Dopo quasi esattamente tre anni è
tornata a Nasso alla Scala la straussiana Ariadne,
che fu accolta da un buon successo nel 2019 nella produzione targata Wake-Walker / Welser-Möst.
Oggi però l’allestimento è quello di Sven-Eric Bechtolf e sul podio va quel Michael Boder che si fece le ossa proprio in Italia (a Firenze sotto le ali di due autorevoli chiocce: Muti e Mehta).
Curiosamente le vicissitudini di questa produzione ricordano da vicino quelle che caratterizzarono la nascita e la vita dell’opera medesima, sulle quali si è scritto e detto quasi tutto (anch’io ho presuntuosamente dato un modesto contributo). E così è successo che Bechtolf abbia in un primo tempo (estate 2012, centenario della prima assoluta di Stoccarda) allestito l’opera a Salisburgo nella versione originale del 1912 e poi, qualche mese dopo e successivamente nel 2014 a Vienna, abbia impiegato lo stesso allestimento (opportunamente riadattato) per proporre la seconda (e definitiva) versione dell’Ariadne (Vienna, 1916).
Della produzione di tre anni fa sopravvivono oggi due importanti superstiti: la grande Krassimira Stoyanova (Ariadne) e l’altrettanto famoso quanto bravo Markus Werba (Maestro di musica).
Bechtold
ambienta il soggetto ai tempi della composizione, come si deduce principalmente
dai costumi (di Marianne Glittenberg) prima ancora che dalle scene (del di lei marito Rolf) e la cosa, oltre che non nuova, è
anche sensata e convincente. Efficaci sempre - in particolare nel finale - anche
le luci curate da Jürgen Hoffmann.
Il regista fa entrare in scena (ovviamente solo come comparse) il Maestro di musica e, ancor più corposamente, il Compositore, anche nell’Opera, oltre che nel Prologo, e lo fa a buon titolo, sia per vivacizzare alcune scene (vedi il lungo assolo di Zerbinetta, che il Compositore en-travesti accompagna virtualmente alla tastiera e alla quale passa premurosamente fogli di spartito per i gorgheggi che precedono il famoso Als ein Gott kam jeder gegangen) ma soprattutto per introdurre mirabili tocchi di filosofia di vita, per così dire. Ecco che alla fine, prima che il sipario cali, vediamo il Compositore riunirsi alla soubrette, evidentemente a sancire un sodalizio esistenziale già prefigurato al momento del loro incontro-scontro nel Prologo.
E, a proposito di rapporti fra esseri umani e fra artisti, e fra vita reale e teatro, ecco un altro colpo di Bechtolf da vero maestro: dopo la loro ascensione finale verso... le stelle, Bacchus e Ariadne, che la finzione teatrale di Hofmannsthal e la sbudellante musica di Strauss hanno miracolosamente e sublimemente unito in modo indissolubile, escono di scena da parti opposte, in aperta lite fra loro, a testimoniare dei comportamenti miserevoli che i due hanno nella vita reale, già intravisti nel Prologo, allorquando ciascuno dei due cercava egoisticamente di far tagliare la parte dell’altro/a.
A proposito di eroismi, l’Heldentenor che qui incarna Bacchus, il sessantenne Stephen Gould, ci ha messo tutto il fiato che ancora gli resta (e non è poco... oltretutto per una parte relativamente contenuta) anche se proprio l’ultimo SIb lo ha ghermito alla bell-e-meglio (in pratica: un’acciaccatura sul LAb). Per lui successo di stima, più che trionfo.
Chi ha trionfato sono le due protagoniste femmine-femmine: la Krassimira Stoyanova ha confermato le sue qualità e la sua capacità di immedesimazione nel ruolo della donna abbandonata; quanto alla Erin Morley, la sua è una Zerbinetta accattivante, brillante ed anche patetica quando serve, poi i RE e i MI acuti li ha strappati con la massima sicurezza, il che le ha garantito un lungo applauso a scena aperta. Entrambe accolte alla fine da meritate ovazioni.
La femmina-maschio era Rachel Frenkel (cui subentrerà la titolare Koch per le prossime recite): prestazione che definirei più che dignitosa, in una parte di per sè difficile, più Singspiel che canto...
Bene anche le altre tre rappresentanti del gentil sesso (Caterina Sala, Svetlina Stoyanova e Olga Bezsmertna) le ninfe che accompagnano la povera Ariadne dalla disperazione alla finale trasfigurazione, dapprima con accorata partecipazione, poi con cullanti ed eteree melodie.
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