Ho
riservato la mia prima presenza al ROF45 a quella che
(non solo io) considero l’opera più innovatrice e moderna di Rossini: Ermione.
Il
mio interesse era anche solleticato dalla presenza sul podio di Michele
Mariotti, che ebbi occasione di vedere ed ascoltare proprio al suo
battesimo al ROF, nell’ormai lontano 2010, con Sigismondo (prima ed
ultima, al momento, rappresentazione) e con lo Stabat Mater. Da allora
il direttore pesarese che, come molti suoi pari, del resto, ha avuto molto
dalla sorte (essere figlio del fondatore-sovrintendente del Festival ed essere
quindi cresciuto a pane-e-Rossini) di strada ne ha fatta assai ed oggi eccelle
non solo in Rossini ma in una vasta area dell’immenso repertorio del teatro
musicale.
E
dico subito che, a conferma della buona impressione generale lasciatami dall’ascolto radiofonico della prima,
anche questa terza recita ha per me meritato un voto ampiamente positivo.
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Ermione
(tratto da Tottola dall’Andromaque di Racine, a sua volta liberamente
derivata da quella di Euripide) è un soggetto tutto incentrato sulla psicologia
(-schizofrenia?) dei quattro protagonisti (tutti, Andromaca esclusa, della
generazione successiva a quella dei belligeranti di Troia) e sull’incredibile
catena di rapporti conflittual-sentimentali che intercorrono fra gli stessi:
- Oreste
(che ha appena vendicato il padre Agamennone, ammazzando sua madre Clitemnestra
e l’amante di lei, il cornificatore Egisto) è invaghito della figlia di Menelao
e della fedifraga Elena, la spartana Ermione;
- costei
è patologicamente innamorata di Pirro (figlio del leggendario Pelide);
- il
quale si è trovato in casa, come bottino di guerra, la povera Andromaca (più il
figlioletto di lei Astianatte, che Racine e Tottola hanno tutto l’interesse a
mantenere in vita, invece che credere alla sua morte per scaravento
giù dalle mura troiane, da parte del futuro Odisseo) e se ne innamora
all’istante, dimenticando una futile promessa fatta ad Ermione;
-
ma Andromaca (unico personaggio con la testa sulle spalle, va subito detto, in
mezzo a quei tre scavezzacollo figli/e di papà…) resta inflessibilmente fedele
alla memoria del marito Ettore, fatto secco a Troia proprio dal padre del suo
attuale spasimante!
Insomma,
un inestricabile groviglio di sentimenti: l’infatuazione selvaggia, di Oreste
per Ermione, di Ermione per Pirro e di Pirro per Andromaca, tutti amori
impossibili e inquinati da cieca gelosia, che inevitabilmente potranno trovare
sbocco solo in totale tragedia.
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Mamma
mia, come si vede, un soggetto di per sé fuori dall’ordinario, dal quale uno
come il 27enne Rossini, all’apice del furore creativo degli anni napoletani,
non poteva non rimanere soggiogato al punto da riservargli un trattamento adeguato,
quindi fuori dall’ordinario!
A
cominciare già dall’Ouverture, che si apre in atmosfera cupa, dolente e poi agitata,
presto interrotta dall’insolito ingresso del coro (!) dei deportati troiani;
poi seguita da un motivo leggero e spiritoso e dal proverbiale crescendo,
che Rossini si auto-impresterà in ben tre Ouverture di opere immediatamente
successive (Eduardo, Bianca e Matilde).
L’opera
inizia poi con la presentazione dei quattro personaggi principali e delle
rispettive menti disturbate. E si capisce quindi come la musica, per seguirne
questi psicologici labirinti, ne sia inevitabilmente contagiata, discostandosi
dagli stilemi usuali. Al confronto anche le innovazioni dell’ultimo Gluck o di Cherubini
sembrano solo dei timidi tentativi.
Dapprima si presenta Andromaca, che trepida per la sorte del figlio, ma
contemporaneamente apprende delle profferte di amore da parte di Pirro,
disposto per di più ad adottare Astianatte qual figlio ed erede al trono! Ma la
sua coscienza le impedisce di tradire la fedeltà alla memoria del consorte,
Ettore. Da qui il suo stato di prostrazione.
Ecco
poi Ermione, circondata da premurose ancelle in un’atmosfera
apparentemente idilliaca. Ma subito rotta dal cruccio che attanaglia la
principessa spartana: Pirro la sta tradendo per Andromaca!
Ed
ecco appunto arrivare Pirro, in cerca della troiana. Ermione lo
affronta a viso aperto, ma il Re si vanta della sua autorità e della sua
decisione, pur con l’animo oppresso dall’incertezza riguardo le intenzioni di
Andromaca, che non pare proprio disposta a… dargliela!
Ora
tocca ad Oreste entrare in scena ed esporre subito la lancinante
contraddizione che ne caratterizza la personalità: il suo amore non corrisposto
per Ermione; e l’ingrato compito che lo attende, che ha risvolti per lui
esiziali: convincere Pirro a dimenticare Andromaca, giustiziarne il figlio e
quindi inducendolo a tornare da Ermione, col che lui perderebbe per sempre la
sua amata!
Inizia
adesso l’azione vera e propria. Pirro convoca Oreste e i greci per ascoltarne
le ragioni, presenti anche Ermione e Andromaca. Dopo che Oreste lo ha invitato
a liberarsi dei troiani, in particolare di Astianatte, Pirro, con tono
arrogante, dichiara apertamente le sue determinazioni: impalmare Andromaca e porre
in futuro Astianatte sul trono, ignorando bellamente il mortale rischio che ciò
farebbe correre alla Grecia.
Ermione
si dispera, mentre Oreste, ovviamente, spera (mors tua…
etc,) Ma Andromaca ha fatto sapere a Pirro di non accettare le sue profferte.
Al che il Re non esita a ricattarla, ipocritamente offrendo, per ingelosirla,
la sua mano ad Ermione, e contemporaneamente gettando Astianatte, perché venga
giustiziato, nelle mani di Oreste, che quindi raggiungerebbe il fine politico,
ma a spese di quello sentimentale. Un mirabile concertato generale ci propone
le quattro diverse attitudini dei protagonisti rispetto a questa drammatica
quanto insostenibile situazione.
Andromaca
allora non vede altra via d’uscita che quella - poi scopiazzata in più di un
melodramma - di fingere di promettersi a Pirro per averne in cambio il
giuramento di salvar la vita al figlio, per poi suicidarsi prima di concedersi
a quell’invasato. È in quest’atmosfera carica di tensione e incertezza che si
chiude – con un finale concertato - il
primo atto.
Il
secondo si apre con Pirro che esulta, informato della decisione di Andromaca di
accettare le sue profferte. E proprio i due sono protagonisti di un incontro
dove la gioia del Re, che finalmente vede coronarsi il suo sogno, si scontra
con il cruccio di Andromaca, ormai preparata all’estremo sacrificio pur di
salvare il figlioletto.
Dopo
un fugace incontro-scontro di Ermione con la povera Andromaca, oggetto del
disprezzo della prima, che ne ignora il tremendo stato di necessità, eccoci
arrivati alla gran scena di Ermione. Davvero il compendio di tutte le
straordinarie novità introdotte da Rossini: si va dalla vana speranza di un
ripensamento di Pirro, alla constatazione del crollo di ogni prospettiva
futura, al risentimento contro l’uomo che l’ha tradita e la donna che è stata
causa del tradimento!
Ora
ci si avvicina allo scioglimento del dramma. E ci pensa Ermione ad…
accontentare tutti: consigliata dalla fida Cleone, che le suggerisce di usare
la sua influenza su Oreste - uno che per lei sarebbe disposto a tutto, per
amore e per… esperienza pratica - finge di accettare le smanie di cui costui la
fa bersaglio, lo convince a ripetere quel gesto di cui lui è ormai specialista
universalmente riconosciuto: ammazzare il fedifrago Pirro! Omicidio che Oreste
compie, non senza schizofreniche dissociazioni psichiche.
Ma
la stessa Ermione, in una seconda scena di altissima drammaticità, pentitasi
subito dell’ordine impartito ma ormai non più revocabile, altrettanto
schizofrenicamente maledice il sicario, al quale non resta che lasciarsi
trascinare via dai compagni di missione.
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Beh,
se ancor oggi noi scafati spettatori del terzo millennio, passati attraverso mille
esperienze e rivoluzioni (e vessazioni?) restiamo sconvolti ed allibiti di fronte a simile
esplosione di creatività musicale, possiamo capire perché per quasi 150 anni
nessuno più si curò di tale autentico tesoro nascosto, meritoriamente ritrovato
qui da noi negli anni’70 e poi definitivamente riportato alla ribalta dalla
Fondazione Rossini e dal ROF.
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Johannes
Erath ci
propone una scena (di Heike Scheele) praticamente fissa, un ambiente incastonato
in una cornice di neon (luci di Fabio Antoci) e abitato ora da
personaggi della corte di Pirro, in abbigliamento moderno e vistoso (costumi di
Jorge Jara) e dediti a libagioni e gozzoviglie, ora dal coro (il popolo
dell’Epiro) rigorosamente in anonimi abiti neri. La passerella che circonda l’orchestra
è parsimoniosamente impiegata per accogliere, portandoli proprio alla ribalta, i
più drammatici incontri fra le coppie (Ermione-Pirro o Ermione-Oreste).
Sullo
fondo della scena e ai due lati appaiono saltuariamente immagini marine (video di
Bibi Abel) oppure i palchi del Teatro Rossini. Fin troppo invadente l’impiego
di un mimo ad impersonare l’immanente presenza di Cupido, le cui frecce
(da guerre stellari) sortiscono peraltro (come vuole il soggetto di Tottola)
solo esiti nefasti. Eccessivamente duro mi è parso il trattamento riservato al
povero Astianatte, perennemente bistrattato da tutti (mamma esclusa, per
fortuna…)
Per
il resto, la gestione dei personaggi è assai curata, mettendo nel dovuto
risalto tutti i lati deteriori delle rispettive psiche.
In
sintesi, una proposta intelligente e di buon gusto, ma soprattutto aderente
allo spirito del testo.
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Torno
ora al piano sonoro, ribadendo la meticolosa attenzione riservata da Mariotti
ad ogni minimo dettaglio della partitura, testimoniata da passaggi in punta di cesello,
affidati a strumenti solisti, a improvvisi strappi e scoppi orchestrali per
sottolineare ogni sfumatura delle menti disturbate dei protagonisti. E una
maniacale attenzione al canto, dei singoli e del coro, sempre guidati con millimetrica
precisione. Più che meritata la lunga ovazione finale per il Direttore di casa.
Ma
come non lodare il coro del Ventidio Basso e il suo curatore Giovanni Farina,
alle prese con compito assai gravoso e fondamentale nell’economia dello
spettacolo; compito assolto con il massimo dei voti per compattezza, potenza e
omogeneità di suono.
Anastasia
Bartoli
è stata ancora una volta la trionfatrice della serata: voce senza sbavature,
svettante nella parte alta della tessitura e davvero imponente negli sfoghi di
passione e odio di questo personaggio: delirio per lei dopo la grande scena,
e meritate ovazioni all’uscita finale.
Enea
Scala
non mi aveva convinto alla prima ascoltata per radio: acuti spesso ingolati e con
vibrato piuttosto sgradevole. Ieri devo dire che si è – in buona misura –
riscattato, anche se mi limiterò a dargli una piena sufficienza, non di più. Il
pubblico per la verità è stato assai più indulgente, riservandogli un’accoglienza
calorosa.
Assai
più calorosa ancora quella ricevuta da Florez, che sa supplire con
mestiere ed esperienza alle purtroppo naturali conseguenze… dell’età, ecco. In
ogni caso, il suo è un Oreste forse meno svalvolato di quanto Tottola e Rossini
non lo dipingano in versi e note, ma il suo carisma resta tuttora intatto.
Chi
dalla ripresa radiofonica aveva tratto vantaggi forse eccessivi è stata l’Andromaca
di Viktoria Yarovaya, che dal vivo ni è parsa meno autorevole, in specie
bella parte bassa della tessitura, non proprio impeccabile.
Hanno
confermato invece le buone impressioni sia Antonio Mandrillo (Pilade)
che Michael Mofidian (Fenicio): voci ben impostate su tutta la gamma, che
gli hanno meritato anche l’applauso dopo il loro siparietto nel finale. Oneste
le prestazioni di Martiniana Antonie (Cleone), Paola Leguizamòn (Cefisa)
e Tianxuefei Sun (Attalo).
Davvero
una bella serata di musica, che il foltissimo pubblico della Vitrifrigo Arena
ha accolto con grande entusiasmo.