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08 settembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Domenica alla Scala apre la stagione 23-24.

Come ormai da lunga tradizione, l’Orchestra Sinfonica di Milano sarà ospite alla Scala per l’inaugurazione della nuova stagione 23-24.

Sarà il Direttore in Residenza - Andrey Boreyko - a salire sul podio per il secondo anno consecutivo, presentando un programma assai impegnativo, che affianca uno degli ultimi lavori di Gustav Mahler alla più rivoluzionaria delle Sinfonie beethoveniane
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Ecco quindi dapprima la cosiddetta Sinfonia-di-LiederDas Lied von der Erde – interpretato qui da due voci maschili, cosa piuttosto insolita, chè tradizionalmente al tenore (Tuomas Katajala) si affianca un contralto/mezzosoprano, anziché un baritono (Georg Nigl). L’esempio più famoso di esecuzione con due voci maschili riporta a Lenny Bernstein che incise il Lied con James King e Dietrich Fischer-Dieskau.  

Sul Lied si sono scritti fiumi d’inchiostro, ma forse la cosa più curiosa è quanto raccontò – in un’intervista radiofonica nel 1970 – William Steinberg, direttore d’orchestra americano che era stato assistente di Toscanini. Di quest’ultimo è ben nota l’avversione rispetto alla musica di Mahler (la cui Quinta fu da lui definita una boiata pazzesca!) Ma un giorno, proprio a Milano, mentre Steinberg provava il Lied, Toscanini entrò in sala e chiese di chi fosse quella musica. E, saputo che era di Mahler, si lasciò sfuggire un: “Mio dio, non pensavo che potesse scrivere così bene… 

Negli anni che vanno dal 1907 fino al 1909, anno di completamento dell’opera, a causa di varie disavventure - il licenziamento in tronco da Generalmusikdirektor della Hofoper di Vienna; la prematura perdita della maggiore delle due figliolette, Putzi; la diagnosi di una sia pur blanda disfunzione cardiaca; e soprattutto i tradimenti a sfondo prettamente sessuale della moglie Alma - Mahler avvertiva ormai come incombente e non più ignorabile il problema capitale dell’esistenza di ciascuno di noi, cosa che aveva abitato in qualche modo la sua mente fin dai tempi della giovinezza, ispirandogli anche tantissima musica, ma che lui ora incontrava direttamente, in prima persona.

Il Lied, praticamente una sinfonia - nell’accezione che questo termine aveva assunto nell’estetica mahleriana - insieme alla Nona e al torso della Decima rappresenta quindi l’autentico testamento spirituale di Mahler.

I sei testi dell’opera furono scelti da una collezione di poesie cinesi dei tempi della dinastia T’ang, secoli VII-IX (quando noi eravamo ancora sprofondati nel più cupo medioevo e il Rinascimento era lontano… secoli) tradotti da Hans Bethge (e prima di lui da altri letterati francesi).

Quando si dice… la globalizzazione culturale dello spazio-tempo. Qui vediamo gli ideogrammi (pseudo) originali delle due poesie da cui Mahler trasse l’ultimo Lied del ciclo, Der Abschied, e la prima pagina della partitura manoscritta del compositore: fra di essi ci sono nientemeno che 8.000 Km e 1.000 anni di distanza!

Va subito premesso che Mahler si permise (e con ottime ragioni…) di apportare personali modifiche/aggiunte ai testi cinesi, in particolare attenuando il loro pessimismo si fondo, addolcito da una visione meno negativa e più laicamente serena. In effetti va sottolineato come il primo impulso del compositore fosse stato di adesione acritica all’atmosfera quasi nichilista dei testi cinesi (il titolo dell’intera opera doveva essere Il canto dei dolori della terra, sopravvissuto solo nel titolo del primo Lied) ma come successivamente Mahler decise di addolcire il pessimismo orientale per introdurvi qualche sprazzo di serenità. Non certo un trionfo dell’ottimismo, ma perlomeno l’individuazione di elementi confortanti per l’individuo.

Come detto, i sei Lieder sono labilmente apparentabili ad altrettanti movimenti di Sinfonia, strutturati appunto secondo i criteri da Mahler impiegati per lavori di quel genere: i primi due (allegro e lento) di atmosfera piuttosto cupa o rassegnata, i successivi tre più (apparentemente) leggeri, in funzione di intermezzo, e l’ultimo, il più lungo ed articolato, decisamente lento, notturno, riflessivo, intimistico e quasi religioso.

Musica piena di moti ascendenti e discendenti che si alternano, ma anche si sovrappongono, perché l’esistenza è spesso gioia e dolore allo stesso tempo, come ben si vede, subito prima della coda, nel secondo Lied (dove peraltro la scala discendente (negativa?) va apertamente verso il forte, mentre quella ascendente (positiva?) va a morire in ppp:

Così nel primo Lied troviamo uno dei diversi, poetici riferimenti inseriti di suo pugno da Mahler (tornerà ciclicamente nell’ultimo Lied) alla terra che sempre rifiorirà a primavera (meraviglioso l’inciso del corno inglese…) seguito da una drammatica presa di coscienza della caducità umana:

Nel secondo ecco un rassegnato ripiegarsi di chi ha il cuore stanco e cerca riposo (anche questo scenario ricomparirà nell’ultimo Lied); e poi un’accorata implorazione, al sole dell’amore:

Infine qui, nell’ultimo Lied, un autentico ponte sonoro che sembra richiamarsi al famoso arco melodico che accompagna l’ammonimento Alles was ist, endet di Erda:

E, a proposito di Wagner, non manca una minuscola, ma chiara citazione, questo brevissimo inciso del quinto Lied, che viene proprio da lontano!

Ma anche la frase successiva (…sei kommen über Nacht) nelle parole richiama alla mente un altro dramma wagneriano (Walküre, primo atto, la notte dell’agnizione di Siegmund e Sieglinde): la ventata che fa sbattere violentemente la porta della stamberga di Hunding annuncia l’improvviso irrompere della Primavera (e la successiva romanza… Winter Stürme).

E Mahler ancora ricorre a Wagner nell’ultimo Lied, dove troviamo, nella melodia che torna due volte, prima in SIb e poi in DO maggiore, una chiara reminiscenza parsifaliana: la discesa da mediante a tonica che precede il lavaggio dei piedi di Kundry al puro folle (là in FA# maggiore):

Poi, troviamo sottili e quasi subliminali rimandi tematici. Ad esempio questo inciso dell’oboe che nel primo Lied sottolinea la morte, è ripreso significativamente dal canto che nell’Abschied (ancora un legame fra i due Lied estremi dell’opera) prefigura l’anelito alla pace per il cuore solitario:

Un richiamo fra il secondo e l’ultimo Lied riguarda l’affaticamento del cuore e degli uomini, due volte espresso nel secondo e ripreso nell’ultimo Lied (un semitono sotto, dove poi peraltro c’è speranza di consolazione):

Ma l’impronta determinante della vision esistenziale mahleriana resta impressa nell’ultimo Lied, Der Abschied. Esso merita particolare attenzione poiché nella sua conclusione, a dispetto del confuciano, assoluto pessimismo esistenziale dell’originale cinese (di Wang Wei), Mahler infuse un atteggiamento, per così dire, di laica e serena rassegnazione. E per far questo modificò appunto il testo, introducendo (mutuandolo precisamente da quello da lui già manipolato del primo Lied) molto azzurro nei cieli sconsolatamente bigi del poeta T’ang.

Laddove quest’ultimo chiudeva con due versi di disincantato e rinunciatario pessimismo:

La terra è uguale dappertutto –

E sempre sono bianche le nuvole!

Mahler scrive invece di suo pugno, riprendendo la sua variazione del primo Lied:

L’amata terra dappertutto –

Rifiorisce a primavera e verdeggia di nuovo!

Dappertutto e sempre, sempre –

Azzurri risplendono gli orizzonti!

Sempre… sempre… sempre…

Ecco, innanzitutto la Natura, di cui Mahler – nelle modifiche al testo originale e coerentemente con il suo rapporto d’amore per essa - rivaluta la benigna funzione materna e i caratteri consolanti: le nuvole bigie cinesi magari restano, ma all’orizzonte ecco aprirsi l’azzurro del cielo e il paesaggio illuminarsi, colpito obliquamente dai raggi del sole. E poi l’eterno verdeggiare a primavera, a testimonianza della vitalità del creato, di cui l’Uomo è in fin dei conti parte integrante.    

Ma è ancora una volta la musica a mirabilmente rappresentare questo insieme di presa di coscienza dell’inevitabilità della fine e di speranza nell’infinita ed eterna misericordia della madre terra, sempre pronta ad accogliere fra le sue braccia questo uomo, piccolo e infelice. Ecco come testo e musica mahleriani, correggendo il desolato originale orientale, evocano la serena contemplazione della madre-natura:

Sull’ultimo ewig il canto non si adagia più sulla tonica, ma si sospende sulla sopratonica RE; e nelle restanti 6 misure l’orchestra esala un DO maggiore orientalizzato dal LA di flauto ed oboe e dalle cinesizzanti volute della celesta, proprio a lasciare una sensazione di indeterminatezza, di qualcosa che si perde lontano.

Morendo completamente, si legge sulle ultime battute del Lied. Più semplicemente, Morendo recita l’ultima indicazione agogica sulla partitura della Nona. Sull’abbozzo manoscritto della Decima l’ultima indicazione è un La, che i musicologi decifrano come Langsam: adagio.

Così le ultime opere di Mahler chiudono sommessamente un’esistenza, e con lei anche una grande (non l’ultima…) stagione del sinfonismo.
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Sinfonismo che ebbe in Beethoven il suo grande alfiere, e la Quinta una delle sue punte di diamante, sulla quale non è certo il caso qui di spendere altre parole.

Non resta dunque che aspettare domenica per goderci questa nuova partenza di stagione.

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