affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

01 dicembre, 2014

Una Lady sovietica è attesa a Bologna (3a)


Eccoci quindi arrivati al cospetto dei suoni con i quali Shostakovich ha ricoperto la sua creatura.

La macro-struttura dell’opera si articola su 4 atti a loro volta suddivisi in 9 scene, regolarmente alternate a (separate da) 5 interludi, che danno modo ai tecnici di intervenire per i cambi necessari in palcoscenico, ma servono anche a raccordare i diversi episodi in cui si articola il soggetto. In tutto abbiamo quindi 14 numeri (attenzione: non sono certo da intendersi come quelli del melodramma ottocentesco):

Atto I
1. Scena I (Katerina sola, poi Boris, quindi Zinovy e Sergei, infine Askinya)
2. Interludio I
3. Scena II (Baruffa in cortile ai danni di Aksinya e conoscenza fra Katerina e Sergei)
4. Interludio II
5. Scena III (Primo incontro Katerina-Sergei e innamoramento)
Atto II
6. Scena IV (Altro incontro carnale Katerina-Sergei, arrivo di Boris, punizione di Sergei e omicidio di Boris)
7. Interludio III (Passacaglia)
8. Scena V (Ancora un incontro Katerina-Sergei, arrivo di Zinovy e suo omicidio)
Atto III
9. Scena VI (Festa di matrimonio Katerina-Sergei e scoperta del cadavere di Zinovy)
10. Interludio IV
11. Scena VII (Ufficio di Polizia, arresto dell’insegnante, notizia del ritrovamento del cadavere di Zinovy)
12. Interludio V
13. Scena VIII (Festa di matrimonio, arresto di Katerina e Sergei)
Atto IV
14. Scena IX (Tradimento di Sergei e vendetta di Katerina)

Dal punto di vista dei tempi, abbiamo in realtà tre blocchi della durata di circa 50-50-60 minuti ciascuno: il primo atto, il secondo e l’insieme di terzo e quarto.

L’orchestra è quella ipertrofica del tardo-romanticismo (con 80 archi! peggio di Strauss…) e in più per alcuni passaggi è prevista una banda di ben 28 ottoni!

Seguiamo la musica aiutandoci con i suoni di una pregevole esecuzione del 2006 con protagonista Eva-Maria Westbroeck diretta da Mariss Jansons con l’orchestra del Concertgebouw. Quanto alle immagini, la regìa di Martin Kušej tende – secondo me – ad ulteriormente e gratuitamente accentuare gli aspetti già abbastanza crudi e violenti del libretto, aggiungendo poi trovate e invenzioni di indubbio effetto ma di dubbio gusto (una per tutte: il bacio che Katerina stampa in bocca a Boris dopo il giuramento).

(Le note che seguono si riferiscono – naturalmente – al contenuto della partitura originale, non a quello di Herr Kušej.)

Atto I, Scena I
30” Sono fiati e archi bassi ad aprire l‘Opera, in tempo Andante, portandoci subito in-medias-res, senza alcun preludio e men che meno ouverture: è il clarinetto che intona un motivo, che risentiremo anche più avanti, spesso associato alla presenza di Boris.

La successiva melopea del clarinetto sottolinea un’atmosfera che avvertiamo come pesante, non drammatica ma lugubre: Katerina è a letto e sbadiglia.

1’04” Ora è il fagotto ad accompagnare i tentativi di Katerina di riaddormentarsi. A 1’18” i violini ci presentano un motivo che nel suo lirismo ben evoca lo stato d’animo della donna, che evidentemente aspira ad una felicità che le manca, come sottolinea la successiva discesa inesorabile e quasi angosciante negli archi bassi:

1’35” Mentre il clarinetto riespone il motivo iniziale, iniziamo ad ascoltare la prima, lunga esternazione di Katerina: ha dormito, ha preso il thè col marito, poi è tornata a letto (i flauti qui fanno un’ascesa quasi tristaniana): una noia mortale!

2’43” I legni tornano ad esporre il motivo iniziale, che ora però il clarinetto sviluppa maggiormente, poi (3’01”) Katerina ci racconta che stava meglio prima di sposarsi: era più povera, ma molto più libera. Ora invece è triste, anche se è la moglie di Zinovy, il ricco mercante.

3’56” Oboe, poi violini secondi e quindi il clarinetto preparano un nuovo sfogo di Katerina, che constata come tutti gli esseri viventi vivano una vita con uno scopo, un obiettivo, mentre soltanto a lei sono riservate delusione e noia, nonostante sia moglie di un ricco mercante. E la melodia del suo canto, dalla pura inflessione russa, ben dipinge questa sua frustrazione:

Ancora una volta è un motivo discendente, in fagotti e controfagotto, a chiudere il lamento di Katerina.

5’30” Ora, sul tempo che si fa Largo, arriva Boris, il suocero dispotico e maschilista, introdotto dalle secche crome dei legni bassi e dalle semiminime della cassa e degli archi bassi in pizzicato, mentre il suo carattere ci viene subito presentato da un tronfio motivo del fagotto:


5’47” Sul tempo divenuto Allegretto Boris chiede se ci sono funghi per pranzo, lui ne va ghiotto, e soprattutto con la kasha (e ripete il nome del cereale due volte, su due terzine discendenti accompagnate dalle trombe, come a mettere preventivamente in guardia la nuora circa il menù di mezzogiorno). A 5’59” Katerina si mette a cantare (così recita il testo): con sole o temporale per lei non cambia nulla:


È il modo più appropriato per mostrargli la sua totale indifferenza, e le biscrome dei clarinetti (anche il piccolo) e le loro successive semicrome sembrano proprio degli sberleffi tirati in faccia al vecchio rompicoglioni. Il quale adesso, dopo uno schianto dell’orchestra (6’19”) cerca di imporre la sua autorità, con una prima tirata in cui ricorda alla nuora che se lei è lì, è per mettere al mondo un figlio, cosa che in cinque anni non ha saputo fare! Il suo sembra quasi un canto di guerra, con un incipit marziale:


seguito da veloci e irose semicrome, con il suo disprezzo sottolineato dai legni e poi dal tremolo dello xilofono!

6’43” Katerina reagisce da par suo: non è colpa sua se non ha figli, e lo ripete ben quattro volte, supportata da altrettanti sussulti dei corni. È tutta colpa del marito, che non sa metterla incinta! E lo sfogo si chiude su una drammatica caduta di un’ottava, dal SIb acuto.

7’07” Boris si infiamma (dopo un tremolo di RE in crescendo dello xilofono, il tempo ora è Allegro) e per tutta risposta riprende le accuse, su un motivo ancor più incalzante del precedente: è di lei la colpa, una donna non innamorata, fredda come un pesce, che non sa suscitare desiderio. E ripete per due volte quest’ultimo concetto, su una frase improvvisamente dilatata nei tempi, rispetto alla concitazione precedente. 

7’48” Dopo una rapida salita di archi e strumentini che sfocia in un poderoso accordo negli ottoni, ecco subentrare una specie di mesto corale, che prepara (8’16”) la constatazione, amara quanto venale, della mancanza di eredi per tutto quel ben di dio che lui e il figlio si sono costruiti negli anni. Boris canta proprio come se stesse piangendo la perdita di un figlio! Ma davvero straordinario è il modo con cui Shostakovich scolpisce in musica l’immagine dell’ascesa e della caduta della famiglia Izmailov: una sequenza ascendente (quasi due ottave, da RE a SI) dell’oboe seguita da un glissando discendente (di due semitoni, SIb-LA-LAb) di tromboni e tuba!

8’52” Ma ecco che Boris esterna un sospetto atroce (quasi un presentimento, si direbbe!): tornando ad esprimersi con ritmo concitato (una variazione del tema udito al suo ingresso) insinua che lei si stia cercando un ganzo con cui andarsene! Cosa che le verrà impedita con tutti i mezzi: i muri di cinta, i cani e, dopo tre reiterati strappi di tutta l’orchestra (9’12”) con l’occhio vigile del padrone! Una frase perentoria, che Boris canta in minime (scendendo dal FA al DO#) accompagnate da martellanti terzine dell’orchestra, che poi chiude con pesantissimi accordi drammatizzati dal tremolo di cassa, piatti e tamburo, una figurazione che anticipa significativamente il ritornello del rondò del quinto interludio (quello della spedizione della polizia a casa Izmailov!)

9’27” Apparentemente calmatosi (il tempo ora è tornato Largo) e accompagnato dal motivo che ne aveva caratterizzato l’arrivo, Boris intima a Katerina di preparare le esche velenose per i topi, che si sono mangiati tutta la farina. Mentre il suocero si allontana, lei lo maledice (9’46”, tempo Allegro): sei tu un topo, e per te ci vorrebbe il veleno!

9’58” Mentre Katerina prepara le esche avvelenate abbiamo un breve interludio orchestrale (non è fra i 5 formalmente definiti, anche perché è di sole 20 battute). Il tempo è rallentato, ed è il timbro rabbrividente del clarinetto basso a caratterizzarlo, sul tremolo pure raggelante degli archi bassi e del tam-tam e con un singolo, ma secco, tocco di xilofono (un RE in ottava, a 10’08”): che sia un lampo che attraversa la mente turbata della donna, l’idea di come sbarazzarsi dell’odiato suocero?



10’51” La lugubre scena è rischiarata dall’improvvisa irruzione del flauto contralto (in SOL, su tempo Andantino) che accompagna l’entrata di Zinovy, avvertito da un messaggero del grave guaio capitato al mulino (il cedimento della diga e la conseguente falla). Zinovy decide di recarsi là immediatamente e il padre, sopraggiunto, ne appoggia la decisione (il tempo è Più mosso): ci si deve fidare solo di se stessi.

11’36” I servi lì presenti ridono alla notizia e Boris – supportato da un protervo accordo di MIb maggiore, cui segue un inciso in semicrome fra il tracotante e il ridicolo di tromboni e tuba (ottava discendente sul MIb) - li riprende a dovere, con tutti gli archi che fanno ondeggiare semicrome frementi come l’animo del padrone.

12’00” Allora, dopo una rapidissima scalata dell’orchestra, culminata in un retorico ed enfatico LAb maggiore, i servi cantano il loro dispiacere per la partenza del padrone, e lo fanno a tempo di… walzer, in Allegretto, grossolanamente scandito da cassa, timpani e xilofono! A 12’33” un breve interludio orchestrale di 16 battute (che verrà ripreso nella Quinta Sinfonia) rafforza il walzer con interventi dello xilofono e dell’ottavino, chiusi da una discesa di crome in tutti gli strumenti bassi.   

12’49” I servi riprendono il walzer delle lodi del padrone, con ipocriti lamenti sulla tristezza che li assalirà durante la sua assenza. Il siparietto si chiude bruscamente, su un SIb, dove il tempo accelera, mutando a 2/2 e viene introdotta, da otto veloci battute dei legni, protagonista l’ottavino, una nuova parte della scena.

13’19” Evidentemente dietro quel motivo saltellante dell’ottavino non c’è solo il trambusto per l‘imminente partenza di Zinovy, ma anche il carattere di un nuovo personaggio (che diventerà protagonista) che Zinovy trascina davanti al padre per presentarglielo, come nuovo lavorante che lui ha appena assunto. È Sergei, di cui subito Boris si informa della provenienza e della ragione del licenziamento da parte del padrone precedente (certo: ai tempi, era l’unico modo per cambiare posto di lavoro…)

13’40” Ma Sergei non fa in tempo a rispondere, poiché il cocchiere annuncia che i cavalli sono pronti per il viaggio di Zinovy. Allora Boris, accompagnato da quattro incisi dei tromboni (in glissando) e dalla tuba, lo invita a partire, non senza aver prima salutato la moglie. Cosa che Zinovy (14’00”) fa frettolosamente ma con lirismo che non si sa se sia ingenuità o stupidità (tempo Moderato) invitando il padre a ricordarle che lei gli deve obbedienza (!) Invece è Boris (14’17”) accompagnato da tre autentici berci dei due tromboni (con immancabile glissando) a ordinare al figlio di far giurare alla moglie di essergli fedele.

14’39” Mentre il flauto per tutta la scena continua ad agitarsi (Più mosso) – è per caso Sergei che incombe?… -  Zinovy non ne capisce il motivo, fa presente che starà via per poco, ma il padre lo mette in guardia: ha una moglie giovane, alla moda, qualcuno le potrebbe girare intorno, non si sa mai. Zinovy annuisce, su un REb tenuto che scimmiotta quello del padre, mentre su un’esasperata esternazione del flauto (15’30”) un perentorio schianto di RE naturale accompagna Boris a far giurare Katerina sulla sacra icona.

15’42” Dopo che un altro schianto (sul SOL) ha conferito tutta la protervia necessaria all’ingiunzione del suocero, Katerina giura, a sua volta con secco salto di nona minore ascendente (SOL-LAb) cui segue in orchestra un autentico tumulto (sole 6 battute) fatto di un tappeto generale di terzine sul quale si staglia un ampio motivo nelle trombe. Adesso (15’52”) si fa improvvisamente silenzio e Boris (parlando) ordina al figlio di salutare la moglie. Zinovy lo fa (anche lui parlando) ma sempre con distacco. Al che (16’11”) mentre in orchestra riprende il tumulto di poco prima (stavolta per 13 battute) ma con il motivo suonato dai primi violini, Boris pretende, con brusche imprecazioni, che Zinovy si inginocchi davanti a lei per salutarla, poi affretta la partenza del figlio.

16’32” La sarabanda in orchestra si placa e tutti se ne vanno su un poderoso SOL dei bassi accompagnato dal metallico suono del tam-tam. Ma Sergei (16’49”) è rimasto nei paraggi, e la cuoca Aksinya lo rimprovera, supportata dal solo fagotto, prima di mettere in guardia Katerina da quel giovinastro, che se l’è già fatta con la moglie del precedente padrone, che perciò l’ha cacciato.

17’46” Infine è Boris – accompagnato dai soli archi bassi, a dare un ultimo rimprovero a Katerina per non aver nemmeno versato una lacrimuccia alla partenza del marito! Tromboni e tuba chiudono gravemente la scena.

Interludio I
18’23”  Consta di 51 battute in tempo Largo, le prime 8 in 4/4, il resto in 3/4. Si può suddividere in tre sezioni, delimitate dalle corone puntate alle battute 8 (18’50”) 27 (19’43”) e 51 (chiusura). È di una cupezza assoluta, con gli strumenti prevalentemente nel registro grave, e con improvvise irruzioni degli ottoni sovrapposte a rabbrividenti tremoli dei piatti e altrettanto minacciosi colpi di tam-tam. L’unica linea melodica degna di questo nome è affidata allo spettrale timbro del corno inglese, che nella sezione mediana, in risposta ad una sollecitazione delle viole, dialoga con gli archi bassi. Come interpretarlo? Certo come una evocazione dello stato di degrado di quel micro-cosmo che gira intorno a Katerina, ma anche di ciò che matura dentro di lei, in conseguenza delle insopportabili vessazioni cui la donna è sottoposta.

Scena II
La seconda scena si svolge precisamente nello stesso luogo dove era terminata la prima (il cortile della casa degli Izmailov). Quindi l’interludio che la separa da quella precedente serve in questo caso non già per cambiare l’ambiente, ma per creare uno stacco temporale fra i due momenti: poiché è evidentemente passato del tempo (come minimo parecchie ore, ma più plausibilmente almeno un giorno) dalla partenza di Zinovy. La scena è suddivisa in due parti: nella prima assistiamo alle volgari molestie degli uomini nei confronti della povera cuoca Aksinya; nella seconda all’incontro ravvicinato fra Katerina e Sergei, che creerà i presupposti per il loro successivo innamoramento.

20’48” In tempo Allegro, sono le grida disperate della cuoca – che i maschi hanno infilato in un barile - che risuonano immediatamente (e senza soluzione di continuità con il precedente Interludio) accavallandosi a quelle dei maschi che la circondano e che entrano via via a creare una orgiastica polifonia: dapprima il coro (tenori e bassi) dei lavoranti, poi il contadino cencioso, quindi il guardiano, poi l’operaio e infine Sergei, che addirittura si infila nel barile (il tempo accelera a Presto)! È una scena di realismo inaudito, nelle parole, ma soprattutto nella musica! (Per risparmiarsi note Shostakovich ci mette addirittura tre da-capo…) Basti pensare che culmina nientemeno che con un orgasmo in piena regola (è Sergei che ha stuprato la donna) che Shostakovich mette in note così:


Vedremo poi che questo non sarà l’unico momento hard dell’opera. 

23’13” Preceduta dall’avvertimento del contadino cencioso e da un gran colpo di tam-tam arriva Katerina, proprio mentre Sergei e Aksinya rotolano fuori dal barile accompagnati da un glissando del trombone (una costante, questa, in Shostakovich per descrivere situazioni… imbarazzanti) che scende cromaticamente da LA a MI. La padrona, si informa dalla cuoca sull’accaduto e ne ha una risposta… diplomatica: mi hanno strappato tutta la gonna! Poi Katerina, mentre il tempo cala ad Allegretto, redarguisce gli uomini, ricevendo risposte sfacciate proprio da Sergei.

23’53” Allora lei si lancia in un autentico predicozzo (su una bellissima melodia, un Andantino in MIb minore) sulla superiorità della donna:


La accompagna di tanto in tanto il corno inglese. La tirata è chiusa da un ammonimento a Sergei, anzi (25’19”) da una minaccia di suonargliele, che però viene cantata su una melodia che è a dir poco una… dichiarazione d’amore! È evidente che in Katerina è già scattato qualcosa che la attira irresistibilmente verso quel giovane, bello quanto intraprendente.

25’44” Preceduto da un assolo del clarinetto, mentre il tempo rallenta ad Adagio, Sergei sfida allora Katerina a stringergli la mano, cosa che Katerina accetta (26’07”) ma la stretta di Sergei è persino dolorosa, così lei gli ordina di lasciarla. A 26’40” lui continua a stringerle la mano, e allora Katerina lo allontana con uno spintone, commentato (26’48”) con ammirazione dal contadino cencioso.

26’54” Sergei ora fa a Katerina una proposta davvero ardita: un round di lotta libera (!) E lei, incredibilmente (ma è davvero così incredibile la cosa, a questo punto?) accetta. I due cominciano a lottare (27’18”) ma si capisce subito – dall’accompagnamento discreto, per non dire sensuale, di celli e violini con sordina - che in realtà c’è dell’altro. E infatti Sergei si ferma quasi subito (27’27”) mentre il clarinetto basso sembra scavare nell’animo di Katerina, che chiede candidamente al ragazzo il perché di quella sosta.

27’44” Sergei sembra quasi scusarsi per aver usato la forza contro una donna, e in realtà il suo è un languido abbraccio, come testimoniano le linee melodiche dei violini e ora dei corni che accompagnano il suo canto appassionato. Che ormai tra i due sia scoccato molto più che una scintilla lo testimonia il diminutivo con il quale Katerina apostrofa Sergei (28’03”) implorandolo di lasciarla! Intanto però sta sopraggiungendo - seguito da due incisi del suo… clarinetto sul tempo Meno mosso - il vecchio Boris (28’15”) che chiede cosa stia succedendo lì, trovando la nuora ancora abbracciata al servo! E il cupo pizzicato degli archi sottolinea il suo atteggiamento inquisitorio. A 28’25” Katerina cerca di giustificare in qualche modo la situazione (lei è inciampata e Sergei le è… caduto addosso cercando di non farla cadere) ma il DO grave degli archi bassi già ci dice dei sospetti del vecchio, che il contadino cencioso (28’41”) cerca di fugare, confermando la versione di Katerina. 

28’46” Ora l’intera orchestra sembra caricarsi progressivamente di energia, proprio come una marea crescente che sfocia (28’54”) in Allegro, con due strappate generali di MIb, seguite da una martellata di cassa e tam-tam, poi da due anapesti (due semicrome + croma) nei fiati. È la furia di Boris che si scatena ora contro i lavoranti perditempo, ma anche contro la nuora fedifraga. Accompagnato da sei vere e proprie frustate di tutta l’orchestra, in anapesto sul MI naturale, ai primi urla di tornare alle loro occupazioni, poi (29’08”) a Sergei di togliersi dai piedi. Infine, dopo una spettacolare caduta delle trombe chiusa da due semicrome del timpano, intima alla nuora (29’16”) di preparare i funghi (!) poi a tempo debito, racconterà tutto a suo marito. Clarinetto basso e controfagotto sottolineano le sue minacce con una spaventevole discesa all’inferno.

Interludio II
29’40” Sono 83 battute, in 3/4 in Fa minore, Allegro con brio, struttura di rondò. Mentre l’atmosfera generale è di grande eccitazione ed effervescenza (quasi da… circo) il carattere peculiare del tema è fornito dagli anapesti (qui costituiti da due semicrome + semiminima) che evidentemente ricordano le precedenti sferzate di Boris. Il tema è affidato inizialmente ai legni e alla prima tromba:

  
Dopo la usuale doppia esposizione, ecco (29’54”) un primo, lungo sviluppo dove all’incessante fluire del ritmo si sovrappongono diversi interventi solistici (xilofono, fagotti, corni, trombe, tromboni e percussioni) finchè una reiterazione continua degli anapesti nei legni, accompagnata da una fanfara delle trombe, porta (30’32”) alla seconda esposizione del tema, brevissima (sole 5 battute) che dà subito spazio ad un altro lungo sviluppo, all’interno del quale riconosciamo anche una fuga (30’54”) negli archi (iniziata dai violoncelli) che porta (31’27”) alla terza esposizione (doppia, prima negli ottoni, poi nei legni) del tema, con la quale si chiude l’interludio.

Scena III
Si ritorna ora nella camera di Katerina, che non riesce a prender sonno, come sempre preda di noia e solitudine. A 31’45”, in tempo Allegro, sono i 4 corni ad introdurre la prima esternazione di Katerina, esponendo un tema  sinistro, anche qui caratterizzato da anapesti:
  
Il tema viene subito ripreso dalle viole sulle parole della donna (31’59”) che ancora lamenta la sua condizione di semi-prigionia e di abbandono in cui è costretta a vivere. Tema che è un misto di angoscia e di noia insopportabile, e che la farà da padrone nel seguito – trasferendosi da una all’altra sezione degli archi - per tutto il tempo che intercorre tra la prima esternazione di Katerina e il momento in cui Boris lascerà la sua stanza, poi ancora quando Katerina si coricherà (ma è una specie di idea-fissa, che accompagnerà Katerina e Boris fino alla fine di quest’ultimo). Il suocero è infatti arrivato (33’30”) per controllare che la nuora si metta a letto, spegnendo le candele che non debbono essere inutilmente consumate.

34’31” All’uscita di Boris, un sommesso rullo della cassa e rintocchi della celesta (quasi un pendolo che suona le ore) interrompono l’ostinata melodia degli archi; ecco che Katerina si spoglia per la notte, su lunghe note gravi di celli e contrabbassi e su un sommesso rullo dei timpani (tempo Moderato); che prosegue ancora (35’12”) quando il clarinetto basso espone una melopea degradante, che prepara l’atmosfera per l’aria di Katerina.

35’40” In FA# minore e in tempo Adagio la donna canta la sua profonda amarezza per non avere ciò che è concesso a tutti gli animali del creato: l’amore.

  
Seguiamo il suo accorato lamento: il puledro, il gatto, il colombo inseguono le rispettive femmine, solo io non ho nessuno che mi desideri; (36’31”) anche la betulla è accarezzata dal vento e riscaldata dal sole, solo da me non viene nessuno, niente abbracci, niente baci, niente carezze; (37’22”) nessuno che mi mandi in estasi (culmine sul SIb acuto); (37’48”, entrano le arpe, mentre il tempo si era fatto Più mosso) i miei giorni sono senza gioia, la vita se ne va, senza un sorriso; (entrano clarinetto e clarinetto basso) e poi (a 38’36”) nessuno viene da me, nessuno (terza maggiore DO#-LA#) nessuno (terza minore DO#-LA). Sulle ultime parole di Katerina il violoncello solo sembra cantare una mesta ninna-nanna, poi (39’30”) i clarinetti riprendono il tema iniziale, quindi flauto e ottavino accompagnano Katerina che si mette a letto. A 40’10” il tema iniziale torna nel corno, trascinandosi fino a nuovi rintocchi della celesta (40’40”).

40’55” Improvvisi, col tempo che si riscalda in Allegro, ecco due colpi del legno, lunghi (semiminime) seguiti da altri due, più corti (crome): qualcuno bussa alla porta! A 40’58” Katerina chiede chi è, mentre risuona un’altra coppia di colpi brevi. A 41’02” la persona che sta lì fuori la tranquillizza, ma senza ancora presentarsi. Ad una nuova richiesta della donna, finalmente pronuncia il suo nome: Sergei. Katerina lo ripete, e il clarinetto basso accompagna il sussulto del suo cuore! Peggio, Katerina si rivolge all’uomo – che nel frattempo ha bussato altre tre volte - con il nomignolo! Dopo una brevissima schermaglia (con il clarinetto basso che ancora si dimena) e un’altra coppia di colpi alla porta, Katerina (41’24”) apre e fa entrare Sergei. Il quale (41’26”) le chiede un libro; Katerina, sempre agitatissima (come il clarinetto basso!) gli chiede quale libro; uno qualunque, risponde lui; e lei gli dice (parlando) che non ha libri perché nemmeno sa leggere.

41’43” Mentre il tempo cala ad Adagio, un drammatico tremolo in fortissimo di violini secondi e viole (nel quale si ode uno schianto dei corni) seguito nei violini primi da una quarta discendente (MI-SI, che anticipa la noia di Sergei) ci annuncia che dobbiamo prepararci ad assistere ad una scena di seduzione (accoppiamento incluso!) come poche se ne erano viste e udite, prima del 1934, nel teatro musicale (Berg escluso, ecco). Cominciando con quel MI-SI, Sergei si lamenta della noia che soffre. Attacca ora un Allegretto, caratterizzato da impertinenti anapesti nel clarinetto: è Katerina che chiede a Sergei (41’54”) perché non si sposa per combattere la noia (beh, certo che lei è un’esperta in materia di matrimoni eccitanti!) Così Sergei le spiega che vorrebbe una donna ricca, che però con lui non viene, del resto non sa che farsene di una povera e ignorante.

42’20”  Anche Katerina ammette di annoiarsi, e Sergei concorda in pieno. Ora sono il flauto e poi l’impertinente clarinetto piccolo a guidare la danza: a 42’32” lei si lamenta di non avere almeno un figlio e così Sergei (42’42”) comincia la sua manovra di demolizione psicologica della sua preda, che ormai sente di avere a portata di… (!?) Così le spiega- ohibò – che per avere un figlio deve pur succedere qualcosa fra maschio e femmina! Per qualche battuta li strumentini tacciono, resta solo l’accompagnamento anapestico negli archi: Sergei (43’00”) con tono ammiccante le fa notare che lei potrebbe farsi un amante, con il quale incontrarsi fugacemente di nascosto… Sì, però – mentre il flauto ha ripreso i suoi svolazzi - (43’14”) la cosa sarebbe complicata.

43’26” Certo che se invece l’amante fosse proprio lì, in casa sua, a portata di mano…  Il violoncello lo segue con un motivo insinuante, mentre - come a far scoccare scintille nella testa di Katerina - è lo xilofono che emette nove ammiccanti anapesti! Poi, seriamente, su un misterioso accompagnamento ridotto ai soli archi, Sergei conclude: credi che io non sappia come vanno queste cose? è una vita che vedo come vivono le donne dei ricchi!   

44’13” Katerina, quasi meccanicamente, senza alcun accompagnamento, cerca di congedare Sergei, che sembra voler andarsene, al che lei gli augura la buona notte. Ma lui non ha la minima intenzione di lasciarla, e tanto per portare il discorso sul terreno… carnale, le ricorda (44’28”) i momenti della (finta) lotta il giorno del loro primo incontro ravvicinato. L’atmosfera si va rapidamente riscaldando, come testimonia il tempo (Allegro molto) caratterizzato da martellanti crome negli archi. Invano Katerina cerca di sviare il discorso, Sergei le dice (44’44”) che quello è stato  il miglior momento della sua vita (!)

A 44’55” si aggiunge addirittura il tamburo a rendere l’idea dell’assalto finale di Sergei, che abbraccia Katerina, la quale (45’03”) tenta un’ultima difesa, ricorrendo alla scusa più… banale (il suocero potrebbe vederli). Adesso l’orchestra si prepara a dispiegare tutte le sue potenzialità: c’è da accompagnare nientemeno che una scena di… coito (sì, diciamo pane al pane e vino al vino!)

45’13” L’orchestra si anima ulteriormente: da quattro crome passa a due terzine per battuta, mentre Sergei, ormai padrone del campo, sentenzia: io sono più forte di te! Adesso i due si scambiano ancora qualche battuta più ridicola che drammatica, del tipo: ho paura (lei); vita mia (lui); cosa fai? (lei); gioia mia (lui). Poi tacciono e lasciano parlare (anzi, suonare, e come!) gli strumenti. Sono precisamente 101 battute musicali (da 45’39”) di cui questa pagina è solo un esempio:


Come si vede, all’organico normale, già pletorico, dell’orchestra, qui si aggiunge anche una banda di ben 24 ottoni (nella passacaglia dell’atto successivo saranno 28!) Beh, ognuno potrà cercare di individuare il momento preciso dell’orgasmo… di certo è ciò che avviene dopo una battuta di pausa con corona puntata, a 46’50”, con quegli espliciti glissando dei 3 tromboni!

47’18” Katerina chiede a Sergei di andarsene, lei è una donna sposata: apperò! non ha poi tutti i torti il trombone ad emettere qui una solenne pernacchia! Anticipando la sprezzante irrisione (47’35”) di Sergei per l’impotente marito di Katerina. La quale ora (47’55”) si abbandona a Sergei, ormai per lei non esiste (e mai più esisterà) altro uomo, anzi… altro e basta! I clarinetti ne sottolineano discretamente la solenne promessa.

48’27” Annunciato dai corni che espongono per l’ultima volta il tema udito all’inizio della scena, ecco farsi sentire il vecchio Boris, venuto a controllare che la nuora sia a letto. Archi bassi, rullo di cassa e tocchi di timpano lo licenziano quasi subito.

49’08” Katerina chiede a Sergei di andare, dato che il suocero chiuderà la porta, ma (49’15”) Sergei risponde che a lui basterà la finestra; Katerina si abbandona ancora fra le sue braccia e qui (da 49’24”) l’atto si chiude con 13 battute in Allegro di tutta l’orchestra, che riprendono – significativamente – il tema circense del precedente Interludio.

(3a. continua)     

29 novembre, 2014

Una Lady sovietica è attesa a Bologna (2)

 

Dopo aver esplorato da vicino il racconto di Leskov, da cui fu tratto il soggetto dell’opera, passiamo a considerare quali peculiari caratteristiche Shostakovich (coadiuvato dal librettista Preis) intese attribuire al suo lavoro, in funzione di precisi obiettivi estetici ma anche – e non proprio marginalmente – politici.

Sì, politici, poiché sappiamo, per ammissione stessa del compositore, che l’opera (la prima di un trittico, poi sfumato, sulla condizione della donna in Russia) nacque con precise finalità maieutiche: mostrare al pubblico – per denunciarli - i mali della società zarista, pre-rivoluzionaria; in particolare le condizioni disumane in cui venivano tenute le donne, trattate alla stregua di bestie d’allevamento e soggette in tutto e per tutto alla volontà e allo strapotere dei maschi-padri-padroni. E fare quindi di Katerina una vittima dei mali di quella società, destinata inevitabilmente a soccombere. Ma con ciò indirettamente esaltare la rivoluzione che quei mali doveva estirpare.

In funzione di questi obiettivi Shostakovich non esitò ad apportare al testo di Leskov una serie di modifiche, piccole e – soprattutto – grandi, cassando intere porzioni (e personaggi!) del racconto originale, modificandone sostanzialmente altre ed aggiungendo anche parecchio di suo. Non sto qui a descrivere i dettagli del libretto di Shostakovich, che sono ampiamente noti e comunque reperibili con facilità. Nello specchietto che segue – dove ai 15 capitoli di Leskov ho affiancato le 9 scene di Shostakovich, suddivise nei 4 atti - ho piuttosto cercato di sintetizzare i contenuti dei due testi per dare una sommaria idea delle differenze che li separano:



Molte delle deviazioni del libretto rispetto all’originale di Leskov sono assolutamente fisiologiche, quindi inevitabili, perché legate alla diversa destinazione delle due opere: è chiaro a tutti che un pezzo per il teatro - e ancor più per il teatro musicale - deve possedere caratteristiche di concisione di cui può benissimo fare a meno (anzi!) un racconto in prosa. Così si spiegano parecchie delle semplificazioni apportate da Shostakovich al testo di Leskov. (Poi, nel melodramma – ma non è proprio il caso della Lady - si perderà tempo interminabile stando fermi e immobili su un partiamo! ripetuto ventisette volte senza che alcuno muova un alluce…)

Altra quasi ovvia conseguenza del passaggio dal racconto all’opera è che nel primo, appunto, c’è un narratore che racconta, e solo qua e là troviamo qualche dialogo fra i diversi personaggi. In teatro viceversa deve necessariamente accadere l’opposto: l'azione e i dialoghi in presa diretta sono la regola e le rievocazioni e narrazioni l’eccezione. 

Ma veniamo agli aspetti più seri delle manipolazioni apportate all’originale di Leskov, che furono determinate, come detto, dagli obiettivi estetici e politici che Shostakovich si era dato. Obiettivi rispetto ai quali quel testo non pare perfettamente collimante: sul piano politico, poiché non contempla una esplicita e palese denuncia delle ingiustizie del regime zarista, limitandosi a descriverle con compassato distacco; su quello estetico, poiché il personaggio della protagonista principale possiede caratteristiche di eccessiva durezza, quasi disumane, poco adatte insomma a scolpire in musica quella varietà e ricchezza di sentimenti che evidentemente il compositore considerava ingrediente necessario per costruirci un’opera teatrale di alto livello.     

Va da sé che quando si prende un soggetto e lo si manipola per adattarlo a fini diversi da quelli originari, il rischio di provocare qualche crepa nella sua struttura è alto, e anche Shostakovich non vi è sfuggito del tutto, introducendo nel suo dramma alcuni (per fortuna pochi e tutto sommato perdonabili) tratti di scarsa plausibilità. Ma analizziamo qualche dettaglio (da quelli importanti ad altri francamente superficiali) seguendo cronologicamente i passi della vicenda, che a livello macroscopico Shostakovich non ha affatto stravolto.

La colpa di Katerina di non avere figli, la noia che la assale e i continui rimproveri del suocero: in Leskov sono aspetti importanti, e ovviamente vengono sottolineati a dovere, ma senza enfasi né estremizzazioni. Invece in Shostakovich c’è un deliberato intento di calcare la mano sulle vessazioni psicologiche cui la povera Katerina è sottoposta, evidentemente per portarci ad essere solidali con lei e quindi a comprendere - se non proprio a giustificare – le sue successive criminali azioni: fin dalla scena iniziale la vediamo letteralmente aggredita dal suocero che la accusa di non aver fatto il suo dovere, per il quale essa è stata sposata (mettere al mondo dei figli per trattenere in famiglia l’enorme patrimonio accumulato) e che sospetta che lei se la voglia fare con qualche giovane, in barba al marito. Nella scena (assente in Leskov) della partenza di Zinovy per il mulino, Boris costringe brutalmente Katerina a giurare fedeltà al marito sulla santa icona. Anche nella scena della baruffa in cortile Boris (assente nel racconto di Leskov) arriva e sorprende la nuora e Sergei in atteggiamento equivoco, abbracciati a terra dopo aver lottato (nel racconto Sergei si limitava a depositare Katerina sulla bilancia) e non perde occasione per redarguirla, promettendole di raccontare tutto al marito. Il suocero è anche presente subito prima e poi durante la scena dell’incontro amoroso di Katerina e Sergei (che in Leskov avviene quando Boris è fuori casa) prima per ingiungere alla nuora di mettersi a letto, poi per verificare che l’abbia fatto (vedremo fra poco come ciò comporterà una piccola ma chiara incoerenza nel testo di Shostakovich). Prima di questo incontro, Shostakovich inserisce ben due lunghe esternazioni di Katerina relative alla sua condizione di donna abbandonata a se stessa, che sogna le carezze di un amante: una chiara avvisaglia della predisposizione della donna verso eventuali attenzioni maschili, anche extra-coniugali, cosa che non troviamo proprio in Leskov, dove la passione amorosa di Katerina divamperà in modo esplosivo sì, ma soltanto dopo aver (per così dire...) subito il contatto carnale con Sergei. Addirittura – scena iniziale del second’atto – Shostakovich mette in bocca a Boris l’idea di provarci con la nuora! (per prendere due piccioni con una fava? soddisfare le proprie senili libidini e procurarsi un erede?!) Insomma, siamo proprio alla deliberata volontà di presentare allo spettatore un mondo – quello piccolo-borghese della provincia russa sotto lo Zar – a dir poco oppressivo e invivibile per una donna legittimamente assetata d’amore.  

La baruffa nel cortile e il ruolo di Aksinya: Leskov si limita a presentare la grassa cuoca Aksinya presa in giro dai contadini, che la pesano su una bilancia, mentre Katerina osserva semplicemente incuriosita, tanto che chiede di essere pesata a sua volta e poi accetta la sfida di Sergei ad una specie di braccio-di-ferro, da cui esce ovviamente perdente. In Shostakovich assistiamo invece ad un vero e proprio harassment di gruppo, anzi peggio, con la povera cuoca palpeggiata in tutte le parti intime da una torma di uomini arrapati, e in particolare da Sergei che arriva al punto da stuprarla. Evidente l’intento di mostrare un altro aspetto dell’inciviltà della società zarista, contro cui prende vivacemente posizione Katerina, che poi si mette a fare pure un pistolotto tutto politico - e femminista ante-litteram - sull’importanza delle donne nel mondo e nella storia! Ecco, questo è magari un dettaglio, ma assai poco plausibile: Katerina è una donna illetterata, proviene dalla plebe della Russia più feudale, mica dalle file delle guardie rosse! (E infatti in Leskov lei si limita a sostenere che anche una donna ha una considerevole forza fisica, a dispetto delle sue… misure.) Però a Shostakovich premeva presentarci una Katerina raziocinante, se non proprio una proto-rivoluzionaria. A proposito poi della cuoca, va ricordato il diverso trattamento che Shostakovich le riserva, rispetto a Leskov. Per il quale Askinya era stata solamente presa in giro dai contadini, e quindi – pur avendo inizialmente una cattiva opinione di Sergei - dopo l’innamoramento della padrona era diventata complice dei due amanti. Invece Shostakovich, avendo fatto subire ad Askinya – nella scena in questione - il peggiore degli affronti proprio da parte di Sergei, non può più farne una sua complice in seguito: ed infatti nell’opera la povera cuoca sparisce nel nulla dopo la disumana umiliazione cui è stata sottoposta!    

L’incontro carnale di Katerina e Sergei. La terza scena dell’opera viene modificata – non sostanzialmente peraltro - da Shostakovich per introdurvi di sua invenzione, ancora una volta, particolari sul trattamento vessatorio che Katerina subisce da parte del suocero. Abbiamo visto che, nel racconto di Leskov, Boris è fuori casa la sera in cui avviene la conoscenza biblica fra la nuora e Sergei: è andato da un parente per una festa e ha fatto sapere che rientrerà tardi, dopo cena. Quindi è del tutto logico e plausibile l’invito che Katerina – a cose fatte – rivolge all’amante ad andarsene, prima che il vecchio torni e, come evidentemente fa di solito quando il figlio è assente, chiuda a chiave, dall’esterno, la porta della sua camera. (Sergei risponderà che lui della porta se ne frega, perché userà la finestra: così rimane tutta la notte da Katerina). Shostakovich, come già detto, fa invece intervenire nella scena Boris per ben due volte e questa sua modifica si porta dietro (probabilmente senza che il compositore e il suo sodale Preis se ne siano accorti) un particolare del tutto illogico e in-plausibile (per quanto sia irrilevante ai fini del procedere della vicenda): vediamo di che si tratta. Dunque nel libretto dell’opera Boris arriva in camera di Katerina sul far della notte, per ordinarle di mettersi a letto e spegnere, per non consumarle inutilmente, le candele. Katerina lo assicura di farlo e Boris se ne va. Domanda: come mai Boris, accertato che la nuora si sta mettendo a letto, se ne va senza chiudere a chiave la porta? Shostakovich risponderà prontamente: ma perché da quella porta, pochissimo tempo dopo, dovrà entrare Sergei! Bene, allora immaginiamo che Boris si sia semplicemente dimenticato di chiudere la porta, il che dà a Shostakovich il pretesto per farlo tornare più tardi (a cose fatte, fra i due amanti): lui chiede a Katerina, da fuori, conferma che lei sia a letto, conferma che lei gli dà. Ed ecco qui la topica in cui Shostakovich è caduto: per voler (dover?) copiare Leskov, lascia in bocca a Katerina l’invito a Sergei ad andarsene, prima che il suocero chiuda la porta! Cosa francamente assurda, date le circostanze, poiché i casi sono due: o dobbiamo pensare che Boris se ne vada di nuovo senza chiudere, il che sarebbe francamente ridicolo, oppure è ancora lì fuori, pronto proprio a chiuder la porta e quindi se, puta caso, Sergei desse retta a Katerina e se ne andasse dalla porta, finirebbe direttamente (e anzitempo, rispetto ai tempi del dramma) in braccio al suo… carnefice! Ecco, tutto il tormentone serve solo a dimostrare come, quando si prende un mosaico e lo si disfa per manipolarlo, il rischio di non rimettere poi tutte le tessere al loro posto è assai alto.

L’omicidio di Boris. Nel racconto di Leskov, Katerina non assiste di persona alla fustigazione di Sergei (che avviene all’alba) e solo a cose fatte, e dopo aver parlato con l’amante attraverso la porta della cantina in cui è rinchiuso, chiede al suocero di liberarlo. Avendone ricevuto in risposta soltanto minacce di future punizioni (quando il marito tornerà) ha tutto un intero giorno (nessun dubbio quindi sulla premeditazione) per maturare la decisione di avvelenare, la sera di quello stesso giorno, il suocero. La cui morte e sepoltura vengono da lei vissute con fredda indifferenza, e da Leskov liquidate in poche righe. Shostakovich ci presenta le cose in modo un po’ diverso. Da un lato introduce (di sua invenzione) già nella scena iniziale l’argomento veleno per topi, accompagnato da una frase di Katerina che parrebbe una premonizione (quindi la premeditazione) del futuro delitto. Che però avviene in circostanze assai particolari. Shostakovich infatti comprime tutta l’azione del quarto quadro (a partire dalla scoperta di Sergei da parte di Boris, fino all’avvelenamento del vecchio) in pochissimo tempo, sul far del giorno: ecco allora che, in quanto provocato dalla profonda emozione derivatale dall’aver assistito di persona al terribile spettacolo del suo amante torturato dalle frustate del suocero, quello di Katerina (avvelenare i funghi che Boris le ha chiesto immediatamente dopo aver fustigato Sergei, non ore e ore dopo) ci appare come un gesto impulsivo e disperato, una reazione viscerale alla gravissima offesa subita, un’azione compiuta d’istinto ed in preda ad un autentico choc. Quindi qui siamo portati ad avanzare qualche ragionevole dubbio (come direbbe l’avvocato difensore in un’aula di tribunale) sulla premeditazione dell’omicidio, e a comprendere le ragioni della sproporzionata reazione della donna, se non proprio a giustificarla. Ma ora attenzione a cosa succede in presenza del sacerdote arrivato per raccogliere la confessione di Boris morente (nulla di tutto ciò in Leskov): Katerina si lancia in un appassionato addio al suocero, come se la sua morte l’avesse colta di sorpresa e riempita di dolore! Cosa dobbiamo pensare? Che la donna sia sconvolta dagli effetti della sua azione impulsiva e si stia cristianamente pentendo di ciò che ha fatto? O invece che sia anche una grandissima ipocrita? Beh, in entrambi i casi qui la drammaturgia di Shostakovich lascerebbe parecchio a desiderare. In realtà c’è anche una terza possibile spiegazione per questo che appare come un grave colpo all’integrità della figura di Katerina: che si tratti in fondo di un aspetto della sua fragile personalità, della sua difficoltà a sostenere con assoluta freddezza una situazione eccezionale che lei ha contribuito a creare. Cominciamo a conoscere una Katerina ben diversa da quella fredda e spietata raccontataci da Leskov. A proposito di questa scena, è mirabile l’invenzione di Shostakovich riguardante il curioso pistolotto funebre del sacerdote mezzo brillo, che tira in ballo addirittura Gogol! (A proposito dell’intenzione programmatica dell’Autore di fare dell’opera una tragica satira - o satirica tragedia?)

L’omicidio di Zinovy: come quello di Boris, anche questo viene pesantemente riveduto e corretto da Shostakovich, rispetto all’originale. Dove è – parliamoci chiaro - un omicidio premeditato bello e buono: quando, nell’idilliaco incontro sotto il melo fiorito in un pomeriggio d’estate, Katerina promette a Sergei di farne un mercante (condizione che lui ha posto per continuare la sua relazione con lei) è del tutto evidente che ha un solo e unico mezzo per soddisfare il desiderio dell’amante, e quindi garantirsi la felicità. A nulla potrebbe servire l’altro potenziale strumento, il divorzio, quasi impossibile da ottenere e soprattutto controproducente, in quanto le alienerebbe all’istante le simpatie di Sergei, che non saprebbe che farsene di una Katerina tornata povera in canna. E così lei ha parecchie ore per meditare su come mantenere la promessa, architettando l’omicidio del marito, da consumarsi non appena costui tornerà a casa sicuramente con l’intenzione di cogliere lei e l’amante in flagrante. E infatti anche le circostanze materiali dell’omicidio inchiodano Katerina: il marito Zinovy è sospettoso e minaccioso sì, ma in quel momento è anche disarmato e inoffensivo, mentre Katerina mostra fin da subito di comportarsi con la freddezza e la determinazione di chi ha pianificato tutto nei minimi dettagli (abbiamo visto come addirittura prefiguri al marito la sorte che gli toccherà di lì a poco!) In Shostakovich invece le cose stanno in modo diverso, assai più ambiguo, tanto che è difficile stabilire se Katerina stia agendo con premeditazione, oppure sia in balia degli avvenimenti. Intanto, dopo aver promesso a Sergei di far di lui un mercante, lei ha pochissimo tempo per pensare a come materialmente liberarsi del marito, che torna a casa proprio in quel momento! Infatti, all’udire i passi di Zinovy che si avvicina, la donna sembrerebbe cadere in preda ad un autentico panico (in Leskov, ricordiamo, rimane fredda ed anzi se la ride…) ma poi, di fronte alle contestazioni sempre più pressanti del marito (che ha subito notato la presenza di calzoni da uomo lì in giro) lei comincia a rispondergli con sfrontatezza, quasi a volerlo provocare (come fa in effetti in Leskov). Però nel racconto Zinovy si limitava a darle un ceffone prima di scappare terrorizzato (dalla presenza di Sergei) il che escludeva che la successiva reazione dei due amanti fosse giustificabile col doversi difendere da atti violenti del marito. Qui nell’opera invece, lui comincia a frustare la moglie con la cintura dell’amante: che lei chiama in suo aiuto (mentre è nascosto nel classico… armadio!) per difendersi dalla violenza del marito. Ecco, sembra che Shostakovich tenda quasi a derubricare l’omicidio - da volontario e con premeditazione - a poco più che eccesso colposo in legittima difesa, il che indebolisce però il nesso causa-effetto fra la promessa di Katerina a Sergei e le circostanze in cui la promessa si concretizza. Inoltre – e questo è un mutamento davvero radicale rispetto al racconto – Shostakovich fa vibrare il colpo di candelabro che finisce Zinovy non già a Katerina, ma a Sergei! (Forse è la glorificazione sovietica che esige che Katerina si sporchi il meno possibile le mani di sangue…) Non parliamo poi dell’occultamento del cadavere: in Leskov è un’operazione condotta da Sergei a regola d’arte (solo la sua confessione consentirà di riesumare i resti di Zinovy) mentre per Shostakovich è eseguito in tutta fretta e in modo sommario (così da rendere inevitabile in seguito la scoperta fatta dall’ubriacone…) Insomma, anche qui si ha la conferma della volontà di Shostakovich di trovare qualche pur vaga attenuante per Katerina, accentuandone la condizione di vittima di vessazioni e violenze. In definitiva, di rendercela degna di comprensione.  

L’omicidio di Fyodor: è la più macroscopica deviazione, rispetto a Leskov, di Shostakovich, che con l’omicidio espunge dalla vicenda anche la vittima, il piccolo Fyodor. Perché mai viene ignorato un fatto così assolutamente centrale nel racconto di Leskov, dove rappresenta precisamente il colpo-di-scena che improvvisamente fa virare di 180° l’intera vicenda e determina tutto lo sviluppo successivo dell’azione? La spiegazione è sempre la stessa: il contenuto propagandistico dell’opera. Che poteva benissimo contemplare che una donna umiliata dalla merdosa società zarista ammazzasse due persone adulte (incarnazioni di quella merdosa società) per legittima difesa o in risposta a gravissime offese e provocazioni, ma mai e poi mai poteva contemplare un atto odioso e infame, come l’ammazzamento di un piccolo innocente, quali ne fossero le ragioni! Anche qui una notazione di passaggio: ad accusarsi dell’omicidio di Fyodor è per primo Sergei (che poi scoppierà in lacrime - ! - alla vista della salma del fanciullo e confesserà anche l’omicidio di Zinovy, guidando la polizia al ritrovamento del cadavere accuratamente sepolto in cantina…) mentre Katerina dapprima nega tutto e poi, messa alle strette, confessa le sue colpe, ma sostenendo di aver agito per lui (il che è in effetti la verità). In sostanza: qui Sergei fa la figura del cristiano pentito e Katerina quella della belva disumana: a Shostakovich tutto ciò non poteva andar bene, da cui la decisione di cassare tutto.

Altra domanda: perché Shostakovich tace della gravidanza e del figlio di Katerina? È soltanto perché in un’opera musicale sarebbero un elemento di disturbo? Mah, qui si fa acuto il sospetto che un figlio rifiutato e sbolognato ai parenti ancora col cordone ombelicale appeso rappresentasse un autentico macigno sulla strada della glorificazione sovietica della povera Katerina…

Veniamo alla scena del matrimonio: che è pura invenzione di Shostakovich. Ed anche poco plausibile, stante il fatto che dalla scomparsa di Zinovy era trascorso troppo poco tempo perché il mercante potesse essere dichiarato ufficialmente morto e Katerina potesse così rimaritarsi. Però al compositore, in assenza della scena di Fyodor, la festa di matrimonio serviva evidentemente per determinare la drammatica svolta nella vicenda. E allora doveva essere adeguatamente preparata. Ecco così che, dopo l’uccisione di Zinovy, Katerina dice a Sergei: ora sei mio marito (in Leskov, più realisticamente, lei diceva: ora sei un mercante). E poi abbiamo visto in quale modo venga abbandonato il cadavere di Zinovy, per creare il pretesto all’invitato ubriacone di scoprirlo in cantina a causa della puzza insopportabile che ne emanava, essendo stato sommariamente coperto con qualche pietra. (Sappiamo invece da Leskov che il cadavere del marito di Katerina è talmente ben seppellito che nessuno l’avrebbe mai trovato, se non guidato dal… seppellitore in persona). Ecco, qui non si può non rilevare una certa debolezza drammaturgica della scena del ritrovamento del corpo di Zinovy in Shostakovich (legata alla scarsa plausibilità dei fatti antecedenti, col cadavere lasciato per giorni e giorni in cantina a putrefare!) ritrovamento legato oltretutto a banalissime circostanze, quando invece in Leskov è conseguenza della forte e sincera emozione che attanaglia Sergei al momento di assistere alla funzione funebre del piccolo Fyodor, cosa che lo porta a confessare anche l’omicidio di Zinovy! E a proposito di confessioni, per Shostakovich sarà Katerina (che già sentiamo inquieta e quasi terrorizzata all’inizio dell’atto terzo) a farsi prendere dal panico, all’arrivo della polizia accorsa dopo la soffiata dell’ubriacone, fino al punto da auto-denunciarsi, mentre Sergei opporrà viva resistenza all’arresto: è precisamente il contrario di ciò che leggiamo in Leskov, e ciò conferma la volontà programmatica di Shostakovich di presentarci una Katerina inquieta e insicura, lontanissima dalla donna passionale ma fredda, spietata e disposta a tutto che abbiamo conosciuto nel racconto. 

Anche la scena del Posto di polizia è inventata da Shostakovich. Una volta di più il compositore non perde occasione per denunciare lo stato di degrado, corruzione e inefficienza della società zarista. Però… attenzione: siamo in Unione Sovietica nei primi anni ’30, c’è Stalin che ormai imperversa, ci sono le purghe, lo sterminio dei kulaki e la polizia è ormai diventata strumento del regime. Vuoi vedere che questa scena (e con lei anche l’ultima) insieme alla condanna dello zarismo, contiene una indiretta critica allo stalinismo? Non è che l’improvviso ostracismo seguito al famoso articolo della Pravda del ’36 fosse (anche) dovuto al sospetto di Stalin e Zdanov che Shostakovich stesse mettendo in cattiva luce non solo la società zarista, ma anche i metodi staliniani?! (Sappiamo che Shostakovich tenne per tutta la vita un atteggiamento ondivago, addirittura equivoco rispetto al potere staliniano: era fervente rivoluzionario, ma rifiutava di prendere la tessera del partito; fu sull’orlo dell’eliminazione fisica, proprio dopo quel famoso articolo, poi però parlò personalmente con Stalin, dal quale ottenne rassicurazioni; ritirò la Quarta sinfonia temendo ritorsioni da Zdanov&C, poi presentò la Quinta come risposta di un compositore alle giuste critiche; accettò da Stalin in persona di far parte della delegazione sovietica presente a NewYork per la Conferenza internazionale di pace; a Stalin abbondantemente morto e sepolto si iscrisse al Partito Comunista (!) avendo accettato un’importante carica nell'establishment musicale sovietico; scrisse sinfonie dai titoli patriottici e inneggianti al regime per poi in privato dichiarare che erano pura finzione; quando potè nuovamente mettere in scena la Lady, senza pericolo per la propria incolumità, accettò di farne una versione edulcorata, trasformando addirittura la tessitura musicale di Katerina da espressionista a belcantista – cosa che non piacque alla Vishnevskaya, che per il film del ‘66 si fece ripristinare la parte originale…)

Il viaggio verso la Siberia. Anche qui Shostakovich ha tagliato parecchio e non possiamo francamente fargliene un torto. Fra i tagli ce ne sono almeno un paio da menzionare. Il primo riguarda il personaggio di Fiona: è vero che aggiunge poco al dramma, però in Leskov la ragazzona facilissima nei costumi quanto caritatevole nel cuore rappresentava (essendo moglie di un militare) un lato tutto sommato apprezzabile della società; una cosa, anche questa, che forse non faceva scopa (!) con gli obiettivi di Shostakovich. L’altro taglio, questo davvero notevole, riguarda la scena della fustigazione di Katerina da parte di Sergei, dopo che lei, scoperto l’inganno dei calzettoni, l’aveva preso a sputi in faccia di fronte a tutti. Qui dobbiamo dire che Shostakovich ha visto giusto: la violenza materiale su Katerina (le 50 frustate di Sergei) non aggiunge proprio nulla a quella, davvero tremenda perchè di natura psicologica, legata al tradimento di Sergei con Sonetka e al suo vile inganno. Il finale dell’opera, oltre a possedere una mirabile concisione, mette meglio in risalto (rispetto al racconto) il dramma di una persona violentata nell’anima più che nel corpo, che matura silenziosamente la decisione di farla finita, trascinando con sé l’ultima causa della sua infelicità. Geniale al proposito è l’idea di Shostakovich di inventare per la protagonista quella straordinaria esternazione che precede la drammatica conclusione dell’opera. Tornando poi all’ambivalenza della denuncia di Shostakovich, sarà il caso di ricordare come negli anni di composizione della Lady fossero in corso le deportazioni di massa di intere popolazioni: insomma, la scena del viaggio verso la Siberia - che Shostakovich arricchisce di dettagli, in particolare del canto disperato dei forzati - si attagliava altrettanto bene allo zarismo, come allo stalinismo!    
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Ecco, abbiamo cercato di scoprire i perchè della diversa luce in cui la protagonista viene posta da Shostakovich, rispetto a Leskov. In quest’ultimo Katerina – l’abbiamo conosciuta bene nel racconto - è una ragazza oppressa non già dalla merdosa società che la circonda, ma dalla noia del tran-tran che conduce. Ne è prova il fatto che, appena trovato l’antidoto – tutt’altro che rivoluzionario, ma vecchio quanto il mondo: il manico! – la nostra ragazza rinasce a nuova vita, o meglio tira fuori tutte le sue prerogative di donna forte e arriva a commettere addirittura tre omicidi volontari pur di garantirsi la continuità di quella nuova vita, nell’ingiusta (ma per lei divenuta assai comoda!) società zarista. Insomma, in lei c’è assai poco di impiegabile per i fini di Shostakovich: da un lato è una donna che nemmeno si pone problemi politici, dall’altro è praticamente un robot, spinto da un unico motore (l’amore, ma come si è detto: viscerale, cieco, selvaggio, nevrotico, feroce, egoista, possessivo, totalizzante e pure… criminale!) e come un robot senz’anima lei vive – sia pure per soli tre mesi, prima dell’inaspettata intrusione di Fyodor – il suo amore animalesco con Sergei, in tutta la sua pienezza e senza timori o sospetti nè pentimenti di sorta, tanto accurata e scientifica è stata la pianificazione e l’esecuzione dei delitti che hanno creato le condizioni materiali della sua realizzazione.

Shostakovich aveva invece bisogno – per ragioni ideologiche ed estetiche - di una Katerina assai diversa: una donna, non un robot! Un essere umano che soffre la mancanza d’amore imposta da una società governata da ingiustizie e avidità, una donna che per avere amore arriva persino ad uccidere, ma che sente immediatamente su di sé tutto il peso dei suoi delitti, come testimoniano la sua agitazione e gli angosciosi presentimenti che la pervadono già prima del matrimonio e della catastrofe. Insomma, una persona da compatire, quando in Leskov è piuttosto da temere!

Ecco, forse l’unico errore di Shostakovich è stato quello di conservare per la sua opera il titolo di Lady Macbeth: con la quale la sua Katerina non ha proprio nulla da spartire. E chissà che non sia stata questa constatazione, nel 1962, a suggerirgli per la nuova edizione il titolo di Katerina Izmailova. Perché difficilmente la Lady di Leskov avrebbe potuto ispirare al compositore la musica mirabile che ascoltiamo: i robot al massimo possono ispirare musica metallica, arida, senza emozioni né dolore né gioia.    

E allora avviciniamoci proprio a questa grande musica.

(2. continua)

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 11


Concerto-dedica, l’undicesimo della stagione. L’omaggiato è un pittore, il grande Marc Chagall, e gli omaggi li fanno due artisti: il pianista Mickhail Rudy e il direttore Jader Bignamini.

Rudy si è di recente specializzato nella produzione di cartoni animati (però seri, attenzione) che lui fa proiettare su un maxi-schermo e che accompagna suonando brani di musica classica per pianoforte. Un paio di stagioni fa, sempre in coppia con Bignamini, ci aveva proposto i Quadri di Musorgski: prima lui suonando la versione per pianoforte sulle sue animazioni ispirate a Kandinsky, poi Jader con la versione orchestrale raveliana. Ecco, questo concerto ha un’impaginazione simile: nella prima parte Ruby ci presenta le sue animazioni degli schizzi e dei dipinti eseguiti da Chagall negli anni ’60 per il soffitto dell’Opera Garnier di Parigi, mentre lui suona i cinque (anzi… sei) brani di 5 dei 14 compositori evocati dai pennelli di Chagall, ultimo dei quali brani è la versione pianistica de La valse; nella seconda parte Bignamini ci propone Stravinski e poi la versione orchestrale della stessa valse raveliana.

Apre Melodia di Gluck (Orfeo, atto II) arrangiata per pianoforte da Giovanni Sgambati. L’originale viene dalla versione parigina dell’opera (sono gli Spiriti beati) di cui ecco la parte principale del flauto solo, che espone la melodia:


Eccola qui suonata da un tale Rachmaninov!       

Poi viene la Fantasia in Re minore K397 di Mozart  (in tre parti: Andante, Adagio e Allegretto) di cui si perse l’autografo (presumibilmente del 1782) essendosi ritrovata invece nel 1804 a Vienna una copia chiaramente incompleta, dato che chiude a battuta 97 con un accordo sulla sensibile (DO#). Il completamento (poche battute, 10 in tutto) si fa risalire a tale August Eberhard Müller, ai tempi Thomaskantor a Lipsia, ma soprattutto consulente dell’editore Breitkopf che ristampò lo spartito.


Eccola interpretata da Glenn Gould (il punto incriminato, battuta 97, è a 7’55”).

Segue il luterano Wagner, di cui ascoltiamo la Liebestod trascritta dal cattolicissimo suocero Franz Liszt. Qui il grande Horowitz.

Il quarto brano è in realtà bipartito: di Claude Debussy vengono eseguiti due dei 12 Studi per pianoforte, entrambi dal primo dei due libri: il n°3 (Per le quarte) e il n°6 (Per le otto dita). Sulla natura e la consistenza estetica della raccolta Piero Rattalino ha lasciato una fulminante dissertazione, chiusa dall’ironico paradosso, che capovolge l’esternazione di quello spettatore della Scala del 1838, al cospetto degli studi di Liszt: vengo a teatro per studiare, non per divertirmi… 

Ecco, se vogliamo studiare, possiamo farlo con i potenti mezzi del web, che ci mettono contemporaneamente a disposizione il suono e… la carta sulla quale è stato codificato a futura memoria: Walter Gieseking ci accompagna nel primo e nel secondo dei due studi.

Chiude la rassegna di Rudy La valse di Ravel, che poi si riascolterà nella versione originale per orchestra.

Beh, diciamo che una volta ogni due anni si può anche accettare di assistere a queste esibizioni interessanti e originali, ma francamente un poco… circensi, con tutto il rispetto per il pianista-animatore Rudy (che del resto nell’associare musica e immagini e/o colori è un seguace del suo conterraneo Scriabin). Il rischio è che qualcuno scopiazzi l’idea, sostituendo ai cartoni animati le evoluzioni di qualche barboncino (smile!)

Ad ogni buon conto Rudy si congeda con uno Chopin… inanimato.
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La seconda parte del concerto inizia con un altro compositore richiamato da Chagall nei suoi affreschi del Garnier: Igor Stravinski, di cui ascoltiamo la nota versione del 1919 de L’Uccello di fuoco, che l’orchestra ha già più volte interpretato e che anche stavolta ha eseguito in modo convincente.

Ha chiuso la versione orchestrale de La valse, dove Bignamini se l’è cavata benissimo, come al solito, accolto dalle ovazioni del suo pubblico, al quale dà appuntamento fra pochi giorni, in coppia con la matrona Jessica Pratt.