bipolarismi

bandiera bianca vs bandiera nera

27 maggio, 2009

Scala sempre più in Europa


Delle 10 opere incluse in abbonamento, solo 4 sono italiane: Rigoletto, Simon, L’Occasione, L’Elisir. Le ultime due per di più dislocate in autunno 2010, cioè lontane dal cuore della stagione.

Fuori abbonamento un Barbiere, cui fa compagnia un DonGiovanni.

Per il resto: Wagner (2), Bizet, Janáček, Berg e Gounod. Insomma, Francia e Mitteleuropa.

Qualcuno si lamenta per il poco o nullo spazio lasciato agli italiani e ai barocchi, reclamando per la Scala un ruolo di valorizzazione del prodotto interno. Il che ha giustificazioni tutt’altro che peregrine, ma quando il sovrintendente arriva da Aix e l’ispiratore della produzione musicale da Bayreuth, via Berlino... significa che qualcuno - chi ingaggia tali figure - ha imboccato una strada ben precisa e ben sapendo dove si andava a parare.

Dopodichè c’è chi (come il sottoscritto) si è affrettato a procurarsi un abbonamento - cosa che non faceva da anni - trovando il cartellone mitteleuropeo di Lissner-Barenboim di alto profilo e sicuro interesse (ovvio che si tratta di giudizio squisitamente personale).

Vedremo sul campo - registi, cast e direttori - se le promesse verranno mantenute.
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25 maggio, 2009

Prêtre alle prese con Mahler

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Il venerabile Georges è tornato alla Scala (vuoti alcuni palchi e posti di platea, a dispetto della disponibilità zero che compare in internet su tutti i 3 concerti) con la Quinta di Mahler. Al termine lo ha accolto un’ovazione, seguita da un lungo applauso ritmato: un vero e proprio oscar alla carriera, direi.

A 85 anni non si fanno balzi - nè si emettono grugniti - alla Oren, non si agitano braccia e chiome, alla Dudamel: è già molto se si resta in piedi, senza chiedere uno sgabellone su cui appoggiare di tanto in tanto le sacre chiappe. Tuttavia, a dispetto dell’età, o forse perchè il gran vecchio è certo che gli si perdonerà tutto, il maestro non ha lesinato gigionerìe e ritocchi alla partitura.

Ad esempio: l’incipit, dopo gli squilli della trombetta d’ordinanza, è stato da marcia funebre sì, ma su una salita con pendenza 20%... da far sembrare Klemperer un velocista. Poi il secondo tema viene invece attaccato con un cambio di velocità di cui non v’è traccia sul pentagramma. Stessa cosa nel corale che chiude il secondo tempo. Si dirà: non facciamo troppo gli schizzinosi, certo. Però qui si parla di Mahler, uno che sulle partiture scriveva anche con quale dito girare le pagine, figuriamoci...

L’orchestra (rinforzate di un’unità le sezioni dei corni e dei clarinetti - ma ce n’era proprio bisogno? il settimo cornista ha addirittura sonnecchiato per il 90% del tempo) non mi è parsa in una delle migliori serate: in particolare i corni (siamo alle solite) che, dopo aver resistito strenuamente fino a metà dello scherzo, sono progressivamente scivolati in una serie di evidenti défaillances. Anche il primo corno (ottimo peraltro nell’obbligato dello scherzo) non è stato esente da imprecisioni. Una doverosa citazione invece per oboi e clarinetti, che Mahler costringe spesso e volentieri a suonare con campana all’insù, quindi in posizione assai precaria (testa all’indietro, e occhi puntati sul loggione anzichè sulla parte...)

Prêtre ha dato briglia sciolta alle percussioni, quasi a voler ribadire che questa è una sinfonia per batteria e orchestra, come l’aveva subito etichettata la giovane, bella e musicalissima Alma. Intelligente la scelta di insediare l’arpa in avanti, nel bel mezzo degli archi, proprio sotto lo sguardo del maestro: in modo da fare concerto nell’Adagietto tanto caro a Visconti (durata: 10 minuti, qui siamo stati effettivamente nella media).

In definitiva: una quinta non proprio da antologia, certamente migliorabile con qualche prova in più, per le serate di mercoledì e giovedì.
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11 maggio, 2009

Quali cose nella Musica habbiano possanza da indur l'Huomo in diuerse passioni. (cont.)














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Ritrouo adunque che Quattro sono le cose, le quali sempre hanno concorso insieme in simili effetti; delle quali mancandone alcun, nulla, ò poco si potea uedere. Era la prima l'Harmonia, che nasceua da i suoni, ò dalle Voci; la seconda il Numero determinato contenuto nel Verso; il qual nominiamo Metro; la terza la Narratione d'alcuna cosa, la quale conteneua alcuno costume; & questa era la Oratione, ouero il Parlare; la quarta & ultima poi; senza la quale nulla, ò poco si potea uedere; era un Soggetto ben disposto, atto à riceuere alcuna passione. Et questo può esser manifesto; percioche se noi al presente poniamo in atto la semplice Harmonia, senz'aggiungerle alcuna altra cosa; ella non hauerà possanza di fare alcuno effetto estrinseco de i sopranarrati; ancora c'haurà possanza ad un certo modo, di dispor l'Animo intrinsecamente ad esprimere più facilmente alcune passioni, ouero effetti; come è ridere, ò piangere; com'è manifesto; che s'alcuno ode una cantilena, che non esprima altro che l'Harmonia; piglia solamente piacere di essa, per la proportione, che si ritroua nelle distanze de i suoni, ò uoci, & si prepara & dispone ad un certo modo intrinsecamente alla allegrezza, ouero alla tristezza; ma non è però indotto da lei ad esprimere alcuno effetto estrinseco de i sudetti, ouer fare alcuna altra cosa manifesta. Ma se à tale Harmonia si aggiunge il Numero determinato & proportionato; subito ella piglia gran forza, & muoue l'Animo; come si scorge nell'Harmonia, che si ode ne i Balli, la quale spesso ne inuita ad accompagnar seco alcuni mouimenti estrinsechi col corpo, & à mostrare il piacere, che pigliamo di tale aggiunto proportionato. Aggiungendo poi à queste due cose la Oratione; ò il Parlare, il quale esprima Costumi col mezo della narratione d'alcuna Historia, ò Fauola; è impossibile di poter dire quanta sia la forza di queste tre cose aggiunte insieme. E' ben uero, che se non ui si trouasse il Soggetto disposto; cioè, l'Vditore, ilquale udissi uolentieri queste cose, & in esse si dilettasse; non si potrebbe uedere alcun'effetto; & nulla, ò poco farebbe il Musico. Percioche si come auiene al soldato, che per esser naturalmente inchinato alle cose della guerra è poco mosso da quelle, che trattano la pace & la quiete; & alcune uolte è alterato da i ragionamenti d'Arme & de cose campestri, che molto li dilettano; cosi il ragionar dell'Arme nulla, ò poco diletto porge all'Huomo, che sia per natura pacifico, quieto & religioso; Ma si bene il ragionar delle cose di pace & della gloria celeste molte uolte li muouono l'animo & lo costringono per dolcezza à piangere. Et si come poco possono mouer i casti ragionamenti il Lussurioso; cosi gli altri, che sono lasciui & sporchi annogliano il Temperato & casto; imperoche ogn'uno uolontieri ode ragionare di quella cosa, della quale maggiormente si diletta; & da simili ragionamenti è sommamente mosso; & per il contrario, hà in odio quelli, che non sono conformi alla sua natura; onde da simili ragionamenti non può esser commosso. Per la qual cosa, se Alessandro figliuolo di Filippo Re di Macedonia fu indotto da Timotheo musico, ò da Senofanto (com'alcuni uogliono) à prender l'arme con gran furore; non dobbiamo marauigliarsi; percioche era in tal maniera disposto, che uolontieri, & con sommo piacere vdiua ragionamenti, che trattauano delle cose della guerra; & da tali ragionamenti era indotto à far cose marauigliose. Onde ben lo dimostrò un certo huomo ad alcuni, che si marauigliauano, che la Musica hauesse in lui tanta forza, dicendo; Se questo Senofante è huomo tanto ualoroso, come di lui si dice; perche non ritroua egli alcuni modi, i quali lo riuochino dalla battaglia? Volendo inferire, che non è gran cosa & di molta arte, spinger l'Huomo da quella parte, nella quale per sua natura è inchinato; ma si bene è cosa marauigliosa à ritirarlo da quella; & è cosi in uero. Però se Alessandro ad altro non attendeua, che à quelle cose, le quali poteuano condurlo ad una gloria immortale, che erano l'Arme; non era cosa difficile di poterlo indurre à far li narrati effetti; della qual gloria quanto fusse ambitioso & sitibondo, da questo si può comprendere; che cercò d'auanzare ogn'altro; ne hebbe inuidia à chiunque si fusse nelle arme; percioche ad alcuno mai non si riputò in cotal cosa inferiore; se non ad Achille, per hauere hauuto Homero, che con si sublime stile cantò di lui; onde lo dimostrò; percioche si legge, che

Giunto Alessandro alla famosa tomba
Del fero Achile, sospirando disse:
O fortunato, che si chiara tromba
Hauesti, che di te si alto scrisse.

Si ricerca adunque un Soggetto tale, che sia ben disposto; conciosia che senza esso (come ancora hò detto) nulla ò poco si uederebbe. Et benche in simili mouimenti fatti per la Musica, ui concorrino le nominate cose; nondimeno il preggio & l'honore si dà al Composto delle tre prime, che si chiama Melodia; percioche se ben l'Harmonia sola hà una certa possanza di dispor l'animo & di farlo allegro, ò mesto; & che dal Numero posto in atto le siano raddoppiate le forze; non sono però potenti queste due cose poste insieme di generare alcuna passione estrinseca in alcun soggetto, al modo detto; essendoche tal possanza acquistano dalla Oratione, che esprime alcun costume. Et che questo sia uero, lo potiamo uedere; percioche Alessandro non fù mosso dall'Harmonia solamente; ne meno dall'Harmonia accompagnata col Numero; ma si bene (come uuole Suida, Euthimio & altri ancora) dalla legge Orthia, di sopra commemorata, & dal Modo Frigio; dal qual, & forse anco da tal Legge, il sudetto giouane Taurominitano ebbrio (come narra Boetio) fù sospinto, quando uolse abbrusciar la casa d'un suo riuale, nella quale era nascosta una meretrice; la onde Pitagora ò Damone Musico, che ei fusse; come scriue Galeno; conoscendo tal cosa, commandò al Musico, che mutasse il Modo & cantasse lo Spondeo, col quale placò l'ira del Giouane & lo ridusse al primo stato. Arione etiandio Musico & inuentore del Dityrambo (secondo l'opinione di Herodoto, & di Dion Chrisostomo ) prese ardire di precipitarsi nel mare, hauendo (per mio parere) cercato di comporsi prima col mezo di cotal Legge (come recita Gellio) un'animo intrepido & uirile; per poter fare cotal cosa senz'alcun timore. Hora potiamo uedere, che tali & cosi fatti mouimenti sono stati fatti, non per uirtù delle prime parti della Melodia; ma si bene dal tutto; cioè, dalla Melodia istessa, la quale ha gran forza in noi, per uirtù della terza parte; cioè, delle Parole, che concorrono alla sua compositione, senza le quali sempre si haurebbe fatto, ò farà nulla ò poco; percioche il Parlare da sè senza l'Harmonia & senza il Numero hà gran forza di commouer l'Animo; conciosia che se noi haueremo riguardo à cotal cosa, uederemo ch'alcune fiate, quando udimo leggere, ò raccontare alcuna Fauola, ouero Historia, siamo costretti ridere, ò piangere; & alcune uolte c'induce all'ira & alla colera; & alle fiate di mesti ne fà diuentare allegri; & cosi per il contrario; secondo il soggetto che in essa si contiene. Ne dobbiamo di ciò marauigliarsi: percioche il Parlare ne induce alla furia & ne placa; ne fà esser crudeli & anco ne addolcisce. Quante uolte è accaduto, che leggendosi semplicemente una pietosa Historia, ò Nouella, gli ascoltanti non siano stati presi da compassione in tal modo, che al loro dispetto dopo alcuni sospiri, li sia stato dibisogno accompagnarli le lagrime? Dall'altra parte, quante fiate è auenuto, che leggendosi, ò narrandosi alcuna Facetia, ò Burla, alcuni non siano quasi scoppiati dalle risa? Et non è marauiglia; percioche il più delle uolte se 'l si rappresenta à noi alcuna cosa degna di commiseratione, l'animo è commosso da lei & è indutto à piangere; & se udimo cosa, la quale habbia del feroce & del crudele, l'animo declina & si piega in quella parte. Et di ciò (oltra ch'è manifesto) n'è testimonio Platone, quando dice; che Qualunque uolta udimo Homero, ouer alcun altro Poeta tragico, che imiti alcuno de gli Heroi afflitto per il dolore gridar fortemente & pianger la sua fortuna con modi flebili, percuotendosi il petto con pugni; ad un certo modo si dilettiamo; & hauendo una certa inclinatione à coteste cose, seguitiamo quelle & insieme siamo presi da tal passioni, & lodiamo quello, come buon Poeta, il qual grandemente commuoua l'animo nostro. Questo ancora più espressamente conferma Aristotile, dicendo; Ancora si uede, che gli Huomini udendo l'Imitationi, hanno compassione à quei casi, quantunque siano senza Numero & senz'Harmonia. Ma se 'l Parlare hà possanza di muouer gli animi & di piegargli in diuerse parti, & ciò senza l'Harmonia, & senza il Numero; maggiorimente haurà forza quando sarà congiunto co i Numeri, & co i Suoni musicali, & con le Voci. Et tal possanza si fà chiaramente manifesta per il suo contrario; percioche si uede, che quelle Parole muouono men l'animo, le quali sono proferite senza Melodia & senza Proportione, che quelle, che sono proferite con i debiti modi. Però gran forza hà da se stesso il Parlare; ma molto più hà forza quando è congiunto all'Harmonia; per la simiglianza che hà questa con noi & alla potenza dell'Vdito; conciosiache niuna cosa è tanto congiunta con le nostre menti; come dice Tullio; che i Numeri & le Voci, per le quali si commouiamo, infiammiamo, plachiamo & rendiamo languidi. Non è questo gran marauiglia; dice egli ancora; che i sassi, le solitudini, le spelunche, & gli antri rispondono alle uoci? & le bestie crudeli & feroci spesse uolte sono dal canto fatte mansuete, & da esse sono fermate? Nè ci dobbiamo di ciò marauigliare; conciosia che se 'l uedere una Historia, ò Fauola dipinta solamente, ne muoue à compassione tallora, tallora ne induce à ridere; & tallora ne sospinge alla colera; maggiormente questo può fare il Parlare, il qual meglio esprime le cose, che non fà alcun Pittore, quantunque eccellente sia, col suo pennello. Onde si legge di uno, ilquale riguardò una imagine dipinta, & fù sospinto à piangere; & di Enea, che entrato nel tempio fabricato da Didone nella nuoua Carthagine;

Videt Iliacas ex ordine pugnas,
Bellaque iam fama totum vulgata per orbem,
Atridas, Priamumque & saeuum ambobus Achillem.
Constitit; & lachrymans: Quis iam locus (inquit) Achate,
Quae regio in terris nostri non plena laboris?
En Priamus: sunt hîc etiam sua premia laudi:
Sunt lachrymae rerum, & mentem mortalia tangunt.
Solue metus; feret haec aliquam tibi fama salutem.
Sic ait: atque animum pictura pascit inani.
Multa gemens, largoque humectat flumine uultum.

Et di Porcia figliuola di Catone Vticense si legge ancora, che hauendo ueduto una certa Tauola di pittura, pianse amaramente. Et benche la Pittura habbia forza di commouer l'animo; nondimeno maggior forza hebbe la uiua uoce di Demodoco Musico & sonatore di Cetera, il quale riducendo in memoria Vlisse, dipingendoli le cose passate, come se li fussero state presenti, lo costrinse à piangere; dal qual effetto; come dice Homero & Aristotele; fu subito conosciuto dal Re Alcinoo. Ma non pure allora accascarono coteste cose; ma etiandio à i nostri tempi si uede accascare il medesimo tra molte genti Barbare; imperoche raccontandosi da i lor Musici con certi uersi al suono d'uno Istrumento i fatti di alcuno loro capitano; secondo le materie, che recitano, quelli ch'ascoltano cambiano il uolto, facendolo per il riso sereno, & tallora per le lagrime oscuro; & per tal modo sono presi da diuerse passioni. Si può adunque concludere, che dalla Melodia; & principalmente dalla Oratione, nella quale si contenga alcuna Historia, ò Fauola, ouero altra cosa simile, che esprima imitationi & costumi, siano stati & ancora si possino porre in atto cotali effetti; & l'Harmonia & il Numero esser cose, le quali dispongono l'animo; purche 'l Soggetto sia sempre preparato & disposto; senza il quale in uano ogni Musico sempre si affaticarebbe.
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ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA,
Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Seconda Parte. Capitolo 7. (MDLVIII)
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10 maggio, 2009

Wagner-Mendelssohn: odio e/o amore?

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Non avendo evidentemente altri mezzi per farsi notare, Tom Service del Guardian arriva ad accusare Wagner di essere direttamente responsabile dell’offuscamento della fama di Mendelssohn, non solo ai loro tempi, ma addirittura anche per almeno un secolo a venire (!?!)

Che Wagner soffrisse di antisemitismo, si sa; che nel libello Sull’Ebraismo in Musica abbia spietatamente criticato Mendelssohn, pure. Ma sostenere che abbia avuto la volontà - oltre alla possibilità materiale - di far togliere Mendelssohn dalle sale da concerto e di alienargli le simpatie del pubblico di tutto il mondo, è semplicemente ridicolo.

Sappiamo invece quanti spunti Wagner abbia preso da Mendelssohn per le sue composizioni. Qui il penultimo foglio del famosissimo - allora, e sempre da allora, e ancor oggi - Concerto op. 64 di Mendelssohn:
















Si noti l’ascesa cromatica SOL#-LA-LA#-SI, in bella evidenza nei bassi, fagotti e clarinetti. E dove la ritroviamo? Ecco qua:
















Apperò!

08 maggio, 2009

Svanito il sogno di Wagner?

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A fine 2007 Wilhelm Keitel, direttore d’orchestra e organizzatore di eventi, aveva annunciato l’intenzione di inscenare il Ring di Wagner in un teatro di legno, appositamente costruito ad Altrhein, sulla riva del mitico fiume, e da darsi poi alle fiamme, come aveva sognato di fare Wagner a suo tempo.

La data originariamente fissata era la prima metà di settembre 2008.

Poi, un anno fa, ci fu un rinvio a settembre 2009. Evidentemente per carenza di fondi.

Oggi l’idea è del tutto sparita anche dal sito di Keitel, che ne conserva il simulacro solo nell’url.

Evidentemente un’altra vittima della crisi dei subprime.
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07 maggio, 2009

La solita americanata (anzi... canadesata)

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La cozza onnisciente ha appena concluso il suo operaplot contest, cui chiunque poteva partecipare, cercando di descrivere su twitter, in meno di 140 caratteri, la trama di un’opera.

Fra le centinaia di risposte, eccone una a caso, di tale brockmann:

“Puttana tubercolotica corteggiata da bel ragazzo; il papà la costringe a chiudere; litigano, si riconciliano; lei muore... il tutto mentre viole annoiate suonano um-pa-pa.”
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04 maggio, 2009

Götterdämmerung al Maggio

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In un orario tipo-Bayreuth (15-20:45, solo con intervalli dimezzati rispetto a quelli del tempio) Mehta ha guidato la seconda rappresentazione, in un teatro quasi stracolmo (ancora al mattino c’erano pochi posti disponibili in Internet) ma davvero rapito ed entusiasta. Per Wagner, Mehta, la Fura, i cantanti e l’orchestra... insomma, un trionfo per tutti. E direi proprio meritato, al di là dei doverosi appunti che si possono muovere al lavoro in generale e ad alcuni particolari, oltre che a talune prestazioni, come vedremo.

Intanto, qualche ulteriore puntualizzazione sull’oggetto.

Götterdämmerung era nata (col titolo di Siegfrieds Tod) nella mente di Wagner come una “grande opera eroica”. Vi era condensato – nel Prologo – tutto l’antefatto sommariamente descritto nel suo Nibelungen-Mythus. Dopo i ripensamenti seguiti al 1848, grandissimo merito di Wagner fu di averne saputo cambiare “in corsa” obiettivi e significato, senza minarne in alcun modo le macro-strutture, ma ri-adattandole alla nuova concezione, filosofica e artistica, che aveva nel frattempo maturato. Oggi ci è davvero difficile immaginare cosa sarebbe quest’opera, se fosse rimasta isolata, come Lohengrin, o Tannhäuser, o Holländer; e come noi l’ascolteremmo, e quali significati avrebbe per noi, quali emozioni ci darebbe (o meglio: ci negherebbe!)

Quando ascoltiamo dalle Norne il racconto dei “tempi remoti”, ci emozioniamo perché questi tempi li abbiamo vissuti noi stessi da spettatori, viceversa quel racconto ci lascerebbe quanto meno indifferenti… Quando incontriamo Siegfried e Brünnhilde “adulti”, con la loro personalità matura, restiamo stupefatti, proprio come quando ci capita di rivedere dopo alcuni anni delle persone che avevamo visto come ragazzi (nulla di tutto ciò accade quando ci troviamo di fronte direttamente persone adulte, sconociute fino a poco prima…) Alberich che invita il figlio Hagen a dedicarsi al recupero dell’anello ci apparirebbe come uno psicopatico malato, se non conoscessimo tutto l’insieme e l’intreccio dei fatti, ma soprattutto dei sentimenti, che ne hanno caratterizzato l’esistenza… Certi atteggiamenti di Siegfried ci sembrerebbero gratuiti o sciocchi, se non fossimo stati testimoni diretti della sua adolescenza, delle condizioni in cui il ragazzo diventò uomo e di come si fece largo nella storia dell’umanità… Sono i ricordi diretti della Brünnhilde Valchiria, della sua scoperta dell’amore e della sua giustificazione, e poi del suo risveglio e del suo “divenire donna”, che ci fanno commuovere fino alle lacrime, quando ne ascoltiamo la conclusiva orazione… Il Wotan menzionato da Waltraute e intravisto – solo in didascalìa – nel Walhall che brucia ci risulterebbe del tutto estraneo, incomprensibile e avulso dal contesto, se non ne avessimo seguito le complesse e straordinarie vicende, estese su ben tre opere precedenti e non ne avessimo conosciuto per esperienza diretta la complessa personalità… Persino “corpi inanimati”, come Reno, Fuoco e Walhall, ci risulterebbero freddi e distaccati, se non ne avessimo avuto intimo e diretto contatto in precedenza… E (come dubitarne!) tutta questa diversa luce in cui noi vediamo Götterdämmerung e i suoi personaggi proviene null’altro che dalla musica, dai temi (i Leit-motive) che abbiamo conosciuto “da giovani” ed ora rivediamo maturi (addirittura, in certi casi, moribondi…) e dalle loro variazioni, che ci testimoniano il continuo ed inesorabile fluire del tempo-spazio.

È quasi naturale che una storia, nata come singola epopea di un giovane eroe, e poi divenuta “cosmica”, finisca per comportare inevitabili dissimmetrie e qualche incongruenza, come abbiamo ricordato nel sunto del plot.

Padrissa. Ha forse esagerato nel caricare eccessivamente Götterdämmerung di tratti da opera buffa (nemmeno da grand-opéra, come doveva essere in origine): gli atteggiamenti decisamente macchiettistici di Gunther e peggio ancora di Siegfried - quello drogato - mi sono francamente parsi un po’ forzati. Gibichheim è dipinta - sullo sfondo - come una città industriale-finanziaria e Hagen sulle spalle porta la scritta “Gibi Stockmarket”, il che mi pare un riferimento, eccessivamente politico, ai nostri tempi moderni. E abiti moderni vestono i Ghibicunghi: giacche e cravatte, pants, “divise” da yuppies della City, etc. In realtà i vestimenti di questi personaggi dovrebbero rappresentarci semplicemente il fatto che Siegfried, che viene da un mondo dove ci si veste di pelli, è ora approdato in una società civile (o che tale si crede) fatta di uomini, anzi di omuncoli e donnicciole. È insomma testimone e soggetto al tempo stesso di un cambio di epoche storiche: si è lasciato alle spalle (finalmente! come reclamava nella seconda giornata: Aus dem Wald fort in die Welt ziehn) il mondo piccolo, arcaico, anche se leggendario e per certi versi nobile, di Wotan, Mime, Fafner, e adesso incontra il mondo vero, fatto di uomini veri e delle loro meschinità e volgarità.

Però che Gunther mostri al pubblico che Siegfried puzza (di selvatico) e - prima di fargli bere il filtro - lo faccia lavare, cambiare e vestire con giacca e cravatta, mi pare una trovata eccessiva di Padrissa, che sembra volerci presentare un Siegfried ben disposto a farsi corrompere, se non già corrotto di bel suo, prima ancora di cadere nel tranello tesogli da Hagen. Così come il Siegfried che - dopo aver bevuto il filtro - si butta su Gutrune come un arrapato, sdraiandola su un tavolo e mimando quasi uno stupro, credo che non avrebbe trovato l’approvazione di Wagner. Siegfried, anche da drogato e smemorato (ma non ubriaco, come Padrissa ce lo rappresenta) resta pur sempre quello che è, un ragazzone impulsivo e ingenuo forse, ma non un freak, insomma. E lo stesso Gunther è comunque un nobile (nobilastro magari) con una sua dignità, non un povero vanesio mezzo effeminato.

Ho già accennato, nel precedente commento ai costumi, alla forzatura consistente nell’ornare con simboli del denaro gli abiti di Hagen (il chè è perfetto) ma anche di Gunther e Gutrune, oltre che l’intera società ghibicunga (il che è piuttosto fuori luogo). Non dimentichiamoci che anche G&G sono, come Siegfried e Brünnhilde, vittime e non già complici dei disegni del figlio di Alberich, l’unico fra tutti ad essere cromosomicamente ossessionato dall’oro.

Altro particolare curioso è la visione del mondo (o di certi aspetti) a testa in giù: non solo il Siegfried che viene appeso per i piedi al momento di chiarire i particolari della (seconda) conquista di Brünnhilde, ma anche l’inversione alto-basso delle posizioni di Brünnhilde e Siegfried (lei vede lui allontanarsi su un Grane ancora ippogrifo) di Hagen e Alberich (costui scende ed incombe librandosi sul figlio, proprio come un’apparizione onirica, il che contraddice le precise indicazioni di Wagner) e ancora Siegfried che guarda dal basso in alto verso le Ninfe, che fanno il bagno in ...vasche appese al soffitto.

Di grande effetto il passaggio attraverso la platea del corteo funebre, il che però reca un notevole scompiglio in sala, rischiando di distogliere l’attenzione del pubblico dalla direzione di Mehta, che affronta da par suo la Trauermarsch, con tutte le sue dissimmetrie, in modo potente, ma mai enfatico nè retorico e soprattutto senza inventarsi effetti a sensazione.

Altra responsabilità che Padrissa si prende - nel finale - è di proiettare sugli schermi i versi che Wagner aveva scritto nel 1852 “...fate che solo esista l’amore”: iniziativa discutibile - quanto la croce ricamata sulla pettorina di Brünnhilde - in quanto pretende di indirizzare in modo preciso e univoco il finale del Ring, laddove Wagner, dopo mille ripensamenti e incertezze, fra la soluzione originaria del 1848, quella del 1852 e quella pessimistica del 1856, scelse una via di mezzo, o meglio una soluzione buona per tutte le stagioni e tutte le interpretazioni (che però andrebbero lasciate alla sensibilità del singolo spettatore).

Insomma, una regìa che - secondo me - si è spinta un po’ troppo in là nel cercare effetti a buon mercato: davvero più Meyerbeer che Wagner, potremmo dire.

Mehta e i cantanti

Strabiliante a dir poco Hans-Peter König: sembra nato apposta per impersonare Hagen! Non so quanto sia merito di Padrissa o (più probabilmente) suo, ma davvero è stato a dir poco perfetto. Nel portamento e - ciò che conta di più - nel canto.

Su Lance Ryan avevo avuto delle perplessità dopo l’ascolto radiofonico della prima: maggiore è stata quindi la sorpresa nel trovarlo ieri - se non perfetto - di assoluto livello. Forse la precedente esperienza gli ha insegnato a meglio distribuire le forze lungo le cinque ore.

Jennifer Wilson (ma è ingrassata ulteriormente dallo scorso novembre?) è una buona Brünnhilde, ma per diventare ottima deve ancora (ahilei e la sua linea!) “mangiare tanta polenta”. Speriamo che l’ovazione tributatale dal prodigo pubblico del Maggio la incoraggi a studiare ancora e più.

Anche Stefan Stoll ha coperto più che dignitosamente il suo ruolo, che in fin dei conti non presenta difficoltà insormontabili. (del resto ha poi avuto modo di riposare, steso per un quarto d’ora - dopo essere stato “sparato” da Hagen - in un angolo del palcoscenico).

Invece Bernadette Flaitz - ahilei - ha confermato (alle mie orecchie) le lacune già emerse mercoledi: inesistenti le note medio-basse, urlati barbaramente gli acuti. Gutrune è una poveretta, ma ciò non giustifica che venga tanto bistrattata anche nel canto. (però ovazioni - sull’onda dell’entusiasmo - anche per lei...)

Franz-Joseph Kapellmann e Catherine Wyn-Rogers davvero due comprimari di prim’ordine: soprattutto la Valchiria, a dir poco impeccabile.

Norne e Ninfe, imbragate a mezz’aria e/o immerse in volanti vasche trasparenti, hanno ben cantato le loro non secondarie parti.

Un applauso anche a Nicolò Ayroldi e Fabio Bertella: due particine corte-corte, ma interpretate al meglio.

Sontuoso il Coro del Maggio, alle prese con quell’ambiguo obiettivo wagneriano: dover rappresentare “al meglio” il-peggio-del-peggio-del-grand-opéra, in modo da farcelo disprezzare!

Di Mehta e dell’Orchestra non posso dir che bene: ottoni poderosi come si conviene (anche ad imitare gli Stierhorn). Archi leggeri e compatti. Bravi anche i percussionisti e le due arpe, appollaiate come sempre in un palco sopra corni e strumentini. Alla fine tutti in proscenio a meritarsi l’interminabile ovazione.

Come si dice abbia esclamato Wagner al termine del primo ciclo bayreuthiano: “se lo vorrete, avremo un’arte”. Speriamo che Bondi lo voglia.
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