Anche
quest’anno si è rinnovato il tradizionale appuntamento de laVerdi con la
Scala, per l’apertura della
nuova stagione.
Su podio - per la prima volta, dopo tre presenze (19-21-23) al Piermarini come
solista al violino - il nuovo Direttore Musicale, il vulcanico Emmanuel
Tjeknavorian (30 anni non ancora compiuti!) viennese di origini armene
e figlio d’arte (papà Loris è pure direttore).
Sala
piacevolmente affollata. Presenti in platea Riccardo Chailly, Direttore
Onorario dell’Orchestra e mentore del suo giovane successore; e Ruben Jais,
ex-Direttore Generale e Artistico, che ha introdotto Tieknavorian nell’ambiente
prima di passare al più alto incarico di Sovrintendente della Toscanini di
Parma.
I
primi due brani del concerto sono stati scelti da Emmanuel in ricordo di quelli
del suo primo podio (calcato a 17 anni, in un ospedale di Vienna!)
Si
parte con Dmitri Shostakovic e la breve Ouverture Festiva,
composta nel
1947 in occasione dei 30 anni della Rivoluzione. Il fatto che un brano come
questo - abbastanza carico di facile retorica e di ingenuo entusiasmo - sia
stato ideato da Shostakovich per iniziativa personale e non per compiacere all’establishment del PCUS (lo testimoniano
la pubblicazione e la prima esecuzione, avvenute soltanto nel 1954, quindi parecchi
anni dopo la composizione) è l’ennesima prova della sincerità dei sentimenti
rivoluzionari del compositore, a dispetto di tutte le angherie che aveva dovuto
(e ancora avrebbe dovuto) sopportare da parte dei bidelli (nonchè aguzzini)
di quello stesso establishment.
L’Ouverture
ha una struttura assai semplice, essendo in forma-sonata priva di
sviluppo. Inizia con 26 battute di solenne fanfara introduttiva di trombe,
corni e tromboni (Allegretto, 3/4, LA
maggiore) cui seguono i due temi dell’Esposizione
(Presto, 4/4 alla breve): il
primo è assai spiritato, nella tonalità d’impianto, esposto inizialmente dai
clarinetti, subito raggiunti dai flauti, poi ripreso dagli archi.
Dopo
un moderato ritorno della fanfara il primo tema viene ripetuto e infine sfocia
nel secondo che, scolasticamente, è nella dominante MI maggiore. È un tema che
giustamente contrasta con il primo anche nell’andamento, più sostenuto e
severo, esposto da corni e celli e ripreso ancora dagli archi.
Si
passa quasi subito, dopo breve transizione, alla Ricapitolazione: al primo
tema in LA ecco seguire, secondo i sacri canoni codificati nell’800, il secondo,
adeguatosi ossequiosamente alla tonalità del primo.
Arriva
poi la Coda (Poco meno mosso, 3/2) sul Tema della fanfara Introduttiva; e infine
la vorticosa Stretta finale (Presto, 4/4 alla breve) sul secondo tema
assai accelerato.
Davvero
un brano trascinante, assai utile per scaldare i motori di Orchestra e…
pubblico che non risparmia applausi a
tutti.
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La
Seconda Sinfonia in RE maggiore di Beethoven (1800-03) ci
riporta proprio agli anni in cui la forma-sonata, timidamente sbocciata
nel Settecento, si faceva largo come struttura portante di movimenti di
Sinfonie, Quartetti e Concerti. Sinfonia che meriterebbe miglior fama di quella
che le si attribuisce, in quanto pari, da chi considera capolavori solo
le sinfonie dispari…
E
invece Tjeknavorian ce ne ha sciorinato tutte le interessanti qualità, che già il
pubblico delle prime esecuzioni aveva chiaramente percepito, rimanendone allo
stesso tempo ammirato e disorientato.
Insomma,
un’opera che supera di slancio le fanciullaggini (copyright Berlioz)
della Prima per inoltrarsi verso il futuro dell’Eroica!
A
partire dall’introduzione lenta (Haydn faceva ancora scuola, in quegli anni…)
che mostra però arditezze prima sconosciute, come la modulazione a SIb o la
perentoria figurazione in RE minore a 11 battute prima dell’Allegro on brio,
che anticipa addirittura i precipizi della nona!
L’Esposizione
ci presenta il primo tema, in RE maggiore, dapprima nervoso e poi sfociante in maschie
e decise cascate di accordi in staccato; dopo una divagazione a RE
minore, gli fa da contraltare il secondo, nella dominante LA maggiore, che
principia con leziosità femminile e tono scanzonato (come vorrebbe la
tradizione) ma poi mostra a sua volta un suo lato più serioso e impegnato. Una
cadenza in cui tornano lacerti del primo tema chiude l’esposizione.
Dopo
la ripetizione (che Tjeknavorian ha lodevolmente rispettato) ecco lo Sviluppo,
dove i due temi ricompaiono variati, in particolare il primo, in SOL minore, fugato,
e poi il secondo che viene ora esposto nella sottodominante SOL maggiore;
quindi il primo porta alla Ricapitolazione, con il secondo che si adegua
al RE maggiore. Un’insolitamente corposa Coda, quasi un nuovo sviluppo
del primo tema, conduce alla perentoria chiusura.
Mirabile
la resa del successivo Larghetto in LA maggiore, un movimento solo apparentemente
settecentesco, lezioso e disimpegnato, con struttura bitematica (LA e MI
maggiore, con soggetto e controsoggetto) in forma-sonata – esposizione-sviluppo-ripresa-coda
- ma nel quale Beethoven innesta idee che lo proiettano decisamente nel futuro.
Il Direttore sembra centellinarlo proprio come si fa con un vino pregiato,
facendocene gustare e apprezzare ogni sfumatura.
E
poi lo Scherzo, in RE maggiore, di per sè una sconvolgente
novità – scalzare il Menuetto! - per quel periodo. Forse per questo Beethoven
non ha poi esagerato con eccessive bizzarrie (un paio di modulazioni a SIb minore
e DO, ma anche il Trio resta in RE maggiore) per sfogare poi tutte le sue
energie nel concitato Allegro molto, sempre in forma-sonata, RE e LA
maggiore.
Tjeknavorian
– che ha diretto tutto il concerto a memoria, chiaro segno della cura dedicata
allo studio e alla scrupolosa preparazione - ha dimostrato di padroneggiare il brano
alla perfezione, ottenendo un meritato successo da un pubblico davvero tutto
per lui.
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Chiusura
travolgente con la famigerata Quarta di Ciajkovski, una
Sinfonia che l’Autore stesso caricò, con le sue esegesi, di significati e
contenuti francamente discutibili; e che potrebbe facilmente portare un giovane
entusiasta a strafare, esaltandone l’esteriorità, la retorica e l’enfasi. Ma il
simpatico Emmanuel ha mostrato di essere già più maturo di tanti colleghi più
navigati di lui, misurando ogni passaggio con meticolosa attenzione: dalle
sonorità abbaglianti degli ottoni nei movimenti esterni, alla composta liricità
dell’Andantino, con la stupefacente irruzione di clarinetti e fagotti
nel Più mosso che ne anima la parte centrale; all’altro lancinante
contrasto (nello Scherzo) far il sotterraneo pizzicato ostinato
degli archi e l’impertinente ingresso dell’oboe (Meno mosso).
Insomma,
una lettura convincente, coniugata con una piena sintonia fra podio e
orchestra: tutti tesi come un sol corpo (e… anima!) per emozionarci una volta
di più.
Il
pubblico ha congedato tutti con ovazioni e applausi ritmati. Ecco, come
esordio, dal Direttore Musicale non ci si poteva aspettare di meglio!