La terzultima offerta operistica della Scala per il 23-24 (prima dei botti finali con Strauss e Wagner…) è riservata ad una nuova proposta barocca: L’Orontea di Marco Antonio Cesti (messa in scena originariamente ad Innsbruck, 1656). La nuova produzione (la precedente, in quel salotto poi mandato in vacca che si chiamava Piccola Scala, con Bartoletti-Squarzina e la leggendaria Berganza, risale al 1961!) è affidata alla solida coppia formata dallo specialista Giovanni Antonini e dal creativo Robert Carsen: ci sono quindi tutte le premesse per uno spettacolo di alto livello.
Venerdi 20 settembre il foyer Toscanini ha ospitato un interessante convegno sull’opera, introdotto e moderato da Raffaele Mellace, con autorevoli interventi di Lorenzo Bianconi (che già nel lontano 1982 aveva scritto l’introduzione alla registrazione di Jacobs) che ha inquadrato la figura e l’opera di Cesti nel suo tempo (Monteverdi, Cavalli…); di Paolo Fabbri, che ha proposto un’articolata esegesi dell’opera; di Davide Daolmi che ne ha esemplificato, con ascolti, i fondamenti musicali. È intervenuto anche il Direttore Antonini per spiegare l’approccio alla concertazione dell’opera, dove il concertatore è chiamato a mettere parecchia farina del suo sacco, stante l’essenzialità (canto e continuo, e poco più…) di ciò che si ritrova sui righi vergati dall’Autore.
Altre interessanti considerazioni di Antonini e Carsen riguardo i tratti salienti (musicali e registici) dell’opera sono pubblicate sulla Newsletter di Settembre del Teatro.
Chi vuol prepararsi adeguatamente alla visione, o rinfrescarsi la memoria, può trovare in rete almeno due registrazioni di alto livello: quella già citata, che ha fatto epoca, di Jacobs del 1982 e quella più recente (2015) di Bolton. La durata netta supera le 3 ore (Jacobs) ed è di 2h55’ (Bolton). Assai interessante è anche questa produzione australiana del 2022, nonostante sia sfregiata da varie sforbiciate, soprattutto negli atti 2 e 3 (2h30’).
A proposito di tagli, il sito del Teatro annuncia una durata netta di 2h33’ (48+48+57 minuti) quindi paragonabile a quella della citata produzione australiana, di 35’ e 20’ più breve delle registrazioni di Jacobs e Bolton. Stando al libretto pubblicato sul sito, essi riguardano: l’intero Prologo (quindi non vedremo né Filosofia, né Amore, perdendoci così un pertinente riferimento a ciò che seguirà immediatamente dopo). Poi alcune esternazioni del gaudente Gelone (distribuite nei tre atti). Nel second’atto l’aria Adorisi di Orontea, uno scambio di battute Aristea-Giacinta e le intere scene 15 e 16 (Gelone, Alidoro, Orontea). Nel terz’atto, oltre a Gelone (Scena 7) parte del monologo di Giacinta (Scena 10, Infelice cor mio) e la conclusione del monologo di Aristea (Scena 10, Il pianto, i sospiri) oltre all’esternazione di Giacinta (Scena 12, Il mio ben…)
Ma che – al contrario del dramma
pucciniano - si tratti di cosa assai poco seria lo scopriamo ben presto: non appena
le viene presentato un bel giovine pittore (Alidoro), povero migrante rifugiato
laggiù dalla Fenicia e scampato ad un tentato omicidio, la gelida Orontea non solo si sgela sull’istante, ma è
già bell’e che cotta a puntino! E, dopo aver esternato sorpresa e insieme
disagio per ciò che le sta accadendo, si dichiara senza pudore innamorata del
ragazzo, suscitando le ire dell’aio e confidente Creonte, che la vorrebbe sposa
ad un sovrano.
Naturalmente accadranno poi lungo le tre
ore dell’opera mille altre peripezie, in particolare un turbinio di improvvisi amori,
disamori e riamori, innescati dal fascino irresistibile che Alidoro esercita su
ogni fanciulla del circondario (oltre che sul giovane Tibrino, soprano
en-travesti, suo salvatore). Principalmente su tale Silandra, che per lui (che
ne è ben felice) pianta in asso, appena dopo un romantico duetto, il promesso
Corindo, provocando le ire della gelosa Orontea che la sorprende con il bel
pittore e passa subito dall’amore all’odio per il fedifrago, facendo però così
scoprire all’ignara Silandra il parallelo legame di Alidoro con la Regina.
La quale cambia di nuovo idea e lascia ad Alidoro una lettera traboccante d’amore e con la promessa di farne il suo consorte! Alidoro esulta, lasciando l'illusa Silandra (ubi major…) con un palmo di naso. Ma è il severo Creonte che ora impone alla Regina di cacciare il giovane amante; e lei stavolta, sia pur a malincuore, inspiegabilmente acconsente; il beffato Alidoro allora prova a consolarsi ricorrendo al back-up Silandra, che però adesso lo maledice a sua volta, come fedifrago, per poi tornare mogia e pentita dal suo Corindo!
Alidoro suscita allora l’interesse della
bella Giacinta, interpretata da un soprano ma travestitasi da bel ragazzo
(Ismero) che si scopre fosse il responsabile dell’attentato al pittore. La
quale Giacinta è a sua volta fatta oggetto delle attenzioni (qui si anticipano
problematiche LGBTQ+@#§%$&£...) dell’attempata Aristea (sedicente madre di
Alidoro) interpretata da un tenore (peraltro alla Scala sostituito da un
mezzosoprano)!
Il tutto condito poi da scenette da puro avanspettacolo, protagonista Gelone, vecchio epicureo perennemente ubriaco, che commenta insieme a Tibrino gli avvenimenti d’attualità con salace distacco.
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