
23 agosto, 2010
Il ROF-2010: Stabat Mater

21 agosto, 2010
Il ROF-2010: Cenerentola
Ier sera quarta ed ultima rappresentazione de La Cenerentola in un'affollatissima Adriatic Arena (una volta cattedrale-nel-deserto, ora circondata e soffocata da nord da edifici costruiti e costruendi) nella ripresa dell'allestimento di Ronconi.
Una regìa da lungo tempo apprezzata, che tornava per la terza volta al ROF. Prendendosi, come unica libertà rispetto all'originale di Ferretti-Rossini, di re-introdurre nella trama un pizzico – ma poco-poco, la cicogna che trasporta al ballo Cenerentola - della magìa di Perrault, da cui gli autori l'avevano invece accuratamente depurata, convinti che il pubblico moderno (dell'anno di grazia 1817) faticasse a digerirla (Ferretti stesso scrisse della delicatezza del gusto romano, che non soffre sul palcoscenico, ciò che lo diverte in una storiella accanto al fuoco). Evidentemente a noi (del terzo millennio) invece un poco di magìa non dispiace affatto… salvo però quando la si trova già nell'originale, chè allora applaudiamo a chi la toglie di mezzo - si veda l'Alcina di Carsen. (Come dice Wotan? Wandel und Wechsel liebt, wer lebt!)
In compenso la protagonista Marianna Pizzolato è una Cenerentola che più realista di così si muore: pare la Concettina, moglie della guardia-giurata Vito Catozzo (famosa macchietta di Faletti al Drive-in) cientoquaranta-pè-cientoquaranta, praticamente 'na scfera… Simpaticamente stridente il confronto con le due sorellastre (al secolo Manon Strauss Evrard e Cristina Faus) che hanno fisici da modelle (ma la voce purtroppo non altrettanto nobile). Ieri sera poi, nel primo atto, dovendosi destreggiare sulle cataste di mobili di cui Ronconi ha riempito il palco, la povera Marianna è incappata in una piccola caduta: lì per lì è parsa una cosa prevista dal copione, ma nell'intervallo è stato annunciato che la protagonista si era procurata una seria distorsione ad una caviglia, e avrebbe continuato la recita, ma con qualche handicap di carattere scenografico. Ed infatti lei è rientrata con la caviglia destra abbondantemente fasciata ed imbragata in uno stivaletto ortopedico (una piccola vendetta della scarpina di vetro di Perrault, bandita dagli autori?) zoppicando vistosamente. E così è apparsa a noi come una Cenerentola ancor più patetica e quindi simpatica. Però la voce è davvero bella, piena e calda, le manca solo un pizzico di potenza in più per essere quasi perfetta. Per lei un gran trionfo lungo l'intera serata.
Don Ramiro era Lawrence Brownlee, la cui vocina ha una potenza direttamente proporzionale alla sua stazza fisica, da peso-piuma. Peccato, perché intonazione, espressione ed acuti sono apparsi eccellenti.
Paolo Bordogna ha trionfato come Don Magnifico: sia sotto l'aspetto vocale che attoriale, una vera macchietta, perfettamente aderente al personaggio.
Nicola Alaimo, nei panni di Dandini, ha ricevuto un'autentica ovazione dopo la cavatina d'esordio. Per il resto: una prestazione vocalmente discreta, e ottima dal lato della presenza scenica.
Alex Esposito è stato un dignitoso Alidoro, che ha ben retto l'impatto con la nobile e difficile aria del primo atto, composta da Rossini in un secondo tempo, a rimpiazzare quella originale scritta in sua vece da Luca Agolini.
A proposito del quale, perfino la Strauss Evrard ha avuto la sua messe di applausi, dopo l'esecuzione dell'aria scritta appositamente per Clorinda.
Tutti insieme efficaci nei concertati; uno su tutti il sestetto del second'atto, con quell'inizio in versi di italica Stabreim: Questo è un nodo avviluppato / Questo è un gruppo rintrecciato / Chi sviluppa più inviluppa / Chi più sgruppa più raggruppa dove Rossini raggiunge vette davvero eccelse.
Sempre all'altezza della situazione il coro di Paolo Vero.
Yves Abel ha guidato l'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna in modo pulito, pur senza suscitare entusiasmi.
Come sempre, applausi a scena… cangiante durante le due (principali) mutazioni di ambiente ideate dal duo Ronconi-Palli.
Al termine gran trionfo per tutti, con parecchi minuti di applausi, e fragor di tavolato: uno spettacolo ancora e sempre godibilissimo, al di là del livello non stratosferico degli interpreti. Insomma, ci voleva un allestimento vecchio di 12 anni e dai tratti assolutamente tradizionali per riscattare le regìe - più strampalate che interessanti - delle due novità di questo Festival.
Festival che chiude oggi il programma operistico, con l'ultima del Sigismondo. Domani lo Stabat Mater metterà il definitivo sigillo, e poi si guarderà al n° 32, i cui titoli sono di tutto rispetto: Mosè, Adelaide e Scala (più un Barbiere in forma di concerto).
19 agosto, 2010
Il ROF-2010: Sigismondo
17 agosto, 2010
Il ROF-2010: Demetrio e Polibio
Ieri sera, terza e penultima rappresentazione di Demetrio&Polibio per il ROF, al Teatro Rossini, direi affollato, anche se forse non gremito all'inverosimile nei suoi (ad occhio e croce) meno di 800 posti. Pubblico, come vedremo, assai ben disposto e - direbbero i maligni - di bocca fin troppo buona.
La recita comincia con… la fine di un'altra, svoltasi in un teatro virtuale situato al di là del fondo scena: vediamo il protagonista (di spalle) che raccoglie gli applausi del pubblico e quelli dei macchinisti dietro di lui, fa gesti di giubilo a mo' di centravanti dopo un gol, finchè il sipario del suo teatro si chiude. Entrano ora gli addetti alle operazioni di chiusura del teatro. Tutto ciò mentre si suona la sinfonia dell'opera da rappresentare per davvero, il Demetrio&Polibio, per l'appunto.
È chiaro che è tutto invenzione del regista, il fantasioso professor Livermore (che fa opportunamente rima con Stranamore… e non per nulla si avvale dei trucchi del mago Alexander) e non certo dell'autrice del libretto, tale Vincenzina Viganò Mombelli, che ci mise tutta la sua (più o meno povera) immaginazione per ambientare l'opera nella reggia di Polibio, Re dei Parti! Ma sappiamo che la musica di Rossini è talmente flessibile, malleabile e scenario-independent (direbbe un albionico) da farsi apprezzare qualunque cosa le si appiccichi addosso. Peraltro notiamo che il testo – un poema degno in verità della vispa-teresa – viene invece rispettato alla lettera, anche quando contiene profondità filosofiche del tipo: Non assiste ragion i sensi tuoi, ma ben chiami ragion ciò che tu vuoi.
Ignorati del tutto – e meno male – i due comprimari Onao(Alcandro) e Olmira che, in una versione dell'opera, intervengono – con soli recitativi – all'inizio della seconda scena, alla fine della terza e, nell'atto II, all'inizio della seconda, quarta e quinta scena.
Dicevamo, la sinfonia: è un po' come rivedere un filmato dei palleggi di Maradona quindicenne… si capisce già cosa ne verrà fuori a breve! Peccato che i lodevoli sforzi di Corrado Rovaris e dei bravi ragazzi dell'Orchestra Rossini siano alquanto vanificati dallo strampalato vai-e-vieni che imperversa in scena, che finisce per distrarre lo spettatore. Domanda: come mai una tradizione pluricentenaria prevedeva che – durante la sinfonia – il sipario rimanesse rigorosamente chiuso? Vuoi vedere che era per far sì che il pubblico si concentrasse completamente sulla musica? Comunque l'esecuzione è accolta da discreti applausi.
Allontanatisi gli addetti e i pompieri, al termine dell'ispezione di routine, da alcuni bauli e cassoni fuoriescono ora – a mo' di fantasmi – i personaggi dell'opera da rappresentare, vestiti con costumi da primo ottocento (1800, dopo, non prima, di Cristo!) A proposito, scene e costumi sono opera degli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Urbino.
I primi a cimentarsi sono Mirco Palazzi (Polibio ) e Victoria Zaytseva (Siveno) che vengono subito messi alla prova, con le arie della prima scena (Mio figlio non sei e Laccio sì caro) in cui il Re dei Parti e il figlio adottivo arrivato dalla Siria esternano il reciproco amore suggellato poi dalla promessa di Polibio di dare in sposa a Siveno la figlia Lisinga, al che la Zaytseva canta la bellissima Pien di contento in seno. I due se la cavano discretamente e gli applausi non mancano. Già da questo abbrivio compare qualche modesto trucco del mago Alexander, come lo sdoppiamento dei personaggi (ottenuto facendo entrare e muovere in scena delle loro controfigure) o la levitazione di candele e candelabri, che vagano su e giù nello spazio, o lingue di fuoco che si sprigionano dal palmo delle mani dei protagonisti.
Adesso si presenta Yijie Shi nei panni di Eumene (Demetrio, Re di Siria sotto mentite spoglie) per avanzare a Polibio la richiesta – sdegnosamente respinta - di riavere Siveno (per riconsegnarlo appunto al Re di Siria): tutto ciò viene esposto in un lungo recitativo, a cui segue il duetto Non cimentar lo sdegno concluso da un rapinoso Odio, furor, dispetto, in cui esplode la reciproca avversione tra i due sovrani. Quest'ultima parte della seconda scena è presentata invero bene, e i due (Palazzi-Shi) si meritano applausi. Il mago Alexander qui usa degli specchi trasparenti per mostrarci i personaggi, che vi si specchiano, e le loro controfigure, che traspaiono da dietro (?!)
La terza scena è dedicata alla cerimonia dello sposalizio fra Siveno e Lisinga. L'ambiente sembra una lavanderia industriale, con centinaia di abiti appesi a lunghe funi ad altezze diverse (ambientazione che tornerà anche più avanti). Il coro Nobil, gentil donzella (discreto l'esordio dei praghesi di Lubomìr Màtl) introduce la giovane, al secolo Marìa Josè Moreno, che subito deve affrontare una delle diverse prove assai difficili di cui Rossini la gratifica: Alla pompa già m'appresso. Portata a termine non senza affanno, ma generosamente premiata dal pubblico. Poi lei e la Zaytseva si esibiscono nel bellissimo e ispirato duetto Questo cor ti giura amore, ben portato e accolto con grande favore dal pubblico. Segue poi il recitativo in cui Polibio esterna agli sposi i suoi timori (riguardo ad Eumene) al che Siveno, ma più ancor Lisinga promettono di combattere fieramente per opporsi ai siriani. E qui c'è il terzetto con coro Sempre teco ognor contenta che in realtà poggia in prevalenza sulle spalle della Moreno, che in certi momenti sembra faticare a tener botta agli innumerevoli virtuosismi di cui il brano è disseminato e mostra anche qualche calo di troppo. Applausi comunque per tutti, poi la scena si chiude con il recitativo di Polibio e Siveno, che pregano che il pericolo passi.
Nella quarta scena torniamo da Eumene, che organizza con i suoi il rapimento di Siveno (coro Andiamo taciti). I seguaci del siriano recano delle fiaccole, e ciò è effettivamente in linea con il libretto, visto che poi appiccheranno incendi alla reggia di Polibio. Eumene spiega, nel recitativo, di aver corrotto tutti gli uomini di Polibio e poi impartisce gli ordini per l'azione (sembra il dapontiano metà di voi qua vadano, ed altri vadan là…) prima di attaccare la grande e impegnativa aria (con coro) All'alta impresa tutti, che Shi porta a termine con buona sicurezza, meritandosi un grande applauso.
Ora arriviamo alla quinta scena, dove troviamo Lisinga in atto di mettersi a letto. In realtà è sdraiata su un pianoforte a coda, che si libra a mezz'aria (!?) La breve aria Mi scende sull'alma è un'altra perla degna del Rossini maturo: la Moreno qui non va affatto male, e viene gratificata da applausi a scena aperta. Eumene, che era lì accanto fin da prima con i suoi, li ferma – nel recitativo accompagnato - e si appresta a rapire quello che pensa essere Siveno. Invece scopre trattarsi di Lisinga, che prende comunque in ostaggio. Qui inizia il duetto Eumene-Lisinga (Ohimè, crudel, che tenti) che poi sfocia direttamente, con l'arrivo di Polibio e Siveno e del coro - e mentre divampa un incendio appiccato dai seguaci di Eumene - nel grande concertato del finale primo, dove è sempre la Moreno ad aver la parte più ardua. Grandi applausi al termine dell'atto, mentre arrivano in scena i vigili del fuoco, a spegnere l'incendio.
Il secondo atto si apre con il coro Ah che la doglia amara, nobile e mesto, che compiange il povero Polibio, privato della figlia. Tutti sono sdraiati a terra, come moribondi per il dolore. Polibio ora canta (per bocca di Palazzi) Come sperar riposo, un'aria assai difficile, che poi trasmuta in duetto, per l'intervento di Siveno (Venite, o fidi miei) cui si aggiunge ulteriormente il coro (Si voli dunque a lei). Buona prestazione di Palazzi-Zaytseva e scroscianti applausi.
La seconda scena principia con il recitativo di Lisinga ed Eumene (che tiene in ostaggio la ragazza) che precede il sopraggiungere di Polibio e Siveno. Siamo ancora in una tintoria-lavanderia, anche se gli abiti appesi sembrano sgualciti e sbrindellati. Qui abbiamo il grande quartetto Donami omai Siveno, che si può così sommariamente articolare: battibecco Eumene-Polibio, ciascuno dei quali punta un pugnale alla gola del/la figlio/a dell'altro; Lisinga e Siveno che si offrono come vittime, pur di salvare l'altro/a; esternazione di Eumene, che dichiara essere il padre di Siveno; scambio di prigionieri e quartetto Padre/figlia/figlio qual gioia io provo, dove i padri si rallegrano per aver riavuto i figli e questi sperano (illusi!) in una generale riappacificazione; Eumene che rifiuta di riconciliarsi con Polibio (All'armi, o fidi miei) e trascina via Siveno, che si dispera con l'amata (Tu mi dividi, o dèi!) Una cosa musicalmente strabiliante, se si pensa che fu composta da un ragazzo! Qui i quattro protagonisti e Rovaris con l'orchestra ce la mettono davvero tutta e – in un modo o nell'altro, mentre i cantanti sono appollaiati sulla catasta di bauli fatti vorticosamente ruotare dalle loro controfigure e da altre comparse – riescono a sfangarla senza troppi danni, così meritandosi l'apprezzamento del pubblico.
Si passa alla terza scena, dove Eumene racconta a Siveno di come lo fece trasferire, sotto mentita paternità, dalla Siria, per salvarlo da una sanguinosa rivoluzione. Siveno comprende, ma confessa di non poter vivere ormai lontano dalla sua famiglia acquisita (Perdon ti chiedo, o padre). Qui la Zaytseva è abbastanza convincente, per lo meno sul pubblico presente in sala, che non lesina gli applausi.
All'inizio della quarta scena troviamo Lisinga che lamenta l'assenza dello sposo, invocando la morte. Ma suo padre l'avverte che Eumene non è lontano, e Lisinga si offre di combattere in prima persona, per liberare Siveno. Dopo aver arringato i suoi, canta – contrappuntata dal coro - un'aria davvero irta di difficoltà e costellata di acuti: Superbo, ah tu vedrai. Forse non è l'ideale per la volonterosa Moreno, che tuttavia riesce a non andare in tilt e il generoso pubblico non le fa mancare il suo applauso.
All'inizio della quinta scena troviamo un Eumene vaneggiante, essendo stato abbandonato dal figlio Siveno, andato in cerca di Lisinga. Lungi dal figlio amato è cantata da Shi con sufficiente portamento, ben sostenuto anche dal coro. Sopraggiungono Lisinga e i suoi (Eumene scellerato) e si apprestano a trucidare il siriano, quando subentra Siveno, a difendere il padre, frapponendosi fra lui e la punta di una sciabola (!?) brandita da Lisinga. Eumene finalmente si decide ad arrendersi e benedice gli sposi, mentre i cori inneggiano a Siria e Persia. Applausi per tutti.
La scena finale si apre col coro Festosi al Re si vada. Polibio resta interdetto vedendo Lisinga con Eumene, ma questi svela finalmente la sua vera identità: è Re Demetrio. Che chiude la sua esternazione con due versi da antologia: La nostra fede con più tenaci nodi ora si stringa / Siven viva felice con Lisinga. Poi tocca ancora all'ormai esausta Moreno aprire il coro finale (Quai moti al cor io sento) sul quale si chiude in bellezza. Trionfo per tutti, con ovazioni per i quattro protagonisti e per Rovaris e Màtl.
Tutto sommato, uno spettacolo dignitoso, in linea con la definizione datane dagli stessi organizzatori: low-cost. Senza privare di nulla il pubblico, e senza offesa per Livermore e gli accademici di Urbino, poteva diventare benissimo anche un low-low-cost, se presentato in forma di concerto (ma in tal caso, col pubblico meno distratto dalle magìe, per voci e suoni sarebbe stata davvero un'altra musica…)
11 agosto, 2010
Quel che sia Consonanza, Dissonanza, Harmonia & Melodia.

ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA,
Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Seconda Parte. Capitolo 12. (MDLVIII)
07 agosto, 2010
Il ROF-2010
Snobbati (quasi) del tutto Bayreuth e Salzburg (colpevolmente, ma il mare della Sardegna è una giustificazione più che valida) si torna alla musica sul più casereccio Adriatico dove, da lunedi 9 agosto, va in onda (smile!) il ROF edizione 31. Con due novità assolute e una ripresa: Sigismondo, Demetrio&Polibio e Cenerentola.
Le prime (9-10-11) saranno tutte trasmesse in diretta su Radio3 (ore 20).
Io invece, trovandomi da quelle parti, ho costruito il mio personale programma post-ferragostano in modo da percorrere quattro tappe in rigorosa successione cronologica di composizione: quindi prima Demetrio&Polibio (1806) poi Sigismondo (1814) indi Cenerentola (1817) e – per chiudere in bellezza – lo Stabat Mater (1842).
Demetrio&Polibio è di fatto l'opera prima di un Rossini appena quattordicenne. Il che rende l'ascoltatore ancora più stupefatto, di fronte alla grande maestrìa che l'imberbe ragazzino mette in mostra. I personaggi, oltre al coro, sono solo quattro (l'opera fu scritta per essere interpretata dalla famiglia Mombelli, più il maggiordomo!) La trama – partorita dalla fantasia della moglie del Mombelli - è di quelle classiche per l'epoca (un po' come i reality dei giorni nostri):
- Polibio, Re dei Parti (basso) ha adottato come figlio un ragazzo, Siveno (contralto en-travesti) arrivato dalla Siria in circostanze piuttosto misteriose;
In alcune versioni del libretto si trovano altri due personaggi: Olmira (tata di Lisinga, soprano) e Onao (o Alcandro? fedelissimo di Polibio, tenore) che peraltro sono impegnati soltanto in brevi recitativi di contorno (al ROF, stando alla locandina, verranno giustamente ignorati).
Ma è la musica, come detto, a lasciare stupefatti: a partire dalla sinfonia, per passare ad arie, duetti, quartetti, cori e concertati. E non per nulla già da questa prima opera Rossini si farà imprestare spunti e brani musicali da impiegare in opere successive.
Sigismondo soffre di un libretto (di Giuseppe Foppa) che definire squinternato è fargli un complimento. Ma sappiamo che, nel caso di Rossini in particolare, anche i testi più squallidi vengono nobilitati dalla strabiliante vena musicale. Che peraltro qui mostra qualche scadimento, rispetto ad opere immediatamente precedenti (Tancredi e l'Italiana) tanto che Rossini stesso non esitò ad incoraggiare il pubblico a fischiare!
Nell'opera manca qualsiasi azione, e tutto il plot si incentra su un'improbabile serie di scatole cinesi di equivoci incentrati sull'identità di una donna (Aldimira, soprano) moglie del Re Sigismondo di Polonia (contralto en-travesti) creduta morta dopo essere stata ripudiata dal Re dietro false accuse di Ladislao (dignitario traditore, tenore, spalleggiato dalla sorella Anagilda, mezzosoprano e dal confidente Radoski, tenore) e che invece è viva e vegeta, col nome di Egelinda, in casa di Zenovito (fedele al Re, basso). Sigismondo incontra per caso Egelinda, viene attratto dalla sua somiglianza (sfido!) con la (creduta) defunta moglie e, consigliato da Zenovito, che vuole smascherare Ladislao, decide di presentarla come la rediviva Aldimira al popolo e al di lei padre Ulderico (Re di Ungheria, basso) onde placarne le ire. Lo sbifido Ladislao cerca di approfittare della situazione avvertendo Ulderico dell'inganno. Battaglia fra polacchi e magiari, che prevalgono, poi tutto si chiarisce quando Aldimira mostra uno scritto galante di Ladislao a lei indirizzato (e conservato da Radoski) che certifica la sua vera identità. Tutti felici e contenti quindi, salvo il fetentone Ladislao, meritatamente punito.
Davvero una roba da chiodi! È un miracolo che Rossini ci abbia comunque scritto sopra della musica sopraffina, oggetto di altri imprestiti ad opere successive.
Cenerentola è opera affermata da sempre e non ha bisogno di lunghe presentazioni. Anche qui – come spessissimo in Rossini - il ruolo della protagonista è affidato ad un contralto. Il principe Don Ramiro è ovviamente un tenore; i suoi collaboratori sono Dandini (baritono) e Alidoro (basso). Tisbe e Clorinda (mezzosoprano e soprano) sono le sorellastre cattive di Angelina (Cenerentola). Don Magnifico (basso) è il padre delle ragazze. La trama, che Jacopo Ferretti chiaramente mutuò – peraltro eliminando tutti gli effetti magici - dalla fiaba di Charles Perrault, è al solito infarcita di travestimenti, scambi di persona, e quindi di agnizioni, che portano al lieto fine. È per certi versi anche parente della trama del Barbiere, dove Rosina si innamora dello squattrinato Lindoro, per poi scoprire che è il Conte: qui Cenerentola si innamora del (finto) cameriere, che alla fine si manifesta come il principe.
Come suo solito, Rossini si auto-imprestò per la Cenerentola la sinfonia e brani musicali da opere precedenti.
Lo Stabat Mater è un capolavoro del Rossini maturo (e ormai in via di auto-pensionamento). In 10 numeri, impegna i quattro classici solisti (soprano, mezzosoprano, tenore e basso) più il coro. Musica più da teatro che da chiesa, è stato scritto. Un po' come per il Requiem di Verdi… quindi straordinaria!
05 agosto, 2010
Un altro orecchio ai Proms-2010
Valery Gergiev è stato il protagonista assoluto del Prom-26, dirigendo le due sinfonie mahleriane che sono comunemente definite come i due fronti del confine che separa il ciclo-Wunderhorn dal resto della produzione sinfonica del boemo (definizione suggestiva, quanto fallace, peraltro).
L'Orchestra era davvero particolare: la World Orchestra for Peace, fondata dal venerabile Georg Solti 15 anni fa, che riunisce – per particolari eventi – fra i migliori musicisti del pianeta; con un po' di sano patriottismo, elenco i membri che provenivano stasera da orchestre italiane (3 su 92):
- Valentina Bernardone, secondo violino della Mozart di Bologna;
Insieme a colleghi arrivati dal Giappone, dalla Palestina, dalla Cina, dall'Australia e naturalmente da tutti i Paesi europei e americani, ci hanno dimostrato che esiste anche il volto umano della globalizzazione.
04 agosto, 2010
Un orecchio ai Proms-2010
La Terza di Mahler, andata in onda questa sera sotto la direzione sopraffina di Runnicles, è solo un mattone del mastodontico edificio dei Proms, una manifestazione che davvero non ha pari al mondo, e non solo per la quantità delle proposte.
Restando a Mahler, in questa edizione vengono presentate 6 delle 9 sinfonie e i principali cicli di Lieder. Domani stesso sarà Gergiev a dirigere la Quarta e la Quinta.
Impressionante poi la dotazione documentale disponibile in web: per ciascun concerto è accessibile fra l'altro il programma di sala, sempre corposo e curatissimo.
Tutti i programmi restano poi accessibili on-demand per 7 giorni dopo la diretta, in modo che ciascuno li possa ascoltare con calma.
Il sito web è ricchissimo di funzioni di ricerca: per data, per compositore, per artista…
L'11 settembre, all'interno dell'enorme concerto di chiusura, ci sarà nientemeno che Renée Fleming, che canterà lieder di Strauss e arie di Dvorak e Smetana.
Eh sì, è proprio la bi-bi-sì…
02 agosto, 2010
Il Ring secondo Thielemann
Confesso di aver preferito il mare della Sardegna agli ascolti radiofonici del Ring di Bayreuth (complimenti ad Amfortas per l'abnegazione e le splendide recensioni!) Per pura curiosità mi sono collegato domenica sera per ascoltare il finale del Crepuscolo, dove ho avuto l'ennesima conferma di una invenzione del pur grandissimo Thielemann (oggi indubbiamente il miglior interprete wagneriano).
Si tratta dell'ultima pagina della partitura, dove Wagner fa morire il vecchio mondo e il vecchio ordine costituito e ne fa nascere – o ce ne fa intravvedere - altri, nuovi. Su questa pagina il buon Christian ha – da tempo - aggiunto di sana pianta una sua personale notazione, come riporto in figura (ho omesso le ultime due battute e mezza, dove suona soltanto l'accordo di REb maggiore). È ormai come un marchio, una di quelle pisciatine che i cani lasciano sul loro percorso per segnalare la loro presenza: e non è una caratteristica esclusiva del maestro tedesco, ma un atteggiamento comune a molti grandi direttori.
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Come si può notare, dopo l'ultima esposizione del tema (1) del Crepuscolo (prime due battute nella figura) Wagner introduce le ultime 7 battute, dove espone il tema (2) cosiddetto della Redenzione, semplicemente omettendo qualunque segno di legato a cavallo della barretta verticale. Perciò prescrivendo solo un'impercettibile cesura fra i due motivi (Crepuscolo-Redenzione): una semplice presa di respiro (anche la tonalità non cambia). Quindi non ci dice che finisce un mondo, punto (come fa Thielemann, che ci aggiunge una vera e propria corona puntata, che domenica ha fatto durare almeno due semiminime!) e poi ne comincia un altro, con tanto di Redenzione: ci dice invece che il mondo che viene è la diretta continuazione di quello che è andato in rovina.
Analizziamo allora queste ultime sette misure: esse sono occupate dal tema della Redenzione in violini e flauto che porta all'accordo finale (3 misure) di REb; apparentemente sembra la pura e semplice riesposizione di una melodia ottimistica e beneaugurante, ma in realtà la partitura d'orchestra contiene mille riferimenti e reminiscenze, quasi a condensarvi l'intero Ring!
Intanto chiediamoci: cosa ci rappresenta, il tema della Redenzione, a dispetto della consolante etichetta? Esso era comparso, in precedenza, solo in una ben precisa ed isolata circostanza (terzo atto di Walküre): l'annunciazione da parte di Brünnhilde a Sieglinde della sua prossima maternità; ed allora, perché non pensare che il tema null'altro rappresenti se non il Siegfried appena concepito, e quindi, visto lo svolgersi successivo dei fatti, una promessa non mantenuta?
La caduta di settima (3) che si ripete tre volte, altro non è che la maledizione dell'amore di Alberich (si veda il so verfluch' ich die Liebe del Rheingold!) Dopo le due prime cadute abbiamo una risalita sull'intera scala di REb, fino alla tonica. Questa risalita (4) è in realtà un frammento di due terzine che si trova nell'esposizione originale del tema nella Walküre, ma che qui richiama scopertamente le Figlie del Reno dell'inizio atto, là risalendo, in tonalità SOL, da tonica a sesta, qui da sopratonica a sensibile. Sulle prime due cadute di settima, ottoni e legni suonano (5) la seconda maggiore discendente (il tema del Rheingold) già associata (nel racconto di Waltraute del primo atto, e poco prima nell'esortazione di Brünnhilde) al Wotan che sogna la restituzione dell'anello al Reno, come strumento di salvezza, se non per lui personalmente, almeno per il suo ordine costituito.
Poi c'è l'accompagnamento dei bassi (6) con una discesa che ci ricorda la chiusa del tema del Walhall, come presentatoci nel Rheingold. Quindi abbiamo nientemeno che la comparsa del tema della schiavitù (7) ottenuta facendo "scendere" tutti i fiati, flauti esclusi, di una seconda minore, SIb-SIbb. Ciò è funzionale all'introduzione dell'accordo di sesta minore (8) che ci ricorda chiaramente l'anello (!)
In sostanza, in sole quattro misure, accanto alla presunta Redenzione, Wagner ci ricapitola: la fallace speranza riposta in Siegfried, il Walhall, l'amore maledetto da Alberich, le Figlie del Reno, la speranza di salvezza di Wotan, la schiavitù e l'anello!
Di fatto: il mondo che viene si porta dietro tutti i cromosomi di quello che muore.
Servono delle conferme? Prima: chi sopravvive al cataclisma? Le Figlie del Reno e Alberich (toh!) Seconda: sapete qual'è il salto di tonalità fra l'originale esposizione del tema della Redenzione, nella Walküre (SOL) e quella di quest'ultima comparsa (REb)? Precisamente un tritono, lo sbifido diabolus in musica!
Insomma, è come se Wagner abbia voluto chiudere la sua divina commedia non con un gesto di religiosa speranza, ma con un ghigno beffardo!
Ecco perché trovo quella corona puntata di Thielemann davvero fuori posto…