Nessun dubbio che il teatro, l’opera e i concerti siano gestiti in Italia in modo spesso discutibile, a volte vergognoso. Ma a parte le giuste osservazioni di chi fa notare che Baricco, in questo brodo, ci sguazza e ci fa profitti, resta il fatto che - senza un energico intervento sulla scuola (dalle elementari, se non dall’asilo) - il destino è segnato: quando i non più giovani di oggi se ne saranno andati, per ragioni biologiche, nessuno più frequenterà teatri e sale da concerto, e il problema troverà una soluzione naturale. Resteranno, per i pochi aficionados o per nuovi curiosi, le riproduzioni e le registrazioni fatte in studio, con opere tagliuzzate o rivisitate per essere appetibili da un pubblico sempre più ignorante degli originali.
Quindi, se la collettività decide che invece è il caso di salvare Mozart, Verdi e magari addirittura John Cage, bisogna necessariamente che investa sui piccoli, avviandoli per tempo alla conoscenza di ciò che noi (pochi) grandi consideriamo dei tesori di cui perpetuare il godimento, oltre che strumenti di innalzamento dell’umano spirito e di freno all’imbarbarimento della civiltà.
Quanto alla TV, riprendere lo spirito della vecchia e cara TV-dei-ragazzi, affiancando a cartoni e mazinga anche qualche ben camuffata lezioncina su Bach o Stravinsky non sarebbe male. E forse la cosa potrebbe anche essere finanziata - oltre che dallo Stato, come suggerisce Baricco dimenticandosi che noi (non so lui) già paghiamo il canone - dalla stessa pubblicità, che potrebbe offrire ai melomani in erba dei prodotti artistici per loro espressamente confezionati.
Poi bisogna comunque intendersi su come si pensa di offrire al pubblico gli spettacoli. Se continui ad avere un senso la rappresentazione dal vivo, in teatro o in auditorium (il che presenta immediatamente il problema della non sostenibilità dei costi secondo le leggi del mercato) oppure se - per rendere profittevole il business, esentando quindi lo Stato o i mecenati dal finanziarlo - si debba ricorrere in modo massiccio alla diffusione (a pagamento) degli spettacoli con strumenti ICT (Information & Communication Technology) cosa che molti importanti teatri (MET, ROH) e filarmonici (Berliner) stanno già cominciando a fare. Il risultato è quello di un allargamento della diffusione della conoscenza, che serva a finanziare la sempre ristretta diffusione dell’esperienza. Sapendo che ciò comporta anche aspetti diseducativi, dato che la fruizione via etere o cavo poco ha a che vedere con l’ascolto e la visione dal vivo. Può darsi che il futuro - grazie anche al progresso tecnologico - ci metta in condizione di provare, dal divano di casa, la stessa identica sensazione che si ha stando seduti sulla poltroncina della Scala, in un teatro virtuale... ma mi pare oggi ancora un’utopia.
In tema di provocazioni, propongo questo lavoretto, una specie di ricerca o tesina scolastica, fatto da un quindicenne americano (in USA non stanno molto meglio di noi, in fatto di educazione musicale nella scuola). L’impressione che se ne deriva è quella di una straordinaria padronanza dei mezzi tecnici applicata ad una conoscenza della materia del tutto superficiale (per non chiamarla ignoranza totale) chiaramente fondata su estemporanee ricerche google, wiki e youtube. Un esempio di ciò che è e rischia sempre più di essere il modo del futuro di vivere la musica e l’arte.
Quindi, se la collettività decide che invece è il caso di salvare Mozart, Verdi e magari addirittura John Cage, bisogna necessariamente che investa sui piccoli, avviandoli per tempo alla conoscenza di ciò che noi (pochi) grandi consideriamo dei tesori di cui perpetuare il godimento, oltre che strumenti di innalzamento dell’umano spirito e di freno all’imbarbarimento della civiltà.
Quanto alla TV, riprendere lo spirito della vecchia e cara TV-dei-ragazzi, affiancando a cartoni e mazinga anche qualche ben camuffata lezioncina su Bach o Stravinsky non sarebbe male. E forse la cosa potrebbe anche essere finanziata - oltre che dallo Stato, come suggerisce Baricco dimenticandosi che noi (non so lui) già paghiamo il canone - dalla stessa pubblicità, che potrebbe offrire ai melomani in erba dei prodotti artistici per loro espressamente confezionati.
Poi bisogna comunque intendersi su come si pensa di offrire al pubblico gli spettacoli. Se continui ad avere un senso la rappresentazione dal vivo, in teatro o in auditorium (il che presenta immediatamente il problema della non sostenibilità dei costi secondo le leggi del mercato) oppure se - per rendere profittevole il business, esentando quindi lo Stato o i mecenati dal finanziarlo - si debba ricorrere in modo massiccio alla diffusione (a pagamento) degli spettacoli con strumenti ICT (Information & Communication Technology) cosa che molti importanti teatri (MET, ROH) e filarmonici (Berliner) stanno già cominciando a fare. Il risultato è quello di un allargamento della diffusione della conoscenza, che serva a finanziare la sempre ristretta diffusione dell’esperienza. Sapendo che ciò comporta anche aspetti diseducativi, dato che la fruizione via etere o cavo poco ha a che vedere con l’ascolto e la visione dal vivo. Può darsi che il futuro - grazie anche al progresso tecnologico - ci metta in condizione di provare, dal divano di casa, la stessa identica sensazione che si ha stando seduti sulla poltroncina della Scala, in un teatro virtuale... ma mi pare oggi ancora un’utopia.
In tema di provocazioni, propongo questo lavoretto, una specie di ricerca o tesina scolastica, fatto da un quindicenne americano (in USA non stanno molto meglio di noi, in fatto di educazione musicale nella scuola). L’impressione che se ne deriva è quella di una straordinaria padronanza dei mezzi tecnici applicata ad una conoscenza della materia del tutto superficiale (per non chiamarla ignoranza totale) chiaramente fondata su estemporanee ricerche google, wiki e youtube. Un esempio di ciò che è e rischia sempre più di essere il modo del futuro di vivere la musica e l’arte.
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