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flottiglie in piazza

04 ottobre, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano – 25-26.1- Tjeknavorian

Come praticamente ogni altra città italiana, anche Milano ieri è stata attraversata (e pure circondata) da flotte frotte di cittadini che non possono più assistere in silenzio e indifferenza a fronte di ciò che avviene in Palestina, e in particolare a Gaza. Senza che chi ci rappresenta tutti faccia qualcosa di più che emettere imbarazzati balbettii di protesta.

Anche laVerdi non ha mancato di riconoscere la gravità della crisi umanitaria che ha colpito Gaza, con un comunicato distribuito prima del concerto (dedicato alle vittime della guerra) con richiami a pace, giustizia e solidarietà, proiettati sugli schermi che sovrastano l’orchestra, e con un’iniziativa di raccolta fondi all’interno della Fondazione, da devolvere alla Croce Rossa:

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Così, dopo la trionfale inaugurazione in Scala, la stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano ha preso l’avvio in Auditorium con l’esecuzione di uno dei mostri sacri del tardo-romanticismo, la Quinta Sinfonia di Gustav Mahler. Che il Tjek ha voluto lasciar vivere da sola, in primo piano, senza preamboli o riempitivi di sorta, per metterne meglio in risalto la centralità nella produzione mahleriana. [Qui alcune mie note sulla Sinfonia.]

Preceduta da una pindarica introduzione dell’enciclopedico Quirino Principe (che ha annunciato la prossima uscita di una nuova edizione del suo imprescindibile testo su Mahler) l’esecuzione cui abbiamo assistito ha pienamente mantenuto le promesse, confermando la straordinaria sensibilità interpretativa del Tjek e la perfetta forma della compagine strumentale.

Una Quinta davvero scolpita nel marmo, fin dalla proterva introduzione della tromba, con l’iniziale Trauermarsch che emerge con passo dolente per poi animarsi (nel ricordo dello straussiano Zarathustra) e quindi ripiegare su se stessa perdendosi lontano sul pizzicato di viole e archi bassi.

Trascinante lo Sturmisch bewegt, con lancinanti e disperate imprecazioni, interrotte da quelle che Adorno definiva irruzioni, di motivi sguaiati e quasi blasfemi, prima di chiudersi con quell’incredibile corale bruckneriano, che sarà poi ciclicamente ripreso alla fine.

Qui il Tjek ha approfittato della didascalia mahleriana (segue lunga pausa) per tergersi il sudore che colava dalla sua fronte, per poi attaccare lo Scherzo nel quale ha impietosamente calcato la mano sui contrasti fra l’irresponsabilità viennese del tema principale e la snervante, opprimente cantilena del corno obbligato, chiudendo con un’irresistibile rincorsa verso…

…l’Adagietto, tenuto per un tempo al limite inferiore rispetto alla tradizione (meno di 9 minuti…) ma senza togliere nulla del sublime decadentismo di questa musica.

Travolgente poi il Rondò, con le impertinenti sortite della lode dell’alto comprendonio, i richiami al tema dell’Adagietto, l’improvviso e fugacissimo irrompere dell’inciso da Revelge e il ritorno del corale che porta alla conclusione, col finale che par richiamare l’hi-ha del ciuco del Wunderhorn.

Inutile dire che l’Auditorium, gremito quasi all’esaurimento, ha tributato a tutti un entusiastico trionfo.


28 settembre, 2025

Anna A. di Silvia Colasanti alla Scala: una testimonianza di attualità.

Questa mattina alle 11 è andata in scena in anteprima, in un Piermarini discretamente affollato, la nuova opera di Silvia Colasanti (commissionatale dal Teatro) omaggio alla scrittrice e poetessa russa (ma nata in Ukraina) Anna Andreïevna Gorenko (autochiamatasi Achmatova, dal nome di suoi pretesi avi tatari) la cui vita attraversò, nel secolo scorso, l’intero percorso storico compiuto dal suo Paese a partire dagli ultimi anni dello zarismo, poi dalla Grande Guerra e fino alla cosiddetta de-stalinizzazione e all’arrivo al potere in URSS di Leonid Brezhnev 

Pietroburghese di famiglia agiata, nata nel 1889 in una località balneare ucraina (Bolshoi Fontan) a sud di Odessa, ancora sotto lo Zar potè viaggiare in Europa (anche in Italia e a Parigi, dove incontrò ed ebbe una relazione con Modigliani) e poi passò, come molti altri ucraini famosi (Prokofief, ad esempio) gran parte della sua vita nella Russia sovietica, divenendo anche membro dell’Unione degli scrittori russi. Visse così gli anni bui dello stalinismo, contro il quale prese posizione attraverso le sue opere letterarie, che le attirarono perciò la fastidiosa attenzione delle autorità.

Durante la WWII supportò la resistenza ai nazi della sua Leningrado con sue poesie patriottiche, trasmesse dagli altoparlanti nelle vie della città, come accadde anche alla Settima Sinfonia di Shostakovich. Città dove, peraltro, suo figlio Lev Gumilëv era stato incarcerato come sovversivo, prima di finire in un Gulag. Messa al bando dal regime, a Stalin defunto ottenne una tardiva riabilitazione e fu anche candidata per due anni al Premio Nobel, poco prima di morire, nel 1966, in un sanatorio nei pressi di Mosca.

Qui una fulminante presentazione della figura di Anna, opera del grande Alessandro Barbero.

E qui la presentazione del lavoro di Colasanti, condotta a due voci dall’autrice in coppia con l’impareggiabile Fabio Sartorelli.

Un soggetto, quindi, di grande attualità (rapporto fra arte/artista e potere dispotico, ruolo della donna nella società) ideato praticamente in coincidenza con l’invasione russa dell’Ukraina.

Soggetto – liberamente ispirato alle opere letterarie e alle vicende esistenziali della Achmatova - messo in parole dall’esperto di letteratura russa Paolo Nori (affiancato da Fabrizio Sinisi) e in scena da Giulia Giammona (con scenografia di Lisa Behensky, costumi di Giada Masi, luci di Andrea Giretti, video di Martin Mallon e coreografia di Andrea Bareggi). L’Orchestra è quella degli Accademici scaligeri, diretti per le prime quattro delle nove recite da Anna Skryleva, cui subentreranno Paolo Spadaro e Bruno Nicoli. Il Coro femminile, parimenti accademico, è affidato a Dario Grandini.

L’opera (un atto unico di circa 60’ di durata) ripercorre le vicende di Anna partendo dai suoi ultimi giorni in ospedale, poi retrocedendo nel tempo (1966 > 1938 > 1911) e quindi tornando al 1966 (con tappe al 1915 > 1921 > 1933 > 1934 > 1935> 1941 > 1940). In scena sono sempre l’ultima Anna e l’amica Lidia (di 17 anni più giovane) interpretate da due attrici che recitano la prosa dei loro interventi su un sottofondo musicale discreto e normalmente assai lento e monotòno; le due sono raggiunte di volta in volta dai personaggi che animano i nove flash-back ambientati nel citato percorso nel passato, personaggi che cantano normalmente, con appropriato accompagnamento strumentale: la Anna più giovane (Anna-del-Passato) e dieci personaggi storicamente vissuti, più il personaggio allegorico del Potere, il coro delle Madri di Leningrado e un personaggio che semplicemente aleggia, il figlio di Anna, Lev, invano atteso dalla madre che morirà senza poterlo rivedere.  

La musica di Colasanti è tendenzialmente diatonica, con poche escursioni dissonanti per sottolineare le scene più crude della vicenda. L’Orchestra – 27 elementi - è sistemata ben più in alto rispetto al piano della buca; una fisarmonica serve a impreziosire alcuni passaggi tipicamente russi della partitura. Da ricordare il ruolo del Glockenspiel ad evocare il mellifluo quanto ipocrita ammiccare del personaggio del Potere, nella sua aria propagandistica.

La scena occupa sostanzialmente il proscenio, con una struttura prismatica a due piani all’interno della quale si muovono gli interpreti, in quattro ambienti contigui. Anna e Lidia si sistemano di norma ai lati della struttura, salvo entrarvi quando l’azione lo rende necessario. Sullo sfondo un grande schermo reca indicazioni delle diverse tappe della vicenda o filmati e fotografie (dell’epoca, o ritraenti gli interpreti) a supporto del fluire degli avvenimenti.

I costumi sono fedeli all’epoca storica in cui è ambientato il soggetto. Evocativo dell’attualità che viviamo oggi l’abbigliamento delle tre Anne: lunghe vesti di colore blu e scialli o sciarpe di colore giallo. In scena compaiono anche due bambini, che impersonano Lev e Anna da piccoli.


Le due voci recitanti protagoniste (Anna e Lidia) sono quelle eccellenti di Elena Ghiaurov e Carlotta Viscovo, mentre tutte quelle cantanti meritano di essere accomunate in un collettivo elogio, proprio come ha fatto il pubblico, che alla fine ha tributato lunghe ovazioni ed applausi a tutti indistintamente gli artefici di questa impresa: gli Autori, gli interpreti e gli addetti a questa produzione che davvero onora il Teatro.  
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Appendice. Il soggetto dell’opera.

1966 Sanatorio di Domoedovo. Lidia assiste Anna, ormai in fin di vita. Affiorano ricordi.

1938 Carcere Le Croci di LeningradoAnna ricorda gli anni del terrore e le notti passate davanti al carcere dove era imprigionato il figlio Lev. Appaiono Le Madri dei carcerati e la Anna-del-Passato, che rievocano quei momenti, quando stavano per ore in fila sperando di poter parlare ai loro cari imprigionati. Ora Anna spera che il figlio venga a trovarla, ma lui non arriva. Ricorda, quasi in sogno, il marito Nikolaj Gumilev che torna dall’Africa, nel 1911.

1911 Pietroburgo. Gumilev è tornato dall’Africa e incita la moglie a scrivere un libro. Si profila ormai all’orizzonte la Grande Guerra, e Anna ne è impaurita, Nicolaj deve andare al fronte, ma lei allo stesso tempo è inebriata dall’amore.

1915 Pietroburgo. Anna-del-Passato legge una sua poesia (Dammi molti anni di malattiain cui si dice pronta a rinunciare a tutto, purchè sulla Russia torni a splendere il sole. Il marito le mette fretta, devono andare ad una festa. Mentre scoppia la guerra? Sì, dobbiamo ballare, fosse anche l’ultimo ballo… A casa di Zinaida Gippius c’è il fiore degli intellettuali scomodi (Pasternak fra loro). Gran festa, ma compare la figura del Potere…  Anna ricorda il marito, andato in guerra per la Patria e poi, dopo la rivoluzione, fucilato dalla Patria. Perché, se poi fu riabilitato? Per niente. Lidia però le ricorda quando lei imparava a memoria le poesie di Anna, bruciandone poi i fogli, per evitare guai con la polizia. Ma così le poesie erano potute arrivare, tramite la sua memoria, anche nei Gulag. La poetessa Marina Cvetaeva ricorda i suoi scontri con i critici asserviti al regime e la sua fuga all’estero, simile a quella di tanti artisti (Rachmaninov, Stravinski, Nabokov, Prokofiev) di cui però si era pentita, tornando in Russia [come Prokofiev, ndr] sia pure per morirvi.

1921 Pietroburgo. Anna-del-Passato ha un commovente incontro con il poeta Mandel’štam. Anna ricorda lui e gli altri, compreso Pasternak e il suo Dottor Zivago.

1933 Pietroburgo, casa di Anna. Mandel’štam recita versi di Chlebnikov, che irridono il potere; Pasternak dissente, e allora Mandel’štam declama una sua ode a Stalin, piena di sarcasmo, al punto che Anna-del-Passato tura le orecchie al figlio Lev! Nuova apparizione del Potere! Anna e Lidia ricordano le tristi vicende di loro mariti, parenti e amici, messi a morte dal potere e magari poi riabilitati. Perché? Per niente!

1934 Mosca, casa di Pasternak. Suona il telefono: è Stalin! Che gli imputa l’amicizia con Mandel’štam, arrestato come sovversivo. Pasternak si schermisce e Stalin gli mostra tutto il suo disprezzo. Anna ricorda di aver scritto a Stalin per implorare la liberazione del figlio Lev e del marito Punin, imprigionati dal regime.

1935 Mosca. Anna-del-Passato chiede aiuto a Bulgakov perché interceda presso Stalin, consegnandogli la lettera. Bulgakov la avverte che Stalin sa tutto, legge tutto, anche i pensieri della gente! Anna-del-Passato e Anna (che intercala) leggono la supplica a Stalin. Supplica che Stalin esaudirà! Anna ora chiede se il figlio Lev è per caso arrivato. Arriva invece Marina Cvetaeva, che recita i versi di Anna (Dammi molti anni di malattia) scritti nel 1915. Ecco, la Russia si salvò, ma adesso ti hanno preso figlio e amico: ciò che si scrive in poesia, poi si avvera! Si presenta anche Mandel’štam, che recita, insieme ad Anna-del-Passato, versi di serena rassegnazione.

1941 Leningrado. I nazi sono alle porte, ma dagli altoparlanti nelle strade esce la voce di Anna-del-Passato (Tutta la mia vita è stata unita a Leningrado[Si ode la vera voce registrata di Anna, ndr]. Lidia ricorda come la ascoltavano alla radio, da Tashkent dove erano sfollati. La ricorda Pasternak, pure sfollato; la ascoltava anche Bulgakov, dalla sua tomba a Novodevice; la ascoltava anche Marina Cvetaeva, dalla fossa comune dove era sepolta; la ascoltava Mandel’štam, anche lui in una fossa comune. Si avanzano alcuni uomini emaciati; il poeta Gorodecki ricorda come orientavano gli altoparlanti verso il nemico, per fargli ascoltare la Settima di Shostakovich [dall’orchestra ne salgono, allargate, le note iniziali, ndr]: Noi siamo ancora vivi perché non uccidiamo, no: cantiamo.

Ma ora si fa avanti il Potere. Che arringa il pubblico, rimproverandogli la sua sete di libertà, che ha portato gli orribili frutti della guerra. No, il Potere vi darà la felicità, tutto ciò che desiderate; ma ad una condizione, di prendersi la vostra libertà!

A Lidia che domanda se solo in Russia c’è un simile potere, Anna risponde che l’antidoto è la poesia! E, ricordando le interminabili e fredde notti di quel 1938 trascorse davanti al carcere sperando di aver notizie del figlio, lei ha trovato la poesia e le donne (In Russia, voi lo sapete, tolte le donne non resta più niente). Anna spera ancora che Lev venga a tm trovarla, ma Lidia la disillude.

1940 Leningrado, le carceri. Anna-del-Passato e le Madri ancora pregano per tutte le donne che passavano intere giornate davanti a quel carcere. E Anna risponde a sua volta con il ricordo di quei giorni, che resterà indelebile [nei suoi versi di Requiem, ndr]; e se la sua bocca verrà messa a tacere, ebbene, saranno loro, quelle Madri, a ricordarla. E se poi qualcuno pensasse di farle un monumento, ecco, lo innalzi lì, davanti a quelle rosse mura carcerarie.   

E dalle immobili palpebre di bronzo,

la neve che si scioglie scorra come lacrime,
e il colombo delle carceri tubi, lontano,
e vadano, tranquille, le navi lungo il fiume.
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24 settembre, 2025

Rivivrai più superba, più bella…

Odabella Beatrice

(con energia)

Santo di patria indefinito amor!

(declamato)

Allor che i forti corrono
come leoni al brando
stan le tue donne, o barbaro,
sui carri lagrimando.

(grandiosa e fiera)

ma noi, donne italiche,
cinte di ferro il seno,
sul fumido terreno
sempre vedrai pugnar. 

20 settembre, 2025

Ultima Cenerentola alla Scala.

Le troppe vacanze mi hanno lasciato solo l’ultima recita (secondo cast) per godermi questo immortale spettacolo che è La Cenerentola di Ponnelle. Arrivato all’ottava stagione di ininterrotta presenza: 1973-74-75-82 (con Abbado); 2001-05 (con Campanella) e 2019 (con Dantone).

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Note a margine:

- Curiosamente anche le (uniche) tre presenze dell’opera al ROF (1998-2000-2010) portano la firma di uno stesso regista, Luca Ronconi.

- Nota critica all’organizzazione: come già accaduto in occasione della stagione 18-19, il libretto del teatro (Edizione critica curata da Alberto Zedda per la Fondazione Rossini in collaborazione con Ricordi) indica la protagonista Angelina e la sorellastra Tisbe come soprani, quando sono contralto e mezzosoprano e Alidoro come tenore, quando è basso. Per nostra fortuna, i cantanti erano quelli con la tessitura appropriata.

- I tre contributi di Luca Agolini. Costui era un collaboratore cui Rossini affidò, per la presentazione dell’opera nel 1817, la composizione (oltre che di recitativi) di tre brani di un certo peso: nel primo atto l’intera Scena 7 (dove Alidoro preleva Angiolina per portarla alla festa); nel secondo l’apertura, con il Coro dei cavalieri; e infine l’aria di sorbetto di Clorinda (Sventurata!) Orbene, in tutte tre le edizioni del ROF sono stati proposti i due ultimi contributi di Agolini, mentre il primo è stato sempre sostituito dalla versione, effettivamente più… sostanziosa, composta da Rossini nel 1820. La Scala, fin dai tempi di Abbado-Ponnelle, ha fatto una scelta assai drastica: bandire Agolini, tagliando di netto il coro e l’aria e rimpiazzando la scena Alidoro-Angiolina con la versione di Rossini. Ed in ciò è stata seguita da quasi tutte le messeinscena dell’opera in giro per il mondo. Ma in realtà l’edizione critica di Zedda consente – stile meccano – anche altre soluzioni. Una di queste l’ha proposta lo stesso Zedda nel 2017 a Pesaro (extra-ROF) in occasione di una recita commemorativa, in forma di concerto, da lui personalmente curata (anche se non diretta, per ragioni di salute) dove ha eseguito i primi due dei tre contributi di Agolini, cassando l’aria di Clorinda.

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Devo dire che avviarsi alla Scala (per godersi un divertimento) passando sul sagrato del Duomo dove stazionavano, immobili, manifestanti pro-Gaza, inalberanti bandiere palestinesi ed esponenti appelli perché qualcuno metta fine ad un genocidio… ecco, è stato piuttosto frustrante… ma questa ahinoi è la nostra attuale civiltà, caratterizzata da macabre polifonie.
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Oggi a nobilitare quest’opera sono stati Gianluca Capuano e un cast di splendidi giovani (già svezzati o tuttora accademici). Certo, dietro e sopra a tutti vegliava tale Gioachino da Pesaro, il sommo chèf che confezionò questo straordinario menu più di due secoli orsono.  

La direzione di Capuano ha esaltato tutta la freschezza, il brio e lo humor di questa partitura, che mescola in maniera mirabile il buffo, la commedia, il patetico, il sarcastico e il… demenziale. Perfetta l’intesa con le voci, che viene dalla lunga consuetudine di Capuano con il suo ensemble vocale, spesso esibitosi in passato in Auditorium con quello strumentale di Ruben Jais in indimenticabili concerti di barocco. E l’orchestra e il coro maschile degli accademici (di Salvo Sgrò) hanno risposto alla grande alle sollecitazioni del Direttore, alle quali si sono uniti gli interventi di fortepiano (Valentina Rando) e di cembalo (Davide Costantino), sempre azzeccati e pertinenti rispetto allo sviluppo dell’azione.

Fra le voci, tre erano di accademici, e si son fatti ben valere: soprattutto il Dandini di Chao Liu, una vera rivelazione, fin dalla cavatina d’esordio (Come un'ape ne' giorni d'aprile) e poi nel duetto con Magnifico (Un segreto d'importanza) e nel quintetto e sestetti. Voce baritonale chiara e corposa, coniugata ad autorevole presenza scenica.     

E poi le sbifide, petulanti e scatenate sorellastre María Martín Campos (Clorinda, peraltro privata della sua arietta…) e Dilan Şaka (Tisbe), efficaci nelle parti singole e nei contributi ai concertati.

Gli altri interpreti (già ex-accademici ormai… navigati) hanno tutti ben meritato. In primo piano il Magnifico di Paolo Ingrasciotta, autorevolmente presentatosi con la cavatina Miei rampolli femminini e poi confermatosi con l’aria Sia qualunque delle figlie e infine nel duetto con Dandini, oltre che nei concertati. Apprezzabile poi la verve con la quale ha animato l’intera serata. 

Mara Gaudenzi è stata una convincente Angelina: nelle reiterate, patetiche riprese di Una volta c’era un Re, nel duetto del primo atto con Ramiro (Un soave non so che) e infine nell’impegnativo finale (Aria-Rondò Nacqui all'affanno - Non più mesta). Davvero una prestazione di alto livello, dove ha messo in mostra la sua corposa voce contraltile, riuscendo anche ad emergere nei tumultuosi concertati che costellano la partitura.

E a proposito di Don Ramiro, Pierluigi D'Aloia ha mostrato tutte le qualità del classico tenorino rossiniano: voce squillante, senza sbavature, intonazione perfetta, il tutto confermato e culminato nella sicurezza con la quale ha affrontato la sua impegnativa aria Sì, ritrovarla io giuro, popolata di DO acuti a profusione.     

Li Huanhong (Alidoro) ha più che dignitosamente svolto il suo compito, che ha il culmine nell’aria La del ciel nell’arcano profondo, quella appositamente scritta da Rossini per un famoso basso dell’epoca (Gioachino Moncada).

Ma naturalmente non si possono dimenticare i contributi delle voci (singole e coro) ai pezzi concertati, che abbondano e rappresentano uno dei pregi in assoluto di questa partitura. Lascia sempre a bocca aperta il sestetto del second’atto (Questo è un nodo avviluppato) con quei versi di italica Stabreim, dove Rossini raggiunge vette davvero eccelse. O lo stupefacente Nel volto estatico del primo atto; o ancora il Parlar, pensar, vorrei, che anticipa l’irresistibile finale primo.

Insomma, una prestazione complessiva di grande spessore, salutata alla fine da un uragano di ovazioni, per tutti, culminato in un interminabile applauso ritmato all’uscita della Gaudenzi e poi di Capuano, che ha giustamente chiamato il pubblico ad uno speciale applauso per i valorosi strumentisti.

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Ecco, una serata di musica davvero da ricordare. Peccato che all’uscita i media ci abbiano ripiombato implacabilmente nelle quotidiane miserie di guerre e carneficine… 

15 settembre, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano – 25-26 – Tjeknavorian – Buchbinder

Eccoci quindi alla Scala, come ogni metà settembre, per commentare l’apertura della nuova stagione dell’Orchestra Sinfonica di Milano. In un Piermarini affollato come non mai è naturalmente il Direttore musicale a salire sul podio per offrirci un austero quanto classico programma.

Ma è il blasonato Rudolf Buchbinder (quasi 79 ben portati) a presentarsi per primo per proporci alla tastiera la sua visione del monumentale Primo Concerto di Johannes Brahms. Concerto faticosamente e lentamente sfornato dal giovane amburghese come piano-B (Op.15) di quella che avrebbe dovuto essere la sua prima sinfonia, che invece dovrà attendere qualche lustro (Op.68) per vedere finalmente la luce.

In effetti Brahms ideò a 19 anni (1852) una Sonata per due (!) pianoforti, che poi pensò di trasformare in Sinfonia, la qual cosa gli parve ancor più velleitaria, e così più di 7 anni dopo potè a fatica presentare nella sostanziale indifferenza del pubblico il suo Concerto ad Hannover, poi a Lipsia dove ricevette addirittura una sonora disapprovazione. Erano tempi in cui spopolava il puro virtuosismo, di cui era campione un tale Liszt, il cui primo concerto, del 1855, sta proprio agli antipodi di quello di Brahms. Anche per durata: 25 minuti contro 50!

Né più entusiastica fu l’accoglienza degli interpreti alla tastiera: il solista vi spicca abbastanza poco, quasi sempre annegato nella trama del tessuto orchestrale, per di più dovendosene stare per parecchi interminabili minuti fermo ad ascoltare l’orchestra esaurire ben 90 battute introduttive prima di dare la... parola al pianoforte!

Dopodichè il lavoro per il solista non manca di certo: non perché chiamato a virtuosismi da baraccone, ma ad un impegno fisico - non fosse che per la durata del concerto - di quelli davvero gravosi.

Ebbene, questa ben assortita coppia di viennesi sembra aver trovato la quadra per coniugare la seriosa e quasi pedante prosopopea del burbero amburghese con la leggerezza tipica della città degli Strauss! E, come premio per i trionfali applausi, Buchbinder ci ha regalato, per l’appunto, questo suo abituale bis viennese.

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La seconda parte del Concerto – con Buchbinder a godersela, accomodatosi, in borghese, a metà platea - era occupata da un'altra opera che è da sempre nei repertori di ogni orchestra che si rispetti (quindi, ovviamente, anche de laVerdi!): l’esagerata Quinta di Ciajkovski. Che già nel 2014 aveva aperto la stagione qui alla Scala (con Xian Zhang).

Sinfonia che lo stesso Autore ebbe a definire insincera, e infatti retorica, enfasi e affettazione vi abbondano, soprattutto nei due movimenti esterni. Il che finisce per attirare spesso i Direttori nel tranello di interpretazioni sopra le righe, ad operare scelte che sfiorano o cadono nella gigioneria e nel facile esibizionismo, finendo proprio per esaltare l’insincerità di questa partitura.

Il Tjek ha dimostrato ancora una volta la sua grande maturità, evitando quel tranello con una direzione rigorosa e senza cedimenti al Kitsch; un esempio per tutti, una vera cartina di tornasole: le ultime due battute dell’opera, quel protervo ta-ta-ta/tà, che molti suoi colleghi eseguono dilatandolo a dismisura; lui lo ha suonato perfettamente e asciuttamente in tempo…

Ma poi come non restare ammirati dall’espressività che il giovane direttore ha saputo dare ai momenti più ispirati dell’opera. Anche qui mi limito ad un solo esempio, l’attacco dell’Andante cantabile con alcuna licenza, dove il Tiek ha guidato il corno magico di Giuseppe Amatulli, contrappuntato dal clarinetto del grande Fausto Ghiazza, attraverso quella pagina di assoluta poesia.

Un tifo da stadio ha accolto l’ultimo gesto del Direttore, con interminabili ovazioni e applausi ritmati a josa. Insomma, era difficile immaginare miglior preludio alla stagione, che a ottobre entrerà nel vivo in Auditorium, sempre sotto il segno del Tjek!


11 settembre, 2025

L’Orchestra Sinfonica di Milano riparte alla Scala

Domenica 14/9 si ripeterà l’ormai tradizionale evento di inizio stagione dell’Orchestra Sinfonica di Milano: il Concerto inaugurale ospitato nel tempio della Scala. Sul podio salirà Emmanuel Tjeknavorian e alla tastiera siederà Rudolf Buchbinder.

È la prima stagione confezionata personalmente dal Direttore musicale, e… si vede! Dopo il concerto inaugurale, il rampante Tjek salirà sul podio dell’Auditorium di Largo Mahler per ben 11 volte (più le repliche) su 25 concerti della stagione principale. Ma in più dirigerà/interpreterà anche 4 concerti da camera (uno in Auditorium e tre al Gerolamo).

Otto dei suoi undici concerti includeranno Sinfonie del grande repertorio (classico, romantico e tardo-romantico): dopo quella di Ciajkovski dell’inaugurazione, troviamo altre due celebri Quinte: Mahler e Shostakovich; più due Settime (Beethoven e Bruckner) seguite dalla Quarta di Brahms, dall’ostica Seconda di Rachmaninov, dalla Fantastica e – ovviamente – dalla tradizionale Nona di fine-inizio anno.

Ma il panorama sinfonico non finisce qui: ecco altre dieci opere che esplorano un arco temporale che va dal ‘700 al ‘900: Mozart 40, Haydn 103, Beethoven 4, Schubert 4, Schumann 3, Bruckner 4, Dvorak 6, Mahler 10, Sibelius 2 e Shostakovich 6.

Il Tjek sarà poi protagonista di due sommi Requiem: Verdi e Brahms; e di un concerto dedicato a musiche da balletti.

Al monumentale Messiah di Handel è riservato il concerto pre-natalizio, diretto da Fabio Biondi.

La sezione concerti solistici comprende opere dedicate al violino (Ciajkovski, Dutilleux, Barber), a violino-corno (Smyth), al pianoforte (Beethoven 4-5, Liszt 2, Rachmaninov 2, DeFalla Noces, Berio Compass e Glass doppio), alla tromba (Haydn), alla viola (Martinu) e al contrabbasso (Rota).

Altre perle della stagione sono Strauss (Vier letzte Lieder e Fr-o-Sch suite), Rimski (Sheherazade), Elgar (Enigma).

A fornire sostanziosi riempitivi ci penseranno gli Strauss viennesi, Beethoven, Bartok, Dvorak, Ravel, Respighi, Glinka, Liszt, Rota, DeFalla, Campogrande, Kachaturian, Stravinski, Kodaly, B.Blacher, Wagner, Bernstein, Walton e… Rossini.

Oltre al citato Biondi, a dare il cambio al Tjek sul podio saranno direttori di chiara fama quali Christoph Eschenbach, Cornelius Meister, Marko Letonja, Kolja Blacher, il Direttore emerito Claus Peter Flor, affiancati da Diego Ceretta, Clelia Cafiero, Victor Pablo Peréz, Yoel Gamzou (sua la versione della Mahler 10), Jac van Steen, Anna Rakitina, Sunwook Kim e Alfred Eschwé.

I solisti di strumento comprendono: i violinisti Andrea Obiso (Ciajkovski), Sebastian Bohren (Dutilleux) e Anne Hakiko Meyers (Barber); la coppia violino-corno di locali, formata da Dellingshausen e Amatulli (in Smyth); i pianisti Katia e Marielle Lebèeque (Glass), Andrea Lucchesini (Berio), Konstantin Emelyanov (DeFalla), Janeba Kanneh-Mason (Rachmaninov), Sunwook Kim (Beethoven 4), Tom Borrow (Beethoven 5) e Kiron Atom Tellian (Liszt 2); la tromba del locale Alessandro Rosi (Haydn); la viola di Sarah mcElravy (Martinu) e il contrabbassista Dominik Wagner (Rota).

Il soprano Siobhan Stagg ci proporrà le quattro (pen)ultime canzoni di Strauss.

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Assai interessante si presenta la stagione cameristica, che comprende due concerti in Auditorium: gli archi diretti dal Tjek e i contrabbassi guidati dal solista Dominik Wagner. E sei concerti al piccolo ma splendido Teatro Gerolamo: un quartetto d’archi che suona Weber, Shostakovich e Berio (che compirebbe oggi 100 anni); poi il Tjek, con un sestetto d’archi, presenta il primo Sestetto di Brahms e interpreta una versione per settimino delle straussiane Metamorphosen; poi il pianista Jonas Aumiller con quattro archi interpreta Shostakovich, Mahler e Brahms; ancora è il Tjek più un quartetto d’archi ad offrirci due pezzi forti di Dvorak; sempre lui con un ensemble archi-fiati in opere di Mozart, Schubert e C.Stamitz; e infine quattro archi e un clarinetto si esibiranno in Mozart (quartetto K156) e Brahms (quintetto op.115). 

Come si vede, un’offerta di tutto rispetto, che il pubblico non potrà non apprezzare. 


23 agosto, 2025

ROF-2025 live (in Piazza). Messa per Rossini.

Il 46° ROF ha chiuso i battenti al teatro cittadino con l’esecuzione della Messa per Rossini. Messa che nacque da un’idea di Giuseppe Verdi, un anno dopo la scomparsa del genio pesarese.

Come già altre volte in passato, ho personalmente privilegiato l’ascolto andandomi a sedere su una delle 600 sedie (ieri occupate per una buona metà…) che il Comune dispone abitualmente in questa circostanza in Piazza del Popolo, dove lo streaming del concerto di chiusura viene irradiato su uno schermo gigante dislocato sotto il moderno palazzo del Comune. Lì, alla nobile polifonia sacra dei suoni che arrivano dagli altoparlanti, si aggiunge quella profana prodotta dall’animato chiacchiericcio di avventori di bar circostanti, dai piagnistei di qualche pargoletto o da interventi solistici canini (un pastore tedesco dalla voce di basso-baritono o una cockerina soprano di coloratura…) Ecco, una genuina mistura di sacro e profano, che di tanto in tanto non guasta.

Qualcosa invece si è guastato nel meccanismo dello spettacolo: prima dell’inizio il Soprintendente Ernesto Palacio ha voluto sottolineare l’importanza dell’evento -  era la prima esecuzione al ROF dell’omaggio dell’intera famiglia musicale italiana del 1869 al compositore che aveva così brillantemente rappresentato l’Italia nel mondo – e nel contempo ricordare e tributare un doveroso ricordo alla figura di colui che aveva fortemente voluto e poi creato dal nulla il Festival, l’indimenticabile Gianfranco Mariotti, purtroppo mancato lo scorso novembre.

Dopodichè, ecco l’annuncio dello spiacevole contrattempo: la (parziale, ma sostanziale) defezione di uno dei protagonisti, Dmitry Korchak, cui un’improvvisa tracheite (evidentemente contratta nell’ultimo viaggio di ritorno in mare da Algeri del giorno precedente…) ha impedito di interpretare il difficile Ingemisco (pertanto cancellato) confinando la sua presenza ai due soli numeri 9 e 12 della Messa. Evidentemente non si era pensato a predisporre alcuna cover dei solisti, in caso di emergenza (il bravo Brownlee, per dire, sarebbe stato degno sostituto…) Comunque sia, nel tragitto che mi separava dalla Stazione ferroviaria, passando davanti al retro del teatro (uscita artisti) ho potuto scorgere il bel Dmitry sgattaiolare quasi inosservato ed infilarsi dentro una Range Rover esagerata, targata Ticino, sulla quale, dopo averci caricato la Berzhanskaya e un’altra (a me) sconosciuta donzella, se l’è filata sgommando allegramente…  

Ecco, adesso qualcosa devo pur dire del concerto. Sul podio era Donato Renzetti, che aveva a disposizione l’Orchestra bolognese e le autorevoli voci della rampante Vasilisa Berzhanskaya, della splendida Caterina Piva, e dei due orientali Misha Kiria e Marco Mimica; oltre al menomato Korchak e al compatto Coro del teatro Ventidio Basso guidato da Pasquale Veleno.

Tutti han fatto del loro meglio per illustrare quest’opera di per sé eterogenea, che fatalmente ci diventa familiare solo all’ultimo, quando ascoltiamo il Libera me che il Peppino si portò dietro nel suo capolavoro per Manzoni. Opera che tuttavia ci mostra quanto fosse insospettabilmente ampio e fecondo il panorama degli autori italiani di quell’epoca, molti dei quali sono stati sepolti sotto il peso delle torreggianti figure di Verdi e poi da quelle dei suoi successori (Puccini, Mascagni, Giordano, …)    

Chiudo con il quadro sintetico della Messa, corredato da autori, numeri e voci:

  
Autore
Parte
Numero-Titolo
Voci
Antonio Buzzolla
I Introitus
1 Requiem
C
 
 
   Kyrie
 
Antonio Bazzini
II Sequentia
2 Dies Irae
C
Carlo Pedrotti
 
3 Tuba mirum
Br-C
Antonio Cagnoni
 
4 Quid sum miser
S-A
Federico Ricci
 
5 Recordare Jesu
S–A–Br-Bs
Alessandro Nini
 
6 Ingemisco
T-C
Raimondo Boucheron
 
7 Confutatis maledictis
Bs-C
Carlo Coccia
 
8 Lacrymosa
Cc-C
 
 
   Amen
 
Gaetano Gaspari
III Offertorium
9 Domine Jesu
soli-C
 
 
   Quam olim Abrahae
 
 
 
   Hostias
 
Pietro Platania
IV Sanctus
10 Sanctus
S-C
 
 
     Hosanna
 
 
 
     Benedictus
 
Lauro Rossi
V Agnus Dei
11 Agnus Dei
A
Teodulo Mabellini
VI Communio
12 Lux aeterna
T-Br-Bs
Giuseppe Verdi
VII Responsorium
13 Libera me
S-C
 
 
     Dies Irae
 
 
 
     Requiem aeternam
 
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Bene, archiviata l’avventura 2025, già si profila all’orizzonte l’edizione 47, che nel 2026 (11-23 agosto) ci offrirà Le Siège, La Scala, L’Occasione, Il Viaggio e il sommo Stabat.