affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

16 settembre, 2009

Sperperi?

.
Leggo e personalmente mi rallegro della serie di concerti gratuiti che Uto Ughi terrà a Roma, una vera e propria Oktoberfest, ma di cultura.

Il Comune di Roma (Alemanno) e la presidenza del Consiglio (Letta) sono fra gli sponsor della manifestazione.

Mi chiedo cosa pensi invece il simpatico Brunetta di tanto sperpero di soldi nostri.
.

14 settembre, 2009

Una sagra di provincia al mare

.
Siamo a metà settembre e l’estate dà ormai chiari segni di cedimento: qui a Rimini ci si prepara a smontare tutto (ombrelloni, lettini, giostrine, trespoli di scarpe e cianfrusaglie assortite, gazebo e pagode posticce) ciò che verrà puntualmente rimontato (avete presente Sisifo?) ai primi di giugno 2010. I pochi ambulanti extracomunitari che ancora stazionano sulla battigia adesso quasi ti regalano braccialetti-orologio in plastica, cinture, borsette, ciondoli, asciugamani, mentre nessuno più passa a offrire spiedini di cocco o a proporre ai bimbi foto con l’uomo-ragno o con la barbie-nera. Anche il tempo – ieri sereno, ma freddino, oggi uggioso, direi proprio – asseconda la tendenza al signori, si chiude!

Questo, in spiaggia. Ma Rimini non è soltanto mare&sole&fantasia. E così, da buon riminese (di adozione), non potevo ignorare una manifestazione che quest’anno compie 60 anni.

La scelta, non proprio casuale… ma quasi, è caduta su Daniel Harding e la sua nordica Orchestra della Radio di Svezia, che dovevano eseguire il programma annunciato, con la presenza della scozzese Lisa Milne, che avrebbe dovuto cantare alcuni lieder dello Strauss giovane (1885-1900). In realtà il programma ha subìto una importante modifica: un grave lutto ha costretto la Milne alla rinuncia, e così è stata rimpiazzata – degnamente direi! - da Michelle DeYoung, che sostituirà la Milne anche oggi (14/9) alle Settimane meranesi e il 16/9 (ripresa di Radio3) al Lingotto, nell’ambito del MiTo (domani 15/9 tutti saranno al Conservatorio di Milano con Wagner, Berlioz, ma senza la Fantastica, sostituita dalla prima di Mahler).

La DeYoung ha presentato un programma straussiano così articolato:

Heimliche Aufforderung (Invito segreto) op. 27 n.3 (testo e riferimenti).

Allerseelen (Giorno dei morti) op.10 n.8 (testo e riferimenti).

Zueignung (Dedica) op.10 n.1 (testo e riferimenti).

Morgen (Domani) op.27 n.4 (testo e riferimenti).

Cäcilie (Cecilia) op.27 n.2 (testo e riferimenti).

La DeYoung ha un fisico da walkiria, che fa sembrare ancor più basso il simpatico Harding, che le arriva a malapena alle spalle. Però lui ha il vantaggio di poter salire sul podio, e così rimette le altezze a posto. Lei si presenta al pubblico con un paio di gesti (scaramantici?) non propriamente raffinati: una sfregatina di mani e poi l’indice sinistro passato sotto le narici! Voce calda e morbida, la sua, che si accompagna ad una ormai consolidata esperienza e consuetudine con il mondo tardo-romantico. E così al termine ha avuto meritati applausi e diverse chiamate.

Dopo Strauss, Mahler, dei due l’inattuale (a quei tempi!) Proprio nello stesso Palacongressi di Rimini dove, ormai quasi 20 anni fa, avevo ascoltato un ancora imberbe Valery Gergiev dirigere da par suo gli ex-leningradesi nella colossale sesta del boemo.

La prima, al confronto, è una sinfonietta (l’unica, con la quarta, a non superare l’ora) anche se quando apparve – 1888 - dovette sembrare una cosa interminabile (oltretutto perché aveva… un movimento in più): da soli tre anni Brahms aveva composto la sua ultima sinfonia, mantenendosi sempre in dimensioni temporali relativamente ridotte. Solo Mendelssohn con la sua seconda – in realtà una cantata-oratorio più che una sinfonia – e poi Bruckner (soprattutto con l’ottava) avevano osato sfidare il Beethoven della Nona quanto a lunghezza di una composizione di tal genere.

Harding – partitura sul leggìo, sollevata alla fine per mostrarla al pubblico, quasi a volerle trasferire gli applausi scroscianti - ne ha dato una lettura con forti chiaroscuri, sia nel volume del suono (approccio cameristico e poi scoppi fragorosi) che nella dinamica (scarti nervosi fra passaggi tenuti e irruzioni violente). Nel finale ha fatto emettere ai violini quasi degli ultrasuoni, tanto era parossistico lo spasimo esecutivo che gli ha richiesto.

L’Orchestra – età media apparentemente… di mezzo, con buona presenza femminile, a partire dalla bravissima Konzertmeister – ha mostrato grande affiatamento, ma anche specifiche qualità: strepitosi in particolare gli ottoni, nei tremendi berci cui Mahler li costringe spesso e volentieri. Una curiosità: questi scandinavi si sono disposti alla tedesca (violini secondi davanti) ma con i contrabbassi in linea frontale, quasi sul fondo, a dividere le percussioni dalle file dei fiati (corni a sinistra).

Le ovazioni dei 1500 del Palacongressi (pochissime le poltrone rimaste vuote) sono state contraccambiate dai nordici con un bis di tutto riguardo: il Liebestod, un’anticipazione del programma di domani al Conservatorio.
.

11 settembre, 2009

Stagione dell’OrchestraVerdi - 1


Dopo l’anteprima di domenica 6 alla Scala, laVerdi è tornata nella sua casa dell’Auditorium di Largo Mahler con un programma di tutto rilievo e di pura tradizione, come spiega qui Xian Zhang, nuova guida musicale dell’Orchestra.

Auditorium quasi al completo per questa apertura di stagione; c’è anche una nuova gestione del bar, che offre un calicetto a fine concerto. Un volantino annuncia poi che da giovedi prossimo l’ATM metterà a disposizione un jumbo-tram straordinario, dopo il concerto, per tornare a Piazza Duomo. (Domande: come fa il tramviere a conoscere al minuto l’ora della fine del concerto? che fa, si ferma lì davanti in via Meda, a bloccare il traffico, finchè almeno 200 persone non escono dall’Auditorium? oppure si tratta semplicemente di una corsa aggiuntiva del 3, programmata più o meno verso l’ora di fine presunta del concerto, e chi c’è c’è? Tanto per cominciare, ieri sera la corsa del 3 delle 22:18 è saltata bellamente e la gente – ma eravamo sì e no in 30 - ha dovuto aspettare quella delle 22:34!)

Altra nota di cronaca: oggi è l’anniversario della tragedia delle Twin Towers: proprio l’11 settembre del 2003, laVerdi tenne un concerto straordinario in memoria delle vittime, suonando Ein Deutsches Requiem, sotto la guida di Claus Peter Flor.

E torniamo quindi alla musica.

Si comincia con i Vier letzte Lieder di Strauss, cantati da Orla Boylan, che era alla terza esperienza con questi lieder, da lei già interpretati con le orchestre di St.Gillen (Jiri Kout) e Hallé (Sir Mark Elder).

I VlL sono una specie spuria (chè Strauss non li pensò come ciclo) ma sublime di quattro stagioni: dalla primavera in tutta la sua magnificenza, come un prodigio; all’estate che in settembre trascolora, ma ancora sorride stupenda e languida; all’autunno dei sensi che si assopiscono, mentre l’anima in liberi voli si librerà; e infine all’inverno della vasta e silenziosa pace.

Poco c’è da dire sul contenuto musicale, che già non sia stato scritto. Mi limito a citare come curiosità un paio di dettagli (un poco bizantini, o maniacali, lo ammetto, ma sono legati a ciò che Strauss ha scritto sul pentagramma): due passi che pongono problemi di esecuzione alla cantante, e che perciò sono spesso interpretati in modo difforme dalla partitura originale.

In Frühling l’ultima parola è Gegenwart. Strauss estende la prima sillaba (Ge) su quasi 4 misure, per la precisione su 33 crome (siamo in 9/8, tempo allegretto, ma un poco più tranquillo) tutte in un unico legato: ciò richiede alla cantante di tenere per un tempo che va dai 12 ai 15 secondi, su una melodia peraltro relativamente pianeggiante (FA#-MI-SOL#-FA#-MI-RE). Non tutte le soprano rispettano Strauss alla lettera; due esempi: Edda Moser, che è quasi perfetta; e invece la nostra Orla Boylan, che prende il respiro dopo due misure, circa a metà della frase (e non è la sola); altre soprano (compresa la grande Gundula Janowitz, che peraltro tiene con Celibidache un tempo lentissimo) respirano dopo tre misure.

In Beim Schlafengehen c’è il famoso tausendfach, la cui prima sillaba (tau) copre quasi 4 misure (estendendosi dal LAb al SIb acuto, per poi scendere al MIb) e che Strauss ha notato in totale legato (15 crome, siamo in tempo di 4/8, andante, ma qui molto tranquillo). Bene, a partire dalla Flagstad, che eseguì per prima i 4lL con Furtwängler nel 1950, tutte le soprano - solo su youtube ne trovate un paio di dozzine! - prendono il respiro dopo la seconda misura (8 crome) ed anzi molte di loro ripetono due volte la radice tausend della parola. Tutte, meno due. La prima è Teresa Stich-Randall, che esegue il legato – oltretutto a tempo davvero sehr ruhig, come prescrive Strauss - in modo impeccabile, per circa 20 secondi (a meno che non sia tutta una montatura in studio dei tecnici del suono?) L’altra è proprio la nostra Orla Boylan, che per la verità, dopo 14 secondi, arriva fino alla croma 13 e poi incespica, scorda addirittura il testo e raffazzona ciò che segue in modo invero penoso… ma almeno ci ha provato.

Per la cronaca, ieri la Boylan ha “respirato” a metà in entrambi i passi, evitando così il peggio. La sua è stata nel complesso una onesta prestazione: la voce nei passaggi alti ha inflessione tendente al metallico, quindi non proprio gradevole e in basso (RE, REb, DO) passa pochissimo. L’Orchestra l’ha peraltro supportata bene, suonando forse ancor più cameristicamente di quanto già la partitura non contempli (note di merito qui per violino e corno solisti, giustamente chiamati per applausi personali). Si apprende dal programma di sala che la Boylan canterà prossimamente i 4lL anche a casa sua, con la RTE di Dublino: non potrà che migliorare ancora, c’è da starne certi. Una nota di colore: la nostra è una ragazzona molto in carne (come si deduce da ciò che lei stessa dice di sé, a proposito di debolezze per la buona cucina…) e quando è entrata sul palcoscenico, seguita dalla piccola Xian (che è veramente piccola) pareva una tata che si porta dietro il bambino da accompagnare a scuola!

Ancora un paio di considerazioni sui 4lL.

Nell’epilogo di Im Abendrot, dopo la parola Tod (morte) Strauss cita un frammento del tema dell’ideale, da Tod und Verklärung, scritto "solo" sessant’anni prima: là concludeva – la trasfigurazione! – in un affermativo DO maggiore… qui c’è ancora grande serenità, ma dal 1889 i tempi sono cambiati, ciò che là si era descritto dal di fuori adesso lo si vive dal di dentro, ma soprattutto tante illusioni e tanti ideali sono annegati in un mare di sangue, quindi… bisogna abbassare i toni; precisamente di un semitono, a DO bemolle. Per poi chiudere citando l’adagio della settima bruckneriana – già di per sé carico di simboli - anche qui abbassato di un semitono, a MIb. Ecco: rimandi, significati, segnali, allusioni, ammiccamenti e ripensamenti che soltanto la musica consente di esprimere in modo così stupefacente!

Qualcuno sostiene che il Lied sia un genere minore, insomma: canzonette d’arte, nulla più. Evidentemente si è fermato a Tosti. Questi ultimi lieder di Strauss non sono che l’ennesimo tributo ad una tradizione (non solo tedesca per la verità) di grande, grandissima arte, i cui frutti meritano giustamente di stare a fianco e alla pari di altre forme (concerti, sinfonie) nei programmi delle istituzioni musicali.

E appunto parlando di sinfonie, con le orecchie ancora rimbombanti dei suoni della Santa Cecilia di due giorni addietro, riascoltiamo per un’altra volta la Quinta di Ciajkovski.

Va premesso che l’Orchestra – ci saranno stati ricambi da quei tempi, ma l’ossatura è rimasta – è nata con tale Vladimir Delman, che di Ciajkovski un pochettino se ne intendeva. Ed ha evidentemente lasciato il suo DNA, che ancora si sente (qui nella Quinta peraltro – vado a ricordi di quasi 20 anni fa ai tempi dell’Orchestra RAI, con cui il maestro russo registrò in TV le sinfonie, e altro, di Ciajkovski, con annesse lezioni – Delman mi pareva smussare maggiormente certe spigolosità e tenere di più a freno le non poche enfasi retoriche).

Il confronto con i ceciliani è arduo, anche per mere ragioni materiali: quelli sono di più, nella sezione archi; poi si dispongono alla tedesca, portando avanti tutti i violini e mettendo in retroguardia i violoncelli e a sinistra i bassi; poi martedi suonavano al Conservatorio, sala dalla topografìa opposta a quella dell’Auditorium (il quale è stato ricavato da una sala cinematografica, va ricordato…) Insomma, troppe variabili al contorno che rendono difficilmente confrontabili – dal punto di vista della pura resa sonora – le due esecuzioni. E l’ambiente materiale influenza anche l’attitudine dell’ascoltatore, e le sue sensazioni: là di grandiosità e uniformità di colore, qui di spigolosità e forti contrasti (ad esempio, nel raccolto ambiente dell’Auditorium gli schianti di timpani e ottoni – a parità di esecuzione materiale - risaltano assai più che nel grande spazio del Conservatorio). In comune fra le due compagini ho notato il piacere di far musica, che mi sembra la cosa più importante (sarebbe interessante stabilire se questa attitudine sia tipica di orchestre puramente dedite al concerto, rispetto a quelle dei teatri d’Opera…)

Dal punto di vista interpretativo, ho trovato personalmente più similitudini che distanze fra Matheuz e Zhang (o i rispettivi mèntori, sarebbe da dire). Persino nei particolari, ultimo dei quali il sigillo finale, il ta-ta-ta/tà, eseguito da entrambe le formazioni con estrema pesantezza e con enfasi (per me) eccessiva, anche se di grande effetto (ma l’effetto a volte scade nella gigionerìa).

La cinesina mi pare un tipo mica male – a dispetto della statura fisica (ma hanno forse alzato di una spanna il podio, per lei?) - capace di guidare con sicurezza una macchina che ha tanti cavalli da poter finire fuori strada, se non la si ha in mano più che saldamente: senza troppi fronzoli, gesti semplici ma perentori e attacchi sempre puliti. Grazie anche al grande affiatamento dei professori – non c’è dubbio – ma comunque è un rapporto che pare ben avviato. Già il prossimo 17 avremo un altro test interessante.
.

09 settembre, 2009

La Santa Cecilia al Conservatorio per il MiTo

.
Privata della sua carismatica guida, la più importante e rinomata Orchestra Sinfonica italiana è approdata a Milano, dopo aver visitato Torino, nell’ambito del MiTo. A sostituire il convalescente Antonio Pappano era Diego Matheuz, un prodotto di quel sistema Abreu di educazione musicale giustamente osannato per aver dato un futuro a migliaia di ragazzi di strada e per aver sfornato un tale Gustavo Dudamel, oggi re di LosAngeles.

Anche il programma è mutato rispetto al previsto, con la corposa Quinta ciajkovskiana a rimpiazzare Ponchielli e Respighi, chiudendo il concerto dopo l’ouverture del Tell e l’Italiana di Mendelssohn.

Impressionante la prestazione dell’Orchestra (disposta come sempre secondo una variante del layout teutonico classico: violini contrapposti ai lati del direttore, violoncelli e bassi a sinistra, viole a destra, ma con i corni in fondo a sinistra, opposti agli altri ottoni) davvero ai vertici nel panorama italiano: evidentemente sa suonare a memoria, anche quando il suo conduttore è a casa a riposare. Detto – sia chiaro! - con tutto il rispetto per il buon Diego, che però di tempo per provare e soprattutto per lasciare la sua impronta ne ha avuto davvero poco (avrà modo magari di farlo in futuro, visti i suoi impegni di gennaio con l’orchestra). Orchestra con professori di valore solistico assoluto, come ben si è potuto sentire nell’Ouverture rossiniana, ma anche – per citare uno dei tanti esempi – nell’incipit dell’andante ciajkovskiano.

A proposito della Quinta di Ciajkovski (come e forse più dell’Italiana): è ormai uno di quei pezzi talmente inflazionati da esecuzioni, CD e riproduzioni varie, che il rischio è di farne indigestione, e di non apprezzarne più le qualità (o magari di ascoltarne interpretazioni gigionesche, come una recente del pur grande Gergiev, piena di forzature dinamico-agogiche). Ma ieri ci ha pensato la Santa Cecilia a renderla non solo digeribile, ma interessante ed entusiasmante, come ad un primo ascolto… (E domani la stessa Quinta si replica in Auditorium con laVerdi! Vedremo come finirà questo confronto, a distanza ravvicinata, fra i sovrani di Roma e gli outsider di Milano).

Alla fine grandi ovazioni e due generosi bis: la fin troppo famosa Danza ungherese n°5 di Brahms e la enigmatica variazione Nimrod di Elgar.

Note stonate? Più o meno 200… quante le poltroncine della sala Verdi rimaste desolatamente vuote.
.

08 settembre, 2009

Chailly ai Proms, con la decima di Mahler-Cooke&C

.
L'appuntamento Prom-69 presentava, in apertura, il concerto per piano di Mendelssohn, certo non il pezzo più pregiato del compositore di cui ricorrono nel 2009 i 200 anni dalla nascita, e a cui Londra ha dedicato grande attenzione, data la popolarità che il grande compositore tedesco ebbe lassù.

Con la Gewandhaus, l’orchestra dove Mendelssohn era di casa, e dove oggi – grande onore – è di casa il nostro Riccardo Chailly, è stato interprete del concerto Saleem Abboud Ashkar, trentatreenne pianista israelo-palestinese. Cioè un palestinese di etnìa e israeliano di nazionalità (oggi sono circa 1,7 milioni, su 7,3 milioni di cittadini di Israele, i palestinesi come lui). È nato nel 1976 a Nazareth, villaggio biblico che la risoluzione 181 dell’ONU (1947) aveva destinato agli arabi di Palestina, e che Israele annesse, con tutta la Galilea, dopo la Guerra del 1948-49. Evidentemente i nonni e i genitori di Saleem decisero di restare a Nazareth e di diventare così cittadini di Israele, invece di trasferirsi, per dire, di pochi Km, nella West Bank; e forse ciò ha permesso al ragazzo di disporre e di accedere più facilmente a certe risorse, e di arrivare dov’è oggi. Anche se lui stesso non nasconde la sua condizione di estraniato, come erano e sono altri palestinesi della diaspora, Edward Said in testa.

Ma veniamo alla Decima. Premesso che la Gewandhausorchester e Chailly hanno dato il meglio di sè, resta il fatto che quella che ascoltiamo – salvo l’adagio iniziale - è una ipotesi di lavoro, e in gran parte un esperimento di laboratorio. Che Mahler avesse lasciato un faldone nero contenente dei pentagrammi riempiti di note – insieme a commenti, imprecazioni, vaneggiamenti – non autorizza a dedurre che quello fosse la sua decima sinfonia. Sappiamo che molti anni prima, a cavallo dei due secoli, da un cumulo di schizzi e idee Mahler aveva ricavato nientemeno che tre sinfonie (3-4-5). Chi può dire che in quel faldone non ci fossero spunti che avrebbero potuto costituire – fosse Mahler vissuto – addirittura movimenti di sinfonie diverse (due scherzi, nella stessa sinfonia?)

Insomma, una sinfonia virtuale, che mai e poi mai sarebbe stata data così alle stampe da Mahler, abituato a pensare e ripensare le sue opere addirittura ad anni di distanza. Ma i ricostruttori della cosiddetta decima hanno voluto scimmiottare Mahler anche nell’abitudine di fare revisioni continue all’opera e così ieri sera – proprio per fare un esempio concreto – Chailly ha presentato una nuova formulazione dei famosi colpi di tamburo militare coperto, il primo dei quali chiude il 4° movimento, e che poi si ripetono all’inizio del 5°: nella partitura di Cooke-Goldschmidt-Matthews del 1976, seguita dai direttori che l’hanno incisa fino ad oggi, i colpi sono rappresentati da una singola semiminima; ieri invece Chailly (o chi per lui...) forse per metterli in relazione con l’inciso dei corni, li ha trasformati in due semicrome + una croma + rimbombo, con un effetto del tutto stravolto!

Insomma, questa ricostruzione, credo io, andrebbe presentata per quello che è, un esercizio scolastico - una serie di pezzi separati - e giusto per darci un’idea di ciò che Mahler poteva avere in mente; così si potrebbe anche apprezzare lo sforzo di Cooke&C. Ma in nessun caso andrebbe programmata – e venduta in CD - come la Decima di Mahler (pur con la postilla: completata da …)
.

07 settembre, 2009

La “cinesina” della Verdi conquista la Scala


Xian Zhang ha debuttato ieri sera ufficialmente come Direttore Musicale dell’Orchestra Verdi nel concerto inaugurale ospitato in una Scala mutilata del secondo loggione e deturpata da impalcature e strumenti non propriamente musicali (comunque, se si toglie di mezzo una buona volta lo sbifido asbestos, sarà un bene per tutti).

Dico subito che l’Orchestra (mi) ha veramente impressionato (con ciò confortando la mia convinzione di aver ben speso i quattrini per l’abbonamento alla stagione): archi compatti e senza sbavature, fiati e percussioni semplicemente impeccabili, ottoni smaglianti (anche se con un paio di …smagliature nei corni, per dire il vero).

Per la simpatica Xian un debutto tutto sommato incoraggiante: interpretazioni convincenti, soprattutto Petruška, e bacchetta autorevole, a dispetto della statura minuscola. Dopo la Settima beethoveniana – perfettibile ma di buon livello, soprattutto nei movimenti centrali - grandi applausi per tutti (con qualche isolato dissenso dal loggione, o ho sentito male?) e così la cinesina ha richiamato in palcoscenico l’intero organico, per offrire due bis: ancora Stravinskij con l’abbacinante chiusa dell’Uccello e la ciaikovskiana Trepak.

Giovedi 10 primo concerto all’Auditorium, con un programma tosto assai: Vier Letzte Lieder e Quinta in MI minore.
.

03 settembre, 2009

Un MiTo alla terza edizione


Nata nel 2007, compie oggi tre anni questa settembrina kermesse padana, uno dei pochi esempi di cooperazione bi-partisan fra due città divise da vecchie e nuove rivalità, non solo nel campo sportivo. Significativa la circostanza che, poco dopo la rassegna musicale, dovrebbe diventare (finalmente!) operativo l’intero percorso Mi-To della TAV, finora castrato della tratta Milano-Novara. In attesa del treno veloce, gli organizzatori mettono a disposizione degli spettatori navette pullman che collegano le due città per gli avvenimenti principali.

Qualche intoppo già all’inizio: la Scala – che ospita domani il primo evento a Milano – ha scoperto improvvisamente dopo anni – durante i quali il teatro è stato pure ristrutturato! - che nei controsoffitti sopra il loggione c’è ancora dell’amianto. Così in fretta (mica troppa…) e furia (quella dei loggionisti!) si procede ora a lavori che dureranno due mesi. Pazienza, e peggio per coloro che avevano già i biglietti in tasca.

Poi ci si è messo anche il maestro Pappano, che si è fatto ricoverare (augurissimi!) in ospedale e non potrà dirigere i due concerti con la Santa Cecilia. Sarà sostituito da Diego Matheuz che, per risarcire gli spettatori, rimpiazzerà due brani di Ponchielli e Respighi addirittura con la Quinta di Ciajkovski!

Il Comune di Milano ha mostrato grande attenzione ai costi e – per contenerli – ha deciso di mettere a disposizione del MiTo – senza compenso – il suo assessore alla Cultura, Max Finazzer Flory, che il 22/9 a Torino reciterà un suo scritto su Beethoven e poi nientemeno che il Sindaco in persona: la cara zia Letizia farà da voce recitante nel Lincoln Portrait di Aaron Copland, il 23/9 a Milano.

Anche l’Orchestra Verdi - di recente gratificata dal Comune di Milano di un sostanzioso contributo – offrirà il suo obolo: domenica 20, con ingresso libero, nella Basilica di San Marco (quella di Milano, sia chiaro) Xiang Zhang dirigerà la Missa Solemnis beethoveniana (i laici – come fioretto – si dovranno sorbire la celebrazione di Don Luigi Garbini).

Insomma, il programma è vasto e variegato e il portale web all’uopo predisposto è ricco di informazioni e servizi. Peccato che – a giudicare dai tempi di risposta - i server appaiano un pochino sottodimensionati.
.

01 settembre, 2009

La stagione della “Verdi” inizia il 6/9 alla Scala


Domenica 6 settembre la Scala ospita il concerto inaugurale – fuori abbonamento – della stagione 2009-10 dell’Orchestra Verdi.

La novità assoluta per l’Orchestra è il nuovo Direttore Musicale. O dobbiamo chiamarla Dilettlice? Sì, poiché è una simpatica cinesina trapiantata a Manhattan e pure fresca mammina, Xian Zhang.

La Verdi ha avuto e ha tuttora una vita difficile. Nata nei primi anni ‘90, col venerabile Delman, in una Milano nel ciclone di tangentopoli (Milano che era stata governata e “bevuta” dai craxiani appoggiati dai “miglioristi” del PCI e alla vigilia dell’avvento di Lega e Forza italia) è stata fin dall’inizio una scommessa, sempre in bilico fra utopia anti-statalista e piagnistei contro lo Stato insensibile alle giuste esigenze di arte e cultura. I fondatori sono da ritrovarsi nell’alta borghesia (illuminata?) milanese, e in dirigenti (Cervetti, Corbani, oggi presidente e d.g.) provenienti allora dalle file dell’ex-PCI, ma passati da tempo sulla sponda migliorista, anche se mai caduti in braccio a Berlusconi.

Proprio perchè sorta quasi sfidando le leggi che regolano l’establishment musicale italiano (associazioni e fondazioni che nascono e vivono in un rapporto di reciproco ricatto con lo Stato) la Verdi non ha mai goduto buona reputazione nella burocrazia pubblica, che ha tenuto nei suoi confronti l’atteggiamento di chi è seduto sul bordo del fiume aspettando che transiti il galleggiante cadavere. Nei suoi 16 anni di vita la Verdi ha ricevuto solo minuscole e quasi offensive elemosine dagli enti pubblici (Stato, Regione Lombardia, Provincia e Comune di Milano) che invece dispensavano molti più quattrini a tutte le istituzioni e fondazioni “allineate e coperte” o comunque omologate all’andazzo prevalente, non importa di qual colore politico. Così la Verdi è stata spesso – e anche oggi non è del tutto immunizzata da una simile prospettiva – sull’orlo del fallimento, presa in mezzo fra costi e debiti (affitto dell’Auditorium di Largo Mahler, ristrutturato oltretutto con quattrini privati, e debiti proprio verso l’erario e la previdenza) e la quasi totale mancanza di sostegno pubblico.

Basta leggere i bilanci (certificati!) della Fondazione per conoscere cifre e dati impressionanti riguardo la sperequazione di trattamento di cui la Verdi è stata ed è tuttora vittima, rispetto ad istituzioni e fondazioni assai meno “produttive” e performanti. Negli ultimi due anni, sia il (breve) governo di centro-sinistra, che l’attuale amministrazione di centro-destra hanno letteralmente prosciugato le già asfittiche fonti di finanziamento pubblico alla Verdi che, come qualunque istituzione artistica (italiana o straniera fa lo stesso) senza contributi pubblici non può in alcun modo sopravvivere, oppure può farlo riempiendosi di debiti (finchè qualche banca gli presta soldi…) Purtroppo il retaggio politico che il management si porta dietro (Corbani sostenne la candidatura Ferrante contro la Moratti nel 2006) ha complicato le cose: tanto per dire, a fine 2008 il consigliere di amministrazione che rappresenta il Comune di Milano si dichiarava apertamente critico nei confronti del management e non nascondeva che solo un cambiamento radicale alla guida della Fondazione avrebbe potuto riportarla nelle grazie degli enti pubblici.

Poi, quasi miracolosamente, qualcosa è successo: grazie a prestiti e mutui di varie banche, e alla generosità di mecenati, la Fondazione ha acquisito di fatto la proprietà dell’Auditorium (oggi Auditorium di Milano Fondazione Cariplo, il cui affitto è sempre stata una grossa voce di costo del conto economico) e ha potuto ripianare gran parte dei debiti verso l’erario. Ecco quindi che lo stesso consigliere ha smesso lo scetticismo ed ha potuto trionfalmente annunciare, pochi mesi fa, un discreto stanziamento di fondi del Comune di Milano per l’Orchestra, cosa non da poco con questi chiari di luna.

Da parte sua, la mammina cinese promette di portare in breve tempo la Verdi fra le prime 20 orchestre del mondo: un’utopìa? Forse. Ma Milano – sulla carta - non ha poi risorse inferiori a Lipsia o Vienna, o Philadelphia, tutto sta a usarle bene, affidarle a gente capace e integrarle con i necessari aiuti pubblici. Il brano con cui si apre domenica la nuova stagione è Le Creature di Prometeo. Che la piccola Xian voglia fare proprio sul serio?
.

23 agosto, 2009

Barenboim con la Divan ai Proms-09

.
Venerdi 21 e sabato 22 i Proms hanno ospitato la West-Eastern Divan Orchestra, diretta dal suo co-fondatore Daniel Barenboim.

Questa orchestra è una vera e propria scommessa perenne, come può esserlo il tentativo di far convivere pacificamente e proficuamente nello stesso recinto cani e gatti, guelfi e ghibellini… israeliani e palestinesi! Provate a mettervi nei panni di un violoncellista palestinese, nativo di Gaza, il giorno dopo che un raid della IDF ha provocato la morte di decine di suoi concittadini, incluso magari qualche suo parente. O anche, nei panni di una flautista israeliana che ha perso amici e conoscenti grazie ad un attentato di kamikaze palestinesi a Jaffa. E tutti a continuare a suonare insieme. Insomma, roba da chiodi!

Bene, questo complesso di separati-che-più-non-si-può riesce a suonare decentemente – non dirò meravigliosamente, chè il senso delle proporzioni va sempre mantenuto – il Preludio e il Liebestod del Tristan e poi, più che decentemente in verità, la Fantastica di Berlioz! Alcuni strumentisti, un’ora dopo, ci fanno ascoltare il delizioso Ottetto di Mendelssohn, e un tirato Concerto da camera di Berg. Grazie davvero, di questi tempi!

Ma il grande appuntamento è il Fidelio del 22. Un Fidelio perfettamente nello spirito dei Proms, a metà fra la scampagnata e l’occasione di acculturamento delle masse.

Barenboim deve accattivarsi subito il pubblico della Royal Albert Hall (chissà perché il commentatore di Radio3 si è ostinato per tutta la sera a trasferire lo spettacolo nella Royal Festival Hall) e così - invece della canonica, ma troppo cerebrale, Overture in MI maggiore – apre con la Leonore III, tutt’altro cipiglio e presa sul pubblico. Dopodichè – e chissà perché… forse per non passare bruscamente dal fracasso del DO maggiore della Leonore al LA maggiore del N°1 ? - parte col N°2, che è in DO (minore, poi maggiore) e chiude però in piano. E così stempera un pochino il successivo passaggio al N°1. Tanto il pubblico – si pensa – non farà caso all’inversione innaturale del nesso logico della trama.

Intanto era successa però una cosa importante, anche questa tipica dello spirito maieutico dei Proms: Waltraud Meier aveva premesso all’Overture il racconto (in lingua inglese, come tutti i successivi suoi interventi durante l’Opera) del significato del Fidelio. Testi tutti scritti da Edward Said, il compianto co-fondatore (di origine palestinese) della Divan con Barenboim: si tratta appunto non già dei recitativi del Singspiel (sono stati tutti eliminati in questa esecuzione) ma di brevi riassunti della vicenda, via via che procede. Un modo come un altro – ma direi abbastanza efficace - per spiegare al pubblico il contenuto di ciò che sta ascoltando.

Appunto, la Meier. Qualcuno potrà storcere il naso sul suo essere un soprano di contrabbando, oltretutto appesantita dal fardello delle innumerevoli Isolde e Kundry che si porta sulle spalle, ma personalmente mi è piaciuta assai e in particolare nell’Adagio del N°9 – quella specie di straordinario concertato in SI maggiore con i corni, Komm, Hoffnung – davvero esposto mirabilmente, inclusa la salita al SI acuto e successiva discesa di due ottave piene, sull’erreichen. Poi ha un pochino pagato dazio, sui lunghi SOL della fine dell’aria, ma insomma… avercene!

Sir John Tomlinson è stato per me un Rocco efficacissimo. Gli rimprovero soltanto un eccesso – tutto da Proms – di gigionerìa ed enfasi retorica. Ma la voce è splendida e perfettamente attagliata al ruolo.

Onesti e dignitosi, la Marzelline di Adriana Kucerova e il Jaquino di Stephen Rügamer. Però bravi, con Tomlinson e Meier, nel difficile Mir ist so wunderbar.

Simon O’Neill era Florestan: mi è parso incerto – calante – nei primi passi della sua difficile aria di apertura, ma poi si è ben ripreso ed ha finito in crescendo. In particolare ottimo, con la Meier, nel famoso O namenlose Freude.

Il Pizarro di Gerd Grochowsky (sostituiva Peter Mattei, originariamente in locandina) ha fatto onestamente la sua parte, ma un poco di grinta in più non avrebbe guastato.

Deludente, perché a mio parere di voce troppo leggera, il Don Fernando di Viktor Rud, a sentirlo pareva che il Ministro si fosse fatto rappresentare per l’occasione da un suo giovane portaborse.

Efficaci i cori, sia nel sempre commovente O welche Lust, che nel finale.

Barenboim ha guidato i ragazzi della Divan da par suo: anche lui, come la Meier, magari fatica a de-wagnerizzarsi del tutto al momento di affrontare Beethoven, ma insomma l’esperienza e il mestiere gli consentono di portare a casa una prestazione di tutto rilevo.

Un’ultima nota sui Proms. Saranno pure una kermesse vacanziera, ma a confronto di certi desolanti panorami nostrani sono davvero su di un altro pianeta. Meno male che c’è la tecnologia radio-webbica che ci permette di goderceli, sia pure a distanza.
.

21 agosto, 2009

Riccardo Muti, re di Roma (?!)

.
Tale Francesco Muti (i refusi tipografici – penultima riga dell’articolo - fanno davvero ridere!) sta per diventare il nuovo Direttore Musicale dell’Opera di Roma.

Al di là di ogni possibile – e probabile – contestazione e sberleffo campanilistico-antiterronistico-leghista contro il Riccardone, una cosa è certa: per l’Opera di Roma si tratta del più importante passaggio degli ultimi 40 anni!

Che poi Alemanno si fregi di meriti che risalgono a Veltroni o addirittura a Rutelli, non cambia la sostanza dell’avvenimento.

Quanto ai contenuti artistici, Muti è persona troppo intelligente per riproporre – a Roma – le velleitarie e provincialotte iniziative (vedasi Wagner) che pretese di imporre alla Scala.
.