Questa
mattina alle 11 è andata in scena in anteprima, in un Piermarini
discretamente affollato, la
nuova opera di Silvia Colasanti (commissionatale dal
Teatro) omaggio alla scrittrice e poetessa russa (ma nata in Ukraina) Anna
Andreïevna Gorenko (autochiamatasi Achmatova, dal nome di suoi pretesi
avi tatari) la cui vita attraversò, nel secolo scorso, l’intero percorso
storico compiuto dal suo Paese a partire dagli ultimi anni dello zarismo, poi
dalla Grande Guerra e fino alla cosiddetta de-stalinizzazione e all’arrivo al
potere in URSS di Leonid Brezhnev.
Pietroburghese
di famiglia agiata, nata nel 1889 in una località balneare ucraina (Bolshoi
Fontan) a sud di Odessa, ancora sotto lo Zar potè viaggiare in
Europa (anche in Italia e a Parigi, dove incontrò ed ebbe una relazione con Modigliani)
e poi passò, come molti altri ucraini famosi (Prokofief, ad esempio)
gran parte della sua vita nella Russia sovietica, divenendo anche membro dell’Unione
degli scrittori russi. Visse così gli anni bui dello stalinismo, contro il
quale prese posizione attraverso le sue opere letterarie, che le attirarono perciò
la fastidiosa attenzione delle autorità.
Durante
la WWII supportò la resistenza ai nazi della sua Leningrado con sue
poesie patriottiche, trasmesse dagli altoparlanti nelle vie della città, come
accadde anche alla Settima Sinfonia di Shostakovich. Città dove, peraltro,
suo figlio Lev Gumilëv era stato incarcerato
come sovversivo, prima di finire in un Gulag. Messa al bando dal regime, a Stalin
defunto ottenne una tardiva riabilitazione e fu anche candidata per due anni al
Premio Nobel, poco prima di morire, nel 1966, in un sanatorio nei pressi di
Mosca.
Qui
una fulminante presentazione della figura di Anna, opera del grande Alessandro Barbero.
E qui
la presentazione del lavoro di Colasanti, condotta a due voci dall’autrice in
coppia con l’impareggiabile Fabio Sartorelli.
Un
soggetto, quindi, di grande attualità (rapporto fra arte/artista e potere
dispotico, ruolo della donna nella società) ideato praticamente in coincidenza
con l’invasione russa dell’Ukraina.
Soggetto
– liberamente ispirato alle opere letterarie e alle vicende esistenziali della
Achmatova - messo
in parole dall’esperto di letteratura russa Paolo Nori (affiancato
da Fabrizio Sinisi) e in scena da Giulia Giammona (con scenografia
di Lisa Behensky, costumi di Giada Masi, luci di Andrea
Giretti, video di Martin Mallon e coreografia di Andrea Bareggi). L’Orchestra
è quella degli Accademici scaligeri, diretti per le prime quattro delle
nove recite da Anna Skryleva, cui subentreranno Paolo Spadaro e Bruno
Nicoli. Il Coro femminile, parimenti accademico, è affidato a Dario
Grandini.
L’opera
(un atto unico di circa 60’ di durata) ripercorre le vicende di Anna partendo
dai suoi ultimi giorni in ospedale, poi retrocedendo nel tempo (1966 > 1938
> 1911) e quindi tornando al 1966 (con tappe al 1915 > 1921 > 1933
> 1934 > 1935> 1941 > 1940). In
scena sono sempre l’ultima Anna e l’amica Lidia (di 17 anni più giovane)
interpretate da due attrici che recitano la prosa dei loro interventi su un
sottofondo musicale discreto e normalmente assai lento e monotòno; le due sono
raggiunte di volta in volta dai personaggi che animano i nove flash-back
ambientati nel citato percorso nel passato, personaggi che cantano normalmente,
con appropriato accompagnamento strumentale: la Anna più giovane (Anna-del-Passato)
e dieci personaggi storicamente vissuti, più il personaggio allegorico del Potere,
il coro delle Madri di Leningrado e un personaggio che semplicemente
aleggia, il figlio di Anna, Lev, invano atteso dalla madre che morirà senza
poterlo rivedere.
La
musica di Colasanti è tendenzialmente diatonica, con poche escursioni
dissonanti per sottolineare le scene più crude della vicenda. L’Orchestra – 27 elementi
- è sistemata ben più in alto rispetto al piano della buca; una fisarmonica serve
a impreziosire alcuni passaggi tipicamente russi della partitura. Da ricordare
il ruolo del Glockenspiel ad evocare il mellifluo quanto ipocrita ammiccare
del personaggio del Potere, nella sua aria propagandistica.
La
scena occupa sostanzialmente il proscenio, con una struttura prismatica a due
piani all’interno della quale si muovono gli interpreti, in quattro ambienti
contigui. Anna e Lidia si sistemano di norma ai lati della struttura, salvo entrarvi
quando l’azione lo rende necessario. Sullo sfondo un grande schermo reca
indicazioni delle diverse tappe della vicenda o filmati e fotografie
(dell’epoca, o ritraenti gli interpreti) a supporto del fluire degli
avvenimenti.
I costumi
sono fedeli all’epoca storica in cui è ambientato il soggetto. Evocativo dell’attualità
che viviamo oggi l’abbigliamento delle tre Anne: lunghe vesti di colore blu e
scialli o sciarpe di colore giallo. In scena compaiono anche due bambini, che impersonano Lev e Anna da piccoli.
Le
due voci recitanti protagoniste (Anna e Lidia) sono quelle eccellenti di Elena
Ghiaurov e Carlotta Viscovo, mentre tutte quelle cantanti meritano
di essere accomunate in un collettivo elogio, proprio come ha fatto il pubblico,
che alla fine ha tributato lunghe ovazioni ed applausi a tutti indistintamente gli
artefici di questa impresa: gli Autori, gli interpreti e gli addetti a questa produzione
che davvero onora il Teatro.
___
Appendice.
Il soggetto dell’opera.
1966
Sanatorio di Domoedovo. Lidia assiste Anna, ormai in fin di vita. Affiorano
ricordi.
1938
Carcere Le Croci di Leningrado. Anna
ricorda gli anni del terrore e le notti passate davanti al carcere dove era
imprigionato il figlio Lev. Appaiono Le Madri dei carcerati e la Anna-del-Passato,
che rievocano quei momenti, quando stavano per ore in fila sperando di poter
parlare ai loro cari imprigionati. Ora Anna spera che il figlio venga a
trovarla, ma lui non arriva. Ricorda, quasi in sogno, il marito Nikolaj Gumilev
che torna dall’Africa, nel 1911.
1911
Pietroburgo.
Gumilev è tornato dall’Africa e incita la moglie a scrivere un libro. Si
profila ormai all’orizzonte la Grande Guerra, e Anna ne è impaurita, Nicolaj
deve andare al fronte, ma lei allo stesso tempo è inebriata dall’amore.
1915
Pietroburgo.
Anna-del-Passato legge una sua poesia (Dammi molti anni di malattia) in cui si
dice pronta a rinunciare a tutto, purchè sulla Russia torni a splendere il
sole. Il marito le mette fretta, devono andare ad una festa. Mentre scoppia la
guerra? Sì, dobbiamo ballare, fosse anche l’ultimo ballo… A casa di Zinaida Gippius
c’è il fiore degli intellettuali scomodi (Pasternak fra loro).
Gran festa, ma compare la figura del Potere… Anna ricorda il marito, andato in guerra per
la Patria e poi, dopo la rivoluzione, fucilato dalla Patria. Perché, se poi fu
riabilitato? Per niente. Lidia però le ricorda quando lei imparava a memoria le
poesie di Anna, bruciandone poi i fogli, per evitare guai con la polizia. Ma così
le poesie erano potute arrivare, tramite la sua memoria, anche nei Gulag.
La poetessa Marina Cvetaeva ricorda i suoi scontri con i critici
asserviti al regime e la sua fuga all’estero, simile a quella di tanti artisti
(Rachmaninov, Stravinski, Nabokov, Prokofiev) di cui però si era
pentita, tornando in Russia [come Prokofiev, ndr] sia pure per morirvi.
1921
Pietroburgo.
Anna-del-Passato ha un commovente incontro con il poeta Mandel’štam.
Anna ricorda lui e gli altri, compreso Pasternak e il suo Dottor Zivago.
1933
Pietroburgo,
casa di Anna. Mandel’štam recita versi di Chlebnikov, che
irridono il potere; Pasternak dissente, e allora Mandel’štam declama una sua
ode a Stalin, piena di sarcasmo, al punto che Anna-del-Passato tura le
orecchie al figlio Lev! Nuova apparizione del Potere! Anna e Lidia ricordano
le tristi vicende di loro mariti, parenti e amici, messi a morte dal potere e
magari poi riabilitati. Perché? Per niente!
1934
Mosca,
casa di Pasternak. Suona il telefono: è Stalin! Che gli imputa l’amicizia
con Mandel’štam, arrestato come sovversivo. Pasternak si schermisce e Stalin
gli mostra tutto il suo disprezzo. Anna ricorda di aver scritto a Stalin per
implorare la liberazione del figlio Lev e del marito Punin, imprigionati dal
regime.
1935
Mosca.
Anna-del-Passato chiede aiuto a Bulgakov perché interceda presso
Stalin, consegnandogli la lettera. Bulgakov la avverte che Stalin sa tutto,
legge tutto, anche i pensieri della gente! Anna-del-Passato e Anna (che
intercala) leggono la supplica a Stalin. Supplica che Stalin esaudirà! Anna ora
chiede se il figlio Lev è per caso arrivato. Arriva invece Marina Cvetaeva,
che recita i versi di Anna (Dammi molti anni di malattia) scritti nel
1915. Ecco, la Russia si salvò, ma adesso ti hanno preso figlio e amico: ciò
che si scrive in poesia, poi si avvera! Si presenta anche Mandel’štam, che
recita, insieme ad Anna-del-Passato, versi di serena rassegnazione.
1941
Leningrado.
I nazi sono alle porte, ma dagli altoparlanti nelle strade esce la voce di Anna-del-Passato
(Tutta la mia vita è stata unita a
Leningrado) [Si
ode la vera voce registrata di Anna, ndr]. Lidia ricorda come la ascoltavano alla radio, da
Tashkent dove erano sfollati. La ricorda Pasternak, pure sfollato; la ascoltava
anche Bulgakov, dalla sua tomba a Novodevice; la ascoltava anche Marina
Cvetaeva, dalla fossa comune dove era sepolta; la ascoltava Mandel’štam, anche
lui in una fossa comune. Si avanzano alcuni uomini emaciati; il poeta Gorodecki
ricorda come orientavano gli altoparlanti verso il nemico, per fargli
ascoltare la Settima di Shostakovich [dall’orchestra
ne salgono, allargate, le note iniziali, ndr]: Noi siamo ancora vivi perché non uccidiamo, no: cantiamo.
Ma
ora si fa avanti il Potere. Che arringa il pubblico, rimproverandogli la
sua sete di libertà, che ha portato gli orribili frutti della guerra.
No, il Potere vi darà la felicità, tutto ciò che desiderate; ma ad una
condizione, di prendersi la vostra libertà!
A
Lidia che domanda se solo in Russia c’è un simile potere, Anna risponde che l’antidoto
è la poesia! E, ricordando le interminabili e fredde notti di
quel 1938 trascorse davanti al carcere sperando di aver notizie del figlio, lei
ha trovato la poesia e le donne (In Russia, voi lo sapete, tolte le donne
non resta più niente). Anna spera ancora che Lev venga a tm trovarla, ma
Lidia la disillude.
1940
Leningrado, le carceri. Anna-del-Passato e le Madri ancora
pregano per tutte le donne che passavano intere giornate davanti a quel carcere.
E Anna risponde a sua volta con il ricordo di quei giorni, che resterà
indelebile [nei suoi
versi di Requiem, ndr]; e se la sua bocca verrà messa a tacere, ebbene, saranno loro, quelle
Madri, a ricordarla. E se poi qualcuno pensasse di farle un monumento, ecco, lo
innalzi lì, davanti a quelle rosse mura carcerarie.
E dalle immobili palpebre di bronzo,
la neve che si scioglie scorra come lacrime,
e il colombo delle carceri tubi, lontano,
e vadano, tranquille, le navi lungo il fiume.
___