre, esposto da tromboni e basso tuba:
Poi i contrabbassi creano un movimento di ondeggianti terzine, come un sommesso, sordo stormire di fronde, mosse dalla brezza che annuncia l'albeggiare; arpeggi dei fagotti preparano ancora il tema notturno, esposto a canone largo da tuba, tromboni e corni. Ora, poco a poco più mosso, flauti, trombe, oboe e corni eseguono a turno degli squilli (una quinta ascendente) come di qualcosa che si risveglia, o forse sono gli olà degli escursionisti che si danno il richiamo per radunarsi in vista della partenza. Tutti gli archi adesso stormiscono a veloci quartine; quindi, accelerando, il tema della montagna si fa solenne (il giorno si avvicina) passando dal SIb minore al SIb maggiore, nei tromboni, trombe, corni e con archi e strumentini che ingrossano ulteriormente il suono, con velocissime biscrome. Una terzina della tromba e degli strumentini, in fortissimo, sempre in SIb maggiore, conduce, con un ardito salto di tonalità, a LA maggiore...

2. Sonnenaufgang – spunta il sole

Tempo sostenuto, moderatamente lento. Il sole che sorge è interpretato da un tema degradante per quasi due ottave, fatto a dente di sega, che ben rappresenta la luce che scende progressivamente, inondando i crinali delle montagne e rivelandocene così i profili frastagliati e – sottolineate dai piatti – le cime aguzze:
È sempre di 8 misure, suonato da archi, trombe e strumentini, poi da corni e tromboni, via via contrappuntato dagli archi e fiati. Eccolo lì, proprio davanti a noi, il maestoso teatro della nostra escursione! Dopo una transizione dei tromboni a REb maggiore, violini e poi strumentini sembrano mostrare ancora al nostro sguardo il suggestivo panorama, ancora lontano, fatto di picchi, boschi, valli, ghiacciai e burroni. Ricompare il tema della montagna, dapprima in minore, che poi sfocia in SOLb maggiore, in tromboni e trombe, che sembra spronarci con un: forza, in marcia! Accelerando, arriva una scala ascendente di tromboni, corni e fiati, poi le trombe introducono frammenti del successivo tema dell'ascesa, come se ci si stesse riscaldando prima di attaccare l'escursione...

3. Der Anstieg – l'ascesa

Tempo piuttosto vivo ed energico. Il tema dell'ascesa è esposto dagli archi bassi (prima sezione) con aggiunta delle viole (seconda sezione) poi dei violini (terza sezione):
Ci dà proprio l'idea di una camminata spedita, passo deciso, morale alto, ad affrontare le prime salite. Lo risentiamo ancora, in forma più mossa e variata (anche a canone inverso). Quindi si dà un po' di riposo (poco rallentando) ma subito riprende vigore in archi, fagotti e clarinetti (piuttosto energico) per toccare una breve sospensione, e lasciare spazio ad un nuovo tema, marcatissimo (lo scalpitare di uno stambecco che si inerpica su un costone? o i nostri rapidi balzi, di roccia in roccia, a scavalcare i primi ostacoli?) esposto da corni e tromboni, chiuso anche dalle trombe:
Qui si devono udire in lontananza (fuori scena) ben 12 corni, 2 trombe e 2 tromboni (neanche fossimo ad una battuta di caccia alla volpe della Regina d'Inghilterra!) che suonano consuete terzine, mentre continuiamo a sentire, in contrappunto, il caratteristico, ascendente scalpitìo (che siano camosci inseguiti dai cacciatori?) cui si aggiungono tre ripetizioni di una figura dei clarinetti (quasi tre respiri un po' affannati, che ci consentono di prender fiato dopo la prima parte della salita) a preparare...

4. Eintritt in den Wald – entrata nel bosco

Un poderoso accordo generale, in tonalità di DO minore ci descrive la cupa maestosità del bosco, che ci sta proprio davanti; profondi arpeggi degli archi ci rappresentano lo stormire delle fronde nel folto. Ed ora corni e tromboni intonano un tema solenne, piuttosto arcano, che ben dipinge le nostre sensazioni al momento di addentrarci in una foresta, un misto di curiosità e di inconscio timore:
Fagotti e archi bassi (un po' serrato) riprendono il tema dell'ascesa (ma in tono minore, come a sottolineare lo scenario misterioso che ci circonda) poi nei fiati alti (di nuovo lento) torna il tema del bosco, che si piega e risale, negli archi, ancora poi contrappuntato da quello dell'ascesa, nei fagotti. Una progressione ascendente di trombe e strumentini porta ad un picco sonoro in MI maggiore, da cui si ridiscende sulla tonalità di LAb maggiore (tempo un po' più vivo) sulla quale i violini intonano un nuovo motivo, dal profilo sognante:
Che sfocia, riprendendo il tempo primo, nella tonalità di LA maggiore, su cui torna il tema del bosco in clarinetto basso e controfagotti, contrappuntato da tre autentici cinguettìi del clarinetto piccolo e dal flauto che a sua volta imita un usignolo. Si ridiscende, passando da DO maggiore, e poi da MIb (di nuovo un po' stretto) dove il tema precedente viene ripetuto in minore, per lasciar posto agli ottoni che riprendono il tema del bosco (poco a poco calmando) poi in contrappunto con gli strumentini, fino al ripristino di tempo (un poco moderato) e di tonalità (LAb maggiore) su cui violini e viole ripropongono il tema dell'ascesa, anzi una sua variazione languida (forse il pendìo qui è meno impegnativo, oppure la fatica comincia a farsi sentire…) sulla quale subito violini primi e la viola sola sembrano quasi invitarci a meditare, ascoltando per qualche attimo… il silenzio del bosco, prima che il tema dell'ascesa riprenda e si espanda in lunghe peregrinazioni (evidentemente siamo in un tratto di percorso relativamente abbordabile) culminando (un poco largo) in quattro specie di saltelli che ci portano giù verso un ruscello, annunciato da fluttuanti sestine di semicrome di flauti e clarinetti...

5. Wanderung neben dem Bache – passeggiata presso il ruscello

Il tema dell'ascesa ricompare in archi bassi, fagotti e clarinetto basso, mentre archi, clarinetti e flauti ci fanno sentire la presenza dell'acqua che scorre più in basso; il tempo si fa poco a poco più mosso; fagotti e corni espongono ancora il tema dell'ascesa, sempre in LAb maggiore; veloci figurazioni del flauti, poi ancora il tema dell'ascesa, sempre in fagotti e corni, gli uni in LAb maggiore, gli altri in DO minore. Ora il tempo si fa poco a poco sempre più vivo, si cammina ormai vicino all'acqua, come sottolineano le figurazioni di archi e clarinetti; i violini primi, con i corni, conducono ora il tema dell'ascesa ad una concitata progressione, mentre archi e strumentini descrivono la corrente sempre più impetuosa del ruscello. Ma adesso stiamo quasi correndo anche noi, perché siamo irresistibilmente attirati, verso monte, dal classico rumore di una cascata...

6. Am Wasserfall – presso la cascata

In tempo molto vivo e tonalità di RE maggiore, il tema scalpitante (sono i nostri ultimi balzi per arrivare al cospetto della cascata? o qualche stambecco che se ne scappa via da lì, spaventato dal nostro arrivo?) è riproposto, fortissimo, da trombe e corni, mentre flauti, clarinetti, fagotti e violini producono precisamente delle cascate di note discendenti:
Su un sottofondo dei piatti percossi da bacchette, che rende perfettamente l'idea del vaporizzarsi dell'acqua a contatto con le rocce, la cascata continua, prima in tempo quaternario, poi in ternario, punteggiata dalle due arpe e dalla celesta, mentre si prepara una...

7. Erscheinung – apparizione

Chissà se per caso si tratta della famosa Alpenfee, la Maga delle Alpi (quella che anche il byroniano Manfred incontra proprio sotto una cascatella…) È sempre il ribollire della cascata che occupa il campo, con continui glissando di violini e arpe, finchè il primo corno intona un dolce tema (lo risentiremo presto, e in quale maestosità!) che sfocia in quello dell'ascesa:
Tema che strumentini e violini riprendono e chiudono con una salita al RE, poi al MI, che conduce al FA#, dominante della tonalità che caratterizza la scena successiva...

8. Auf blumige Wiesen – su campi in fiore

Tempo molto vivo e tonalità di SI maggiore. Il tema dell'ascesa è ancora una volta ripreso negli archi bassi, mentre gli strumentini e le arpe emettono suoni al limite del ronzìo, forse a rappresentare gli insetti e le api che si affannano attorno ai fiori. Poi il tema si apre – proprio come lo scenario che stiamo attraversando adesso, sottolineato dalle crome in pizzicato dei violoncelli, che paiono descriverci le corse di qualche leprotto - in nuove forme, sempre più vivace:
per condurci, accompagnati dal tema dell'apparizione, verso una nuova tonalità, che introduce anche una nuova scena...

9. Auf der Alm – sul pascolo

In tempo moderatamente veloce e tonalità di MIb maggiore fagotti, clarinetti e corno inglese emettono come degli jodel, accompagnati dagli squittìi del flauto piccolo. Il clarinetto piccolo e gli oboi letteralmente belano, suonando con la tecnica nota come frullato (il tedesco Flatterzunge, consistente nel far vibrare la lingua mentre si emette il suono). Poi corni, viole e un violoncello intonano un nuovo tema, derivato da incisi uditi sin dall'inizio, dopo lo spuntar del sole, che si innalza in volute successive:
Il sottofondo è sempre di squittìi dei flauti, jodeln di corno inglese, clarinetti e fagotti, mentre si odono anche dei campanacci, evidentemente di mandrie che pascolano in qualche alpeggio nelle vicinanze… Corni e archi riprendono il tema, anche a canone, mentre jodeln, squittìi e suoni di campanaccio si fanno più intensi, poiché adesso dobbiamo essere assai vicini al pascolo. Un'ultima perorazione del tema negli archi, porta a una nuova scena, in tempo veloce: strumentini e fagotti espongono, in entrate successive, una figura discendente per ben quattro ottave, da dominante a dominante (chissà, il richiamo dello zufolo di un pastore che riecheggia più volte, riflesso da diverse pareti rocciose…) e subito dopo il primo corno, facendosi largo, avanti con freschezza, espone un nuovo tema:
Tema orecchiabilissimo questo, proprio da… montanari in marcia, che però si amplia, negli archi, in figurazioni mosse, come di un gregge che corre qua e là, e che introduce la scena seguente...

10. Durch Dickicht und Gestrüpp auf Irrwegen – attraverso roveti e boscaglia su sentieri sbagliati

L'ultimo tema del pascolo continua ad occupare la scena, ora in forma fugata, variato e in tonalità cangiante, da maggiore a minore, e sempre in carattere, spingendo violentemente, con forti scale ascendenti dei corni. Ci siamo adesso inoltrati su sentieri non battuti, siamo circondati da arbusti spinosi e ci troviamo in una situazione piuttosto critica; ma non ci perdiamo d'animo, anzi usciamo dai rovi e procediamo sempre accelerando. Qui il tema dell'ascesa è suonato anche dalle tubette tenore (wagneriane) che udiamo per la prima volta. La musica ci porta ad una sospensione, in minore e fortissimo, di tutta l'orchestra, allorquando trombe e tromboni ripropongono maestosamente, in SIb minore, il tema iniziale della montagna, sul quale i corni riprendono, in FA minore, il tema dell'ascesa, che ora ci ha fatto raggiungere il ghiacciaio...

11. Auf dem Gletscher – sul ghiacciaio

Tempo sostenuto, ma vivo e tonalità di RE minore. Mentre viole e poi violoncelli emettono ondulanti sestine di semicrome (attenzione, perché qui si scivola!) trombe e strumentini riprendono il tema dello scalpitìo (qui sono i nostri scarponi che faticano a reggere l'equilibrio) che in seguito viene affiancato dal tema variato dell'ascesa, che si conclude sulla sopratonica di RE minore:
Adesso, poco calando, passiamo alla successiva descrizione...

12. Gefahrvolle Augenblicke – momenti pericolosi

Tempo vivo, come prima. Fagotti, poi corni e trombe riprendono ancora il tema dello scalpitìo, che qui rappresenta bene il nostro difficoltoso arrampicarci sul ghiaccio, costellato da varie scivolate (scale discendenti di fagotti e violoncelli). Il violoncello solo riprende il tema dell'ascesa, in FA minore, ma qui con estrema circospezione, data la precarietà del momento! Ancor più cauti e tremebondi i tromboni ripetono, in MIb, il nostro procedere a scatti, sul tremolo invero rabbrividente degli archi (diciamo la verità, un pochino di caghetta qui ci sta assalendo). Infine viole e violoncelli e poi la tromba, in LA minore, ripresentano i temi dell'ascesa e dei saltelli, finchè i corni, se Dio vuole, con ultimi balzi decisi, ci portano...

13. Auf dem Gipfel – sulla vetta

Siamo, almeno inizialmente, in tonalità di FA maggiore e i tromboni interpretano l'arrivo in vetta con tre balzi sempre ascendenti: dominante-tonica, tonica-dominante, dominante-tonica:
È questo il momento culminante della giornata, l'obiettivo della nostra escursione. E ce lo vogliamo godere come si merita (e come ci meritiamo!) Ci sediamo su un masso e ascoltiamo ammirati: nell'incredibile silenzio dei ghiacciai, un po' più tranquillo, l'oboe espone una delicata melodia:
È a tratti esitante, chiusa su una cadenza presa dalla conclusione del pascolo cui, più mosso, il flauto, con gli archi in tremolo, risponde con un inciso che ricorda, sviluppandolo, l'apice del tema dell'ascesa; ancora l'oboe, di nuovo più tranquillo, ribadisce il suo tema esitante, che adesso sfocia (più mosso, in tutta l'orchestra e con una modulazione da FA maggiore a DO maggiore) nella grandiosa, enfatica perorazione del tema della magnificenza della Natura. Che altro non è se non l'ultima sezione del tema dell'ascesa, magistralmente sviluppata. Qui la parte dei flauti:
Ecco, quando Strauss alludeva alla sinfonia con il nome nietzschiano di Antichrist è probabile che avesse in mente soprattutto questa scena e questa tonalità: il DO, che rappresenta la Natura nella sua pura oggettività (si noti come il tema precedente sia esposto impiegando le sole note della scala diatonica, i tasti bianchi del pianoforte, ad esclusione della sensibile!) Adesso sono i tromboni che, in allegro maestoso, ripetono i tre balzi ascendenti, direttamente sfocianti (piuttosto trattenuto, con l'aggiunta delle trombe) in una riesposizione del tema iniziale della montagna, in LA minore, cui segue, nei corni, in DO maggiore, il tema solenne, esposto poco prima (nella scena dell'apparizione, dopo la cascata) e ulteriormente sviluppato, che bene fotografa la superba vista sulla natura circostante:
Il tema è ora esposto anche dai violoncelli, mentre archi alti e clarinetti lo contrappuntano, con inebrianti salti di quasi due ottave discendenti, e con risalite vertiginose, sempre più su, dopo ogni sosta, seguite ancora da salti in basso (l'ultimo è addirittura un intervallo di 17ma, un vero e proprio tuffo nell'abisso!) Qui davvero è descritto in modo sublime l'esterrefatto stupore che assale il piccolo uomo, di fronte a un tale spettacolo!
Dopodichè corni e tromboni, poi le trombe, ripresentano il tema dei nostri balzi, come se volessimo raggiungere una postazione ancor migliore per esplorare il panorama; e quel panorama ci viene rappresentato (abbastanza largo) dalla riproposizione del tema del sorgere del sole, qui in DO maggiore, davvero una cosa mozzafiato, ancora più radioso, se possibile, rispetto all'esposizione iniziale. Sono archi alti, trombe e strumentini ad esporlo, con i corni a contrappuntarlo con entusiasmanti salite fino al FA acuto. Si arriva quindi alla...

 

14. Vision – vision

Il tempo è sostenuto e trattenuto e il tema dei tre balzi ascendenti si ripresenta, esposto in tonalità diverse (inizialmente FA#) da trombe, corni ed oboi, e porta lentamente alla riapparizione del tema del sorgere del sole, ora esposto da violini e flauti in LAb maggiore (si noti: un semitono più basso rispetto alla prima esposizione, all'alba, e a partire dalla mediante, anzichè dalla tonica, come a segnalarci che ci stiamo lentamente avviando verso il meriggio?) Anche le quattro tubette tenore ingrossano il volume di suono. Il tema della vetta torna in tromba e corni, ma in tonalità oscure, come DO#, contrappuntato nei tromboni dal tema dei tre balzi, in SIb, fino a sfociare, forte, nel tema del sorgere del sole, esposto da trombe, viole e violoncelli che iniziano in LA (sempre dalla mediante, peraltro) come all'alba, ma ora in uno scenario piuttosto abbrunato dal tremolo degli archi e dal cromatismo dei fiati, per poi scendere e fermarsi per un attimo sulla dominante MI maggiore; da cui peraltro ci si allontana subito, con archi e fiati che risalgono faticosamente la scala cromatica, fino all'esplodere del tema notturno della montagna, in SIb minore, negli ottoni, corni esclusi... (per questo passaggio Strauss prescrive il raddoppio degli strumentini, per dare ancor più incisività al timbro). La grande visione del maestoso scenario alpino si sta però offuscando, poiché ormai…

15. Nebel steigen auf – sale la nebbia

Tempo ancora un poco più largo. Sono solo 8 battute, dove tutti gli archi in tremolo eseguono figure ascendenti (sì perché, in montagna, la nebbia sale dal basso…) mentre clarinetti e poi flauti rendono bene lo scenario delle minuscole particelle acquee che stanno invadendo la scena...

16. Die Sonne verdüstert sich allmählich – il sole si offusca poco a poco

I violini secondi, cui si accompagna l'organo, espongono ancora, in SIb maggiore, il tema del sorgere del sole, che è però irrimediabilmente offuscato dalla nebbia, sempre rappresentata dai fiati e dalle trombe; un'ultima volta tromba, organo e fagotto lo ripetono; poi, poco calando, si passa alla successiva...

17. Elegie – elegia

In tempo moderato espressivo gli archi intonano una mesta melodia, derivata per degradamento da quelle udite in vetta, la tonalità è indefinita, sempre cangiante, dal FA# minore al DO#. La sostiene un pedale d'organo, poi i fagotti e il clarinetto basso; il corno inglese ripete ancora, mestamente, il tema del sorgere del sole, ormai totalmente deperito. Ancora oboe e i violini espongono il tema dell'elegia e poi, in un tempo tranquillo, gli archi bassi e le viole preparano la transizione verso la scena successiva...

 18. Stille vor der Sturm – quiete prima della tempesta

Timpano e grancassa annunciano sordi e minacciosi tuoni, per ora in lontananza. Il clarinetto, in tempo sempre più tranquillo espone, in SI minore (perché ormai l'atmosfera è tutt'altro che serena…) la melodia esitante che l'oboe aveva suonato sulla vetta; il corno inglese e poi il flauto riprendono l'elegia; ora è il corno inglese ad abbozzare la melodia della vetta, seguito dal clarinetto basso. Dall'oboe sembrano cadere le prime gocce di pioggia; ancora fagotto e flauto si cimentano nella melodia della vetta, in FA# minore e sempre più lento; ecco un trillo del clarinetto, nel silenzio generale, poi compare un primo lampo, seguito da altri due, che il flauto piccolo rappresenta con brevi guizzi ascendenti. Fiati e archi bassi ripropongono il tema degradante iniziale, in SIb minore, poi timpani, tamburo e macchina del vento (più vivace) ci fanno capire, imitando la natura, che la tempesta è ormai vicina, mentre flauti, oboi, arpe e violini in pizzicato lasciano cadere gocce d'acqua in quantità crescente; con un accelerando di tutta l'orchestra si entra nel temporale vero e proprio...

19. Gewitter und Sturm, Abstieg – temporale e tempesta, discesa

Tempo veloce e veemente e tonalità di SIb minore. Tutti gli archi in tremolo e i flauti eseguono veloci scale discendenti, proprio a rappresentare gli scrosci della pioggia portata dalla bufera; tutti i fiati, tromboni esclusi, ripropongono il tema dell'ascesa a rovescio, poichè ora si scende, e maledettamente in fretta! Flauti, clarinetti e trombe emettono lampi e saette, mentre i timpani esplodono (oh, col dovuto ritardo!) i relativi tuoni. Il tema dello scalpitìo riappare qui nei fiati, proprio a rappresentare la fuga verso valle, a saltelloni; ancora lampi e tuoni in grande quantità, altri balzelloni all'ingiù nelle trombe, poi negli archi, con la tonalità che cambia in LA minore. Ancora balzelloni negli ottoni, finchè si ripassa dalla cascata: tre sole battute bastano a ricordarcela, perchè non è proprio il momento di fermarci ancora ad ammirarla, ma quello di scappare... In DO minore prosegue il temporale, con i temi della discesa e dei salti, intercalati da reminiscenze di suoni uditi prima della tempesta, che prosegue ancora, mentre si ripassa dai pascoli (da DO minore alla relativa MIb maggiore) con i corni a riesporre il loro bel tema, ora in tempo molto vivace (chè siamo, per così dire, di fretta…) Poco dopo si ripassa anche dal bosco, e si riode nelle trombe il relativo tema, subito ripreso da corni e tromboni… Da notare qui una – sicuramente voluta – variante di percorso su cui Strauss ci ha condotti, nella discesa. Ricordiamo che, salendo, eravamo passati prima dal bosco, dopo davanti alla cascata, e dopo ancora presso i pascoli. Scendendo invece incontriamo prima la cascata, poi i pascoli e quindi il bosco! Comunque sia, adesso si può correre a rotta di collo: su un accelerando ascendente di tutta l'orchestra si passa ad un molto veloce, dove ancora sentiamo lampi e tuoni (qui anche prodotti dalla Donnermaschine) accompagnati da scrosci d'acqua e dal vento persistente. Si intuisce però che forse il peggio sta per passare, perciò il nostro passo si fa più disteso (tema della discesa molto largo negli ottoni). Ancora gocce di pioggia, ma sempre più rade, qualche sporadico lampo (poco calando). Un tuono ancora, forte, ma lontano; un po' più largo e maestoso, ricompare negli ottoni il solenne tema notturno della montagna, nella sua originaria tonalità di SIb minore. Perché ormai siamo al tramonto...

20. Sonnenuntergang – tramonto del sole

Si modula alla sesta (SOL bemolle) e strumentini e violini riprendono in maggiore per riesporre il tema dell'alba, contrappuntato da trombe, tromboni e arpe con il tema dell'ascesa, ma molto allargato; nel tema dell'alba si inserisce una ampia divagazione, derivata da quello dell'elegia. Si passa poi alla tonalità relativa di MIb minore, con altri fraseggi degli archi, sempre contrappuntati da trombe e tromboni col largo tema dell'ascesa. Una stupenda modulazione porta al SI maggiore, con cui trombe e poi tromboni riespongono il tema dell'aurora, sempre sostenuti dalle figure degli archi, in perenne tensione cromatica, che sfocia poi nella ricaduta sul MIb maggiore che conduce a...

21. Ausklang – epilogo

Tempo poco largo e solenne. Sono le sensazioni a caldo che proviamo appena rientrati a casa, al termine dell'escursione, mentre rivediamo come in un replay l'emozionante giornata. È l'organo ad esporre la prima parte del tema dell'aurora, seguito dai corni, poi dalla tromba, che conduce alla riproposizione, negli strumentini, dell'esaltante tema della vetta (là era in DO maggiore, tonalità legata alla visione laicaAntichrist! - della natura, qui in MIb Maggiore, che ne rappresenta il lato religioso) con gli abissali intervalli discendenti e le sue risalite, poi contrappuntato nei corni dall'altro tema della vetta. Gli archi, quasi a voler impedire alla giornata di concludersi, intonano una lunga e struggente variazione sui temi della vetta, che viene qua e là contrappuntata dagli ottoni con spezzoni del tema dell'apparizione e dell'ascesa, fino ad arrivare ad un culmine in cui l'inizio del tema dell'alba è esposto da archi alti e strumentini in SOLb maggiore; una modulazione repentina ci riporta al MIb, su cui si conclude la cadenza... Adesso, un poco più vivace, i flauti, inseguiti dai clarinetti, ci fanno riascoltare il tema iniziale della scena del pascolo, caratterizzato dalle quattro discese di ottava. Poi, sul tempo primo, violini e viole sembrano tornare all'ascesa, imitati subito da corni, fagotti, tuba e archi bassi, ma non è che il pallido ricordo della baldanzosa scalata del mattino, e serve solo a riportare alla nostra memoria l'alba, il cui incipit viene riproposto da tromba, oboi e corno inglese, col pedale dell'organo, nell'originale tonalità di LA maggiore; ma ormai sta tornando…

22. Nacht – notte

Siamo proprio stanchi, ma ancora i ricordi della giornata ci accompagnano verso il sonno. In tonalità di SIb minore i clarinetti e i secondi violini, seguiti da fagotti e viole, poi dai violoncelli e dai contrabbassi, riespongono il tema degradante con cui la giornata, e con lei la sinfonia, si era aperta; per l'ultima volta, il tema notturno della montagna riappare negli ottoni (corni esclusi) per poi morire, in tempo molto adagio, su un'estrema e lenta reminiscenza, nei violini, del tema dell'ascesa.

Ecco: ora possiamo proprio addormentarci sereni, diciamo la verità… grazie alla Alpen-Reisen Strauss!
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07 gennaio, 2011

Bayreuth-2013: fatta la squadra del Ring?


Dopo l'annuncio della scelta di Kirill Petrenko come Dirigent del prossimo ciclo del Ring, che inaugurerà Bayreuth nel bicentenario della nascita di Wagner, pare che anche il Regisseur – che non da oggi ha un ruolo di visibilità superiore a quello del Direttore (ne sa qualcosa il buon Daniele Gatti, letteralmente oscurato da Stefan Herheim) – sia stato individuato.

Si tratta di Wim Wenders, uno dei registi cinematografici più in voga, e non solo in Germania. Manca solo qualche dettaglio perché l'annuncio venga formalizzato.

Wanders è solo l'ultimo, per ora, dei registi totalmente digiuni di teatro d'opera chiamato a debuttare sulla collina verde, per di più in un Ring.

Forse per questo c'è qualcuno che, scaramanticamente, si chiede se l'ingaggio a Bayreuth sia una benedizione o una maledizione…
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Stagione dell’OrchestraVerdi - 17



Befana di lusso all'Auditorium, con il Concerto n°17 della stagione. Purtroppo la festività e il lungo ponte fino al 9 non hanno favorito l'accorrere del gran pubblico, ed era piuttosto triste vedere tante poltrone vuote per un'occasione di alto livello.

L'antipasto è mozartiano, con la Haffner, una sinfonietta di circostanza – derivata dalla seconda Haffner-Serenade, mai pubblicata - che tuttavia non manca di genialità (e come potrebbe, una cosa composta dal grande Teofilo?) La Zhang la riduce proprio alle sue dimensioni (smile!) cioè ai minimi termini (forse neanche 15 minuti!) bandendovi ogni ritornello dell'Andante e correndo – se possibile – al di là delle indicazioni dell'Autore, nello stacco dei tempi dei due movimenti estremi.

Preceduto – ante concerto - da una dottissima presentazione del sommo Quirino (Principe) ecco ora Das Lied von der Erde.

Qui la cinesina Xian Zhang torna praticamente a casa sua con questo Mahler, che si ispirò (via Hans Bethge e francesi diversi) a poeti suoi connazionali (dei tempi della dinastia T'ang, secoli VII-IX, che avevano sede in una città che oggi – guarda caso – ha nome X'ian) per comporre la sua opera migliore (beh… la Nona compete assai bene, bisogna ammettere).

Esecuzione notevole dell'orchestra (anche questa volta con i corni a destra, a far gruppo con il resto degli ottoni) e interpretazione proprio confuciana della Zhang, che mette in risalto i lati espressionisti della partitura, ed evita accuratamente ogni e qualsiasi enfasi in cui altri direttori cadono spesso e volentieri. Bravi tutti i professori, chiamati a prestazioni spesso squisitamente solistiche.

Chi invece (mi) ha deluso, e parecchio, sono stati Dominik Wortig e Michelle Breedt, i solisti di canto. Il tenore ha retto senza infamia e senza lode il suo impegno, cercando di adattare la voce ai tre diversi personaggi che interpreta (diciamo: due avvinazzati e uno che osserva gente che se la beve, smile!) Il contralto mi è parso poco udibile nelle note basse e anche con qualche problemino di intonazione e di legato.

In ogni caso i (relativamente) pochi presenti hanno gradito e applaudito tutti.

Brahms e Haydn fra una settimana, sempre con Zhang.

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Quando si dice la globalizzazione culturale dello spazio-tempo… Qui vediamo gli (pseudo) originali delle due poesie da cui Mahler trasse Der Abschied e la prima pagina della partitura manoscritta del compositore: fra di essi ci sono nientemeno che 8.000 Km e 1.000 anni di distanza!


Sul Lied si sono scritti fiumi d'inchiostro, ma forse la cosa più curiosa è quanto raccontò – in un'intervista radiofonica nel 1970 – William Steinberg, direttore d'orchestra americano che era stato assistente di Toscanini. Di quest'ultimo è ben nota l'avversione rispetto alla musica di Mahler (la cui Quinta fu da lui definita una boiata pazzesca!) Ma un giorno, proprio a Milano, mentre Steinberg provava il Lied, Toscanini entrò in sala e chiese di chi fosse quella musica. E saputo che era di Mahler, si lasciò sfuggire un: "Mio dio, non pensavo che potesse scrivere così bene…"

Il Lied, praticamente una sinfonia - nell'accezione che questo termine aveva assunto nell'estetica mahleriana - insieme alla Nona e ai frammenti della Decima rappresenta l'autentico testamento spirituale di Mahler, che in quegli anni (dal 1907 in poi) avvertiva ormai di essere proprio fisicamente vicino alla fine. Ma, a dispetto del confuciano, assoluto pessimismo degli originali cinesi, Mahler tiene invece un atteggiamento, per così dire, di laica rassegnazione. E per far questo modifica anche i testi, introducendo molto azzurro nei cieli sconsolatamente bigi dei poeti T'ang. Ma è poi la musica che mirabilmente rappresenta questo susseguirsi di presa di coscienza dell'inevitabilità della fine e di serena speranza nell'infinita ed eterna misericordia della madre terra, sempre pronta ad accogliere fra le sue braccia questo uomo, piccolo e infelice. Musica piena di moti ascendenti e discendenti che si alternano, ma anche si sovrappongono, perché l'esistenza è spesso gioia e dolore allo stesso tempo, come ben si vede subito prima della coda del secondo Lied (dove peraltro la scala discendente va verso il forte, mentre quella ascendente muore in ppp):
Così nel primo Lied troviamo uno dei diversi, poetici riferimenti alla terra che sempre rifiorirà a primavera (meraviglioso l'inciso del corno inglese…) seguito da una drammatica presa di coscienza della caducità umana:

Nel secondo ecco un rassegnato ripiegarsi di chi ha il cuore stanco, e poi un'ultima implorazione, al sole dell'amore:

E qui, nell'ultimo Lied, un autentico ponte sonoro che sembra richiamarsi al famoso arco melodico che accompagna l'ammonimento Alles was ist, endet di Erda:


E, a proposito di Wagner, non manca una minuscola, ma chiara citazione, questo brevissimo inciso del 5° Lied, che viene proprio da lontano!

Poi, troviamo sottili e quasi subliminali rimandi tematici. Ad esempio questo inciso dell'oboe che nel primo Lied sottolinea la morte, ripreso dal canto che nell'Abschied prefigura l'anelito alla pace per il cuore solitario:

Oppure i due richiami all'affaticamento del cuore e degli uomini (per cui peraltro c'è speranza di consolazione) nel secondo e nell'ultimo Lied:

Ma l'impronta determinante della vision esistenziale mahleriana resta impressa nella conclusione dell'Abschied. Laddove il poeta T'ang (Wang Wei) chiudeva con due versi di disincantato e rinunciatario pessimismo: La terra è uguale dappertutto - E sempre sono bianche le nuvole! Mahler scrive: L'amata terra dappertutto – Rifiorisce a primavera e verdeggia – Di nuovo! Dappertutto e sempre – Azzurri risplendono gli orizzonti! – Sempre… sempre…

E così la musica:
Sull'ultimo ewig il canto non si adagia più sulla tonica, ma si sospende sulla sopratonica RE; e nelle restanti 6 misure l'orchestra esala un DO maggiore orientalizzato dal LA di flauto ed oboe, proprio a lasciare una sensazione di indeterminatezza, di qualcosa che si perde lontano. Morendo completamente, si legge sulle ultime battute del Lied. Più semplicemente, morendo recita l'ultima indicazione agogica sulla partitura della Nona. Sull'abbozzo manoscritto della Decima l'ultima indicazione è un La, che i musicologi decifrano come Langsam: adagio. Così le ultime opere di Mahler chiudono sommessamente un'esistenza, e con lei anche una grande stagione del sinfonismo.
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31 dicembre, 2010

Capodanno, stagione di concerti. OrchestraVerdi - 16



Con tutto il rispetto (che a Cappelletto, oltre che a mamma-RAI, pare sia venuto meno, smile!) per il Neujahrskonzert viennese, laVerdi già da qualche anno segue la buona tradizione di festeggiare il cambio di calendario con Beethoven, come suggerisce il beneficiario di una petizione che lo reclama al posto che fu di Abbado e poi di Muti.

 
E così anche quest'anno, dal 30 dicembre al 2 gennaio, sono in programma non una, né due, né tre, ma dicansi quattro esecuzioni della suprema opera di Beethoven. Sul podio Xian Zhang.

 
Ieri sera la partenza di questo tour-de-force è stata invero entusiasmante, conclusa con un quarto d'ora di ovazioni, applausi, bis e chiamate per i protagonisti.

 
Una Nona che ha poco da invidiare ad altre celebri immortalate su vinili, cassette, cd e dvd. Orchestra e coro evidentemente a pieno regime e perfettamente carburati (siamo quasi a metà stagione) al contrario di quanto accadde l'ormai lontano 5 settembre in Scala, al rientro dalle ferie…

 
Zhang tiene un approccio à-la-Toscanini: tempi stringatissimi, durata attorno ai 60 minuti, forse pure meno (grazie anche agli sconti sui ritornelli dello Scherzo). Gesti imperiosi a guidare le imponenti masse di strumentisti e cantanti. Davvero da incorniciare l'attacco di violini secondi e viole dell'Andante moderato in 3/4 del terzo movimento, e il recitativo dei violoncelli nel Finale. Bravi i quattro solisti, disposti fra orchestra e coro, nel luogo di norma occupato dai corni, spostati a destra del Direttore, sotto gli altri ottoni. All'altezza della sua fama il coro di Erina Gambarini, che ha fatto tremare anche le poderose travature dell'Auditorium!

 
Insomma, come fine d'anno questo concerto ci ripaga di tutti i magoni che ci ha dato Berlusconi (che concentra in sé tutte le peggiori attitudini verso arte, cultura e musica seria!) In attesa di tempi migliori. Che, fosse per laVerdi, sarebbero già qui: basta dare un'occhiata al programma della Befana...
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24 dicembre, 2010

Buon Natale da “laVerdi barocca” con un grande Messiah

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Per omaggiare il prossimo Natale non c'era nulla di meglio del concerto de laVerdi barocca, che mercoledì 22 ha presentato nientemeno che il Messiah di Georg Friedrich Händel (per i suoi padroni di casa albionici: George Frideric Handel). In un Auditorium che non ho mai visto così gremito neanche ai principali concerti della regular-season! In effetti si tratta di un'opera che suscitò un tale entusiasmo già alla prima rappresentazione - a Dublino, 13 aprile 1742 - che per far posto a quanta più gente possibile (più di 700 persone) dentro la Neal's Musick Hall in Fishamble Street (capienza nominale di 600 posti) si invitarono le ladies a presenziare (oh, my God!) senza crinoline e i gentlemen a lasciare a casa (dammit!) le spade.

Ruben Jais ci ha proposto per intero la Prima Parte (più direttamente afferente al Natale) e una corposa sintesi delle altre due. Martedi 21 i soci de laVerdi avevano potuto beneficiare di un'anteprima, nell'ambito della meritoria iniziativa dei Discovery Concerts, dove si assiste in pratica ad una sessione di prova dell'orchestra e del coro, introdotta da interessanti considerazioni del Direttore. Jais guida laVerdi barocca, un complesso cameristico di 15 archi, guidato da Gianfranco Ricci (già approdato di recente alla sedia di Konzertmeister dell'Orchestra principale) rinforzato da due oboi, un fagotto, due trombe, timpani e due tastiere. L'Ensemble vocale di Gianluca Capuano (che accompagna anche al cembalo) è abbastanza ridotto (sedici, pochi, ma buoni) proprio come doveva essere quello di cui disponeva Händel alla prima di Dublino. I quattro solisti – Sonya Yoncheva, Sonia Prina, Cyril Auvity e Christian Senn – hanno completato l'organico.

Il successo è stato grandissimo per tutti, e Jais ha regalato come bis (e auguri di Natale) l'Hallelujah (con i solisti mescolatisi al coro) e davvero sarebbe stato il caso che il pubblico lo ascoltasse alzandosi in piedi – secondo la tradizione albionica inaugurata da Re Giorgio II - in segno di reverenza e ammirazione per l'opera e per i suoi interpreti. Una serata davvero speciale (senza nulla togliere ai meriti del costoso concerto natalizio della Scala, smile!)

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L'Oratorio è diviso in tre Parti, sommariamente riconducibili a: Natività, Sacrificio e Redenzione. Copre quindi tutta la vicenda liturgica che va dall'Avvento all'Ascensione… e oltre. Composto in pochissimi giorni – dal 22 agosto al 14 settembre del 1741 - e in un periodo per lui di vacche magre, da un Händel caduto in disgrazia (artistica) insieme alla sua Opera Italiana, è poi diventato nei secoli il suo più grande capolavoro. Come spesso succedeva a quei tempi, ad ogni nuova esecuzione vi venivano apportate modifiche piccole o grandi (cambi di tonalità, o vere e proprie varianti di arie) per far fronte alle circostanze del momento, massimamente la disponibilità di solisti e strumentisti, e così del Messiah non esiste una versione authoritative, anche se quella di maggior riferimento resta sempre l'edizione critica prodotta a cavallo fra '800 e '900 da Friedrich Chrysander. La compagine orchestrale di base è formata dai soli archi, più il continuo (cembalo o pianoforte) ma spesso compaiono anche gli oboi, di cui Crysander semplicemente annota la presenza sul rigo del canto (o soprano) e poi – ma solo in momenti eccezionali - trombe e timpani. Le componenti di base dell'Oratorio sono i Recitativi (secchi o più frequentemente accompagnati) e le Arie, affidati ai solisti (normalmente i quattro classici S-A-T-B) e i Cori. Oltre ai due brani strumentali: la Sinfonia e la Pifa (una pastorale, a metà della Prima Parte).

A differenza di altri oratori (dello stesso Händel, ma anche di Bach o di Mendelssohn) questa è un'opera che parrebbe a prima vista nulla più che una collazione di citazioni dai Testamenti, messa insieme da tale Charles Jennens (un bizzarro possidente terriero, cristiano un po' anomalo e cultore di Shakespeare, che scrisse altri quattro oratori per il grande Georg) buona appunto per celebrare la Quaresima o, come è diventato ormai consuetudine, l'Avvento. L'assenza di personaggi identificati con nome (e cognome) sembrerebbe privarlo di quella caratterizzazione drammatica, tipica appunto di queste composizioni, che sono appunto dei drammi da rappresentarsi soltanto con l'ausilio del suono e senza quello delle scene.

Viceversa è sorprendente constatare come, a dispetto dell'anonimato dei personaggi (quattro - ma a volte fino a sette – solisti, più il coro) il lavoro abbia contenuti altamente drammatici (e qualcuno lo ha già impiegato per realizzare esecuzioni sceniche, magari discutibili…) Ciascun personaggio, cantando passi delle Scritture, in realtà esprime i sentimenti, le sensazioni, le gioie o i timori, lo stupore o l'incredulità, la speranza o la delusione dei diversi settori e componenti della popolazione di Palestina, di fronte allo svilupparsi della straordinaria vicenda del Messia.

La Prima Parte ci racconta della Natività. Teatralmente si potrebbe suddividere in tre scene o sezioni, o quadri: Le promesse del Vecchio Testamento, La Nascita e Le opere e i miracoli del Messia.

Si apre con la Sinfonia, di struttura bipartita: un iniziale Grave, in MI minore, con ritornello, seguito da un Allegro moderato, sempre in MI minore, con fugace comparsa di SOL maggiore, fino alla chiusa ritardando, che riporta al tempo iniziale e al MI tenuto in unisono dagli archi, con l'accordo minore nel clavicembalo.

Ora si passa a MI maggiore (Larghetto e piano) per il recitativo accompagnato sui versi Comfort ye! (da Isaia 40, 1-3) normalmente affidato al tenore (a volte al soprano). È l'annuncio a Gerusalemme della fine delle iniquità (il canto si appoggia sulla dominante SI maggiore) e l'invito a preparare le strade per l'avvento del Signore (il recitativo si chiude sulla sottodominante LA). Finissimo l'uso dello sbifido tritono (SI-MI#) a presentare la parola iniquity! Come la quasi assenza dell'orchestra (solo poche note qua e là) per descrivere il deserto in cui risuona la voce del profeta.

L'aria che segue, Every valley shall be exalted (Isaia 40, 4) è un Andante, ancora in MI maggiore, con modulazione alla dominante SI. Mirabile la capacità di Händel di rendere la luminosità della prospettiva dell'annuncio, con lunghe volute di semicrome a sottolineare l'exalted.

Tocca adesso al Coro rispondere, con un grandioso Allegro 3/4, fugato, in LA maggiore, And the glory of the Lord shall be revealed (Isaia 40, 5): è il popolo intero (anzi l'intera umanità, all flesh) che gioisce al tanto sospirato annuncio e le voci – talora disgiunte, talora in sincrono – ci rendono partecipi di questa straordinaria eccitazione.

Ancora un recitativo accompagnato, stavolta del basso (in RE minore, FA maggiore) Thus saith the Lord of Hosts (Aggeo 2, 6-7) e poi The Lord, whom ye seek (Malachia 3, 1): è il profeta che grida drammaticamente le grandiose parole bibliche, che contengono l'annuncio dell'avvento del Messia.

Gli risponde (Larghetto) quasi trepidante e timorosa, 3/8 in RE minore, la voce del contralto (opportunamente sostituita da Händel a quella originale del basso) che canta But who may abide the day of his coming (Malachia 3, 2). Di quest'aria esistono almeno tre diverse versioni: la prima (per basso, e anche – trasposta in MI minore – per tenore). La seconda (che viene normalmente eseguita) è per contralto (ma anche, trasposta in MI, per tenore, e in SOL per soprano). La terza è in SOL minore per soprano. Le ultime due sono caratterizzate da un intermezzo in prestissimo (4/4) e tutto in quartine di semicrome, che torna due volte a sottolineare contemporaneamente le vorticose ventate e l'umano terrore provocati dal passaggio del fuoco del fonditore che purifica le anime.

È ancora il coro a ribadire convintamente l'effetto purificatore della venuta del Messia, cantando (Malachia 3, 2) And He shall purify the sons of Levy, che è un Allegro fugato in SOL minore, dove a turno tutte le sezioni del coro chiudono la parola purify con inebrianti volate di semicrome a quartine. La musica è derivata da quella di un duetto italiano (Quel fior che all'alba ride, n°15 della raccolta 32-a) e in particolare dalla sua seconda parte, sui versi L'occaso ha nell'aurora, e perde in un sol dì la primavera… composto da Händel poco tempo prima del Messiah (a proposito di impresti, Rossini non ha inventato nulla!)

Un recitativo secco del contralto ammonisce: Behold! a virgin shall conceive and bear a son (Isaia 7, 14 e Matteo 1, 23). Poche parole, in RE, che concludono con un nome, una certezza: Emmanuel, God with us!

L'aria successiva, sempre in RE maggiore (con appoggio in fine frase alla dominante SOL) è un Andante in 6/8: O thou that tellest good tidings of Zion (Isaia 40, 9) che invita il portatore della buona novella a gridare dalle più alte vette: ammira il tuo dio! E poi (Isaia 60, 1) Arise, shine, for thy light is come la luce è arrivata e con essa la gloria del Signore. E il coro ancora riprende le due invocazioni, quasi all'unisono.

Ma ora, quasi a sorpresa, in mezzo a queste manifestazioni di gioia, riecco il profeta (basso) esporre le drammatiche parole (Isaia 60, 2-3) For behold, darkness shall cover the earth, in un recitativo accompagnato, caratterizzato dalle quartine di semicrome degli archi, in SI minore, che descrivono proprio il brivido di freddo di chi vive nell'oscurità. Ma è questione di pochi secondi, perché il sorgere del Signore rischiarerà le tenebre e illuminerà anche i Pagani. Il tutto con modulazione a RE maggiore. Poi si torna al SI minore per preparare la successiva aria.

The people that walked in darkness (Isaia 9, 2) è un Larghetto dove il basso ancora ricorda chi ha vagato nell'oscurità e si è attardato nella terra dell'ombra della morte; ma su di loro risplenderà la luce. Al solito, sulla pronuncia di light, la tonalità modula a RE e poi SOL maggiore. Torna a SI minore per la ripetizione del verso iniziale.

Il coro interviene (Andante Allegro in SOL maggiore) cantando (Isaia 9, 6) For unto us a child is born. Si noti come il motivo che accompagna queste parole (dominante-tonica-sottodominante-mediante) sia derivato (nella stessa tonalità) da un altro duetto italiano (No, di voi non vo' fidarmi, cieco Amor, n°16 della raccolta 32-a). Ma è anche quasi esattamente lo stesso (spostato una terza sotto) di quello che impiegherà Mendelssohn nel primo coro della sua Lobgesang (in effetti più un oratorio che una sinfonia, e non a caso assai popolare nel Regno Unito!) sulle parole Lobt den Herrn mit Saitenspiel, lobt ihn mit eurem Liede. Sulla parola born le varie sezioni del coro vicendevolmente si slanciano in volate di semicrome a quartine, proprio come avevano fatto in precedenza, sul termine purify, e la cosa non può essere casuale.

Finisce così la sezione che riguarda l'annuncio dell'Avvento del Messia. Ora una Pifa (Sinfonia Pastorale) ci introduce alla seconda sezione, che tratta propriamente della Natività. È un Larghetto, e mezzo piano, in 12/8 e DO maggiore, che ricorda gli zampognari che a Natale arrivano (o arrivavano, ai tempi) in città dalle campagne, e che forse Händel aveva udito durante il suo lungo soggiorno italiano. Struttura semplicissima: A-B-A (spesso, e lo faceva lo stesso Autore, si esegue soltanto la prima sezione A… ma Jais saggiamente non ha voluto fare tagli!)

È il soprano – quindi una donna del popolo di Palestina, non un evangelista (anche se le parole sono tratte da Luca) - a darci la testimonianza diretta – quindi non una cronaca per sentito-dire – di quanto avvenne in quella indimenticabile notte. Lo fa con quattro recitativi (due secchi, alternati a due accompagnati): è un altro momento di altissima drammaticità, oltre che di poesia. Vediamo come.

There were shepherds abiding in the field in DO maggiore, una sola frase, che sale dalla dominante SOL fino alla mediante MI, per poi appoggiarsi sulla tonica. Il clavicembalo si limita a tenere un pedale di accordi. Sono i pastori che, nella calma e tiepida notte stellata, stanno custodendo le loro greggi (Luca 2, 8).

Ed ecco lo straordinario avvenimento (recitativo accompagnato): And lo! the Angel of the Lord came upon them (Luca 2, 9). Esistono almeno due versioni di questo brano (entrambe in FA maggiore): una più stringata e mossa; l'altra più estesa (per semplice ripetizione di versi) e quindi più diluita e meno drammatica (Jais sceglie la prima). I pastori sono più atterriti che altro dall'improvvisa apparizione dell'Angelo.

And the Angel said unto them, Fear not (Luca 2, 10-11) altro recitativo secco, in LA, dove si descrive l'Angelo che tranquillizza i pastori, annunciando loro la lieta novella della nascita di Cristo, il Signore.

Ecco il quarto recitativo (accompagnato): And suddenly there was with the Angel a multitude of the heavenly host (Luca 2, 13). È un Allegro in RE maggiore, che introduce il successivo coro, della moltitudine di Angeli e celesti creature, qui mirabilmente rappresentati dalle svolazzanti quartine di semicrome dei violini!

Glory to God in the highest, and peace on earth, goodwill towards men è il celeberrimo Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà (Luca 2, 14). Siamo sempre in RE maggiore, Allegro. Compaiono anche due trombe a rinforzare la perorazione. Mirabile poi la resa drammatica che Händel riesce a dare del brano: estremamente mosso ed esaltato sulle parole Gloria a Dio; calmo, piano e disteso su Pace sulla terra; in forma di agile contrappunto sulle parole Uomini di buona volontà, dove la tecnologia musicale (per così dire) riesce ad esprimere in modo davvero straordinario il concetto di armonizzazione – purchè esista la buona volontà - delle più diverse individualità umane! Un ultimo tocco da maestro: i violini e il clavicembalo che concludono il brano esalando un trillo, proprio il battito d'ali dell'ultimo angelo che scompare nell'oscurità…

L'ultima sezione della Prima parte è riservata alla lode delle opere del Messia.

Rejoice greatly, O daughter of Zion! (Zaccaria 2, 9-10). È il soprano (a volte il tenore) a cantare quest'aria (Allegro in SIb) di cui esistono almeno due versioni, quella originale in 12/8, col da-capo, e un'altra – normalmente eseguita oggi, anche da Jais – in 4/4, più condensata. È l'invito che la donna fa ai suoi concittadini a gioire per l'arrivo del Messia, che parlerà di pace ai Pagani. La sezione centrale, più lenta, sulle parole He is the righteous Saviour, passa in SOL e poi in RE minore, prima della ripresa in SIb maggiore sul Rejoice.

Adesso è il contralto che canta un recitativo secco, Then shall the eyes of the blind be opened (Isaia 35, 5-6) che elenca alcuni miracolosi effetti della venuta del Messia: ciechi che vedono, sordi che odono, zoppi che saltano come cervi, muti che cantano. La versione originale era per soprano, semplicemente trasposta.

È seguito da un'aria costituita dalla collazione di due citazioni: He shall feed his flock like a shepherd (Isaia 40, 11) e Come unto him, all ye that labour and are heavy laden (Matteo 11, 28-29). In origine era in SIb maggiore, per il solo soprano. La versione che si ascolta normalmente è quella dove la prima parte (in FA maggiore) è cantata dal contralto (che ha esposto il precedente recitativo) e la seconda (SIb) appunto dal soprano. Anche qui troviamo il ritmo cullante (12/8) della siciliana, che ben rappresenta l'atmosfera di calma e fiduciosa attesa del giogo del Signore.

Che è un giogo leggero a sopportarsi, come canta il coro finale della Prima Parte, His yoke is easy and his burden is light (Matteo 11, 30) sempre in SIb maggiore (4/4). Si tratta di una corposa ma eterea – appunto, leggera! - fuga, il cui motivo principale è mutuato dal citato duetto italiano Quel fior che all'alba ride, questa volta proprio dalla sua sezione principale.

Venerdi 28 Agosto, 1741. Così si legge sul manoscritto originale di Händel alla fine della Prima Parte.

Come detto, delle altre due parti dell'Oratorio Ruben Jais ha presentato una versione (non molto) abbreviata.

La Seconda Parte tratta delle vicende che vanno dalla Passione, alla Morte e Resurrezione, fino al Secondo Avvento, all'evangelizzazione del mondo e allo stabilirsi del Regno di Dio.

La sezione dedicata al sacrificio è aperta dal coro, con un Largo in SOL minore, sulle parole Behold the Lamb of God that taketh away the sin of the world (Giovanni 1, 29): il celebre Ecco l'Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo. Un contrappunto severo e accorato, con due soli e fugaci abbandoni al modo maggiore.

Segue la lunga aria del contralto (ne esiste anche una versione per soprano) composta da due citazioni relative alla flagellazione del Messia : He was despised and rejected of men (Isaia 53, 3) e He gave his back to the smiters (Isaia 50, 6), organizzate secondo lo schema A-B-A. La prima parte è in MIb maggiore (SIb per il soprano) e tempo Largo, dove sentiamo tutta la pena per l'uomo dileggiato e respinto, votato al dolore; la seconda è nello stesso tempo, ma in tonalità minore (DO-SOL e SOL-RE rispettivamente per le due interpreti) ma soprattutto caratterizzata dall'ostinato susseguirsi trocaico di semicroma puntata + biscroma dell'orchestra, a sottolineare la brutalità e l'insistenza delle offese (anche materiali) portate al Messia ed allo stesso tempo la sua fermezza nell'affrontarle e nel porgere l'altra guancia.

Quindi è la volta del coro, che con tre interventi chiude la sezione del sacrificio (Jais ha omesso questa parte, passando al successivo All they that see him). Dapprima cantando Surely he hath borne our griefs (Isaia 53, 4) in DO minore, dove ancora il ritmo trocaico dell'orchestra ci ricorda del dolore e delle pene che il Messia ha sopportato per noi. Il brano conclude però ottimisticamente in LAb maggiore.

Successivamente (Isaia 53, 5) And with his stripes we are healed (Moderato, alla breve) le voci cantano in contrappunto la constatazione che la tortura del Messia rappresenta la nostra guarigione.

E infine All we like sheep have gone astray (Isaia 53, 6) è un Allegro moderato in FA maggiore, dove l'animato contrappunto sembra proprio mimare lo smarrimento del gregge, che si disperde in mille diverse direzioni. Dopo la sospensione sulla dominante DO, la chiusa è un Adagio, in FA minore, sulle parole il Signore ha preso su di sé le iniquità di tutti noi, dove si esprime quasi un rimorso per quelle iniquità.

Adesso viene il racconto del Messia rinnegato dai Giudei (Jais ha ripreso da qui). È il tenore ad esporlo con un recitativo accompagnato
All they that see him, laugh him to scorn (Salmi 22, 7) in SIb minore, ancora con l'insistente ritmo trocaico dell'orchestra, che sottolinea qui le offese verbali e gli scherni di cui è fatto oggetto il Messia. Segue immediatamente il coro che canta, in DO minore Allegro, con diverse modulazioni, He trusted in God that He would deliver him (Salmi 22, 8) per l'appunto le frasi di scorno che sfidano il Messia a farsi liberare dal suo Dio, se se ne diletta così tanto. Ancora una volta, ascoltando il magistrale contrappunto di Händel, sembra quasi di vedere la gente che fa girotondi intorno al Messia prigioniero per insultarlo e sbeffeggiarlo!

Ora è il momento drammatico della crocifissione, uno dei più stupefacenti di tutta l'opera. È il tenore (a volte il soprano, nella prima parte) a farcelo vivere, con due coppie di recitativo accompagnato e aria. Dapprima Thy rebuke hath broken his heart (Salmi 69, 21) in tono minore, un lamento di straordinaria efficacia, dove la voce del solista vaga inutilmente in cerca di conforto, nella spettrale atmosfera creata dalle lunghe note tenute degli archi e dai lugubri accordi del continuo. Sulla seconda ripetizione delle parole broken his heart, violini e accompagnamento esalano un trillo, sul FA#, che si appoggia al MI sottostante, e che ci dà precisamente l'idea di una stretta al cuore!

L'aria che segue immediatamente, Behold, and see if there be any sorrow like unto his sorrow (Lamentazioni 1, 12) Largo e piano, in MI minore, non fa che prendere atto della pena del Messia, la più grande che mai sia stata sofferta.

Ora l'altro, brevissimo recitativo accompagnato: He was cut off from the land of the living (Isaia 53, 8) che ci descrive la morte del Messia, distrutto dai peccati dell'Umanità. Seguito immediatamente dall'aria di Resurrezione But Thou didst not leave his soul in hell (Salmi 16, 10) un Andante Larghetto in LA maggiore (con modulazioni alla dominante MI) che serenamente prende atto che Dio non ha abbandonato il Figlio agli Inferi e alla corruzione del corpo.

A questo punto – Jais ha saltato questa parte, fino al successivo The Lord gave the word - il coro risponde con Lift up your heads, O ye gates (Salmi 24, 7-10) in FA maggiore, con diversioni alla dominante DO. È inizialmente diviso in due (voci femminili e maschili) che si rimpallano la domanda (Chi è il Re della Gloria?) e la risposta (il Signore forte e potente) per poi passare ad un contrappunto di tutte le voci, che reiterano più volte l'affermazione: Il Signore degli eserciti, il Re della Gloria.

Ma ora il Messia deve ascendere al cielo. Il tenore (a volte il soprano) espone in recitativo secco la domanda Unto which of the Angels said he…? (Ebrei 1, 5) che porta la tonalità dal FA precedente al RE maggiore del successivo coro Let all the angels of God worship him (Ebrei 1, 6) un Allegro che ci descrive in contrappunto l'adorazione degli Angeli per il Messia risorto (e nel cui tema qualcuno può scorgere qualcosa che ricomparirà 130 anni dopo nel finale del concerto per violino di Ciajkovski…)

Un'aria in RE minore (Allegro larghetto in 3/4) del basso Thou art gone up on high (Salmi 68, 18) testimonia dell'Ascensione. Esistono varie altre versioni: per contralto e soprano (SOL) di quest'aria, tanto nobile quanto severa (qui si parla di cose serie!)

Ora si passa alla proclamazione dei Vangeli, da parte dei discepoli (qui Jais ha ripreso). È il coro che canta una Andante allegro in SIb, aperto dalla stentorea affermazione The Lord gave the word (Salmi 68, 11) che sale da tonica a mediante, come a scolpire la parola del Signore su una lapide. Poi è tutto un tumulto di semicrome, parte in contrappunto, parte in sincronia, delle voci del coro, a rappresentare la moltitudine, di volta in volta disordinata o disciplinata, degli oranti.

Il soprano canta adesso l'aria How beautiful are the feet (Romani 10, 15) una siciliana seguita da Their sound is gone out into all lands (Romani 10, 18) che costituisce la sezione B dell'aria strutturata come A-B-A. Di questo brano esistono però anche altre versioni: quelle per contralto-tenore, una dove il Their sound è cantato dal coro e due dove l'intero passo, con aggiunta di nuovi testi, è cantato solo dal coro o dal coro con due contralti.

Da ultimo, la Seconda Parte tratta del Secondo Avvento del Messia, che tornerà per disciplinare le nazioni. È il basso a introdurre Why do the nations so furiously rage together (Salmi 2, 1-2) di cui esiste anche una versione abbreviata. Si tratta di un'aria dove il furiously, legato alla stoltezza degli uomini, e soprattutto dei loro governanti (peccato che Berlusconi non apprezzi la musica, chè ne potrebbe trarre gran consolazione per sé e vantaggio per noi…) è ben descritto dalle velocissime semicrome degli archi, che pervadono l'intero brano.

Adesso il coro canta Let us break their bonds asunder (Salmi 2, 3) un Allegro e staccato in DO. Sembra proprio un proclama rivoluzionario, magari anticipatore del 1789 francese, forse già alle viste ai tempi di Händel… ma esposto con piglio giovanile, come da studenti che manifestano allegramente contro baroni e gelmini varie (quindi va bene anche per oggi, smile!)

Qui Jais è passato direttamente all'Hallelujah.

Mentre il tenore canta il recitativo secco He that dwelleth in heaven (Salmi 2, 4) che rincara la dose sui cattivi governanti, che il buon Dio disprezza beffardamente e che il Signore deride!

Segue subito l'aria Thou shalt break them with a rod of iron (Salmi 2, 9) un Andante in 3/4 in LA minore. Anche qui forse il buon Händel se la prende con l'aristocrazia dei suoi tempi, che gli dava parecchi grattacapi e che lui, almeno a parole e in musica, si prende la soddisfazione di fare a pezzi con verghe di ferro! Gli ampi e secchi intervalli nel canto del tenore danno proprio l'idea di fendenti menati sulla capoccia di questi bastardi!

E finalmente ecco il RE maggiore del grandioso e celeberrimo Hallelujah (Rivelazioni 19, 6 - 11, 15 e 19, 16), che Händel affermava di aver composto davanti ad una visione del paradiso e dello stesso Gran Dio!

Domenica 6 Settembre, 1741 è la data scritta dall'Autore in calce alla Seconda Parte.

La Terza Parte è dedicata alla riflessione sul tema della Redenzione e alla definitiva glorificazione dell'Agnello di Dio.

È il soprano ad aprirla, con una lunga e struggente aria, piena di serenità e consolazione, un Larghetto 3/4 in MI maggiore, che crea un grande ma opportuno stacco rispetto alle spettacolari sonorità dell'Hallelujah che l'ha preceduta. Il testo è costituito dalla giustapposizione di due passi delle Scritture: I know that my Redeemer liveth (Giobbe 19, 25-26) e For now is Christ risen from the dead (Corinti-1 15, 20). Dopo la breve introduzione strumentale, che espone il tema principale, caratterizzato da ampi intervalli (quarta ascendente alla tonica, poi ottava discendente, sesta a salire, ripiegamento sulla mediante e da qui salto di un'ottava all'insù) il soprano propone il primo verso, chiudendolo sulla dominante SI. Poi lo reitera, ampliandolo, sempre in MI maggiore. Quindi passa al secondo verso (and though worms…) chiudendolo ancora sulla dominante SI, ripresa dai violini. Adesso canta in SI la prima parte del primo verso e poi il secondo, chiudendolo stavolta sulla sottodominante LA. Su questa tonalità canta ancora la prima parte del primo verso, cui appende il secondo passo biblico (For now...) poi rimodula a MI maggiore, ripetendo il secondo passo, che chiude in Adagio, tempo mantenuto dall'orchestra che ripete in pratica l'introduzione per concludere l'aria. Una cosa semplicemente divina!

Adesso c'è un passo articolato in due premesse (esposte da un quartetto di coristi accompagnati solo dal clavicembalo) e due conclusioni (cantate dall'intero coro e piena orchestra).

Quartetto (6 sole battute, tempo Grave): Since by man came death… (Corinti-1 15, 21). La linea di soprano scala un'ottava piena, da MI a MI; il contralto sale da DO a SOL (passando per il sovrastante LA); quella del tenore si muove fra LA e RE, chiudendo sul SI; il basso scala un'ottava piena (LA-LA) per chiudere sul MI.

Coro (Allegro in DO maggiore): By man came also the resurrection of the dead (Corinti-1 15, 21). Conclusione rapida e gioiosa.

Ancora il Quartetto (6 sole battute, tempo Grave): For as in Adam all die (Corinti-1 15, 22). Qui la melodia è assai piana (l'intervallo più ampio lo percorre il soprano, con un SOL-DO#, il maligno tritono, perché si parla di morte!) e prepara la conclusione successiva.

Coro (Allegro): Even so in Christ shall all be made alive (Corinti-1 15, 22). A differenza del di quello precedente, questo coro è in tonalità di LA minore.

Ora siamo al Giudizio Universale, e il basso propone un recitativo accompagnato: Behold, I tell you a mystery (Corinti-1 15, 51-52) in RE, a preparare il RE maggiore delle successive trombette del giudizio.

È l'aria più impegnativa per il basso (con i frequenti salti di ottava) ma anche per la prima tromba, chiamata già nell'introduzione strumentale ad un obbligato davvero tosto. I brani qui esposti sono due: The trumpet shall sound (Corinti-1 15, 52) e poi – nella sezione in SI minore - For this corruptible must put on incorruption (Corinti-1 15, 53). Attenzione, il tempo qui è indicato come Pomposo, ma non allegro! E infatti vi si deve sentire tutta la solennità, ed anche un po' la retorica, diciamolo pure, del momento.

Qui Jais è saltato direttamente al coro finale, Worthy is the Lamb.

Il contralto espone ora un brevissimo (5 battute) recitativo secco: Then shall be brought to pass (Corinti-1 15, 54) che introduce il suo duetto con il tenore: O death, where is thy sting? (Corinti-1 15, 55-56) che esiste in almeno due versioni, l'originale ed una successiva, un po' abbreviata. È un Andante, in MIb, dove i due solisti cantano in un contrappunto piuttosto leggero (tutt'altra cosa, questo passo, nel Requiem brahmsiano, al n°6!)

Ma ora, dopo i timori di morte e tomba, ecco il tripudio per la vittoria: è il coro a pronunciarlo, con una grande fuga in MIb: But thanks be to God (Corinti-1 15, 57) chiusa, in Adagio, dal ringraziamento al Signore Gesù Cristo.

Un ultimo e consolatorio richiamo del soprano: se Dio è per noi, chi può essere contro di noi? È un'aria in SOL minore e SIb maggiore (con altre modulazioni) tempo Larghetto in 3/4: If God be for us (Romani 8, 31 e 33-34) con lunga introduzione e chiusa orchestrale.

Il gran finale – più che protestante-anglicano – è quasi un Agnus Dei delle messe cattolico-romane! È il coro a cantare Worthy is the Lamb that was slain (Rivelazioni 5, 12-13) in RE maggiore, con varie modulazioni e cambi di tempo, da Largo ad Andante, fino al conclusivo Adagio. È una fuga di grandi proporzioni e grande maestrìa contrappuntistica.

Il conclusivo Amen (Rivelazioni 5, 14) è fra i più lunghi (circa 3 minuti!) dell'intera produzione musicale: un Allegro moderato in RE maggiore, dove al contrappunto a voce spiegata e piena orchestra del coro si alternano un paio di interventi dei violini primi e secondi, che ci portano squarci di pace celestiale, prima dell'ultima perorazione, chiusa in Adagio, dal tutti (trombe e timpani inclusi) di coro e orchestra.
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17 dicembre, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 15




Ancora Schumann, con Ciajkovski, nel programma del concerto n° 15 de laVerdi, sul cui podio torna lo yankee John Axelrod, protagonista lo scorso febbraio di un'interessante Fantastica. Il nostro ha fatto nel frattempo un po' di carriera in più, essendo oggi Direttore Musicale dell'Orchestra Nazionale dei Paesi della Loira (mica pizza&fichi… smile!) e così si permette gigionerìe da Kapellmeister ottocentesco, come il girare un paio di volte le spalle all'orchestra, ammiccando al pubblico delle prime file.

 
La cosiddetta Renana (ultima delle sinfonie composte da Schumann, a dispetto del n°3 di catalogo) differisce dalle altre tre – oltre che per i 5 movimenti - per non presentare la classica introduzione lenta al movimento iniziale. Parte subito con il Lebhaft (vivace) in tempo 3/4, ma dove due battute si possono interpretare come una in 3/2 (tipo sesquialtera, o emiolia) con un effetto di spiccata energia, come di possenti vogate di un rematore. Axelrod qui rende bene l'atmosfera, con piglio deciso e tempi serrati.

 
Il secondo movimento è uno Scherzo, ma piuttosto moderato, in 3/4; anche qui par d'essere in barca, ma cullati dalla possente quanto tranquilla corrente del grande fiume. Non per nulla qualche armonia ricomparirà anni dopo nella Moldava di Smetana.

 
Il terzo movimento, Nicht schnell (non rapido, in 4/4) è una danza leggera, proprio eseguita in punta di piedi, con le semicrome in staccato di archi e strumentini.

 
Il quarto movimento, Feierlich chiama in causa i fiati, e soprattutto gli ottoni (inclusi i tromboni che suonano qui per la prima volta) per una solenne esposizione di un motivo a canone, del quale incipit forse si ricorderà Edouard Lalo (che come violinista nel suo quartetto suonò spesso Schumann) al momento di comporre il quarto dei cinque movimenti della sua Symphonie Espagnole… Qui i corni non mi son parsi per la verità proprio impeccabili.

 
Si chiude con il secondo Lebhaft, questa volta in tempo pari, che sfocia in un poderoso Höhepunkt dei fiati:

dove Schumann sembra mettere tutta la sua volontà di vivere, rifiorita in quel di Düsseldorf e grazie al grande fiume (nel quale peraltro anni dopo si butterà, preso da raptus suicida). Anche qui la resa non è stata però adeguata, e ancora i corni, secondo me, ne portano qualche responsabilità. Eccellente la coda, dove invece tutti recitano bene la loro parte, trascinati da Axelrod che interpreta lo Schneller come fosse un prestissimo.

 
Si passa poi a Ciajkovski e alla sua Quinta Sinfonia (già eseguita all'inizio della scorsa stagione con Xian Zhang) che è stata introdotta dai Prof. Fausto Malcovati e Mario Marcarini prima del concerto, nel terzo appuntamento del ciclo di conferenze sulla musica russa. Sinfonia con un programma più o meno esplicito e dichiarato: il destino che incombe sempre ed ovunque (non è questa una novità peraltro per Ciajkovski, che già 10 anni prima – nella Quarta, forse con più retorica e affettazione – ci aveva intrattenuto sul tema).

 
Qui il nostro, reduce dal pellegrinaggio a Bayreuth per l'inaugurazione del tempio wagneriano, applica in modo più strutturato la tecnica del Leit-motiv del genio di Lipsia (da lui peraltro piuttosto snobbato) col far ricomparire via via il tema (del destino) sottoposto a variazioni più o meno ampie di tempo, ritmo e colore (quindi imitando anche Berlioz).

 
È nel secondo movimento (Andante cantabile con alcuna licenza) che si trova quella che è per me la più alta vetta espressiva della sinfonia:


A raggiungerla è il primo corno Giuseppe Amatulli, che per la verità mi è parso stranamente contratto, nella circostanza.

 
L'ultimo movimento è proprio da arrivano i nostri (è sempre il destino, smile!) con John Wayne in testa. Quindi nessuno meglio di un altro John americano lo sa vivere e interpretare come si deve! Però il buon Axelrod – volendo strafare, credo - finisce per rovinare un po' il tutto proprio nelle ultime due battute della sinfonia, il classico taaaaa-ta-ta-ta/tà, dove si inventa un insopportabile rallentando e poi trasforma l'ultima semiminima in una minima preceduta da una pausa (mah…) Sia come sia, il successo non manca di certo.

 
Adesso c'è una pausa nel cartellone principale (non per l'Orchestra, che emigra in Montenegro con programma e direttore di un recente concerto) e ci si ritrova per fine anno, con il consueto – ormai – appuntamento con la Nona del sommo Ludwig. Ma laVerdi barocca si esibisce a ridosso di Natale (il 22) con il monumentale (anche se ristretto) Messiah.
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16 dicembre, 2010

Se Ceronetti chiude, che male c’è?


Il filosofo-poeta del pessimismo cosmico sta facendo parlare di sé con il suo recente articolo su LaStampa.

Provocazione? Ignoranza crassa? Fustigazione di costumi? Sottilissima e criptica ironia?

Forse sarà il caso di ricordare qualche aforisma del nostro, tanto per volare basso:
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- Tutto quel che non si mangia, fa bene alla salute.

- Dentro la scienza non si rintraccia neanche un aborto di pensiero.

- Il disastro più profondo non è la distruzione delle città con più milioni di abitanti, ma il loro sussistere.
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- L'esperienza della società e della storia insegna che l'uomo è, per eccellenza, l'essere non pensante.

- La maggior parte delle mie paure, circa i mali fisici, riguarda i medici e le loro cure, non la malattia.

- La morte come liberatrice dall'Informazione.

- L'uomo è un'anima che trascina un cadavere. Noi deploriamo come morte il suo stancarsi, alla fine, di fare da spazzino.


Ecco, proprio impiegando le sue parole ed applicandole alla sua persona: se Ceronetti chiude, che male c'è?
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15 dicembre, 2010

C’è ancora chi discute seriamente di 4’33”

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L'opera maxima di John "charlatan" Cage è quella dove un complesso della consistenza che va da un singolo solista (con uno strumento scelto a piacere) ad una Berlioz-iana orchestra da 1100 strumentisti schierati all'Hippodrome, si presenta, si accomoda e comincia a… girarsi i pollici. Nel frattempo si potrà udire il rumore di fondo dei condizionatori dell'auditorium, o magari quello di un aereo in atterraggio (se siamo all'Hippodrome) oppure – oggi siamo progrediti – un cellulare che squilla, oppure ancora lo scartamento di caramella di qualcuno che cerca di sedare una tosse insistente (con ciò privando però l'opera di altra musica trascendentale).
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.Ecco, 4'33" è una partitura colma esclusivamente di pause, in modo che lo spettatore (meglio – per gli organizzatori – se pagante) possa bearsi nell'ascolto di tutti i suoni che arrivano alle sue orecchie da ovunque, tranne che dall'unica sorgente destinata canonicamente a produrli in una simile circostanza: l'orchestra.
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L'imbecillità umana non ha proprio limiti (Berlusconi al confronto è Einstein) se c'è gente che ancora discute seriamente di queste stronzate.

ps: dimenticavo la cosa più importante: il pezzo è in FA maggiore (o RE minore, ad libitum).
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La discreta Walküre della Scala


Dopo la prima diffusa in TV, ieri sera terza rappresentazione della Walküre. Comincio dagli interpreti.
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O'Neill è tornato, dopo un turno di riposo; la raucedine è passata, ma ovviamente tre giorni non bastano per irrobustire una vocina; né purtroppo per correggere imprecisioni sparse negli attacchi.
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Sir John è l'unico ad avere ancora un vocione che non teme la vastità del Piermarini, né le intemperanze degli ottoni… però esce ormai solo attraverso schiamazzi, il che serve a dare ad Hunding un aspetto ancor più truce di quanto immaginato da Wagner.
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Kowaljow si conferma un Wotan promettente; in ambienti più raccolti è probabile che la sua presenza si faccia ancor meglio sentire.
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La venerabile Waltraud conferma tutte le sue qualità (Sieglinde ormai fa parte della sua vita, insieme ad Isolde) ed anche i suoi limiti (soprattutto di udibilità in basso).
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La Nina si conferma una Brünnhilde coi fiocchi, e la consuetudine con il ruolo non potrà che dare risultati ancora migliori.
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La Gubanova credo avesse speculato assai sui microfoni della ripresa televisiva. Dal vivo mi è sembrata meno autoritaria e incisiva; comunque una Fricka dignitosa.
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Le otto sorelle (vedi locandina per i nomi) hanno dato il loro onesto contributo ai parapiglia del terzo atto, e ciò è quanto basta.
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Barenboim (che ricorda a memoria il primo atto… poi si fa recapitare la partitura) guida l'orchestra con sicurezza e mestiere consolidati da 30 anni di consuetudine con questi drammi. Peraltro mi è parso aver tolto troppo allegramente le briglie agli ottoni (impeccabili, tecnicamente) in alcuni passaggi topici (soprattutto nel secondo atto) col risultato di coprire le non potentissime voci sul palco.
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Ciò che – rispetto alla ripresa TV – mi ha piacevolmente sorpreso è stato lo spettacolo di Cassiers. Può darsi che la regìa televisiva fosse troppo sbilanciata sui primi piani, ed abbia così prodotto due nefasti risultati: mostrare il peggio di Cassier (la mimica facciale degli interpreti) e celarne il meglio, o il meno-peggio: la visione complessiva dell'azione. Un esempio per chiarire il concetto: la (prima) scena-madre del secondo atto, fra Wotan e Fricka. L'aspetto drammatico peculiare qui è la transizione lenta, ma inesorabile, dello stato d'animo di Wotan, che deve passare dall'assoluta sicurezza e tranquillità alla totale e più nera disperazione. E ciò è mirabilmente ottenuto, dal mago Wagner, attraverso la musica, oltre che naturalmente supportato dalla recitazione. Ecco, quella scena è stata resa complessivamente in modo adeguato (grazie appunto alla musica) salvo che per un punto: l'espressione del volto di Kowaljow-Wotan, sempre corrucciata e disperata fin dall'inizio. Ma ciò per fortuna si può notare solo usando un binocolo, o il primo piano della ripresa TV, mentre a visione naturale non si avverte più di tanto.
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Per il resto, Cassier si è attenuto abbastanza scrupolosamente alle didascalie di Wagner: ad esempio Wotan che accarezza i capelli a Brünnhilde, nella scena delle confidenze. O ha addirittura tenuto conto delle osservazioni raccolte alle prove del 1876 da Heinrich Porges, come il Siegmund che si inginocchia al momento di implorare la spada promessa dal padre. In verità, qualcosa di bizzarro l'ha voluto anche inventare, come la scena della morte di Siegmund, del tutto strampalata: Brünnhilde che si intravede soltanto (mentre dovrebbe attivamente proteggere Siegmund); Wotan che, dopo aver spezzato la Nothung, letteralmente spinge Siegmund addosso alla punta della spada (perché non una lancia, come prescrive Wagner?) di Hunding; e soprattutto Siegmund che non muore subito, ma continua a dibattersi al suolo, avvinghiato a Sieglinde (forse Cassiers ha voluto qui introdurre una reminiscenza della Völsungasaga, dove Sigmund sopravvive per giorni e giorni, e ha tempo di fare testamento!) finchè Hunding non lo finisce con un orripilante colpo di spada, inferto a due mani, dall'alto in basso… Mah! Comunque, una regìa abbastanza fedele all'originale, che non si inventa troppe cose cervellotiche e non pretende di aggiungere valore al capolavoro con trovate intellettualoidi.
Le scene sono improntate ad un certo minimalismo, qui con qualche libertà gratuita, come il caminetto settecentesco nella stamberga di Hunding, ma in complesso sono sufficientemente efficaci. Meno, credo, le proiezioni, che finiscono più che altro per distrarre. Bizzarri davvero, invece, i costumi, in particolare delle Valchirie, vestite da megere dal busto in su, e da volatili sul lato-B (forse perché dei cavalli c'erano solo tracce da sala di macelleria, smile!)
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In totale, uno spettacolo sufficientemente godibile, accolto con entusiasmo e generosi applausi per tutti, ma in particolare per Nina e Daniel.