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15 settembre, 2014

Orchestraverdi – Avvio della stagione 14-15

 

Ieri sera appuntamento ormai tradizionale alla Scala (che presentava ampi spazi vuoti nei palchi…) per il via della stagione de laVerdi, tutto improntato a Ciajkovski (che occuperà anche la locandina del primo concerto di giovedi 18 in Auditorium e sarà in cartellone spesso e volentieri in questo lunghissimo 14-15). Sul podio Xian Zhang, che ha aperto le ostilità con la Marcia slava: se questa sia più o meno esecrabile – quanto a livello estetico – della successiva Ouverture 1812 lascio a ciascuno di giudicare… Entrambe furono commissionate al compositore in occasione di ricorrenze o, come nel caso in questione, di iniziative a supporto della Serbia che era da poco entrata in guerra contro l’Impero Ottomano, e furono buttate giù in gran fretta, badando a enfasi e retorica più che ad estetica musicale.

La composizione subì un bizzarro trattamento, 85 anni dopo la stesura originale, allorquando (1961, a destalinizzazione ormai compiuta, si noti bene) tale Irina Iordan fu incaricata di produrre una versione ufficiale del brano, nell’ambito della riedizione globale delle opere di Ciajkovski. Bene, quello che Stalin non aveva chiesto in vita, fu perpetrato 8 anni dopo la sua morte: eliminare – ovunque si trovassero – riferimenti allo Zar! E così anche la Marcia slava – come pure l’Ouverture 1812 - fu purgata dalle citazioni dell’Inno Dio salvi lo Zar. Prendiamo la prima delle sue due apparizioni: come si vede dalla figura sottostante, Ciajkovski aveva introdotto qui soltanto le prime 5 battute e mezza dell’Inno; la Iordan lasciò soltanto le prime due, ma sostituendo le note dell’Inno con quelle di una specie di filastrocca:


Quando, verso il finale, riappare l’Inno, stavolta arricchito di parte della seconda strofa, la Iordan camuffa la prima e poi taglia di netto le 4 battute di Andante molto maestoso che contengono la seconda!

Non risulta – per fortuna - che alcuno abbia mai impiegato questa versione tardo-sovietica (perlomeno in registrazioni discografiche). E anche Xian l’ha accuratamente evitata, proponendoci l’originale, in cui le note dell’Inno zarista (del 1833) si aggiungono a quelle dei tre canti popolari della Serbia ed evocano l’intervento russo a fianco dei fratelli slavi nella lotta di liberazione contro i turchi. Esecuzione trascinante come da copione.
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Il Secondo Concerto per pianoforte ha avuto un’esistenza abbastanza travagliata e ancora oggi la sua fama è offuscata (e mi sa tanto che lo sarà per sempre…) da quella dell’inflazionato Primo: le edizioni discografiche abbondano, quanto invece latitano le esecuzioni in concerti dal vivo. Dell’opera esistono (almeno) due versioni: quella che ha fatto testo per 60 anni (ed è stata eseguita ieri) è dovuta a tale Alexander Ilyich Ziloti, un pianista allievo del compositore che fece poi fortuna in America e che, morto l’Autore, si prese la libertà di far pubblicare (1897) il concerto in un’edizione da lui liberamente rivista e corretta al di là di quanto precedentemente concordato con Ciajkovski. L’altra, frutto di un lavoro (forse) più accademico che estetico, è dovuta ad un allievo (guarda caso) dello stesso Ziloti: Aleksandr Goldenweiser, che nel 1955 produsse la versione (sedicente) originale dell’opera, basandosi sui manoscritti del compositore.
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L’Allegro brillante, 4/4 in forma-sonata (ma… con alcuna licenza) e tonalità SOL maggiore, viene aperto dall’intera orchestra che introduce il tema principale, subito ripreso dal solista, con poderosi accordi all’ottava. È un tipico motivo di carattere russo, che chiude sulla relativa MI minore:

In questa tonalità l’orchestra lo sviluppa, poi raggiunta dal solista con arpeggi di accompagnamento. Una transizione, caratterizzata inizialmente da un dialogo fra pianoforte e corni e poi da una sezione esclusivamente occupata dal solista, porta ad una pesante cadenza sulla dominante RE, che prelude all’esposizione del secondo tema.

Il quale si presenta con un drammatico passaggio dalla dominante RE alla sesta abbassata, MIb, tonalità piuttosto lontana dal SOL di impianto, dove clarinetto e poi corno attaccano la sezione introduttiva del secondo tema, un motivo che scende dalla mediante alla dominante; quindi il solista espone la seconda, e principale, parte del tema, assai più mossa:

Da notare la coppia di crome (seconda ascendente) che richiama vagamente il primo tema. Dopo che il solista (accompagnato dal flauto) ha esposto il tema, gli subentra l’orchestra (che il pianoforte accompagna con arpeggi) che lo sviluppa ulteriormente fino ad un nuovo intervento esclusivo del solista, cui segue un'altra transizione, in dialogo stretto fra pianoforte e orchestra. Il tutto sfocia in un ritorno di spezzoni del primo tema, scanditi dall’orchestra sui veloci arpeggi del pianoforte, che si incarica poi di chiudere l’esposizione, sulla dominante SIb.

Lo sviluppo si apre con la salita di un semitono, a DO, dove l’orchestra propone l’introduzione del secondo tema, in DO maggiore; essa viene assai ampliata prima che il pianoforte esponga il motivo principale, che l’orchestra porta verso il SIb dove il solista lo elabora in una specie di cadenza anticipata. Essa sfocia nella retorica perorazione dell’orchestra, accompagnata da pesanti scale di ottave ribattute del pianoforte, di un motivo in MIb maggiore (derivato dal primo tema) di sapore Liszt-iano:

Ecco ora una lunga transizione dove spezzoni dei due temi principali appaiono qua e là, in mezzo a svolazzi in staccato degli strumentini. Questa sezione è stata tagliata di 24 battute (319-342) da Ziloti (è la sua principale, se non unica, manipolazione fatta al primo movimento del concerto, e non mi pare sia un sacrilegio) e conduce alla lunga cadenza del solista, che chiude di fatto lo sviluppo. Una cadenza dove i temi principali affiorano in mezzo ad un autentico marasma (in senso buono!) virtuosistico.

Sui trilli delle ottave di RE del pianoforte si innesta la ripresa, con il primo tema esposto (in SOL maggiore) esclusivamente dall’orchestra (forse per far riprender fiato al solista); anziché ripetere la sezione in MI minore, l’orchestra sviluppa il tema con una lunga progressione, chiusa da incisi marziali dei corni sul MI.

Questa volta il passaggio al secondo tema avviene per abbassamento di un tritono (!) dal MI al SIb dove i fiati espongono l’introduzione e subito il pianoforte riprende il tema, seguito dall’orchestra. Abbiamo qui un passaggio simile a quello conclusivo dell’esposizione, che ora sfocia però in una coda (nella quale avvertiamo la presenza del primo tema) dove solista e orchestra si rincorrono fino ai tonfi che chiudono il movimento nel canonico SOL maggiore.

L’Andante non troppo, 3/4 in RE maggiore, è il movimento che Ziloti ha maggiormente… devastato (secondo lui con il consenso dell’Autore… ma di ciò manca ogni solida controprova): cassandone ben 191 battute su 332, dicasi quasi il 60% (!) e modificando sensibilmente le prime 46. In effetti Ciajkovski ne aveva fatto quasi un triplo per pianoforte, violino e violoncello, e ciò, va riconosciuto, cozzava contro i sacri canoni dell’estetica musicale dei tempi; quindi non deve stupire se il pianista Ziloti si sentisse sminuito da quelle invadenti e aliene interferenze… (Per la cronaca, in quegli stessi anni il violoncellista Wilhelm Fitzenhagen aveva steso una sua versione delle Variazioni rococò dello stesso Ciajkovski; e Sarasate si era rifiutato di eseguire il Concerto per violino di Brahms a causa del lungo – e intollerabile, secondo lui - intervento dell’oboe che ne apre l’Adagio centrale.)

Gli archi suonano sommessamente 8 battute introduttive, dopodichè il violino principale attacca un recitativo di 11 battute che a sua volta prepara l’esposizione del primo tema, sempre affidato al violino. È un tema che si suddivide a sua volta in tre sezioni:


Ora il violoncello principale esordisce con la sezione 2 del tema, mentre il violino gli fa eco con delicati arpeggi; entrambi dialogano poi sulla sezione 3, allargata da 11 a 15 battute.

A questo punto fa la sua entrata il pianoforte che espone a sua volta le tre sezioni del tema principale, nello stesso numero di battute impiegate prima dal violino, ma con una più ricca armonizzazione e ricchezza di suono, dovuta all’impiego di ottave nella mano destra e all’accompagnamento di crome nella mano sinistra. Seguono ora 16 battute in cui gli archi ripetono la sola sezione 2 del tema, ampliandola a mo’ di cadenza e preparando così l’arrivo di una seconda e corposa sezione del movimento: è il nuovo intervento del pianoforte che espone un secondo tema, spalleggiato inizialmente dai legni, poi dagli archi che gli subentrano nel condurre la melodia, e infine dai fiati, in un continuo crescendo di pathos e di volume di suono che crea un evidente contrasto con il carattere intimistico del primo tema, fino a sfociare in un climax caratterizzato da una serie di accordi in fff del pianoforte sulle semiminime in tremolo degli archi e le discese di quelle secche dei fiati. Anche la tonalità ha subito modulazioni e progressioni continue, dal SI minore al SOL maggiore, fino al SIb.

Ora violino e violoncello per 23 battute, interrotte da due battute in arpeggio del pianoforte su accordi dell’intera orchestra, espongono un altro motivo secondario, sfociante in sei perentori accordi chiusi da uno schianto di settima diminuita. Qui violino e violoncello si alternano in tre brevi cadenze, chiuse da quella del violino che riporta la tonalità al RE.

Si riprende quindi con il primo tema (sempre di 27 battute, come nelle due precedenti esposizioni) suonato ora dai due strumenti ad arco ed accompagnato dal pianoforte con accordi di semiminime. Seguono, sempre nei due archi e senza il pianoforte, ancora le sezioni 2 e 3, quest’ultima assai ampliata, prima che torni il pianoforte a chiudere questa ripresa con dolci accordi sul SOL maggiore. È sempre il pianoforte a condurre per 4 battute un’ultima cadenza, che riporta la tonalità a RE maggiore; poi ha inizio una Coda che vede protagoniste anche le trombe, che intercalano accordi del pianoforte, e poi gli strumentini che si inseriscono con incisi puntati sugli arabeschi del solista, insieme alle marziali terzine della tromba. Ancora un ondeggiamento di tonalità, prima che le ultime 11 battute riportino la serenità del RE maggiore con la conclusione morendo.

Orbene, questo il contenuto dell’originale. Ma Ziloti? Ecco, la tabella che segue riporta schematicamente la struttura e i contenuti delle due versioni: in rosso le parti tagliate da Ziloti, in verde quelle mantenute e in giallo quelle variate; queste ultime riguardano l’introduzione del primo tema, che Ziloti ha trasferito dal violino al (suo) pianoforte, e la sostituzione dell’esposizione dello stesso tema al violino (battute 20-46) con quella successiva al pianoforte (battute 66-92) ma con sonorità smagrita (via le ottave della mano destra):


Balza subito all’occhio la dimensione dei tagli (di norma comportano una drastica riduzione della durata, che passa dai circa 15’ dell’originale a poco più di 9’): i quali tagli - che fra l’altro eliminano del tutto il secondo gruppo tematico, oltre che la porzione modulante della cadenza conclusiva - finiscono con lo snaturare completamente il brano, che diventa in sostanza monotematico e viene quindi privato del contrasto fra le due sezioni. Dopodichè ognuno può giudicare i risultati dell’operazione in base alla propria sensibilità.

Il finale è un Allegro con fuoco, 2/4 in SOL maggiore, dove Ziloti (per fortuna!?) si è limitato a piccoli e quasi impercettibili mutamenti della parte pianistica (ad esempio raddoppi o soppressioni di ottave e 4 battute di tacet prima della chiusa) e dell’agogica, senza però toccarne minimamente la struttura. La quale è del resto abbastanza semplice: in sostanza è costituita da due gruppi tematici che vengono esposti in sequenza per due volte, collegati da ponti più o meno lunghi, e da una coda brillante che chiude il concerto.

Sull’accordo di SOL maggiore dell’intera orchestra il solista entra con il primo tema di 5 note ben marcate, che sale per gradi da dominante a tonica e torna sulla dominante; gli fa seguito la risposta che chiude sulla sopratonica:

Dopo che il tutto è stato ripetuto, ancora il solista, spalleggiato dal clarinetto, presenta uno spiritoso controsoggetto del primo tema, sempre in SOL maggiore:

      
Questo non solo viene ripetuto, ma dà luogo ad uno sviluppo in cui pianoforte e orchestra dialogano animatamente, fino a che una sequenza di semicrome degradanti del pianoforte non porta alla riesposizione del primo tema. Qui però abbiamo una mezza sorpresa: dopo le due riproposte del soggetto principale, ecco un repentino afflosciarsi dei clarinetti, quasi che venisse a mancare il respiro…

E infatti, su una specie di ansimante brontolio degli archi ecco il pianoforte esporre il secondo tema, nella relativa MI minore:


Esso viene subito ripetuto dal solista e poi ripreso dai legni, con il pianoforte a contrappuntarlo con veloci volate di semicrome. Il motivo si sviluppa in un dialogo fra solista e orchestra, fino a sfociare direttamente in un controsoggetto che germina dal tema, ma in modo maggiore (SOL):

È un motivo dal carattere quasi eroico (à la Liszt, si potrebbe dire, o anche di sapore straussiano) che viene poi ripreso e sviluppato dall’orchestra, dopodiché spezzoni del secondo tema danno luogo ad un lungo ponte, con volate ondeggianti del solista inframmezzate da schianti dell’orchestra, che portano alla ripresa del tema principale (soggetto e controsoggetto esposti due volte). Riudiamo quindi il secondo tema, ora in RE minore, poi il controsoggetto, adesso nella relativa FA maggiore.

Spezzoni del secondo tema si incaricano ora di condurre il ponte verso la Coda: qui l’orchestra esplode, in SOL, l’incipit del tema principale, poi il pianoforte attacca una brevissima cadenza beethoveniana che pare condurre direttamente alla conclusione: ma invece dell’accordo di SOL maggiore ne arriva uno di sesta minore! Una pausa ed ecco la spumeggiante coda, con spezzoni del tema principale che affiorano nel generale fracasso, fino agli schianti che mettono il sigillo al concerto.  
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Propongo adesso, fra i tanti che la nostra tecnologica civiltà ci rende disponibili, un esempio di ognuna delle due versioni: qui Emil Gilels (non Sviatoslav Richter come recita il titolo!) suona con Maazel e la New Philharmonia quella di Ziloti; ecco invece la versione originale eseguita da Igor Zhukov con Gennady Rozhdestvensky e la leggendaria Orchestra della Radiotelevisione Sovietica: non vi manca una sola battuta, al contrario di ciò che avviene in parecchie altre esecuzioni, dove tipicamente (e incomprensibilmente, devo dire) viene accorciata, seguendo più o meno Ziloti, la chiusura dell’Andante (così  Mikhail Pletnev o Denis Matsuev o ancora Boris Berezovsky).

Il 32enne Giuseppe Andaloro (uno che ha le idee chiarissime…) lo ha interpretato, per me, in modo assai appropriato, mettendo in risalto le caratteristiche percussive del brano, un trattamento del pianoforte dove Ciajkovski anticipa il ‘900: particolarmente efficace la lunghissima e massacrante cadenza dell’Allegro iniziale. Nell’Andante lo hanno ben spalleggiato, pur nella portata ridotta (da Ziloti!) dei loro interventi, Santaniello e Grigolato (per avvicinare il violoncello al violino la disposizione dell’orchestra è stata – solo per il concerto – modificata, spostando al centro i violoncelli e portando i violini secondi al proscenio). Riascolteremo Andaloro fra pochi giorni nel celeberrimo Primo.
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Ha completato la serata la Quinta Sinfonia, che a giugno aveva chiuso la stagione 13-14 sotto la bacchetta di Jader Bignamini. Devo dire che ieri sera (complice forse l’acustica scaligera, assai più dispersiva di quella dell’Auditorium) l’esecuzione non mi ha lasciato del tutto entusiasta: non è mancata qualche sbavatura qua e là (come ad esempio nell’attacco del corno dell’Andante cantabile, dove Amatulli non è stato impeccabile come altre volte… forse il taglio della lunga chioma gli ha fatto l’effetto-Sansone, smile!) Devo dire che Bignamini mi aveva convinto di più anche sotto l’aspetto dell’approccio interpretativo, più asciutto e lineare rispetto a quello di Xian, tutto volto a mettere in evidenza i chiaroscuri e fin troppo enfatico (emblematica la sua chiusa, con le 4 semiminime scandite a lunghezza raddoppiata…)

Ma ogni volta è comunque un piacere ascoltarla e ascoltarli! Immancabile quindi il trionfo per tutti.

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