Programma USA con intermezzo svedese(-western)
per il ritorno di Jader Bignamini sul podio
dell’Auditorium. Il Direttore residente
è reduce guarda caso da un lungo giro negli States e quindi questo programma
gli cade proprio a... fagiolo.
Si
apre con Lenny Bernstein e l’Ouverture del suo Candide, meno di
5 minuti di musica inebriante, che sapientemente assembla alcuni dei motivi
caratteristici dell’operetta del 1957. È il classico brano fatto per mettere il
pubblico a suo agio e predisporlo a gustarsi il resto del programma: missione pienamente
compiuta da Bignamini e dai ragazzi.
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Ora
arriva Giuliano Rizzotto, storico
primo trombone de laVerdi, per misurarsi
con The
return of Kit Bones, concerto sceneggiato
per trombone e orchestra dello svedese Fredrik
Högberg. Esilaranti i risultati
della ricerca fatta con le chiavi “kit bones rizzotto” e il motore google: diverse risposte propongono ossibuchi con risotto (!!!)
Composto e presentato per la prima volta
nel 2001, è il settimo di una ventina di pezzi di vario genere, ambientati in
un immaginario far-west dove fucili, pistole e carabine sono rimpiazzati da
trombe, tromboni, tube e bombardini, ed hanno come protagonista il pistolero
trombonero Kit Bones. Ecco qui il
sesto episodio, il cortometraggio Brass-bones, chiaramente
ispirato a Sergio Leone e
interpretato nella parte del protagonista da Christian Lindberg, trombonista e compositore svedese.
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Nella prima parte abbiamo
una specie di ouverture bipartita, con una prima sezione rapida e (1’32”)
una seconda più lenta e contemplativa. A 2’19” un narratore entra e recita
una prima strofa della ballata di Kit,
poi (2’34”)
canta le due strofe (libera traduzione mia, un
po’ diversa da quella ascoltata nell’occasione) che si erano udite anche a 12’25”
nel citato filmetto, dove viene presentato il protagonista del concerto:
Librarian
This is the story of Kit
Bones.
He ruled the west with a
slide trombone.
All alone without a home,
He played his plated bone.
He never missed a
brassbone fight.
Fastest slide in the west
alright.
Blowed them down, standing
alone,
with
his slide trombone...
Kit
Bones with his slide trombone...
|
Bibliotecario
Questa è la storia di Kit
Bones.
Che dominava il west con
un trombone.
Tutto solo senza magione,
lui suonava il suo laccato
trombone.
Mai mancò di trombonate
una lite.
Il più veloce tiro nel
west, che dite!
Li soffiava giù, come un
pallone,
col
tiro del suo trombone...
Kit
Bones col tiro del suo trombone...
|
Ecco che (3’11”) Kit Bones arriva
in scena e subito spara ad un trombettista: ne nasce un duello di... ottoni, con
interventi di Kit e versacci assortiti:
Kit
Is that a dagger or what?
(...)
(...)
(...)
You’ve got to ask
yourself:
Do I feel lucky today?
|
Kit
É un coltello quello, o
cos’altro?
(...)
(...)
(...)
Forse sarà meglio che ti domandi:
sento che mi andrà bene
oggi?
|
A 4’41” il duello prosegue fino alla
vittoria del nostro eroe. Del quale ora il narratore (6’15”) ci descrive le qualità
amatorie (beh... per la verità le sue sembrerebbero essere, più che delle trombate, delle trombonate!):
Librarian
Quite
attractive to the girls,
Always
got them a lot of pearls.
Played
them tunes they’ve heard before,
They
always wanted more.
But when it came to intimacy,
Kit was not what they believed.
Got undressed, then he caressed
With his slide trombone.
Kit
Bones with his slide trombone...
|
Bibliotecario
Molto attraente per le damigelle,
le copriva sempre di mucchi di perle.
Suonava melodie sentite alla tivù,
e loro ne chiedevano ancor di più.
Ma quando si finiva a letto,
Kit non era come avevan detto.
Spogliatosi, accarezzava le bellone
con il tiro del suo trombone.
Kit
Bones col tiro del suo trombone...
|
A questo punto (6’49”) il primo trombone
dell’orchestra si alza e prende di mira il solista. Ne nasce un nuovo duello
nel quale il povero Kit (7’29”) rimane seriamente ferito.
Seconda parte (movimento
lento, secondo tradizione classica): Kit Bones è stramazzato al suolo; cerca
lentamente di risollevarsi, ma il dolore è troppo forte. Annaspa sul pavimento,
in cerca del bocchino del suo trombone. Tutto sembra perduto, pare quasi di
assistere al suo funerale, ma alla fine (1’57”) Kit ritrova il bocchino e ricomincia
a suonare, rizzandosi in ginocchio, una lunga e triste melopea, che si chiude
perdendosi in lontananza.
Terza parte: lentamente la
ferita si rimargina e Kit Bones (48”) ritrova l’abituale baldanza, esercitandosi
nientemeno che in vista di un’autentica carneficina: così (3’30”) comincia a sparare
in tutte le direzioni, prendendo di mira un orchestrale dopo l’altro. Alla fine
(4’01”)
colpisce anche il Direttore, che si accascia al suolo:
Kit
Oh no, I shot the maestro...
Talk to me, maestro.
Are you OK, maestro?
Maestro
Aahh...
Kit
Quickly! Hand me the stick
And I’ll finish the piece
for you!
|
Kit
Oh no, ho sparato al
maestro...
Parlami, maestro.
È tutto OK, maestro?
Maestro
Aahh...
Kit
Presto! Dammi la bacchetta
e finirò il pezzo al tuo
posto!
|
E così è lui (4’26”) a chiudere il concerto
installandosi sul podio!
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Trattandosi della prima italiana di quest’opera bizzarra, per l’occasione l’Autore è presente
in sala (e nel foyer a firmare i suoi CD) e al termine sale sul palco a
condividere con tutti il grande successo della sua invenzione.
Rizzotto interpreta da par suo i ruoli
del narratore e di Kit, abbigliato come un moderno cow-boy (il suo fisico imponente
è l’ideale per questo tipo di personaggio). Alex
Ghidotti e Giacomo Ceresani (rispettivamente
prima tromba e trombone dell’orchestra) ricoprono i ruoli dei due comprimari che
duellano a trombettate-trombonate con Kit, sistemati al proscenio sulla destra
e muniti di cappellacci western, mentre Rizzotto entra da sinistra e suona
davanti al podio (nel movimento centrale si sposta dietro i violini). Bignamini
nel movimento finale si cala in testa un gran cappellaccio bianco e cade
eroicamente sotto i colpi del trombone di Rizzotto, che lo trascina fuori,
aiutato da uno degli addetti al palco.
Esecuzione davvero strepitosa di tutti, e così Rizzotto ricambia le ovazioni del pubblico
con una languida My funny Valentine,
accompagnato da pianoforte, contrabbasso e batteria.
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La seconda parte del concerto è monopolizzata
da George Gershwin, con due
composizioni scritte a cavallo del 1930 e ispirate in entrambi i casi ad
esperienze di viaggio: si tratta della Cuban Overture (1932) composta dopo
una gita ai caraibi e del celeberrimo An American in Paris, che 4 anni
prima aveva tradotto in note le sensazioni provate dall’Autore a contatto con
la Ville lumièrè.
L’Overture
è un brano tripartito, con le due sezioni esterne in tempo vivace che
presentano i due temi brillanti, di origine cubana; e quella interna in tempo
sostenuto, che ospita un motivo più riflessivo e malinconico. Le percussioni vi
hanno un ruolo assai prominente e a loro è riservata (contrariamentee allo
standard) anche una posizione molto avanzata nell’orchestra. Seguiamola come
interpretata da Lorin Maazel.
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Dopo 5 battute di introduzione di
fiati e percussioni ecco violini, oboi e corno inglese esporre (14”)
il motivo della famosa canzone cubana Echale
Salsita. Contrappuntato da corni e viole con un altro motivo,
che si scoprirà essere l’incipit del secondo tema.
Dopo che
il motivo è stato reiterato, ecco (39”) farsi largo un accompagnamento leggermente sincopato
che prelude all’ingresso (44”) nei corni, corno inglese e violini, del secondo tema,
che nel suo sviluppo (dopo l’incipit già udito prima) richiama - sia pur vagamente
(51”)
- la famosissima Paloma (dello
spagnolo Iradier, ma chiaramente ispirata
a Cuba).
Dopo che
il tema è stato reiterato dall’orchestra, ecco comparire (1’58”) un suo
controsoggetto più languido, più avanti (2’34”) contrappuntato dal ritorno
del primo tema, che poi si ripresenta (3’09”) a piena orchestra, seguito (3’20”)
dal secondo.
A 3’43”
è il primo tema a cadenzare, sfumando lentamente e, dopo una scarica di
bongos, è il clarinetto (3’52”)
che introduce con un breve recitativo la seconda sezione (sostenuto).
Oboe,
corno inglese e flauto riprendono il precedente recitativo del clarinetto
introducendo un tema (4’44”) esposto dai violini, che
ricorda, pur da molto lontano, il famoso motivo del blues dall’Americano a Parigi. La cosa si ripete a 5’28”.
Poi, a 6’05” i violini entrano con un motivo che ricorda – anche qui
assai di lontano – la jota finale dal Sombrero
di DeFalla.
Quest’atmosfera
piuttosto dimessa si trascina fino a 7’45”, dove abbiamo una stentorea
perorazione dell’orchestra, che conduce (8’01”) all’ultima parte dell’Overture
(Allegretto ritmato) dove ritroviamo
(8’17”)
il primo tema nella tromba e subito dopo (8’23”) il secondo negli strumentini.
I due temi principali sono ora protagonisti del convulso finale, che si chiude
(9’53”)
con 18 battute di Coda, dove l’orchestra
sembra caricarsi e prendere la rincorsa per il balzo trionfale.
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Bignamini
(che ha disposto le percussioni caraibiche in alto a destra) affronta il brano
col giusto cipiglio, mettendone in risalto tutta la freschezza e la latinità. Cura che poi mette anche nell’Americano, trascinando il pubblico all’entusiasmo.
Ricambiato, per omaggiare gli archi dopo una serata quasi monopolizzata da
fiati e percussioni, con un Gershwin poco più che
studente!
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