Mentre il primo appuntamento prevedeva il “piccolo” n°1 di Beethoven a far da apripista all’ipertrofica orchestra del Pelleas, questa sera è stata la cameristica Verklärte Nacht ad introdurre il monumentale n°5. In Schönberg si è andati - di poco - a ritroso (dall’opus 5 del 1902-3 alla 4 del 1899) mentre in Beethoven si è fatto un salto dall’alfa (o dal beta, per i pignoli) all’omega dei concerti per piano.
Diamo la precedenza - ubi maior - a sua maestà. Commentando il non entusiasmante primo concerto, avevo scritto “speriamo bene per l’Imperatore”: mai timore fu più fondato! Le perplessità generali già riferite commentando il primo concerto si sono questa sera trasformate in certezze (negative) e i buuh che ci piovevano in testa dai loggioni come fossero ortaggi sono stati il necessario epilogo di una prestazione davvero insufficiente. (Poi la platea ha - per reazione - tributato a Daniel un applauso standing, ma diretto al simbolo e “alla carriera”, chè la prestazione appena conclusa certo non lo meritava.)
Intanto, ho personalmente appreso (rimanendone costernato) una simpatica novità: il 5° concerto beethoveniano non ha un solista, ma due: pianoforte e tromba! Accipicchia, la tromba ha certo le sue frasi ad-hoc, in cui deve suonare in foreground, in primo piano, ma per il 95% del tempo deve fare da “riempitivo”, quindi starsene tranquilla in background: mai deve superare il volume di suono degli altri strumenti, pena un effetto sull’orecchio dell’ascoltatore a dir poco indisponente. Domanda: colpa solo del primo (saltuariamente del secondo) strumentista? Mah, forse. Però il Kapellmeister lo hanno inventato anche per guidare, e quando serve, ammorbidire gli strumentisti. Certo che se il maestro è impegnato a suonare la sua parte impervia, magari perde di vista e... di orecchio la tromba.
Oppure, per cercar di guidare l’orchestra, finisce per non guardare dove abbassa le dita e ti assomma (contati personalmente) almeno una mezza dozzina di strafalcioni! Insomma, se non è stato un disastro, poco ci è mancato. Personalmente tenderei a salvare l’adagio (toh! dove la tromba tacet, per tutto il tempo) di cui bene è stata resa l’atmosfera sognante e la luce soffusa.
Ma chissà se il peggio è passato, visto che domenica 22 arriva il 3° concerto, una bruttissima (anzi... splendida) gatta da pelare. E il giorno prima Daniel ha un altro Tristan che lo aspetta al varco.
Tornando a questa sera, l’apertura era stata affidata al sestetto per archi, praticamente l’opera prima di Schönberg, a dispetto del n°4, quella che un membro dell’associazione degli artisti, cui fu presentata, definì “una pagina del Tristan ancora fresca d’inchiostro, su cui qualcuno ha sfregato la mano”. Chissà se il tempo risparmiò a costui di scorrere, per dire, la partitura delle Variazioni op. 31 (che sentiremo nel terzo concerto)... Quanto alla curiosa (e un poco morbosa) fonte ispiratrice di questo poema sinfonico in cinque parti per sei archi, ne ha scritto anni fa una simpatica pagina Davide Daolmi. Una concisa analisi originale dell’Autore si può leggere sul sito ufficiale dell’Arnold Schönberg Center.
La versione presentata oggi era quella per orchestra d’archi, del 1916 credo, e ad eseguirla è stato l’intero (o quasi) pacchetto dei Filarmonici. Risultato più che discreto, anche se chi ha nelle orecchie la versione originale per sei strumenti fatica sempre a trovare “valore aggiunto” in questo adattamento per organico allargato.
Diamo la precedenza - ubi maior - a sua maestà. Commentando il non entusiasmante primo concerto, avevo scritto “speriamo bene per l’Imperatore”: mai timore fu più fondato! Le perplessità generali già riferite commentando il primo concerto si sono questa sera trasformate in certezze (negative) e i buuh che ci piovevano in testa dai loggioni come fossero ortaggi sono stati il necessario epilogo di una prestazione davvero insufficiente. (Poi la platea ha - per reazione - tributato a Daniel un applauso standing, ma diretto al simbolo e “alla carriera”, chè la prestazione appena conclusa certo non lo meritava.)
Intanto, ho personalmente appreso (rimanendone costernato) una simpatica novità: il 5° concerto beethoveniano non ha un solista, ma due: pianoforte e tromba! Accipicchia, la tromba ha certo le sue frasi ad-hoc, in cui deve suonare in foreground, in primo piano, ma per il 95% del tempo deve fare da “riempitivo”, quindi starsene tranquilla in background: mai deve superare il volume di suono degli altri strumenti, pena un effetto sull’orecchio dell’ascoltatore a dir poco indisponente. Domanda: colpa solo del primo (saltuariamente del secondo) strumentista? Mah, forse. Però il Kapellmeister lo hanno inventato anche per guidare, e quando serve, ammorbidire gli strumentisti. Certo che se il maestro è impegnato a suonare la sua parte impervia, magari perde di vista e... di orecchio la tromba.
Oppure, per cercar di guidare l’orchestra, finisce per non guardare dove abbassa le dita e ti assomma (contati personalmente) almeno una mezza dozzina di strafalcioni! Insomma, se non è stato un disastro, poco ci è mancato. Personalmente tenderei a salvare l’adagio (toh! dove la tromba tacet, per tutto il tempo) di cui bene è stata resa l’atmosfera sognante e la luce soffusa.
Ma chissà se il peggio è passato, visto che domenica 22 arriva il 3° concerto, una bruttissima (anzi... splendida) gatta da pelare. E il giorno prima Daniel ha un altro Tristan che lo aspetta al varco.
Tornando a questa sera, l’apertura era stata affidata al sestetto per archi, praticamente l’opera prima di Schönberg, a dispetto del n°4, quella che un membro dell’associazione degli artisti, cui fu presentata, definì “una pagina del Tristan ancora fresca d’inchiostro, su cui qualcuno ha sfregato la mano”. Chissà se il tempo risparmiò a costui di scorrere, per dire, la partitura delle Variazioni op. 31 (che sentiremo nel terzo concerto)... Quanto alla curiosa (e un poco morbosa) fonte ispiratrice di questo poema sinfonico in cinque parti per sei archi, ne ha scritto anni fa una simpatica pagina Davide Daolmi. Una concisa analisi originale dell’Autore si può leggere sul sito ufficiale dell’Arnold Schönberg Center.
La versione presentata oggi era quella per orchestra d’archi, del 1916 credo, e ad eseguirla è stato l’intero (o quasi) pacchetto dei Filarmonici. Risultato più che discreto, anche se chi ha nelle orecchie la versione originale per sei strumenti fatica sempre a trovare “valore aggiunto” in questo adattamento per organico allargato.
(2. Continua)