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da stellantis a stallantis

29 gennaio, 2023

La Scala celebra i Vespri d’oggi.

Tornano alla Scala dopo più di 30 anni i Vespri… modernizzati. Nel senso che il soggetto messo in scena (oggi dal visionario Hugo De Ana) è un’attualizzazione plausibile – a livello concettuale – del testo originale di Scribe con la conseguente musica del Giuseppe.

Cioè ci vediamo due ben distinte parti in causa: un regime invasore/oppressore (rappresentato da tale Monforte) e un popolo ribelle/resistente (guidato da tale Procida). Quindi, per stare alle più attuali delle attualità: Russia-Ukraina, oppure Ayatollah-popolo, o anche Turchia-Kurdi, Talebani-popolo e così via elencando piacevolezze simili disseminate sull’intero pianeta. Pertanto nessuno si scandalizzi se in scena si vedono i Leopard e le squadre speciali antisommossa: mutatis-mutandis, è sempre l’eterno scenario che si ripete, nel 2023 come 741 anni addietro.

Nulla a che vedere perciò – tanto per citare un clamoroso caso contrario, cioè di assoluta inconsistenza fra l’attualizzazione registica e il soggetto originale – con la visione lunatica presentataci da Livermore a Torino nel 2011 in occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia.

Tuttavia il regista argentino si è beccato una nutrita salva di buh all’uscita finale, il che dimostra che il non stravolgimento dei contenuti del soggetto originale non sia condizione sufficiente a garantire il successo della messinscena.

Di cui probabilmente il pubblico (e il sottoscritto fra questi) non ha gradito l’eccessiva insistenza sugli aspetti crudi, cruenti e nichilisti della repressione e delle umiliazioni che il potere infligge al popolo vessato. Insomma, nel Vespri di Scribe-Verdi ci sono anche squarci di luce e di serenità, che sono dal regista totalmente ignorati. Quindi: cannoni e tank fin dall’inizio, poi scene di continua desolazione: Procida approda sui resti di una battaglia, non in una ridente valle, con colline fiorite di cedri e aranci; sulle note della barcarola vediamo (in luogo di donne adagiate su molli cuscini sul battello) donne a terra prive di sensi (forse stuprate dai biechi invasori?); e il carcere dell’atto IV nulla ha da invidiare a Guantanamo

E sempre incombe in scena la morte: quella del Settimo sigillo! Che fin dall’inizio gioca a scacchi con il soldato crociato: ??? Si, vabbe’, Federico II era stato alla quinta crociata 60 anni prima del Vespri… o il regista aveva in mente qualche altro nesso con il soggetto da rappresentare?

Ecco, a questo punto si può inserire il discorso sui balletti. A parte quella sulla lingua (in Italia ormai è raro - e forse avrebbe poco senso - dare l’opera in quella originale francese) la domanda che sempre ci si pone di fronte all’annuncio della messa in scena di Vespri è proprio questa: ma i balletti? Ebbene, proprio nella precedente comparsa al Piermarini (Muti, 1989, con Pizzi) vennero tutti eseguiti, mentre oggi si è deciso per il no. Quindi: niente Quattro Stagioni (Atto III, Scena V) e niente Sposalizio (Atto V, Scena I).  Resta un minimo di coreografia per la sola Scena VI dell’Atto II, il ratto delle siciliane da parte della soldataglia francese aizzata da Procida.

Di sicuro c’è che, con la regìa di De Ana, le danze (35 minuti di grande musica!) ci sarebbero state come i cavoli a merenda, quindi viene spontanea la domanda sul nesso causa-effetto fra messinscena e balletti: è la rinuncia preventiva del Teatro a presentarli (causa) ad avere consentito a De Ana questa messinscena (effetto) o è l’impostazione registica (causa) che ha imposto al Teatro di rinunciare ai balletti (effetto)? Si accettano scommesse in merito…
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Molto meglio le cose sono andate per fortuna sul piano musicale, grazie alla perizia del concertatore: Fabio Luisi ha dato, fin dall’impeccabile esecuzione della grande Sinfonia, una lettura convincente della partitura verdiana, cogliendone sia la tinta generale che i minimi dettagli e sfumature. Massima precisione nel gestire il palco, con attacchi a voci e coro sempre precisi e con dosaggi delle dinamiche che mai hanno penalizzato le voci.

Dati i giusti meriti, ma è quasi scontato, al Coro di Malazzi, va elogiato in blocco il cast delle voci: a cominciare da quelle dei due personaggi rappresentativi delle due parti in causa: Luca Micheletti, un Monforte di grande spessore, nei suoi atteggiamenti da dittatore come in quelli del padre che inopinatamente ritrova il figlio perduto; e Simon Lim (cresciuto in passato all’Accademia scaligera) che è stato un Procida tanto più meritevole in quanto arrivato sulla scena quasi all’ultimo momento.

Piero Pretti è un convincente Arrigo, voce squillante, acuti ben tenuti ed efficace resa di questo tormentato personaggio, vittima del… destino cinico e baro.

Vengo ora alla Elena di Marina Rebeka: tutto bene per lei fino alla seconda scena dall’atto IV (il duetto con Arrigo, dopo la scoperta dell’identità dell’amato, al termine del quale ha avuto un meritato applauso a scena aperta). Poi il patatrac: alla fine della Siciliana (che poi sarebbe una… Polacca) dell’atto conclusivo, una sonora salva di buh dal secondo loggione si è mescolata ai prevalenti applausi del resto del pubblico! Per me, davvero incomprensibile. E le contestazioni, più o meno isolate, sono poi proseguite alle diverse uscite finali. Mah…

Bene tutte le altre voci maschili (bassi e tenori) che hanno dignitosamente e meritoriamente dato il loro contributo al successo della parte musicale dello spettacolo.

27 gennaio, 2023

laVerdi 22-23. 13

Il tema del concerto dell’Orchestra Sinfonica di Milano di questa settimana – sul podio dell'Auditorium torna uno dei direttoti emeriti, Claus Peter Flor - è la morte (!) Ma non si tratta di pagine della sezione necrologi di qualche giornale, bensì di sublimazioni artistiche legate a quello che è l’inevitabile destino di ognuno di noi…

Due composizioni che furono create dai rispettivi autori (Mahler e Mozart) in condizioni esistenziali praticamente antipodiche: il sommo Teofilo ormai in vista della propria fine, tanto che questa sopraggiunse ben prima che l’opera fosse portata a termine; il 41enne Mahler che, dopo aver visto la morte in fronte (anzi… ehm… in… c**o!) aveva chiuso in idillio la Quarta Sinfonia e ripreso la sua vita felice con la bella Alma, che gli stava per dare un paio di paffute figliolette.

E la serata si apre proprio con i Kindertotenlieder, su testi di Friedrich Rückert (che per la verità li aveva titolati Kindertodtenlieder) il quale aveva scritto ben 428 poesie per ricordare la morte prematura (per scarlattina, nel giro di poche settimane dopo Natale e Capodanno del 1833) dei due figli più giovani dei suoi sei.

Mahler musicò cinque di queste poesie, in due rate: tre nel 1901 (quando ancora era senza figlie) e due nel 1904, fresco padre della seconda femminuccia (Gucki, di due anni più giovane della prima, Putzi). A quell’epoca lui poteva ben considerarsi un uomo felice e arrivato: Generalmusikdirektor della Hofoper di Vienna (ai tempi uno dei teatri più rinomati, se non il più importante, del panorama musicale); sposato alla donna più ammirata e desiderata di Vienna (Alma Schindler); ed economicamente arrivato (lui in effetti non aveva mai patito ristrettezze, era di famiglia ebrea benestante, che aveva potuto mandarlo da solo, dalla periferica Jihlava a studiare a Vienna).

Certo, da bambino aveva dovuto venire a conoscenza o assistere alla prematura scomparsa di due suoi fratellini, il che può spiegare la sua decisione di musicare quelle poesie di Rückert, ma è certo – e da lui stesso confermato anni dopo - che non si trovasse nelle stesse condizioni di disperazione dell’autore dei testi. Oltretutto, proprio nello stesso periodo, Mahler completava la sua Sinfonia tragica (la Sesta) il che conferma come le sue scelte estetiche del momento non fossero per nulla conseguenza di disavventure materiali o psicologiche. (Il destino arriverà a colpire qualche anno dopo, con la morte di Putzi, sempre per scarlattina e difterite, il licenziamento dal Teatro, la scoperta della disfunzione cardiaca, e soprattutto quella dei tradimenti a sfondo sessuale di Alma…) Più sotto alcuni dettagli sulla composizione.

Il giovane baritono Benjamin Appl ne ha dato un’interpretazione intensa, sfoggiando una voce chiara e bene impostata. Magari potrebbe perfezionare la varietà di sfumature, ma di sicuro avrà tempo per farlo. Intanto si è meritato – insieme all’orchestra – applausi, consensi e chiamate alla ribalta, da parte di un pubblico tornato per l’occasione ad affollare piacevolmente l’Auditorium.
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Ecco poi il clou della serata: il Requiem K626. Opera purtroppo rimasta allo stato di torso e completata-rimaneggiata da mani diverse (qui una mia breve disamina delle sue disavventure…)

Flor, che lo aveva già diretto con laVerdi 17 anni orsono, torna a presentare l’opera completa (nella versione Süssmayr) dopo che l’ultima apparizione del Requiem qui in Auditorium (2020 con Maxime Pascal) era stata limitata a Introitus, Kyrie e alla Sequenz (versione Eybler).

Per l’occasione il Coro Sinfonico diretto da Massimo Fiocchi Malaspina è rinforzato dal Coro dei giovani di Maria Teresa Tramontin. Ed è stato protagonista di una eccellente prestazione, in particolare nei tanti passaggi fugati che costellano l’opera.

Ma anche i quattro solisti (ad Appl si sono aggiunti Sobotka Iwona, Bettina Ranch e Bernhard Berchtold) disposti fra orchestra e coro hanno dato il loro sostanziale contributo al successo dell’esecuzione.

Orchestra come al solito in grande spolvero (menzione doverosa per il trombone basso di Giacomo Ceresani, protagonista del Tuba Mirum con Berchtold). Flor ha diretto con il solito piglio, anche se (gusti miei personali) avrebbe potuto tenere tempi meno sostenuti in alcuni passaggi che meriterebbero più… aggressività. Significativa la lunga pausa di raccoglimento da lui tenuta fra l’Offertorium e il Sanctus, proprio a separare Mozart da… Süssmayr.

Inutile dire della calorosa accoglienza che il pubblico ha riservato a tutti.
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I Kindertotenlieder

Rispetto ai testi originali, Mahler ha introdotto qua e là alcune variazioni, o aggiunte, per ragioni squisitamente musicali. I testi riportati nel seguito sono appunto quelli musicati.

1. Nun will die Sonn' so hell aufgehn (1901)

Dal testo traspare dolore immenso (la luce si è spenta nel cuore del padre); ma poi prevale la fede nella luce eterna del mondo.

Langsam und schwermütig; nicht schleppend – 4/4 RE minore (-maggiore)

In questo Lied (di due quartine) troviamo una continua alternanza fra voce e strumenti. La struttura tematica del Lied per quanto riguarda la voce si può così schematizzare: A-B/A-B//C/A-B//B

Introduzione orchestrale I (oboe)
Nun will die Sonn' so hell aufgehn, (Tema A)
Risposta orchestrale su Tema A (oboe)
Als sei kein Unglück, kein Unglück die Nacht geschehn! (Tema B)
Chiusura orchestrale O (corno)
Introduzione orchestrale I’ (oboe)
Das Unglück geschah nur mir allein! (Tema A)
Risposta orchestrale su Tema A (oboe)
Die Sonne, die Sonne sie scheinet allgemein! (Tema B)
Chiusura orchestrale O’ (corno)

Introduzione orchestrale I’’ (oboe + corni su Tema A)
Du mußt nicht die Nacht in dir verschränken, (Tema C)
Mußt sie ins ew'ge Licht versenken! (cont. Tema C)
Transizione orchestrale (contiene I’’’ nell’oboe)
Ein Lämplein verlosch in meinem Zelt! (Tema A)
Heil sei dem Freudenlicht der Welt! (Tema B accorciato)
Chiusura orchestrale O’’ (violoncelli)
dem Freudenlicht der Welt! (coda Tema B variato)

Nella figura sottostante sono rappresentati i principali passaggi di voce e strumenti (esclusa la lunga transizione orchestrale che segue il Tema C). Come precisato, i temi A e B e le introduzioni e code orchestrali variano (poco o tanto) fra una strofa e l’altra.

Va anche osservato come Mahler continuamente vari le atmosfere – anche a parità di temi – con passaggi maggiore-minore, o attraverso contrasti fra diatonismo e cromatismo, o fra timbri orchestrali: insomma, non c’è mai pura ripetitività (e questa sappiamo essere una delle principali peculiarità dell’estetica mahleriana…)  


2. Nun seh' ich wohl, warum so dunkle Flammen (1904)

Gli occhi dei bambini, quali raggi di luce accecante, dicevano al padre ciò che il padre non voleva/poteva capire: che sarebbero tornati là da dove ogni creatura è venuta. Avrebbero tanto voluto restare con lui, ma il destino aveva scelto altrimenti. E così quegli occhi fiammeggianti si trasformeranno in lucenti stelle.

Ruhig, nicht schleppend – 4/4 DO minore (-maggiore) / RE maggiore

A differenza del primo Lied, qui, se si escludono le poche battute di inizio e fine, è sempre la voce a tener banco, esponendo le due quartine e le due terzine del testo.

L’attacco del canto, dopo le 4 battute introduttive, viene proprio da lontano e dalle profondità, precisamente dalla tomba di Radames! Mahler lo aveva già citato nel terzo movimento (Ruhevoll) della sua Quarta ed ora lo impiega (quasi nella stessa tonalità) per aprire il Lied:

DO minore
Nun seh' ich wohl, warum so dunkle Flammen
Ihr sprühtet mir in manchem Augenblicke. O Augen! O Augen! 
DO maggiore
Gleichsam, um voll in einem Blicke
Zu drängen eure ganze Macht zusammen.

DO minore (> LAb maggiore?)

Doch ahnt' ich nicht, weil Nebel mich umschwammen,
Gewoben vom verblendenden Geschicke,
DO maggiore
Daß sich der Strahl bereits zur Heimkehr schicke,
Dorthin, dorthin, von wannen alle Strahlen stammen.
 
DO Maggiore >>> RE maggiore
Ihr wolltet mir mit eurem Leuchten sagen:
Wir möchten nah dir bleiben gerne!
SOL minore
Doch ist uns das vom Schicksal abgeschlagen.
 
SIb minore (> SOLb maggiore?)
Sieh' uns nur an, denn bald sind wir dir ferne!
DO maggiore
Was dir nur Augen sind in diesen Tagen:
In künft'gen Nächten sind es dir nur Sterne.
DO minore

Nella figura qui sotto sono rappresentate le parti vocali delle quattro strofe:



È il padre che, vedendo la madre entrare nella stanza, non guarda lei, ma il punto dove usava vedere il volto della piccola figlia. Oggi, quando la madre entra, lui immagina di vedere accanto a lei anche la piccola; ma purtroppo ciò non accade più… la piccola se n’è andata per sempre.

Schwer, dumpfFliessender - 4/4 DO minore

Mahler ha qui condensato due delle poesie di Rückert costruendone una fatta di due strofe (rispettivamente di 13 e 10 versi). La struttura musicale è abbastanza semplice: la seconda strofa ripercorre in gran parte l’andamento e i motivi della prima, salvo qualche accorciamento e variante. Come per il primo Lied, qui l’orchestra aggiunge di suo un’introduzione (ripetuta per le due strofe) e un epilogo.

Interessante notare la somiglianza del tema del Lied con quello di una canzone popolare morava (di František Bartoš) già notata dal nostro grande esegeta mahleriano Ugo Duse:

Introduzione (corno inglese)
Wenn dein Mütterlein motivo T1 (flauto e oboe su motivo Introduzione)
tritt zur Tür herein,
oboe su motivo Introduzione
Und den Kopf ich drehe, motivo T2 (oboe su motivo Introduzione)
ihr entgegen sehe,
oboe e clarinetto su motivo Introduzione (modulazione a SOL minore)
Fällt auf ihr Gesicht SOL minore, motivo T1 (oboe e corno inglese su motivo Introduzione)
erst der Blick mir nicht,
corni  (>>> DO minore)
Sondern auf die Stelle, motivo T3 (violoncelli)
näher nach der Schwelle,
Dort, wo würde dein (flauto)
lieb Gesichten sein,
Wenn du freudenhelle
trätest mit herein, trätest mit herein, (violoncelli)
Wie sonst, mein Töchterlein.

Introduzione (corno inglese)
Wenn dein Mütterlein motivo T1 (flauto e oboe su motivo Introduzione)
tritt zur Tür herein,
oboe su motivo Introduzione
Mit der Kerze Schimmer, motivo T2 (oboe su motivo Introduzione)
ist es mir, als immer
Kämst du mit herein, SOL minore, motivo T1 (oboe e corno inglese su motivo Introduzione)
huschtest hinterdrein,
als wie sonst ins Zimmer! >>> DO minore incipit motivo T3 (clarinetto)
oboe su passaggi di T3
O du, des Vaters Zelle, motivo T3 (viole)
Ach, zu schnelle, zu schnell
erloschner Freudenschein, erloschner Freudenschein!
cadenza finale sulla dominante

Nella figura qui sotto sono rappresentati principali motivi del Lied:


4. Oft denk' ich, sie sind nur ausgegangen (1901)

Il padre rassicura la madre: i bambini sono solo usciti per una passeggiata sulla collina; la giornata è splendida, non v’è nulla da temere. Ma no, invece loro ci hanno preceduto e non torneranno più a casa. Noi li raggiungeremo su quella collina, al sole, dove la giornata è sempre bella.

Ruhig bewegt, ohne zu eilen - 4/4 alla breve MIb maggiore-minore – SOLb maggiore

Il testo consta di tre quartine, accompagnate dagli stessi temi musicali, nelle stesse tonalità e con leggere variazioni. In pratica troviamo 4 motivi, uno per ciascun verso della quartina. A ciò si aggiunge soltanto una breve introduzione orchestrale. 

Introduzione (corni, violini, poi legni) MIb maggiore
Oft denk' ich, sie sind nur ausgegangen, MIb minore
Bald werden sie wieder nach Hause gelangen, SOLb maggiore
Der Tag ist schön, o sei nicht bang, MIb maggiore
Sie machen nur einen weiten Gang. (frase musicale sospesa)
Oboe e violini chiudono la frase
 
Ja wohl, sie sind nur ausgegangen,
Und werden jetzt nach Hause gelangen,
4 battute di collegamento
O, sei nicht bang, der Tag ist schön,
Sie machen nur den Gang zu jenen Höh'n. (frase musicale sospesa)
Flauto e violini chiudono la frase
 
Sie sind uns nur vorausgegangen, (attacco variato)
Und werden nicht wieder nach Haus verlangen,
4 battute di collegamento
Wir holen sie ein auf jenen Höh'n
Im Sonnenschein, der Tag ist schön auf jenen Höh'n.
2 battute di chiusura

La figura sottostante riporta il tema introduttivo e le quattro componenti della prima quartina, che si ripetono con piccole variazioni nelle successive.


5. In diesem Wetter, in diesem Braus (1904)

l padre non si dà pena: i bambini non avrebbero mai dovuto uscire all’aperto con questo tempaccio!

Ma me li hanno fatti uscire, senza che potessi dir nulla. Ma ora è inutile recriminare. Oggi riposano come fossero a casa con la mamma, nulla più li spaventa, sono protetti dalla mano di Dio.

Mit ruhelos schmerzvollem Ausdruck - 4/4 RE minore (LA e RE maggiore per l’ultima strofa)

Il testo consta di 5 quartine (rispetto all’originale Mahler ha ripetuto – variata - la prima, inserendola dopo la terza) cui il musicista ha apportato solo piccole modifiche. La prime quattro strofe sono apparentate dalla tonalità di RE minore e dall’agogica evocante lo stato d’animo fra il disperato e il rassegnato del genitore. Nella quinta si apre (con il passaggio a RE maggiore) la visione dei piccoli che godono ormai dell’eterna pace.  

Introduzione strumentale in RE minore (contiene l’inciso I - vedi figura - che è parente di una figurazione presente nel primo movimento della Terza Sinfonia)
In diesem Wetter, in diesem Braus,
Nie hätt' ich gesendet die Kinder hinaus;
Man hat sie getragen, getragen hinaus,
Ich durfte nichts dazu sagen!
 
In diesem Wetter, in diesem Saus,
Nie hätt' ich gelassen die Kinder hinaus,
3 battute di raccordo (su inciso I dell’introduzione)
Ich fürchtete sie erkranken;
Das sind nun eitle Gedanken.
7 battute di raccordo (con inciso I dell’introduzione)
 
In diesem Wetter, in diesem Graus,
Nie hätt' ich gelassen die Kinder hinaus;
3 battute di raccordo (su inciso I dell’introduzione)
Ich sorgte, sie stürben morgen,
Das ist nun nicht zu besorgen.
8 battute di raccordo (con inciso I dell’introduzione)
 
In diesem Wetter, in diesem Graus!
3 battute di raccordo
Nie hätt' ich gesendet die Kinder hinaus!
Man hat sie hinaus getragen,
Ich durfte nichts dazu sagen!
9 battute di raccordo con transizione a RE maggiore (LA acuti di ottavino e glockenspiel)

In diesem Wetter, in diesem Saus, in diesem Braus, (modulazione a LA maggiore)
Sie ruh'n, sie ruh’n als wie in der Mutter, der Mutter Haus,
Von keinem Sturm erschrecket, Von Gottes Hand bedecket, (ritorno a RE maggiore)
Sie ruh'n, sie ruh’n wie in der Mutter Haus, wie in der Mutter Haus,
15 battute di chiusura in RE maggiore (motivo del penultimo verso nel corno)

Ecco i principali motivi di questo Lied (Introduzione e prime 4 strofe):

L’ultima strofa merita un discorso a sé, rappresentando non solo la chiusura del Lied, ma anche la summa dell’intero ciclo: anche a fronte di un’acuta disperazione per la disgrazia che lo ha colpito (il cupo RE minore) l’Uomo sa imboccare la strada della consolazione, trovando finalmente rifugio in Dio e nella Natura, non a caso RE maggiore. È precisamente l’approccio esistenziale (ed estetico) di Gustav Mahler, da lui manifestato praticamente in tutta la sua produzione artistica.

Ci resta ormai solo la cadenza conclusiva, riservata all’orchestra, in particolare al primo corno, che espone la melodia del penultimo verso del testo. Sarà un caso (?) ma vi compare una frase (non è proprio una citazione letterale) che viene da un passaggio suonato nella Terza Sinfonia – di circa 8 anni antecedente al Lied - dal Corno da postiglione:

Si osservino dapprima le note riquadrate in blu: formano due frasi musicali suddivise in due segmenti, apparentemente identici, in realtà assai diversi per l’armonizzazione. La frase del Lied compie due balzi in salita (in LA) che preparano però la successiva discesa verso la tonica RE. Quella della Sinfonia parte dal secondo balzo della prima (riquadro rosso) per poi farne un altro più in alto e salire ulteriormente (nel seguito). Insomma, sembra che qualcosa con gli anni sia maturato nella visione del compositore…  

20 gennaio, 2023

laVerdi 22-23. 12

Poulenc e Ciajkovski sono al centro del concerto di questa settimana, che vede arrivare sul podio dell’Orchestra Sinfonica di Milano un… ragazzino, o poco più, il 23enne finlandese Tarmo Peltokoski, che quando non dirige fa pure il pianista.

Però alla tastiera del primo brano in programma - si tratta del Concert champêtre per clavicembalo (ma anche pianoforte) e orchestra di Francis Poulenc – siede Jean Rondeau, altro men-che trentenne ma già affermato solista.

Poulenc compose il brano nel 1927-28 per la grande Wanda Landowska, che ne fu l’ispiratrice e la prima interprete. Vent’anni più tardi lo incise lui stesso ma, paradossalmente, eseguendolo al pianoforte. E comunque il concerto è concepito (come altri, tipo quello di DeFalla) per essere eseguito su strumenti moderni (tipo i Grand Pleyel) suggeriti e sponsorizzati ai tempi proprio dalla Landowska. Per la cronaca, qui il clavicembalo era moderatamente amplificato, per evitare di essere sommerso dal suono orchestrale.

Pregevolissima l’esecuzione di Rondeau, un vero guru dello strumento, capace di estrarci sonorità che gli sembrerebbero precluse. E poi grande cura ai particolari, compresi i silenzi e le pause e le cadenze: lunga quella a metà del primo movimento, lunghissima quella tenuta proprio alla conclusione.  

L’orchestra lo ha supportato al meglio e Peltokoski ha fatto di tutto per non… penalizzarlo troppo, scatenandosi soltanto quando il solista tace, e per il resto lasciandogli sempre il primo piano.

Caloroso successo (in un Auditorium con parecchi vuoti) ricambiato con un sognante bis. 
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La seconda parte della serata è occupata interamente dalla inflazionata Patetica ciajkovskiana, uno dei tanti cavalli di battaglia de laVerdi.     

E qui è venuto fuori il fenomeno: questo ragazzino ha davvero una stoffa eccezionale. A parte mandare a memoria la sinfonia (cosa non da tutti e che testimonia della cura che pone alla preparazione) ma Peltokoski (mi) ha veramente stupito per la padronanza e l’autorevolezza della sua direzione. Gesto ampio, accompagnato da movenze da ballerino, ma senza mai apparire affettato o pleonastico, anzi, sempre attento alla scansione dei tempi; attacchi di precisione assoluta, affilati come lame. E infine capacità (alla sua età!) di cogliere tutti gli aspetti estetici e pure – nel caso di Ciajkovski - esistenziali dell’opera.

Efficacissimi i mutamenti di tempo nel primo movimento: quello fra l’introduttivo Adagio e l’Allegro non troppo; e poi l’improvviso scoppio al passaggio in Allegro vivo: ma soprattutto straordinario l’effetto ottenuto nella fatale discesa all’inferno, prima della ripresa dell’Andante, con gli ottoni a scandire la caduta, di girone in girone, fino all’annichilimento!

Dopo lo sghembo (2+3) walzer dell’Allegro con grazia, proposto precisamente con grazia, ecco la travolgente marcia dell’Allegro molto vivace, chiusa dal ta-ta-ta-taaaa sul SOL, che ha suscitato l’immancabile (peraltro abbastanza isolato) battimani, costringendo forse il Direttore a ritardare un attimo l’attacco del conclusivo Adagio lamentoso. E proprio di lamento si deve parlare, chiuso con la più pessimistica delle visioni esistenziali.

Inutile dire del successo tributato a tutti, ma in particolare al giovin Maestro per questa eccellente proposta.   

Infine: sapete qual è l’unica dote che ancora manca a questo genio? Il sorriso! 
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Appendice. Il concerto campestre di Poulenc.

Seguiamone sommariamente la struttura accompagnati dal grande Trevor Pinnock con la BSO diretta da Seiji Ozawa.

Il primo movimento ha davvero poco del concerto barocco, e ancor meno di quello classico: la forma è quasi indecifrabile (per non dire bizzarra): inizia con un’introduzione lenta (Adagio) che porta all’Allegro molto, dove il solista espone il tema principale, in RE maggiore. Questo tema viene riproposto - ma assai variato - da orchestra e solista nella dominante LA maggiore (e qui effettivamente siamo al barocco). Infine sarà ripreso (in RE, a mo’ di ricapitolazione) alla conclusione, che però sarà in minore. Ma fra queste comparse del tema troviamo un… universo di divagazioni, avventure e colpi di scena: insomma, una fantasia, o un divertimento, più che un movimento di concerto!

Dopo l’introduzione in Adagio, ecco (1’56”) il solista proporre il tema principale, in Allegro molto:

L’orchestra lo accompagna nella risposta, su un controsoggetto, poi (2’26”, Animez un peu) il solista accelera il tempo e si esibisce in virtuosistiche volate di crome, in dialogo con l’orchestra. Il tema principale (2’43”) viene ora riproposto – variato e mischiato al controsoggetto – nella dominante LA maggiore. Una grandiosa figurazione di crome ascendenti dei corni (2’56”) poi ripresa dal solista, introduce un passaggio che conduce inopinatamente (3’08”, Presser) ad un’enfatica fanfara che scende di una terza, al FA maggiore, cui il solista pone rimedio riportandoci al LA maggiore che chiude l’episodio.


Ma subito se ne apre un altro (3’26”, Tragique) invero sorprendente, e che sarà interminabile, un’autentica peregrinazione fuori-le-mura: i corni, partendo da un lontano DO# e girando le campane bene in alto, espongono un segnale militaresco:


Cui il solista risponde prontamente, lasciando poi spazio al clarinetto per una breve melopea interrotta ancora dal solista in modo brusco (4’15”, Feroce) per riproporre il segnale di cui sopra. Si fa poi viva (4’24”) anche la tromba, che riprende il segnale (dal SIb) e lo chiude portando a due schianti dell’orchestra, il secondo (4’31”) sul SI minore.

 

Tonalità in cui il solista riprende il richiamo eseguendo una specie di cadenza che porta ad un nuovo schianto orchestrale (4’52”) cui segue, sempre in SI minore, un lungo passaggio ancora basato sullo sviluppo dello stesso motivo. La tonalità, nel frattempo, modula a SOL minore, dove inizia (5’29”) una nuova sezione di questo lungo intermezzo. Ancora (5’45”) continue modulazioni, a RE minore, MI minore, SI minore e SI maggiore, finchè un forsennato crescendo (En animant toujours) dell’orchestra (cui il solista assiste muto e sgomento…) si chiude su un botto (6’24”) generale di MIb minore (sporcato dai DO di tuba e archi bassi)!

 

Tutto finito? Nemmeno per idea! Mica si può lasciare a metà il discorso iniziato e poi interrotto dalla lunga divagazione (fuori tema?) Però non è nemmeno facile riprenderlo come se nulla fosse, e allora ecco (Très lent) una nuova ampia introduzione, caratterizzata da un mesto incedere del solista, fatto di pesanti accordi (2-3-4 note) seguiti, dopo una risposta di corni e archi bassi, da una melopea del clavicembalo (7’36”, Allargando) in LA minore, seguita (8’38”) da una nuova irruzione del primo corno che ripropone – variato e partendo dal LA – proprio il segnale militaresco che aveva aperto la lunga precedente divagazione.

 

Ora (8’53”) il tempo torna Subito Allegro molto, LA maggiore, e solista e orchestra si producono in una transizione dove ancora i corni (9’06”) sono protagonisti dell’ennesima riproposizione del segnale militaresco. La chiusa è riservata ad un beffardo accordo di LA minore inquinato dal tritono DO-FA#.

 

Ma è solo un modo per preparare (9’10”) la ripresa - in RE maggiore nel solista - del tema principale e del relativo controsoggetto. Non abbiamo qui, come nell’esposizione, la riproposta del tema nella dominante, ma passiamo direttamente (9’29”) alla scalata dei corni (sempre sul RE) e poi al bizzarro ingresso (9’39”) della fanfara che, invece che dal LA al FA, scende ovviamente dal RE al SIb. Il solista riporta l’ordine (RE maggiore) con veloci discese in croma. Accelerando (9’50”) si arriva finalmente al dunque, con solista e orchestra che si rincorrono più volte prima che sopraggiunga il tutti conclusivo: un accordo perfetto di RE minore!

 

Ecco poi l’Andante, SOL minore, tempo di 6/8 (Siciliana). Lo aprono i primi violini presentando il tema principale, la cui frase chiude sulla dominante RE:

 

Gli rispondono (30”) oboe e fagotto, con un controsoggetto che ci riporta a casa (SOL minore).

 

Adesso (59”) entra il solista, che quasi si limita, scandendo accordi, a sottolineare il ritmo del tema, interroto da due schianti dell’orchestra. Il tema è ripreso (1’27”) da oboe e corno in SIb minore, con il clavicembalo a contrappuntare, seguito da i fiati che chiudono questa prima sezione dell’esposizione.

 

Il secondo tema, in una tonalità eterodossa (LAb maggiore, non la relativa SIb come ci si aspetterebbe) viene esposto (2’07”) da corno inglese e oboe:



e quindi ripetuto e completato anche dal fagotto. Poi si sviluppa (2’34”) su un controsoggetto altrettanto sognante che chiude, passando arditamente per MI, sul MIb maggiore, tonalità dove il tema viene riproposto (3’00”) dal caldo suono dei corni, con il solista ancora a contrappuntare. La melodia viene improvvisamente deformata (3’29”) e porta l’orchestra ad uno schianto dove l’accordo perfetto di SIb maggiore è sporcato dai SOL e SI dei corni!

 

Segue ora, interrotta all’inizio da un nuovo strappo dell’orchestra, una nervosa cadenza del solista, sulla quale si staccano (4’21”) due guizzi del clarinetto, che tocca il RE acuto. Torna il tempo di siciliana e I corni (4’33”) seguiti subito dal solista e quindi da flauti e fagotto riportano la tonalità a RE minore, ma con evidenti dissonanze. Ma ecco (5’22”) apparire improvvisamente nei violini, poi in flauto e oboe, un’oasi in SOL maggiore, dove udiamo riproposto il secondo tema, che poi (5’42”) salta arditamente di una terza, a SI maggiore.

 

Ma la cosa dura poco, poiché (5’54”) il flauto ripropone la melodia tornando a SOL maggiore, dove peraltro ci si sofferma pochissimo, dato che (6’07”) archi, ottoni e fagotto riprendono solennemente il tema scendendo di una terza, a MIb maggiore! Ma la cosa copre si e no due battute, che<è si torna (6’17”) al SOL minore, dove una scalata delle trombe alla seconda abbassata (LAb) dà inizio alla chiusura (6’30”) : flauti, poi oboi, quindi clarinetti e infine il solista reiterano impertinenti e acuti incisi attorno al SOL minore; gli archi lo ribadiscono sommessamente, dopodichè, mentre il secondo corno tiene un lungo SOL, il clavicembalo (6’48”) fortissimo, ribadisce girandogli attorno, il SOL. Ma è un SOL maggiore, che l’orchestra piena ribadisce con il tonfo finale. (Poulenc ha riproposto, specularmente, il trucco già sperimentato nel movimento iniziale: là era RE maggiore che chiudeva in minore, qui è SOL minore che chiude in maggiore.)

 

Infine il Finale, RE maggiorePresto. Il solista attacca subito il primo tema, che qualcuno ha apparentato con quello dell’Aria con variazioni (Il fabbro armonioso) dalla Quinta Suite di Händel:


Poi (20”) ecco la risposta, accompagnata discretamente dagli archi, che poi innescano con il solista un fitto dialogo, con la comparsa di diversi motivi, come quello (40”) di stampo marziale, o l’incedere ostinato (57”) dell’orchestra e lo strappo (1’11”) in SOL minore. Più avanti ecco (1’35”) un altro motivo marziale, in FA, che ricorda la Patetica (3° movimento).

 

Sulla base di questo motivo continua il serrato dialogo fra solista ed orchestra, che porta infine ad un punto cruciale: con l’indicazione Eclatant (2’37”) il solista propone un motivo – di fatto il secondo grande tema - che terrà banco per il resto del movimento. Qui è in MIb maggiore ed ha un sapore allegramente festaiolo:



Altri motivi di sapore marziale si affacciano (2’58”) in MIb e poi (3’17”) in RE maggiore, finchè il tema esposto poco prima dal solista esplode (4’02”, Pesant) in SI maggiore!

 

Allargando subito (4’12”) il solista apre una specie di oasi di calma, tornando al Tempo del 1° movimento e indugiando sull’inciso FA#-RE#, seguito dai corni che brucknerianamente esplorano l’ottava di DO#. Ancora un dialogo fra solista e clarinetti-fagotti e poi si torna (5’09”) all’Allegro giocoso dove il solista reitera il secondo tema, in RE maggiore, poi si abbandona ad una breve cadenza, finchè (5’35”) il secondo tema riesplode nell’orchestra.

 

Ancora (5’58) un intervento interlocutorio del solista, poi (6’18”) il secondo tema ricompare in SOL maggiore e infine (6’26”) in RE maggiore. Il concerto si chiude quindi tornando (6’50”) al Tempo 1° movimento, che ospita la chiusura mesta del solista su lacerti del primo tema; dopo due incisi acuti del flauto, ecco nel clavicembalo l’accordo di RE... indovinate? minore.