Ieri sera
appuntamento ormai tradizionale alla Scala
(che presentava ampi spazi vuoti nei palchi…) per il via della stagione de laVerdi, tutto
improntato a Ciajkovski (che occuperà
anche la locandina del primo concerto di giovedi 18 in Auditorium e sarà in
cartellone spesso e volentieri in questo lunghissimo 14-15). Sul podio Xian Zhang, che ha aperto le ostilità
con la Marcia slava: se questa sia più o meno esecrabile – quanto a
livello estetico – della successiva Ouverture
1812 lascio a ciascuno di giudicare… Entrambe furono commissionate al
compositore in occasione di ricorrenze o, come nel caso in questione, di
iniziative a supporto della Serbia che era da poco entrata in guerra contro
l’Impero Ottomano, e furono buttate giù in gran fretta, badando a enfasi e
retorica più che ad estetica musicale.
Non
risulta – per fortuna - che alcuno abbia mai impiegato questa versione tardo-sovietica
(perlomeno in registrazioni discografiche). E anche Xian l’ha accuratamente evitata, proponendoci l’originale, in cui le
note dell’Inno zarista (del 1833) si aggiungono a quelle dei tre canti popolari
della Serbia ed evocano l’intervento russo a fianco dei fratelli slavi nella lotta
di liberazione contro i turchi. Esecuzione trascinante come da copione.
La
composizione subì un bizzarro trattamento, 85 anni dopo la stesura originale,
allorquando (1961, a destalinizzazione ormai compiuta, si noti bene) tale Irina Iordan fu incaricata di produrre
una versione ufficiale del brano, nell’ambito della riedizione globale delle
opere di Ciajkovski. Bene, quello che Stalin non aveva chiesto in vita, fu
perpetrato 8 anni dopo la sua morte: eliminare – ovunque si trovassero –
riferimenti allo Zar! E così anche la Marcia slava – come pure l’Ouverture 1812
- fu purgata dalle citazioni dell’Inno Dio
salvi lo Zar. Prendiamo la prima delle sue due apparizioni: come si vede
dalla figura sottostante, Ciajkovski aveva introdotto qui soltanto le prime 5
battute e mezza dell’Inno; la Iordan lasciò soltanto le prime due, ma
sostituendo le note dell’Inno con quelle di una specie di filastrocca:
Quando, verso il
finale, riappare l’Inno, stavolta arricchito di parte della seconda strofa, la Iordan
camuffa la prima e poi taglia di netto le 4 battute di Andante molto maestoso che contengono la seconda!
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Il Secondo
Concerto per pianoforte ha avuto un’esistenza abbastanza travagliata e
ancora oggi la sua fama è offuscata (e mi sa tanto che lo sarà per sempre…) da
quella dell’inflazionato Primo: le
edizioni discografiche abbondano, quanto invece latitano le esecuzioni in
concerti dal vivo. Dell’opera esistono (almeno) due versioni: quella che ha
fatto testo per 60 anni (ed è stata eseguita ieri) è dovuta a tale Alexander Ilyich Ziloti, un pianista
allievo del compositore che fece poi fortuna in America e che, morto l’Autore,
si prese la libertà di far pubblicare (1897) il concerto in un’edizione da lui
liberamente rivista e corretta al di là di quanto precedentemente concordato
con Ciajkovski. L’altra, frutto di un lavoro (forse) più accademico che
estetico, è dovuta ad un allievo (guarda caso) dello stesso Ziloti: Aleksandr
Goldenweiser, che nel 1955 produsse la versione
(sedicente) originale dell’opera, basandosi sui manoscritti del compositore.
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L’Allegro brillante, 4/4 in forma-sonata
(ma… con alcuna licenza) e tonalità SOL maggiore, viene aperto dall’intera orchestra che introduce il tema
principale, subito ripreso dal solista, con poderosi accordi all’ottava. È un
tipico motivo di carattere russo, che chiude sulla relativa MI minore:
In questa tonalità l’orchestra lo sviluppa, poi raggiunta dal solista con
arpeggi di accompagnamento. Una transizione, caratterizzata inizialmente da un
dialogo fra pianoforte e corni e poi da una sezione esclusivamente occupata dal
solista, porta ad una pesante cadenza sulla dominante RE, che prelude all’esposizione
del secondo tema.
Il quale si presenta
con un drammatico passaggio dalla dominante RE alla sesta abbassata, MIb,
tonalità piuttosto lontana dal SOL di impianto, dove clarinetto e poi corno
attaccano la sezione introduttiva del secondo tema, un motivo che scende dalla
mediante alla dominante; quindi il solista espone la seconda, e principale, parte
del tema, assai più mossa:
Da notare la coppia
di crome (seconda ascendente) che richiama vagamente il primo tema. Dopo che il
solista (accompagnato dal flauto) ha esposto il tema, gli subentra l’orchestra
(che il pianoforte accompagna con arpeggi) che lo sviluppa ulteriormente fino ad
un nuovo intervento esclusivo del solista, cui segue un'altra transizione, in
dialogo stretto fra pianoforte e orchestra. Il tutto sfocia in un ritorno di
spezzoni del primo tema, scanditi dall’orchestra sui veloci arpeggi del
pianoforte, che si incarica poi di chiudere l’esposizione, sulla dominante SIb.
Lo sviluppo si apre con la salita di un
semitono, a DO, dove l’orchestra propone l’introduzione del secondo tema, in DO
maggiore; essa viene assai ampliata prima che il pianoforte esponga il motivo
principale, che l’orchestra porta verso il SIb dove il solista lo elabora in
una specie di cadenza anticipata. Essa sfocia nella retorica perorazione
dell’orchestra, accompagnata da pesanti scale di ottave ribattute del
pianoforte, di un motivo in MIb maggiore (derivato dal primo tema) di sapore Liszt-iano:
Ecco ora una lunga
transizione dove spezzoni dei due temi principali appaiono qua e là, in mezzo a
svolazzi in staccato degli strumentini. Questa sezione è stata tagliata di 24
battute (319-342) da Ziloti (è la sua principale, se non unica, manipolazione
fatta al primo movimento del concerto, e non mi pare sia un sacrilegio) e
conduce alla lunga cadenza del
solista, che chiude di fatto lo sviluppo.
Una cadenza dove i temi principali affiorano in mezzo ad un autentico marasma
(in senso buono!) virtuosistico.
Sui trilli delle
ottave di RE del pianoforte si innesta la ripresa,
con il primo tema esposto (in SOL maggiore) esclusivamente dall’orchestra
(forse per far riprender fiato al solista); anziché ripetere la sezione in MI
minore, l’orchestra sviluppa il tema con una lunga progressione, chiusa da
incisi marziali dei corni sul MI.
Questa volta il
passaggio al secondo tema avviene per abbassamento di un tritono (!) dal MI al
SIb dove i fiati espongono l’introduzione e subito il pianoforte riprende il
tema, seguito dall’orchestra. Abbiamo qui un passaggio simile a quello
conclusivo dell’esposizione, che ora sfocia però in una coda (nella quale avvertiamo la presenza del primo tema) dove
solista e orchestra si rincorrono fino ai tonfi che chiudono il movimento nel
canonico SOL maggiore.
L’Andante non troppo, 3/4 in RE maggiore, è il movimento che
Ziloti ha maggiormente… devastato (secondo lui con il consenso dell’Autore… ma
di ciò manca ogni solida controprova): cassandone ben 191 battute su 332,
dicasi quasi il 60% (!) e modificando sensibilmente le prime 46. In effetti
Ciajkovski ne aveva fatto quasi un triplo
per pianoforte, violino e violoncello, e ciò, va riconosciuto, cozzava contro i
sacri canoni dell’estetica musicale dei tempi; quindi non deve stupire se il
pianista Ziloti si sentisse sminuito da quelle invadenti e aliene interferenze…
(Per la cronaca, in quegli stessi anni il violoncellista Wilhelm Fitzenhagen
aveva steso una
sua versione delle Variazioni rococò
dello stesso Ciajkovski; e Sarasate si era rifiutato
di eseguire il Concerto per violino
di Brahms a causa del lungo – e intollerabile, secondo lui - intervento
dell’oboe che ne apre l’Adagio centrale.)
Gli archi suonano
sommessamente 8 battute introduttive, dopodichè il violino principale attacca
un recitativo di 11 battute che a sua volta prepara l’esposizione del primo tema,
sempre affidato al violino. È un tema che si suddivide a sua volta in tre
sezioni:
Ora il violoncello
principale esordisce con la sezione 2 del tema, mentre il violino gli fa eco
con delicati arpeggi; entrambi dialogano poi sulla sezione 3, allargata da 11 a
15 battute.
A questo punto fa la
sua entrata il pianoforte che espone a sua volta le tre sezioni del tema
principale, nello stesso numero di battute impiegate prima dal violino, ma con
una più ricca armonizzazione e ricchezza di suono, dovuta all’impiego di ottave
nella mano destra e all’accompagnamento di crome nella mano sinistra. Seguono
ora 16 battute in cui gli archi ripetono la sola sezione 2 del tema,
ampliandola a mo’ di cadenza e preparando così l’arrivo di una seconda e
corposa sezione del movimento: è il nuovo intervento del pianoforte che espone
un secondo tema, spalleggiato inizialmente dai legni, poi dagli archi che gli
subentrano nel condurre la melodia, e infine dai fiati, in un continuo
crescendo di pathos e di volume di suono che crea un evidente contrasto con il
carattere intimistico del primo tema, fino a sfociare in un climax caratterizzato da una serie di
accordi in fff del pianoforte sulle
semiminime in tremolo degli archi e le discese di quelle secche dei fiati.
Anche la tonalità ha subito modulazioni e progressioni continue, dal SI minore
al SOL maggiore, fino al SIb.
Ora violino e
violoncello per 23 battute, interrotte da due battute in arpeggio del
pianoforte su accordi dell’intera orchestra, espongono un altro motivo
secondario, sfociante in sei perentori accordi chiusi da uno schianto di
settima diminuita. Qui violino e violoncello si alternano in tre brevi cadenze,
chiuse da quella del violino che riporta la tonalità al RE.
Si riprende quindi
con il primo tema (sempre di 27 battute, come nelle due precedenti esposizioni)
suonato ora dai due strumenti ad arco ed accompagnato dal pianoforte con
accordi di semiminime. Seguono, sempre nei due archi e senza il pianoforte,
ancora le sezioni 2 e 3, quest’ultima assai ampliata, prima che torni il
pianoforte a chiudere questa ripresa con dolci accordi sul SOL maggiore. È
sempre il pianoforte a condurre per 4 battute un’ultima cadenza, che riporta la tonalità a RE maggiore; poi ha inizio una Coda che vede protagoniste anche le
trombe, che intercalano accordi del pianoforte, e poi gli strumentini che si
inseriscono con incisi puntati sugli arabeschi del solista, insieme alle
marziali terzine della tromba. Ancora un ondeggiamento di tonalità, prima che
le ultime 11 battute riportino la serenità del RE maggiore con la conclusione morendo.
Orbene, questo il contenuto dell’originale. Ma Ziloti? Ecco, la tabella
che segue riporta schematicamente la struttura e i contenuti delle due
versioni: in rosso le parti tagliate da Ziloti, in verde quelle mantenute e in
giallo quelle variate; queste ultime riguardano l’introduzione del primo tema,
che Ziloti ha trasferito dal violino al (suo) pianoforte, e la sostituzione
dell’esposizione dello stesso tema al violino (battute 20-46) con quella
successiva al pianoforte (battute 66-92) ma con sonorità smagrita (via le
ottave della mano destra):
Balza subito
all’occhio la dimensione dei tagli (di norma comportano una drastica riduzione
della durata, che passa dai circa 15’ dell’originale a poco più di 9’): i quali
tagli - che fra l’altro eliminano del tutto il secondo gruppo tematico, oltre
che la porzione modulante della cadenza conclusiva - finiscono con lo snaturare
completamente il brano, che diventa in sostanza monotematico e viene quindi
privato del contrasto fra le due sezioni. Dopodichè ognuno può giudicare i
risultati dell’operazione in base alla propria sensibilità.
Il finale è un Allegro con fuoco, 2/4 in SOL maggiore, dove
Ziloti (per fortuna!?) si è limitato a piccoli e quasi impercettibili mutamenti
della parte pianistica (ad esempio raddoppi o soppressioni di ottave e 4
battute di tacet prima della chiusa)
e dell’agogica, senza però toccarne minimamente la struttura. La quale è del
resto abbastanza semplice: in sostanza è costituita da due gruppi tematici che
vengono esposti in sequenza per due volte, collegati da ponti più o meno
lunghi, e da una coda brillante che chiude il concerto.
Sull’accordo di SOL
maggiore dell’intera orchestra il solista entra con il primo tema di 5 note ben
marcate, che sale per gradi da dominante a tonica e torna sulla dominante; gli
fa seguito la risposta che chiude sulla sopratonica:
Dopo che il tutto è
stato ripetuto, ancora il solista, spalleggiato dal clarinetto, presenta uno
spiritoso controsoggetto del primo tema, sempre in SOL maggiore:
Questo non solo viene
ripetuto, ma dà luogo ad uno sviluppo in cui pianoforte e orchestra dialogano
animatamente, fino a che una sequenza di semicrome degradanti del pianoforte
non porta alla riesposizione del primo tema. Qui però abbiamo una mezza
sorpresa: dopo le due riproposte del soggetto principale, ecco un repentino
afflosciarsi dei clarinetti, quasi che venisse a mancare il respiro…
E infatti, su una
specie di ansimante brontolio degli archi ecco il pianoforte esporre il secondo
tema, nella relativa MI minore:
È un motivo dal
carattere quasi eroico (à la Liszt,
si potrebbe dire, o anche di sapore straussiano) che viene poi ripreso e
sviluppato dall’orchestra, dopodiché spezzoni del secondo tema danno luogo ad
un lungo ponte, con volate ondeggianti del solista inframmezzate da schianti
dell’orchestra, che portano alla ripresa del tema principale (soggetto e
controsoggetto esposti due volte). Riudiamo quindi il secondo tema, ora in RE
minore, poi il controsoggetto, adesso nella relativa FA maggiore.
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Propongo adesso, fra i tanti che la
nostra tecnologica civiltà ci rende disponibili, un esempio di ognuna delle due
versioni: qui Emil Gilels (non Sviatoslav Richter come
recita il titolo!) suona con Maazel e la New Philharmonia quella di Ziloti; ecco
invece la versione originale eseguita da Igor Zhukov con Gennady Rozhdestvensky e la leggendaria Orchestra della
Radiotelevisione Sovietica: non vi manca una sola battuta,
al contrario di ciò che avviene in parecchie altre esecuzioni, dove tipicamente (e incomprensibilmente, devo
dire) viene accorciata, seguendo più o meno Ziloti, la chiusura dell’Andante (così Mikhail Pletnev o Denis Matsuev o ancora Boris
Berezovsky).
Il 32enne Giuseppe Andaloro (uno che ha le
idee chiarissime…) lo ha interpretato, per me, in modo assai appropriato,
mettendo in risalto le caratteristiche percussive
del brano, un trattamento del pianoforte dove Ciajkovski anticipa il ‘900:
particolarmente efficace la lunghissima e massacrante cadenza dell’Allegro iniziale. Nell’Andante lo hanno ben spalleggiato, pur nella portata ridotta (da
Ziloti!) dei loro interventi, Santaniello
e Grigolato (per avvicinare il
violoncello al violino la disposizione dell’orchestra è stata – solo per il
concerto – modificata, spostando al centro i violoncelli e portando i violini secondi
al proscenio). Riascolteremo Andaloro fra pochi giorni nel celeberrimo Primo.
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Ha completato
la serata la Quinta Sinfonia, che a giugno aveva chiuso la stagione 13-14 sotto
la bacchetta di Jader Bignamini. Devo
dire che ieri sera (complice forse l’acustica scaligera, assai più dispersiva di
quella dell’Auditorium) l’esecuzione non mi ha lasciato del tutto entusiasta: non
è mancata qualche sbavatura qua e là (come ad esempio nell’attacco del corno dell’Andante cantabile, dove Amatulli non è stato impeccabile come altre volte… forse il taglio della lunga chioma gli ha fatto l’effetto-Sansone, smile!) Devo dire che Bignamini mi aveva
convinto di più anche sotto l’aspetto dell’approccio interpretativo, più asciutto
e lineare rispetto a quello di Xian, tutto volto a mettere in evidenza i chiaroscuri
e fin troppo enfatico (emblematica la sua chiusa, con le 4 semiminime scandite a
lunghezza raddoppiata…)
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