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25 febbraio, 2023

laVerdi 22-23. 17

Shakespeare in musica si intitola il concerto dell’Orchestra Sinfonica di Milano di questa settimana; a dirigerlo il Direttore Principale Ospite, Jaume SantoniaOpere di due autori ormai da tempo entrati nella storia della musica che ne incastonano una di un’autrice che più contemporanea di così non si può!

Si parte quindi con Macbeth (op.23) che Richard Strauss compose nel 1887-88 (quindi a 23-24 anni!) e poi ultimata nel 1891, praticamente insieme ai (e pure prima dei…) più fortunati Don Juan (op.20) e Tod und Verklärung (op.24). Hans von Bülow trovava in questa musica (che pure, da fedele wagneriano, apprezzava per l’alto tasso di innovazione) delle autentiche mostruosità… E Hugo Wolf (non certo un adepto di Hanslick) arrivò a definirla raccapricciante! E persino il padre Franz continuò fino all’ultimo a consigliare al figlio severe revisioni della partitura, per depurarla da eccessive pesantezze…

Non parliamo poi dell’eterno problema legato alla musica-a-programma: la pertinenza dei suoni messi sulla carta dal compositore con i riferimenti extra-musicali (letterari, nella fattispecie) dell’opera. Le discussioni e le diatribe iniziarono addirittura prima che la musica fosse pubblicata ed eseguita! Il citato von Bülow fu persino responsabile del radicale mutamento del finale dell’opera rispetto a quanto previsto in origine (versione mai pubblicata) da Strauss: che contemplava, dopo il RE minore che costantemente identifica la personalità di Macbeth, di chiudere il poema sinfonico in RE maggiore, con la marcia trionfale di Macduff e compagni che – arrivano i nostri! – mettono fine al dispotismo e al despota.

No no no! questa sarebbe una gran baggianata! protestò l’ex-marito di Cosima Liszt-Wagner, e così il suo allievo Strauss si decise a lasciare nella partitura definitiva solo 6 (sei!) battute in RE maggiore evocanti i liberatori, per poi chiudere tornando sul protagonista del dramma, con 15 battute in RE minore.

E ancora oggi ci sono discussioni e diatribe fra i critici musicali riguardo l’individuazione delle strette relazioni fra la musica e il soggetto esterno. C’è discordanza, per dire, su dove collocare nella partitura – visto che Strauss non l’ha fatto - il momento dell’arrivo di Duncan, quello del suo assassinio o quello della morte dello stesso Macbeth. E se nella musica si debba anche individuare qualche riferimento a Banqo e figlioletti! E come interpretare le 6 battute in RE maggiore della coda, se evocanti Macduff o la fallacia della presa del potere di Macbeth…

E altre diversità di vedute si riscontrano addirittura nello stabilire i confini musicali fra esposizione dei temi, loro sviluppo e ricapitolazione, come vorrebbero i criteri della forma-sonata, sia pure eterodossamente applicata al caso in questione.

Chi desideri approfondire questi aspetti può leggere questo interessante saggio, dove si propone una possibile (e assolutamente plausibile, per carità) esegesi dell’opera con precisi riferimenti al plot shakespeare-iano. Ma resta il fatto che Strauss ha esplicitamente riportato in partitura soltanto due indicazioni didascaliche:

1. Battuta 6: la semplice dicitura Macbeth;

2. Battuta 64: la dicitura Lady Macbeth, corredata da 5 versi di Shakespeare (Atto I, Scena 5) dove si prefigura la seduttiva adulazione della Lady al marito, per spingerlo al crimine.

Per il resto, nessun’altra indicazione, niente. E da qui il proliferare di ipotesi le più diverse – plausibili o campate in aria - su come interpretare i vari passaggi musicali dell’opera. Ennesima conferma che la musica, da sola, non è in grado di narrare alcunchè di preciso; salvo, appunto, se stessa.

Ascoltandola possiamo certo convenire che la struttura del brano sia vicina alla forma-sonata, principalmente perché ci espone due temi ben scolpiti:

A=Macbeth, maschio e volitivo, caratterizzato da una vertiginosa salita di 12ma (il successo?) immediatamente seguita da un rovinoso precipitare di 7ma (la rovina?); tonalità RE minore;

B=Lady, femminile e insinuante, in FA#, ma poi canonicamente chiuso sul FA maggiore;

temi preceduti da una specie di motto (M) che tornerà mille volte a farsi udire, caratterizzato da un arpeggio (tonica-dominante) sulla scala di LA, chiuso da un accordo di quinta vuota.

Lo sviluppo e la ricapitolazione mostrano la grande abilità manipolatoria di Strauss e le sue indiscusse doti di orchestratore; tuttavia verrebbe da dar ragione al padre Franz riguardo all’eccessiva pesantezza di molti passaggi…

Del tutto gratuita poi la comparsa, nella coda, della marcetta con fanfara in RE maggiore, che non ha (escludendo gli arpeggi delle trombe) alcun riferimento musicale con tutto il resto; per cui bene fece Strauss a ridurla – obbedendo al navigato e smaliziato von Bülow - ad un moncherino di 6 battute:

E alla fine domandiamoci quindi perché Macbeth, cui pure Strauss attribuì un’importanza preminente nella sua produzione, sia da sempre il meno eseguito (ed oggettivamente il più ostico da afferrare) dei suoi Tondichtungen

Non sarà per caso perchè la musica in sé non eccita immediatamente il nostro interesse e le nostre emozioni, come accade ascoltando i vari DonJuan, Till, Zarathustra, Quixote, Heldenleben, Alpensinfonie… ? Certo, il riferimento letterario è un dramma dalle tinte oscure, abitato da due personaggi negativi e dalla psiche alterata… ma è pur vero che quello stesso soggetto ispirò a tale Verdi ben altra musica per le nostre orecchie!

Beh, Santonja e i ragazzi vanno encomiati in blocco per aver fatto il massimo per valorizzare questa difficile partitura: certo la sostanza di fondo non la si può cambiare, e a me personalmente questo lavoro lascia sempre parecchie perplessità, come qualcosa di troppo artefatto, di velleitario, magari spiegabile con l’impeto e il furore innovativo del giovane Strauss, ecco…       
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La compositrice-in-residence Silvia Colasanti torna protagonista in Auditorium con una nuova opera eseguita in prima assoluta: Time's Cruel Hand, tre sonetti di Shakespeare affidati alla voce del controtenore Alex Potter.

Nel primo sonetto della composizione (n°64) il solo pensiero che il tempo si porti via la persona amata mette la morte nell’anima. Il sonetto 19 - secondo dell’opera - sfida il tempo a fare il suo corso e a scolpire profonde rughe nella nostra pelle.

Il soggetto, come ben lascia intendere il titolo dell’opera (tratto dall’ultimo verso del Sonetto 60, che chiude la composizione) è precisamente l’incessante, inesorabile ed impietoso scorrere del tempo, la cui mano crudele non lascia scampo a nulla e nessuno. (Siamo ad Anassimandro e al destino che impone ad ogni creatura, per la sola colpa di esserne uscita, di ritornare all’apeiron.)

Ma all’Uomo resta sempre un’arma di difesa: l’ArteCome recitano gli ultimi tre versi:

Nulla resiste, di ciò che miete la sua falce crudele,
Ma incrollabile sia il mio verso, nel tempo che verrà,
a tua lode, e quelle mani crudeli sfiderà.

Ecco, la sfida dell’Arte all’inesorabile azione del tempo e alla conseguente ossessione umana per la morte: pare proprio il programma estetico di tale Richard Wagner!

E Colasanti interpreta in modo convincente lo spirito di questo Shakespeare, rivestendo i tre testi (come sempre opportunamente proiettati sugli schermi sovrastanti il palco, nella lingua originale e nella eruditissima traduzione di Quirino Principe, presente in sala) di note coinvolgenti e cariche di profonda compassione (nel senso etimologico del patire insieme).

Musicalmente i sonetti sembrano ricoperti di atonalità, anche se il primo mi pare avere un centro gravitazionale sul LA (minore) chiudendo sulla dominante MI e il secondo, più agitato, tenda a gravitare sul RE-SOL. Il terzo giurerei proprio che sia nella classica e pura tonalità di MI minore!

Pregevole l’interpretazione di Alex Potter, che ha messo la sua voce e la sua sensibilità al servizio di quest’opera che merita davvero l’accoglienza trionfale che il pubblico dell’Auditorium le ha riservato. Trionfo che ovviamente ha coinvolto la compositrice, salita sul palco a ringraziare tutti i musicisti che hanno così efficacemente illustrato il suo lavoro.
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Chiude la serata il Prokofiev di Romeo&Giulietta, di cui viene eseguito un mix delle tre Suite che il nativo del Donbass ricavò dalle musiche per l’omonimo balletto. [Qui un mio schematico sunto delle relazioni fra numeri del Balletto e Suite, all’interno di un commento ad una precedente esecuzione.]

Qui sono stati presentati i seguenti 9 numeri (indicati coni corrispondenti del balletto):

1. II-1.  Montecchi e Capuleti
2. II-2.  Giulietta fanciulla
3. III-1. Romeo 
4. III-2. Danza mattutina 
5. I-4.   Arrivo degli ospiti (Minuetto)
6. I-5.   Maschere
7. I-6.   Scena del balcone
8. II-7.  Funerale di Giulietta
9. I-7.   Morte di Tebaldo

Ribadisco una mia convinzione: è musica (tutto il balletto, non solo le Suite) che reputo fra la più straordinaria prodotta in tutto il ‘900. E anche l’esecuzione di ieri me lo ha confermato in pieno.

Quindi, onore e gloria per tutti: dal Direttore ai musicisti (ieri guidati da Dellingshausen) e – last but not least – al bardo di Stratford-upon-Avon! 

17 febbraio, 2023

laVerdi 22-23. 16

La Russia eroica è protagonista del concerto di questa settimana, diretto dal russo (ma non simpatizzante per Putin, come certificato dal CoPaSiR…) Andrey Boreyko, Direttore Residente dell’Orchestra Sinfonica di Milano.

Torna quindi a farsi udire in Auditorium la monumentale Leningrado (settimo parto sinfonico di Dmitri Shostakovich).  

Opera indecifrabile e da sempre tirata da ogni parte, per ragioni squisitamente extra-musicali, anzi precisamente politiche: al suo apparire, osannata dai sovietici e in Occidente (Toscanini in testa) in funzione anti-nazi; una volta abbattuto il nazismo, in Occidente si è preferito dimenticarla, per non dar fiato a Stalin e nipotini, che ne avevano fatto un simbolo di superiorità morale del comunismo; poi qualcuno (Solomon Volkov, Testimony) ci ha trovato germi di… anticomunismo e allora evviva, disseppelliamola!

Nata per essere una specie di poema sinfonico, o una fantasia (e l’iniziale Allegretto è in effetti tutto tranne che un primo movimento di sinfonia come-si-deve…) è poi cresciuta a dismisura, fino a raggiungere proporzioni sesquipedali, sotto una specie di costrizione patriottica di cui l’Autore fu vittima a seguito dell’invasione nazista. I suoi contenuti musicali furono indubbiamente condizionati dallo scenario esterno: a partire dalla forma dell’opera, dove l’iniziale nucleo di poema sinfonico divenne poi il primo movimento di una sinfonia in quattro movimenti, tutti a loro volta sottotitolati - La guerra, II ricordo, Gli spazi sconfinati della patria, La vittoria - salvo successiva revoca dei sottotitoli e delle relative indicazioni programmatiche dell’Autore!

Una cosa è certa: se la si volesse considerare e giudicare come musica pura, svincolata da ogni riferimento extra-musicale, allora si dovrebbe – come minimo! -  prendere l’Autore per un matto da legare! O, in alternativa, per un buontempone in vena di prendere il pubblico per i fondelli…

E ovviamente il casus-belli è costituito principalmente da forma e contenuto dell’iniziale Allegretto: il quale sembra muoversi nel tradizionale solco della forma-sonata, con l’esposizione dei due temi nelle canoniche tonalità di tonica (DO maggiore) e dominante (SOL maggiore, con breve divagazione a SI maggiore):

Un primo tema robusto, maschio e deciso, il secondo più elegiaco, femminile, contemplativo: più di così cosa si pretende in fatto di rispetto delle regole codificate?

Dopo l’esposizione arriverà quindi uno sviluppo, dove i due temi si incontreranno, magari si scontreranno, perché no, fino a trovare la concordia nella ricapitolazione, con… capitolazione del secondo tema sulle posizioni (leggi: tonalità) del primo. O no?

E invece: no! Perché lo sviluppo è sostituito dall’irruzione inopinata di quel gigantesco quanto volgare episodio di marcia, un insignificante tema reiterato in non meno di 11 varianti e chiuso da una colossale coda.

La realtà è che in questo movimento fa irruzione la guerra. Dopodichè diventa, in un certo senso, comprensibile che anche un’austera Sinfonia debba prendere atto che… la guerra non è un pranzo di gala! E può sovvertire ogni sistema costituito, musica inclusa.

Ecco perché queste incrostazioni extra-musicali di cui si è ricoperta fin dalla nascita impediscono di poter apprezzare (nel bene e nel male) come opera di ingegno, intesa come musica di per sé stessa, questa Sinfonia. Per i cittadini russi (e non solo) del 1942 quella musica aveva un significato e un sapore strettamente legato alle catastrofiche circostanze materiali in cui era venuta alla luce: nessuno allora si interrogava sui suoi contenuti estetici, poichè la sentiva soprattutto come una droga utile a rigenerare le forze spirituali (e pure materiali) con cui affrontare il nemico invasore (allo stesso modo la musica in modo frigio veniva impiegata fin dall’antichità per aizzare le truppe in battaglia).

A proposito, quella specie di bolero-di-ravel-su-tema-di-lehár che è incastonato nel movimento iniziale fu descritto (a posteriori, fra l’altro, come spesso accade ai programmi appiccicati a musica già composta) come il marciare dei cavalieri teutonici sulla città: dapprima si sentono e si vedono in lontananza, laggiù in fondo alla steppa sconfinata, e paiono una squadretta di boy-scout che marciano allegramente inalberando gagliardetti, accompagnati da pifferi e tamburino.

Shostakovich ci infila anche uno sberleffo, citando Lehar (Da geh' ich zu Maxim, dalla Vedova allegra, operetta preferita di Hitler, si diceva). Ecco quindi come si presenta il pericolo nazista da lontano:

Poi però, man mano che i boy-scout si avvicinano, ecco che si scorgono dietro alle loro bandierine colorate delle baionette, quindi si profilano le torrette dei panzer, poi le spaventevoli sagome dei mezzi d’artiglieria, e in cielo gli stormi della Luftwaffe!

Dico, un tempo di sinfonia, o la parodia dell’Ouverture 1812? Non per nulla il mite e un po’ sfigato Bartók ci farà sopra a sua volta uno sghignazzo, nel suo Concerto per orchestra:

E la guerra finisce per inquinare irrimediabilmente anche la ripresa dei due temi presentati nell’esposizione: riappaiono infatti sfigurati, deturpati e quasi irriconoscibili, infine devono lasciare il passo alla reminiscenza del tema teutonico. Perché, appunto, la guerra non è finita

I due movimenti centrali sono certo meno prosaici e pretenziosi (a parte la lunghezza…) e ci restituiscono uno Shostakovich lirico: il Moderato (poco allegretto) è in pratica una specie di Scherzo con Trio e ripresa dello Scherzo. Nella prima parte riconosciamo due idee tematiche, la prima in RE maggiore, la seconda in SI minore, poi tornando a RE:

È chiusa da un insistente pizzicato degli archi.

La sezione centrale è in tempo 3/8. Attacca in DO# minore e viene introdotta dai clarinetti, incluso quello piccolo in Mib e quello basso:

Poi si sviluppa in una tipica corsa ostinata shostakovich-iana, esplorando diverse tonalità, fino a sboccare nella ripresa dello Scherzo, anche qui assai variata rispetto all’esposizione iniziale e chiusa dal secondo tema in arpa e clarinetto basso accompagnato da un marziale e insistito ribattere di flauto e flauto in SOL; e infine dal primo tema abbreviato.

Ecco poi l’Adagio, aperto da un corale di fiati e arpe che introduce il tema principale, in RE maggiore (Largo) di grande respiro e nobiltà, esposto dai violini:

Poi ecco, in MI maggiore, il sognante tema del primo flauto, sviluppato anche con l’intervento del secondo:

Dopo una fugace riapparizione del tema principale, ecco tornare… la guerra (?). Che irrompe sulla scena in tempo Moderato risoluto SOL# minore, con un tema protervo esposto dagli archi:

Inizia qui un colossale crescendo in cui riappaiono, come travolti da un turbine, anche spezzoni dei temi precedenti, finchè tutto sembra finire in nulla… Ecco quindi la parte finale del movimento, che ricapitola temi della prima e poi, nel ripristinato Adagio, chiude mestamente, quasi morendo.


Nel Finale (Allegro non troppo) torniamo ai fracassi della guerra, interrotti da qualche… funerale. È in effetti un penoso avvicinamento alla luce che splenderà alla fine, riportando fiducia nel futuro.

Il tema principale, di stampo maschio e bellicoso, è già annunciato dai bassi in apertura, poi verrà esposto poi violini, in DO minore; quello secondario, più cantabile e sereno, è presentato per primo, in DO maggiore, sempre dai violini:

La prima parte del movimento è occupata da un crescendo continuo del tema principale, che sfocia in una perorazione enfatica a piena orchestra, con percussioni in grande evidenza. Il secondo tema lo contrasta, nei fiati, opponendogli fiera baldanza, finchè si arriva ad un momento di tregua (tempo Moderato): pare qui di assistere ad un compianto funebre, sulla cui chiusura ricompare, mesto, il tema principale, che da guerresco si è trasformato in… funerario.

Poco a poco però il tema riprende vigore e viene raggiunto anche dal motivo secondario, e insieme portano, attraverso modulazioni che passano per SI e Mi maggiore, al DO maggiore della perorazione finale, in cui spicca, pesantissimo, il ciclico ritorno del tema che aveva aperto la Sinfonia. 
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Che dire? Un’opera difficile da digerire, perché è difficile capire quale ne sia la natura più autentica.

Chi però ce l’ha fatta non solo digerire, ma gustare, è l’Orchestra Sinfonica di Milano, sapientemente guidata da Boreyko. Trionfale per tutti l’accoglienza del pubblico (di affezionati…) con ovazioni, ululati di approvazione e ripetute chiamate per Direttore, prime parti e intere sezioni dell’ipertofico schieramento di Musikanten.

Ci sono ancora due repliche per approfittarne!

12 febbraio, 2023

laVerdi 22-23. Ristretti.2

Oggi pomeriggio è andato in scena in Auditorium il secondo dei tre concerti cosiddetti ristretti (per la durata contenuta, l’organico cameristico e… l’Auditorium con la sola platea accessibile) che fiancheggiano la stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Il Direttore di questi concerti è Kolja Blacher, che ci ha proposto un programma tutto viennese, con due opere che stanno ai due estremi della grande stagione musicale della capitale mitteleuropea: poiché ne rappresentano la prima e la seconda scuola.

Anche oggi l’ordine dell’esecuzione dei due brani in programma è stato invertito rispetto alla locandina originaria, quindi si apre con lo Schönberg di Verklärte Nacht. Composta originariamente nel 1899 per sestetto d’archi da un 25enne ancora tardo-romantico e ben lontano dagli approdi seriali (che matureranno nei 20 anni successivi, passando prima per il periodo atonale) fu poi riveduta ed arrangiata per orchestra d’archi nel 1917 e successivamente rivisitata nel 1943, quando l’Autore viveva in USA da 10 anni.

È in buona sostanza un poema sinfonico, essendo ispirata ad un’opera letteraria (di pari titolo) di Richard Dehmel, poeta simbolista-espressionista abbastanza in auge ai tempi.

In Appendice riporto il testo della poesia (tradotto da Ferdinando Albeggiani) e la traduzione (passatempo mio personale) di una nota programmatica redatta dall’Autore nel 1950, in occasione di un’esecuzione americana del brano, corredata da miei riferimenti (di minutaggio) ad un’esecuzione diretta da Neville Marriner con i suoi Accademici.

A completamento della nota dell’Autore si può aggiungere che la macro-struttura del brano presenta cinque sezioni, corrispondenti alle altrettante strofe del poema: quelle dispari evocano lo scenario naturale che fa da sfondo alle esternazioni dei due amanti, le quali occupano le strofe pari (prima la donna, poi l’uomo). 

Come accade per tutta la musica a programma, anche qui l’ascoltatore può seguire due strade per la migliore fruizione del brano: approfondire la conoscenza del soggetto extra-musicale dell’opera, per poi giudicare se l’opera stessa lo interpreti e lo evochi efficacemente o meno; oppure ignorare del tutto il soggetto esterno e giudicare se quella musica sia degna di apprezzamento di per sé

Nel caso specifico, il riferimento extra-musicale è francamente deboluccio e strappalacrime a buonmercato. Tanto che lo stesso Autore, nella premessa del suo scritto del 1950, prima di chiarirci abbastanza minuziosamente i riferimenti precisi al soggetto extra-musicale, finisce per ammetterne (a posteriori) le deficienze, mostrando di comprendere, se non proprio di condividere, i severi giudizi riservati a quel testo da molta critica. E invitandoci quindi a godere della sua opera solo come pura musica!

E direi che l’interpretazione intensa che ne ha dato Blacher e l’esecuzione impeccabile dell’ensemble de laVerdi hanno raggiunto pienamente questo obiettivo!  
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Ecco poi Mozart e la sua ultima sinfonia, la Jupiter. Il cui organico (soltanto 9 fiati: 1-2-0-2-2-2) si attaglia alla perfezione allo spirito del concerto, restituendoci precisamente quell’atmosfera tersa e raffinata, tipica del Settecento mitteleuropeo.   

Una delle curiosità che sempre sorgono in occasione di esecuzioni di queste sinfonie riguarda il rispetto dei cosiddetti da-capo, o ritornelli che dir si voglia. La decisione di rispettarli o di rinunciare ad eseguirli si basa (o dovrebbe…) su motivazioni estetiche. La tradizione del da-capo aveva in origine ragioni d’essere assai concrete: far risentire due volte all’ascoltatore che ignorava quella musica - per ficcarglieli bene in testa - i temi principali, era una pratica necessità, che viene meno quando l’ascoltatore (mediamente informato) già li conosce a menadito e potrebbe trovare pleonastica la loro stucchevole ripetizione. 

Oggi capita quindi di incontrare esecuzioni dello stesso brano con differenze anche enormi di durata. Un esempio per tutti: in questa registrazione di Böhm del 1973 sono tagliati i ritornelli dei due movimenti esterni (il taglio del da-capo dell’esposizione iniziale è a 3’51” del video) e ciò porta a mantenere il tempo totale sotto i 30’. Per confronto, questa recente registrazione con Maazel, che rispetta quasi tutti i ritornelli - il primo è a 4’02” del video - tranne il secondo del Finale, tocca i 40’, ben 12 più di quella di Böhm… Se poi si eseguono tutti i da-capo, come fanno qui i simpatici terroni norvegesi, si arriva anche a passare i 42 minuti!

[In tempi più recenti (parlo della metà del secolo scorso, diciamo dall’arrivo dei vinili e fino a quello dei Compact-Disk) si aggiunse anche un praticissimo vincolo tecnologico-commerciale, dovuto alla capienza (in minuti) di una facciata del disco: i vinili arrivavano a 25, massimo 30 minuti, e una Sinfonia come la Jupiter, che con i ritornelli - come abbiamo constatato - dura ben più di 40 minuti, non ci stava in una facciata ed era assai sconsigliabile costringere l’ascoltatore ad interrompere l’ascolto magari nel bel mezzo di un movimento per girare il vinile sul piatto del giradischi! E allora la soluzione più semplice, in questi casi, consisteva proprio nel sopprimere - magari con interventi di editing in studio - i da-capo.]

Blacher? Su questo particolare aspetto ha seguito l’esempio di Maazel privandoci (eh sì) della ripetizione della seconda sezione del Finale. Ma va ampiamente perdonato, per… tutto il resto che ci ha regalato, guidando Santaniello e la smagrita Orchestra in un autentico viaggio nell’apollineo mondo del Teofilo!

Successo pieno, applausi ritmati e conclusione in gloria!
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Appendice: Verklärte Nacht (Richard Dehmel)

Notte trasfigurata.

Due figure avanzano nel bosco freddo e spoglio,
osservano la luna che sembra accompagnarle nel cammino,
procede la luna sopra le alte querce,
non una nuvola turba la luminosità del cielo
dove scure si stagliano le cime dei monti.
Una voce di donna pronuncia queste parole:

"Io porto un bimbo in grembo, che non è figlio tuo,
io ti cammino al fianco nel peccato.
Ho recato una grave offesa a me stessa.
Non speravo più in una qualche felicità
e tuttavia desideravo ardentemente
una pienezza di vita, la felicità di attendere
ai doveri di una madre; e perciò ho avuto l'audacia
di offrire, con un brivido, il mio sesso
all'amplesso di uno sconosciuto,
e per questo mi sono sentita benedetta.
Ora la vita ha preso la sua vendetta:
e io ho incontrato te, proprio te."

Lei incede con passo incerto.
Alza lo sguardo, verso la luna che l'accompagna.
L'ombra, negli occhi di lei, ne beve la luce.
Una voce di uomo pronuncia queste parole:

"Che il bimbo che hai concepito
non ti sia di fardello per l'anima.
Guarda, come tutto l'universo è luminoso!
Lo splendore discende su ogni cosa qui attorno.
Stai viaggiando con me sopra un mare freddo,
eppure, un intimo calore passa vibrando
da te a me, da me a te.
Trasfigurerà il bimbo di un altro,
e tu lo partorirai per me, come mio figlio.
In me tu hai fatto penetrare lo splendore del mondo,
per merito tuo ritorno bambino."

Poi lui cinge con un abbraccio i fianchi appesantiti di lei.
I loro respiri si fondono in un bacio, nell'aria.
Due figure procedono nella notte vasta e chiara.

(traduzione di Ferdinando Albeggiani)

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Note programmatiche su Verklärte Nacht (di Arnold Schönberg, 1950)

 

Alla fine del secolo XIX, i principali rappresentanti dello Spirito del tempo in poesia erano Detlev von Liliencron, Hugo von Hofmannsthal e Richard Dehmel. Mentre, nel campo musicale, dopo la scomparsa di Brahms, molti giovani compositori seguirono il modello di Richard Strauss, componendo musica a programma. Ciò spiega l’origine di Verklärte Nacht: è musica a programma, che illustra ed esprime i contenuti del poema di Richard Dehmel.

 

Questa mia composizione era probabilmente abbastanza diversa da altre composizioni illustrative, innanzitutto perché non è destinata all’orchestra, ma ad un ensemble cameristico; secondariamente poiché non illustrava un’azione o un dramma, ma era intesa a dipingere la Natura e ad evocare sentimenti dell’animo umano. E mi pare che proprio a causa di questo approccio la mia composizione abbia acquisito qualità apprezzabili anche da chi non conosca l’oggetto che viene illustrato o, in altri termini: essa offre la possibilità di essere apprezzata come musica pura. Il che può consentire all’ascoltatore di dimenticare quel poema che molti, oggigiorno, potrebbero ritenere piuttosto disgustoso.

 

Ciononostante, buona parte del poema merita apprezzamento a causa della rappresentazione poetica di emozioni suscitate dalla bellezza della Natura, e per la sua peculiare attitudine a trattare problemi esistenziali di enorme portata. Seguiamo ora la musica.

  

(3”) Passeggiando in un parco,


(1’33”) in una notte di luna, chiara e fredda,

(2’36”)

 

(3’38”) la donna confessa all’uomo una tragedia, in un drammatico sfogo:


(4’37”) Lei aveva sposato un uomo che non amava. Un matrimonio che la lasciava infelice e sola…


(6’13”) …ma che la costringeva alla fedeltà,


(7’34”) ed ora, obbedendo al richiamo della maternità, lei si trova ad avere un figlio da un uomo che non ama. Eppure si considerava persino meritevole di aver compiuto il suo dovere verso gli obblighi impostile dalla Natura:

 

(9’23”) Un’ascensione cromatica, che elabora il motivo…

…esprime la sua auto-accusa per quel grave peccato.

 

(13’09”) Disperata, ora cammina dietro all’uomo…

…del quale è ora innamorata, temendo che la sua reazione sarà distruttiva.

 

(14’45”) Ma le risponde la voce di un essere umano, un uomo la cui generosità è sublime quanto il suo amore. Questa prima metà della composizione termina in MIb minore (a), del quale rimane, come in una transizione, solo il SIb (b) per collegarla con grande contrasto a RE maggiore (c):

 

(16’43”) Armonici (a) impreziositi da volate con la sordina (b) evocano la bellezza della notte di luna…

 

(17’01”) …e vi aggiungono uno scintillante accompagnamento:

 

(17’18”) Un tema secondario si fa largo,

 

(17’37”) subito trasformandosi in un duetto fra Violino e Cello:

 

La sezione riflette l’umore di un uomo il cui amore, in armonia con lo splendore e la luminosità della Natura, è capace di fargli ignorare la tragica situazione: "Il bimbo che tu porti non deve essere un peso per la tua anima."

 

(19’16”) Dopo aver raggiunto il punto culminante, il duetto si collega, tramite una transizione, ad un nuovo tema:

 

la cui melodia, esprimendo il "calore che scorre da uno di noi nell’altro", il calore dell’amore, è seguita da ripetizioni ed elaborazioni dei temi precedenti, e porta ad un nuovo tema:

(21’34”)

…che evoca la dignitosa decisione dell’uomo: questo calore "trasfigurerà il tuo bimbo, tanto da farlo diventare il mio bimbo".

 

(22’27”) Una salita riporta all’apice e alla ripetizione del tema dell’uomo.

 

(24'48”) Una lunga sezione di coda conclude il lavoro. Il suo materiale musicale consiste in temi delle parti precedenti, tutti rimessi a nuovo, così da render gloria ai miracoli della Natura, che hanno mutato una notte di tragedia in questa notte trasfigurata.

 

Non va dimenticato che il lavoro, alla sua prima esecuzione a Vienna, fu fischiato e scatenò perfino delle scazzottate. Ma ben presto diventò un brano di grande successo.

 

[Copyright by Arnold Schoenberg, August 26, 1950
from: Arnold Schönberg : Self-Portrait. A collection of articles, programme notes and letters by the composer about his own works. Edited by Nuria Schoenberg Nono. Pacific Palisades 1988, p. 119-123] 

10 febbraio, 2023

laVerdi 22-23. 15

Profondo ‘800 (= grande musica!!!) al centro del cartellone del 15° concerto dell’Orchestra Sinfonica di Milano, diretto da Víctor Pablo Pérez [secondo Wikipedia, un esperto di… Zarzuelas !!??!!] Però qui non dirige due operette spagnole rimaste a metà, ma due grandi Sinfonie incompiute! E dico subito che il 69enne iberico ha retto benissimo l’urto di questo impegnativo programma.

Il primo titolo è l’Incompiuta per antonomasia, quella catalogata come Ottava di Franz Schubert. Davvero una Sinfonia sui-generis, constando di due soli movimenti e per di più pochissimo contrastanti. Però… Schubert si riscatta con la sua straordinaria vena melodica, e nell’Andante mostra anche capacità di drammatizzazione della narrativa musicale.

Pérez (che ha preso la bacchetta solo nello Scherzo bruckneriano) con il suo gesto sempre privo di ogni affettazione, asciutto e misurato, ha perfettamente interpretato la natura della Sinfonia in SI minore, che poi rispecchia quella del suo Autore: dando grande risalto alla leggerezza e alla cantabilità dei temi, tenendo sempre dinamiche discrete e tempi comodi: insomma, proprio lo Schubert… viennese che – nel bene e nel male – si differenziò sempre dal nordico e impegnato Beethoven.

Il pubblico - non proprio nutritissimo, devo dire - dell’Auditorium ha però apprezzato assai.
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Ecco infine la poderosa (e ponderosa) Nona di Anton Bruckner, che rimase priva del Finale per… sopravvenuta scomparsa dell’Autore. Datosi che era stata dedicata al buon Dio… si potrebbe sospettare che il Dedicatario non abbia poi tanto gradito la dedica, impedendo d’autorità il completamento dell’opera. [Ma questa è solo una battuta di bassa lega, degna di qualche anti-bruckneriano incallito.]

In questo scritto, derivato da precedenti commenti alla Sinfonia, ho cercato di riassumerne sommariamente le circostanze della composizione e le caratteristiche salienti, che la configurano come l’estremo lascito musicale, ma soprattutto spirituale, del complesso e complessato ex-organista di SanktFlorian.

È un’opera, come altre - non tutte - sinfonie di Bruckner, che richiede un ascolto preparato, e mal si presta a fruizioni superficiali o passive. Perché non è semplice entrare in sintonia con questo compositore, la cui musica di primo acchito potrebbe apparire come contorta, o frammentaria, o addirittura priva di qualsivoglia narrativa. Persino un Brahms – che pure quanto a cerebralità delle sue composizioni non scherzava di certo – la considerava priva di senso e di logica, addirittura arrivando ad offenderla come ciarpame. (Però al funerale del vecchio Anton anche lui gli rese il dovuto omaggio…)

Pérez dimostra qui di sapersi destreggiare sapientemente nei meandri della musica di Bruckner (del resto scopriamo dalla sua biografia che non è nuovo ad interpretare questa ed altre famose None, Mahler compreso): l’approccio al primo movimento è proprio solenne, e le proverbiali pause bruckneriane sono sempre rispettate come si deve per questi silenzi che sono abissali assenze di suono.

Lo Scherzo è precisamente demoniaco, nei passaggi di pervicace martellamento degli ottoni o come negli svolazzi spiritati dei violini nel Trio. L’Adagio conclusivo è proprio un Purgatorio, popolato di grandi slanci verso il cielo e di rassegnata e serena attesa della fine (le tubette wagneriane dell’addio alla vita…) La lunga coda, con le tubette che scalano per due ottave (SI-MI-SI-MI-SI) l’accordo di MI maggiore dell’orchestra, lascia proprio senza fiato, e i 10 secondi abbondanti di silenzio che Pérez impone mantenendo alzate le braccia mettono il sigillo a questo viaggio verso… l’Assoluto.   

Lunghi applausi, anche ritmati, per il Direttore e ovazioni per i suonatori – capitanati da Dellingshausen - tutti chiamati, sezione per sezione, a godersi il meritato trionfo.