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21 agosto, 2011

ROF-2011 – Mosè in Egitto


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Questo Mosè aveva fatto notizia, più che per la prestazione musicale, per le polemiche suscitate dall'allestimento di Graham Vick, sul quale torno più sotto.

Rispetto alla prima, udita via-radio, mi è parso di notare un certo miglioramento in alcune prestazioni dei singoli. Alex Esposito (Faraone) ha tenuto da par suo il ruolo, senza mostrare affanni o incertezze. Sonia Ganassi (Elcìa) pur con i limiti congeniti legati alla sua voce (più da mezzo, che da soprano) mi è parsa più sicura e meno urlacchiante, anche se in generale questo ruolo non è forse il massimo per lei. Discreto l'Osiride di Dimitri Korchak, voce ben passante, che ha un filino sforzato gli acuti nei suoi consiglio e periglio del secondo atto. Riccardo Zanellato si conferma un Mosè autorevole, con voce ben impostata e potente. Discreta l'Amaltea di Olga Senderskaya, che ben ha esposto la sua aria del second'atto, e molto positivo l'Aronne di Yijie Shi. Enea Scala (Mambre) e Chiara Amarù (Amenofi) all'altezza dei non proibitivi compiti. Forse qualche sbavatura si è notata nei numeri d'insieme (ad esempio nel quartetto del sotterraneo) ma in complesso c'è da essere abbastanza soddisfatti.

Bene il coro e bene l'orchestra. Roberto Abbado ha forse ecceduto in un paio di occasioni con il fracasso, coprendo le voci (c'è da dire che all'Adriatic Arena l'orchestra è sistemata a livello del parterre e non in buca, quindi forse il suono ne esce meno amalgamato) ma la sua è stata comunque una direzione più che apprezzabile, così come quella di Lorenzo Fratini.

Alle chiamate singole finali solo applausi e bravo! per tutti (chi più, chi meno). Ciò porterebbe a pensare che i buh - isolati per l'aria della Ganassi e dopo lo stellato soglio, più consistenti al calare del (virtuale) sipario - fossero destinati al regista, che peraltro non si è fatto vedere.

E quindi è arrivato il momento di Vick. Il quale, giusto per fare qualcosa di un-conventional (secondo quella prassi tanto consolidata, quanto bizzarra, dei festival, che vengono, chissà perché, trattati alla stregua di laboratori in cui sperimentare qualunque idiozìa) ha pensato bene di trasportare il Mosè dal Vecchio Testamento al ventesimo secolo, raccontandoci la storia dello Stato di Israele, diciamo dal primissimo dopoguerra fino ai giorni nostri. Ci intravediamo le conseguenze dell'attentato all'Hotel King David (1946) e/o della strage di Deir Yassin (1948), le attività clandestine delle formazioni para-terroristiche Stern e Irgun, magari il piano Dalet e infine la Zahal (oggi IDF, con il suo possente carro armato) e il muraglione che divide i bantustan della West Bank dal mondo civile e democratico. Come dire: ciò che il Vecchio Testamento descrive a livello soprannaturale, qualcuno lo ha messo di recente in pratica sul piano squisitamente materiale e senza andarci troppo per il sottile (il Mosè che imbraccia il mitra, più che BinLaden, potrebbe essere Vladimir Jabotinsky!) E così si sono creati i presupposti per l'imitazione, impersonificata dal ragazzino egizio che si trasforma in kamikaze.

Una bella lezione di storia, nulla da dire. Ma noi andiamo a teatro per meditare sulla storia? O per quello non ci sono già trasmissioni TV, tipo Annozero (trasmissione per cui nutro profonda stima e ammirazione)? Quando sulla scena vediamo un uomo soffocare una donna e poi pugnalarsi, che proviamo? Orrore, disgusto, nausea, come quando vedessimo quella scena in TV, nella realtà quotidiana? No di certo, poiché un tale Giuseppe Verdi ha saputo evocare in noi il piacere estetico, che soltanto un'opera d'arte ci può procurare. Perché l'arte (la musica, nel nostro caso) è in grado di aggiungere poesia anche alla realtà materiale e ai fatti più orribili. Nemmeno il verismo si è mai sognato di trasformare l'opera lirica nella pagina di cronaca nera o politica di un giornale: perchè ha cercato (magari non sempre riuscendovi al meglio) di poetizzare anche la cronaca nera. Invece Vick è riuscito nella mirabile impresa di spoetizzare una grande opera d'arte, riducendola a cronaca politica. Sì, perché Rossini e il suo librettista Tottola non si proponevano certo di presentarci uno spaccato di realtà politica o religiosa, né tanto meno di fare apologia dell'ebraismo: trassero spunto dall'Antico Testamento semplicemente per costruire un'opera d'arte, che non a caso resiste come tale nei secoli. Invece, sequestrare il Mosè di Rossini per trasformarlo in colonna sonora di un'inchiesta giornalistica è semplicemente – appunto – un sequestro. Perpetrato da chi, per accreditare il suo allestimento dell'opera, deve ricorrere nientemeno che al discredito dell'Antico Testamento!

Ora, a chi sostiene che anche il teatro musicale non può rinchiudersi in una torre d'avorio, ignorando i problemi della realtà contemporanea, dico: benissimo, accomodatevi, chiedete a drammaturghi e compositori di scrivere e comporre opere che abbiano a sfondo la crisi mediorientale o la bolla speculativa, la manovra di 3monti o l'ennesimo omicidio del serial-killer di turno. E l'ultimo fulgido esempio di opera contemporanea che tratta problemi della nostra decadente società ce lo ha presentato pochi mesi orsono il Teatro alla Scala, con Quartett di Francesconi. Basta volere e impegnarsi… poi caso mai constateremo quali siano i risultati dell'impresa in termini estetici e in termini di successo di pubblico. Una cosa è comunque certa: a nessun compositore – a partire dall'antichità, fino ai giorni nostri – sarebbe venuta l'ispirazione di comporre una musica come quella di Rossini per accompagnare questo Mosè di Vick.

Off topic (?) Oggi a Rimini gran trionfo per un altro Mosè: il nostro sempre più amato (e indispensabile per… attraversare il guado) Presidente Napolitano.
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