Il terzo titolo del Festival Donizetti 2020 era l’opera buffa Le nozze in villa,
praticamente una novità assoluta. È un Gaetano 22enne quello che si cimenta (quasi)
per la prima volta in teatro, a Mantova, nel 1819, con quest’opera composta in
fretta e furia, su libretto di quel Bartolomeo
Merelli che diventerà famoso qualche anno dopo per aver catapultato tale Giuseppe Verdi verso la gloria. (Come si
vede, fra Donizetti e Verdi ci sono anche legami sotterranei...)
Opera
accolta con freddezza al suo apparire e che ebbe poche repliche in quegli anni:
qui il libretto stampato per una rappresentazione del 1822 a Genova (i testi di
alcune arie divergono da quelli cantati a Bergamo) col titolo I
Provinciali, titolo col quale il testo era apparso in traduzione
italiana della commedia brillante Die deutschen Kleinstädter di August
Friedrich Ferdinand von Kotzebue (lo stesso che scrisse Re Stefano
e Le rovine di Atene, di
beethoveniana memoria).
Poi... l’oblio completo fino alla
riesumazione odierna, che ha comportato anche il rifacimento di sana pianta (Elio&Rocco Tanica, con Enrico
Melozzi) del quintetto dell’Atto II, Scena VII (Aura gentil, protagonisti Sabina, Anastasia, Claudio, Petronio,
Trifoglio) andato perduto.
Lavoro che inevitabilmente si rifà a
Rossini, e non solo nei crescendo dei concertati, ma anche - un esempio per
tutti - in quel mirabile Oppressa/o e
stupida/o che precede la stretta
del finale primo, degno davvero del Fredda/o
ed immobile del Barbiere! E comunque
si cominciano ad intravedere i segnali di ciò che arriverà nei 20 anni
successivi!
Stefano
Montanari
- che ha accompagnato al fortepiano i recitativi - ha diretto da par suo Gli
Originali, dotati di strumenti d’epoca accordati sul diapason a 430 (quello
tanto caro a... Verdi!) e il Coro Donizetti
Opera di Fabio Tartari.
Cast piacevolmente all’altezza: Fabio Capitanucci e Gaia Petrone su tutti, ma bene anche Omar Montanari e Giorgio
Misseri. Sempre più giovane l’inossidabile Manuela Custer e bravi Claudia
Urru e Daniele Lettieri nelle rispettive particine.
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Simpatico oltre
che istruttivo il siparietto prima dell’inizio, dove una partitella di calcetto
in platea è stata interrotta dal Direttore che si è fatto consegnare il pallone
per poi perforarlo ripetutamente: un chiaro riferimento - credo - ai troppi
trattamenti di favore riservati al calcio e negati alla cultura!
Vengo ora alla
messinscena intelligente e piacevole di Davide
Marranchelli, coadiuvato da Anna Bonomello
per le scene (giustamente minimaliste ma azzeccatissime) da Linda Riccardi per i moderni e simpatici
costumi e da Alessandro Carletti per le
luci. Un’ideazione davvero adatta alle circostanze, che anzi dalle limitazioni
imposte dalle regole-Covid ha addirittura tratto vantaggio!
Insomma:
una conclusione in bellezza di questo Festival 2020 stream-diffuso che ha permesso al Teatro e ai suoi nativi di continuare ad esistere, e a noi
che ne siamo occasionali abitanti di non rimanere... al freddo e al buio, ecco.
E di ciò dobbiamo essere grati a tutti coloro che hanno resa possibile questa
impresa.
Il lungo
silenzio della sala e il successivo auto-applauso di tutti i protagonisti a me (ma
son certo di non essere il solo) hanno davvero messo i brividi e fatto salire
in gola il proverbiale magone.
Sono
immagini che resteranno nei nostri ricordi di un periodo disgraziato, ma alla fine
superato, anche grazie a serate come questa.