ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

06 agosto, 2017

ROF-XXXVIII. Torna Le Siège


Dopo 17 anni fa la sua ricomparsa al ROF una delle opere più interessanti di Rossini. Interessante soprattutto perchè è la prima vera opera (per carità, non intendo con ciò squalificare Il Viaggio a Reims...) predisposta dal Gioachino (1826) appositamente per il teatro francese, quindi con struttura (3 e non 2 atti) lingua (francese e non italiano) e contenuti (tenore al posto del contralto en-travesti, balletti, ambientazione geo-storica) confacenti a gusti, tradizione e attualità politica di quel mercato.

Dico predisposta, e non composta, dacchè sappiamo come essa fu in realtà un rimaneggiamento, peraltro sostanzioso, del Maometto II di origine napoletana (1820) poi già emigrato a Venezia (1822-23) previo opportunistico - e geopolitico! - travestimento, consistente nel disinvolto ribaltamento del finale tragico in uno strampalato lieto-fine (Tancredi a rovescio, per dire...) preso di peso a prestito dalla Donna del Lago

Il ritorno dell’opera in patria (L’assedio di Corinto) avvenne poi con la traduzione in italiano del libretto francese, opera del solito Calisto Bassi, preceduta però da un’altra (diversa, attribuita vuoi allo stesso Bassi o ad anonimo) impiegata per la prima esecuzione (in forma di concerto) in Italia, giovedi 27 dicembre del 1827 a Roma:


Fu un ritorno costellato da una lunga serie di manomissioni, prima fra tutte il ripristino sempre più frequente del contralto en-travesti per il ruolo di Neocle (che però nella citata prima esecuzione italiana del 1827 fu ancora interpretato da un tenore, Pietro Angelini, come pure alla Scala, da Gioachino Musatti nel 1828 e da Atanasio Pozzolini nel 1853...) Nella seconda metà del ‘900 la versione italiana fu poi inquinata, oltre che dalla standardizzazione del ruolo di Neocle al contralto, dal ripescaggio di parti del Maometto omesse da Rossini nel Siège. Tutto ciò finì per nuocere gravemente alla salute dell’opera. (Come scrisse il compianto Gossett, che su Rossini la sapeva lunga più di chiunque altro: a guadagnarci furono solo alcune cantanti che ci costruirono la carriera, a perderci fu... il povero Rossini). 
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Il Maometto si giovò del testo di un gran letterato (Cesare Della Valle, Duca di Ventignano) che vi condensò quello di una sua tragedia in 5 atti (Anna Erizo): siamo nel 1470 a Negroponte, nome dato dagli occupanti veneziani alla lunga isola, nota come Eubea, che corre da nord-ovest a sud-est, a nord di Atene, parallelamente al continente dal quale è separata da un istmo assai stretto (50m, località Calcide) dove Maometto II sta per piegare la resistenza dei difensori veneziani. È quindi uno sfondo storico, ma la tragedia del Della Valle (e quindi il libretto e quindi l’opera rossiniana) più che su di esso si focalizza sul dramma della vicenda personale (nulla di storico qui, ma un’invenzione bella e buona!) dei protagonisti: il condottiero musulmano e Anna, figlia del Provveditore (bailo) veneziano Paolo Erisso. Che si sarebbero incontrati tempo addietro a Corinto (dove storicamente mai risulta essersi trattenuto l’Erisso) e colà innamoratisi (lui spacciandosi per Uberto, plenipotenziario veneziano a Mitilene-Lesbo). Maometto per amore è disposto ad elevare Anna al ruolo di moglie e Regina. Ma lei, fedele agli ideali patriottici del padre e del suo innamorato veneziano (Alvise) Calbo, contralto en-travesti, piuttosto che cedere a colui che amava (ma si è poi rivelato come il nemico più pericoloso) si trafigge con un pugnale, per dare al tiranno musulmano un esempio del valore degli italiani (e di tutta la civiltà occidentale, aggiungo io) che gli renderanno la vita difficile quando cercherà di conquistarli all’Islam.

Su Anna Erizzo, la cui stessa esistenza mai è stata storicamente provata, si sono in compenso scritte tragedie a profusione; fra le quali una (farsesca, tipo... Aretino) davvero strepitosa, opera dell’abate (!?) Angelo Maria Barbero (1773) in cui la bella Anna si trasforma in novella Giuditta ed eroicamente taglia di netto il capo pisello di Mehemed! (Poi i suoi cari vengono semplicemente segati e/o impalati e lei stessa, con annessa segretaria, arsa viva...)

È interessante qui notare qualche differenza non insignificante fra il contenuto della tragedia del Della Valle e quello del libretto (che peraltro da quella riprende proprio di peso interi passaggi). Differenza che riguarda in particolare alcuni dettagli relativi alle circostanze dell’incontro fra Maometto (sedicente Uberto) e Anna a Corinto. Nella tragedia vengono presentati alcuni dettagli che nel libretto furono invece cassati: Erisso, prevedendo l’attacco turco a Corinto, si reca a Venezia per chiedere oro e risorse per la difesa della città, in cui lascia la moglie inferma e la figlia Anna. La quale racconta poi tutti i particolari del suo incontro con il sedicente Uberto: un bel giorno la dimora sua e di sua madre venne avvolta dalle fiamme e le due donne furono miracolosamente salvate da due individui, uno dei quali (il sedicente Uberto) manifestò poi simpatia e amore per Anna; sentimenti che svanirono di colpo, insieme alla persona che li manifestava, nel momento stesso in cui lei gli comunicò l’imminente ritorno del padre (!) Anna confessa di aver pianto questa perdita per un lustro e mezzo mentre Maometto confesserà di aver rivisto Anna dopo quasi due lustri (10 anni).

Ciò ci porta a ipotizzare che – nella tragedia del Della Valle - l’episodio incriminato sia da collocare temporalmente proprio durante l’assedio (e l’incendio) di Corinto, quindi nel 1459. Qui peraltro nasce una chiara contraddizione, poichè Maometto ha confidato di aver visitato Corinto (e Argo e Negroponte) su ordine del padre, che però morì nel 1451 (anno del re-insediamento di Maometto a sultano): ergo Maometto doveva essere a Corinto in missione ben prima del 1451, e non già ai tempi dell’assedio, da lui stesso posto alla città nel 1459! Per di più, è davvero inverosimile che il sultano in persona fosse in giro per Corinto incendiata e per caso gli capitasse di salvare una donna cristiana!

Il libretto è invece assai più vago: Anna confessa il suo innamoramento ai tempi di Corinto, quando il padre la lasciò per recarsi a Venezia, ma nulla riconduce nel suo racconto all’imminenza dell’assedio; non solo, ma lei non rivela per nulla le circostanze precise dell’incontro (incendio e salvataggio da parte del finto Uberto) gettando quindi sul suo amante il sospetto di essere null'altro che un volgare millantatore ed approfittatore.

Va ora ricordato un piccolo ma significativo particolare: Rossini modificò d’autorità il testo del Della Valle, che chiudeva l’opera con un riferimento, per così dire, politico: alla concisa, poetica e patriottica esternazione di Anna sostituì una prosaica e privata rivelazione (di fatto più vicina al finale della tragedia d’origine) che Maometto e gli astanti commentano con melodrammatiche quanto banali esclamazioni di circostanza:

Maometto II
Cesare Della Valle

ANNA (appoggiandosi al sepolcro della madre)
E tu che Italia… conquistar… presumi…
impara or tu… da un’itala donzella
che ancora degli eroi la patria è quella.
(cade morta appiè del sepolcro.)

Rossini

ANNA
Sul cenere materno
io porsi a lui la mano,
il cenere materno
abbia il mio sangue ancor!

MAOMETTO e CORO
T’arresta, che istante orribile!
Oh giorno di dolor!
Già muore, oh Dio, la misera;
oh giorno di dolor!

Quando, nel 1826, Rossini si sentì praticamente obbligato a presentare al pubblico francese un’opera dai caratteri locali, era in pieno svolgimento la guerra di liberazione greca dai musulmani, che porterà - di lì a tre anni - al definitivo riconoscimento dell’indipendenza della Grecia dall’Impero ottomano, e a Parigi i progressisti e liberali, ma anche artisti di avanguardia, ne facevano una bandiera, strumentalizzandola contro le posizioni reazionarie del governo borbone, tanto che, pochi mesi prima della creazione del Siège, Rossini aveva diretto le prove di un concerto in appoggio ai ribelli greci, che aveva avuto enorme risonanza.

Quale che sia stato il peso della politica sulla scelta del titolo della prima opera autenticamente francese di Rossini, è innegabile che il soggetto del Maometto napoletano potesse essere sfruttato a fini, come dire, pubblicitari, e così ecco che con qualche ritocco di ambientazione, il Maometto, messo sotto i ferri dei librettisti Luigi Balocchi (quello del Viaggio) e Alexandre Soumet, si trasformò nel Siège. Qui, a fronteggiare gli sbifidi musulmani, al posto dei veneziani, sono i patrioti greci e il teatro dell’azione è Corinto (oggi nota per il famoso istmo) che si trova ad ovest di Atene; e il periodo è di 11 anni anticipato (1459) rispetto alla presa di Negroponte, teatro del Maometto napoletano.



Maometto II è sempre lui (in gallico: Mahomet), solo un po’ più giovane, e la co-protagonista prende il nome di Pamira, figlia del capo dei greci (Cléomène) di cui Mahomet si è invaghito tempo addietro incontrandola ad Atene, sotto le mentite spoglie di Almanzor. Il suo amante greco è Néoclès (il Calbo veneziano, ma ora tenore). Pamira, dopo aver ceduto, pur intimamente combattuta e maledetta dal padre, alle profferte del capo musulmano, si pente e alla fine si suicida, mentre i suoi compatrioti, fra l’esultanza barbara dei turchi, danno alle fiamme la cittadella pur di non cadere in schiavitù.

Un aspetto importante è che, anche qui nel Siége come nel Maometto, Rossini decide di alterare sensibilmente il testo del finale dell’opera. Che prevede la massima concisione della chiusa - un semplice quanto disperato O patria! dei greci, dove il suicidio di Pamira nemmeno è esplicitamente mostrato, per lasciare la scena all’evocazione dell’orrenda carneficina - a sostituire l‘esternazione della protagonista e delle sue donne, il suo suicidio e la disperazione di Mahomet, contrappuntata dall’esultanza dei musulmani:

Le Siège de Corinthe
Luigi Balocchi e Alexandre Soumet

MAHOMET
Que Pamira soit ma conquête!
Qu’on la saisisse! Allez!…

PAMIRA
Arrête,
Ou ce poignard perce mon sein.

MAHOMET (avec effroi)
Pamira!..
  







Ciel! quelle tempête,
Autour de nous, mugit soudain.
(On entend éclater l’incendie; le mur s’écroule.)






CHOEUR DE GRECS
O Patrie!

PAMIRA
(On voit Corinthe embrasée.)
Entends le chant de notre fête;
Vois le flambeaux de notre hymen.

Ensemble
ISMENE, CHOER de FEMMES
Chantons, chantons l’hymne au courage!
Un Dieu nous voit du haut des cieux;
Pour fuir les fers de l’esclavage,
Corinthe expire dans les feux.

PAMIRA
Chantons, chantons l’hymne au courage!
Un Dieu nous voit du haut des cieux;
Pour fuir les fers de l’esclavage,
Ce fer sacré reste à mes voeux.
(Elle se frappe.)

MAHOMET
Cruel délire! aveugle rage!
Nuit sanglante! dèsastre affreux!
Pour fuir les fers de l’esclavage,
Corinthe expire dans les feux.

CHOEUR DE MUSULMANS
Heureux délire! ô douce image!
Corinthe expire dans les feux.
Tous ces malheurs sont notre ouvrage,
le sort enfin comble nos voeux.
(La toile tombe.)
Rossini

MAHOMET
Que Pamira soit ma conquête!
Qu’on la saisisse! Allez!…

PAMIRA
Arrête,
Ou ce poignard perce mon sein.

MAHOMET
Pamira!..
(On entend un bruit sourd. Des flammes se font jour à travers les murs qui s’ébranlent et s’écroulent au fond. Les soldats dans le plus grand trouble gagnent la droite du public; et sur les mots:)

MAHOMET, CHOEUR DE TURCS
Ciel! quelle tempête,
Autour de nous, mugit soudain.
(Tout le fond s’écroule et laisse voir l’embrasement de Corinthe. A travers les flammes et les décombres on voit les musulmans poursuivre les Grecs et les égorger avec rage. Les femmes se jettent à genoux.)

CHOEUR DE GRECS (dans le lointain)
O Patrie!
(Tout le théâtre est en feu! Le rideau baisse sur cet horrible tableau.)

Ecco, mentre a Napoli Rossini spostava l’enfasi dal politico al privato, a Parigi fece praticamente il contrario, così accontentando il vasto pubblico impegnato della capitale francese.

Per la verità al patriottismo dei greci, assai enfatizzato rispetto all’opera napoletana (si pensi solo alla struggente benedizione dei vessilli da parte di Hiéros) si contrappone sì la barbarie musulmana (però... cosa non è quell’Hymne!) ma non quella del sultano, la cui figura viene ulteriormente nobilitata (per così dire) rispetto a quella del Maometto napoletano, che già aveva marcati tratti di magnanimità e sensibilità agli affetti e al sentimento. Qui il sultano addirittura ordina ai suoi rozzi e sanguinari soldati, che vorrebbero devastare ogni cosa (e che alla fine esulteranno per l’incendio appiccato dagli stessi greci alla cittadella) di risparmiare tutte le opere pubbliche e i monumenti d’arte di Corinto, perchè tramandino ai posteri la sua gloria e la sua grandezza!
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Il libretto francese dovette ovviamente passare al vaglio della censura: due revisioni letterarie e poi il nulla-osta del segretario del Ministro dell’Interno. I due revisori usarono frasi di questo genere:

- non si è mai visto un soggetto dalla concezione più falsa e dall’intrigo più miserabile;
- che l’uomo più celebre dell’universo abbia potuto intrattenere un legame amoroso sotto mentite spoglie, è cosa che più incredibile non si può;
- che possa essere sbocciato un amore fra un musulmano e una cristiana virtuosa è cosa spiegabile soltanto con l'eccessiva libertà che in Italia si concede a librettisti e drammaturghi;
- il matrimonio in-extremis fra Pamira e Néoclès (che lei non ama!) è una ridicola scimmiottatura di quello di Tancredi (che almeno era amato...)

Tuttavia i revisori si dichiararono onorati di suggerire l’autorizzazione alla messinscena. Quanto al segretario del Ministro, si limitò a citare quattro versi pericolosi: chiedendo, come condizione per l’OK, di eliminare i riferimenti alla LibertéPasseranno pochi anni prima che (nel Tell) la libertà venga tollerata. Nel 1875 Bizet potrà farla gridare a squarciagola ai suoi briganti spagnoli.
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A mo’ di cazzeggio, vediamo invece cosa comporta questo sdoppiamento rossiniano dell'esistenza maomettana: provando a correlare le vicende dei due libretti (esclusa quindi la tragedia Anna Erizo, di cui abbiamo già osservato alcune incongruenze); facendo attenzione alle date (anche quelle storicamente accertate della vita del sultano) e muovendoci in sequenza cronologica.

Nel Maometto napoletano il sultano confida di aver visitato – in veste di inviato-spia di suo padre nel campo nemico – Argo, Negroponte e Corinto. Essendo lui (nato nel 1432) divenuto definitivamente sultano alla morte del padre nel 1451 (quindi a 19 anni) ne consegue che al tempo di quelle missioni esplorative doveva avere al massimo 17-18 anni. Orbene, a Corinto lui incontra (presentandosi come Uberto) Anna e se ne innamora, ricambiato. Subito dopo, o subito prima (apprendiamo dal Siège parigino, dove si limita a dire di aver percorso la Grecia sotto il nome di Almanzor) Mahomet incontra ad Atene Pamira, di cui si innamora, ricambiato.

A questo punto (1451) lui (ri)diventa sultano e comincia la sua inarrestabile carriera di conquistatore (Fātih): nel 1453 espugna Costantinopoli, poi arriva a Corinto (1459, a 27 anni) e qui (Siége) ritrova Pamira, cui conferma il suo amore (scoppiato almeno 10 anni prima) ma ottenendone un rifiuto ed essendo testimone dell’eroica fine di lei, suicida.

11 anni dopo, nel 1470 (quindi a 38 anni) Maometto assedia Negroponte e (stando al testo del Maometto II) vi ritrova Anna (che non può certo essere una giovincella, a questo punto...) cui conferma il suo amore (scoppiato almeno 20 anni prima!) ma ottenendone un rifiuto ed essendo testimone dell’eroica fine di lei, suicida proprio come Pamira!

Insomma, nel microcosmo rossiniano il sultano fa proprio la figura del conquistatore... di femmine; anzi, in stretta osservanza della poligamia islamica, lui ne conquista un paio quasi contemporaneamente. Poi però, quando le ritrova a distanza di anni e anni e si rivela loro come il conquistatore del mondo intero, ecco che le due donne (pur verosimilmente... ehm... mature se non proprio appassite) lo respingono con disprezzo e, pur di non concedersi, si suicidano (!)

Che dire? Diamo ragione ai censori parigini? Potenza dei libretti d’opera!!!
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E la musica? Sempre per restare sul piano delle curiosità, parliamo di imprestiti e auto-imprestiti da opere sue o di altri, a cui Rossini non si sottrasse nemmeno per il Siège, dove ovviamente la parte del leone la fa Maometto II, per evidenti ragioni. Ma non mancano catene di imprestiti, come il tema che compare nell’Ouverture subito dopo le 28 battute introduttive (a loro volta mutuate da Bianca&Falliero): si tratta della Marche lugubre grecque, che Rossini fu accusato di aver copiato di peso dalla Marcia religiosa dall’oratorio scenico Atalia di Johann Simon Mayr, che lui conosceva bene per averlo diretto a Napoli nel 1822. In realtà quel tema non è nemmeno di Mayr, ma è preso quasi alla lettera (da Mayr prima e da Rossini poi) dall’aria Signor, non tardi dunque il tuo soccorso dal Salmo XXI di Benedetto Marcello (si ascolti qui da 21’55”) che a sua volta si ispirava a quelli ebraici del tedesco Heinrich Schütz:


Si noti in particolare la sestina evidenziata in rosso alla fine della frase: è uno sviluppo, piuttosto bizzarro e persino quasi sgrammaticato, della chiusa della prima frase (evidenziata in blu). Ebbene, si noterà come Rossini l’abbia copiata di sana pianta, ma lo stesso aveva fatto prima di lui il Mayr (si ascolti qui a 42”). L’unico dubbio che rimane è se Rossini abbia copiato Mayr o direttamente l’originale di Marcello...

Per restare all’Ouverture, in essa troviamo il tema del finale dell’Atto II (con relativo crescendo): esso viene dal Gloria della Messa di gloria, contemporanea del Maometto II. Qualcosa dell’ouverture del Viaggio a Reims fa capolino nel balletto del second’atto. Il quale si apre (quando non con l’aria di Pamira) con la ballata di Ismène e coro (L’hymen lui donne une couronne) presa pari-pari dal primo atto di Ermione (Dall’Oriente l’astro del giorno). E dalla stessa Ermione è mutuato il finale dell’atto primo (Pirro, deh serbami la fé giurata) che, dopo essere stato impiegato in Eduardo&Cristina (Signor, deh, moviti – Sgombrate o perfidi) migra con qualche variazione nel Siège (Jour dèplorable - Fille rebelle). 

Mettendo insieme citazioni di autori diversi si viene a conoscenza di un’altra complessa filiera di imprestiti, quella che produsse l’aria di Néoclès (C’est toi, c’est toi, grand Dieu) nel terz’atto del Siège: secondo Jean Cabourg (l’Avant-Scène-Opéra, 1985) essa proviene dalla Gazza ladra, ma da un’aria che non si ascolta mai, precisamente da Barbara sorte, aria alternativa per il primo atto composta appositamente a Napoli nel 1819 per il Fernando del tenore Andrea Nozzari (che nella circostanza si esibiva da... baritono); a sua volta Arrigo Quattrocchi segnalò (1997) come quest’ultima aria si basi sul tema dell’ostinato orchestrale del finale dell’atto I di Eduardo&Cristina!

Insomma, il grande Gioachino sapeva bene come e dove trovare ogni volta le tessere del nuovo mosaico che andava costruendo, e il mosaico riusciva sempre, miracolosamente, perfetto!

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