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14 giugno, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.30 – Tjeknavorian - Hampson

Siamo arrivati all’ultimo appuntamento della stagione principale 24-25 dell’Orchestra Sinfonica di Milano ed Emmanuel Tjeknavorian si congeda dal suo pubblico con un programma (quasi) tutto americano: due brani ispirati dagli USA a compositori europei e uno proprio tutto (latino-)americano.

Prima dell’inizio sui due schermi telati dell’Auditorium compare un doveroso ricordo per il brigadiere Carlo Legrottaglie, caduto in servizio anti-crimine. In platea alcuni suoi commilitoni.

Si parte quindi con George Gershwin e la sua Cuban Overture del 1932, composta dopo una vacanza a La Habana. In Appendice-1 qualche nota ad un’esecuzione di Lorin Maazel a Cleveland.

Trascinante l’esecuzione dei ragazzi, guidati dal gran carisma del Tjek. Applausi e ovazioni da un pubblico addirittura strabocchevole.

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Ecco ora il baritono statunitense Thomas Hampson farsi avanti per interpretare di Kurt Weill il ciclo delle Four Walt Whitman Songs, quattro Lieder composti originariamente (1942) per canto e pianoforte e successivamente orchestrati da Weill con Elly Irving Schlein (1947) e Carlos Surinach (1956).

Su contenuti e ambientazione dei testi di Whitman e in particolare dei quattro musicati da Weill rimando all’Appendice-2. Ecco invece di seguito come Thomas Hampson ha interpretato i quattro canti a Vienna con Russel Davies:

1. Beat! Beat! Drums! Ostinata marcia in LA minore, con i richiami della voce che accompagnano l’azione di tamburi e trombe e salgono sempre, implacabili e stentorei, alla dominante MI.

2. Oh Captain! my Captain! Una dolce melodia in FA maggiore per gioire con il Capitano della vittoria e del felice ritorno a casa. Ma il Capitano giace insanguinato sul ponte e al suo marinaio, mentre il FA maggiore si abbruna progressivamente, non resta che piangerlo, mentre il popolo ancora festeggia.

3. Come up from the fields, father. Il DO minore fa da sfondo dapprima all’evocazione del crepuscolare paesaggio autunnale, poi all’angoscia della madre alla notizia della morte del suo ragazzo, e infine alla sua sconfortata rassegnazione.  

4. Dirge for two veterans. Una marcia funebre serena, dapprima in SOL maggiore, poi degradante a FA, porta padre e figlio, caduti in guerra, alla tomba, dove il SOL maggiore torna per l’ultimo saluto d’amore ai due patrioti. 

Hampson si cala perfettamente nell’atmosfera dei quattro Lied, dove Weill resta ancorato ad un sano diatonismo, solo screziato da sfumature atonali: la sua voce baritonale chiara e rotonda e il suo pathos di raffinato interprete si addicono a meraviglia a questi testi e a questa musica che chiama alla consapevolezza, all’umanità dei sentimenti, all’empatia, in definitiva… all’amore, contro ogni istinto di sopraffazione o di vendetta: e per questo è quanto mai di attualità.

Calorosissima quindi l’accoglienza che il pubblico gli riserva, accomunandolo a orchestra e direttore, che lo hanno supportato al meglio. 

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Il concerto si chiude con l’inflazionata Dal nuovo mondo di Antonin Dvořák, che l’Orchestra conosce come le sue tasche per averla suonata millanta volte.

Ma come ieri sera credo non l’abbia mai suonata in modo così emozionante. Grazie ai ragazzi e ovviamente alla loro guida carismatica. Il Tjek ha tirato fuori il meglio di sé con un’interpretazione, credo, guidata da un’intima condivisione del senso profondo di questa musica. Mi limito a citare il Largo, una cosa, almeno per quel che mi riguarda, mai sentita prima: frasi in pianissimo dei violini da mozzafiato, ricerca di sonorità delicate senza mai sconfinare in gratuite leziosità, uso sapientissimo del rubato, a ulteriormente impreziosire, se possibile, le nobili melodie di Dvořák, che forse solo certo Bellini riusciva a inventare.

Poi, come non citare il mirabile corno inglese di Paola Scotti, il corno di Ceccarelli, il clarinetto della Raffaella, e poi tutti, ma proprio tutti, gli altri compagni di questa Orchestra che si supera ad ogni nuovo cimento.   

Un autentico tifo da stadio, con applausi ritmati e urla belluine ha salutato la conclusione di questa serata davvero magica.

Bene, anzi benissimo. e così ora si comincia già a guardare al 14 settembre, quando il Tjek inaugurerà alla Scala la nuova stagione, alla quale darà lustro con ben 11 presenze sul podio (su 25 concerti) più 4 guide di altrettanti concerti da camera. [Ma laVerdi non va ancora in ferie… e luglio ci darà ancora sorprese.]

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Appendice-1. Cuban Overture.

Ha una struttura vagamente di forma-sonata, con la doppia esposizione di due temi principali, seguita da uno sviluppo che in realtà propone nuovi motivi e infine da una ripresa dei due temi esposti all’inizio. Il tutto chiuso da una coda.

Dopo 5 battute di introduzione di fiati e percussioni ecco violini, oboi e corno inglese esporre (10”) il motivo della famosa canzone cubana Echale Salsita. Contrappuntato da corni e viole con un altro motivo, che si scoprirà essere l’incipit del secondo tema.

Dopo che il motivo è stato reiterato, ecco (35”) farsi largo un accompagnamento leggermente sincopato che prelude all’ingresso (40”) nei corni, corno inglese e violini, del secondo tema, che nel suo sviluppo (dopo l’incipit già udito prima) richiama - sia pur vagamente (46) - la famosissima Paloma (dello spagnolo Iradier, ma chiaramente ispirata a Cuba). 

Dopo che il tema è stato reiterato dall’orchestra, ecco comparire (1’53”) un suo controsoggetto più languido, più avanti (2’29”) contrappuntato dal ritorno del primo tema, che poi si ripresenta (3’04”) a piena orchestra, seguito (3’16”) dal secondo.

A 3’38” è il primo tema a cadenzare, sfumando lentamente e, dopo una scarica di bongos, è il clarinetto (3’47”) che introduce con un breve recitativo la seconda sezione (sostenuto).

Oboe, corno inglese e flauto riprendono il precedente recitativo del clarinetto introducendo un motivo (4’39”) esposto dai violini, che ricorda, pur da molto lontano, quello famosissimo del blues dall’Americano a Parigi. La cosa si ripete a 5’23”. Poi, a 6’00” i violini entrano con un altro motivo che ricorda – anche qui assai di lontano – la jota finale dal Sombrero di DeFalla.

Quest’atmosfera piuttosto dimessa si trascina fino a 7’40”, dove abbiamo una stentorea perorazione dell’orchestra, che conduce (7’56”) all’ultima parte dell’Overture (Allegretto ritmato) dove ritroviamo (8’12”) il primo tema nella tromba e subito dopo (8’19”) il secondo negli strumentini.

I due temi principali sono ora protagonisti del convulso finale, che si chiude (9’48”) con 18 battute di Coda, dove l’orchestra sembra caricarsi e prendere la rincorsa per il balzo trionfale.

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Appendice-2. Testi di Whitman musicati da Weill.

Il poeta-scrittore newyorkese (vissuto nel pieno ‘800) è divenuto famoso nel mondo soprattutto per una corposa collezione di poesie, Leaves of Grass, redatte fra il 1850 e il 1892 (anno della sua scomparsa) e pubblicate, a partire dal 1855, in otto successive e sempre più arricchite edizioni, fino al 1892. Qui una pregevole traduzione italiana, del 1907, con corposa e multidisciplinare presentazione, di Luigi Gamberale, con il titolo di Foglie di erba.

Nel 1865 Whitman produsse una delle periodiche aggiunte alla raccolta, ispirandosi alle vicende della Guerra civile (1861-65) alla quale (pur contrario per principio ad ogni forma di conflitto – era di religione quacchera come la madre olandese) lui partecipò attivamente come ausiliario infermiere, curando indifferentemente e disinteressatamente le ferite di nordisti e sudisti.

Nacque così una nuova sezione del libro, intitolata Drum-Taps (Colpi di tamburo, poi ulteriormente rimpolpata con Sequel to Drum-Taps). Ed è da essa che Weill, ormai da tempo stabilitosi in USA, scelse le quattro poesie da musicare [fra parentesi i riferimenti alla traduzione di Gamberale dei testi originali in lingua inglese]:

- Beat! Beat! Drums! [Battete! Battete! Tamburi! pag.280] Tamburi e trombe di guerra interrompano ogni attività umana, ignorino preghiere e implorazioni materne, zittiscano chi chiede trattative. Un’impietosa e caustica critica della follia che invade il mondo quando le armi si sostituiscono alla ragione.

- Come up from the fields, father [Vien su dai campi, o padre, pag.298] In Ohio l’Autunno comincia a colorare i boschi, le mele sono ormai mature, i grappoli abbondanti pendono dalle viti… Ma arriva una lettera dal fronte, il padre corre dal campo, la madre straccia la busta: il ragazzo è stato ferito, ma sembra migliorare. In realtà, a quell’ora è già morto… E la madre si veste a lutto, non mangia più, non prende sonno: vorrebbe correre dal figlio morto…

- Dirge for two veterans [Canto funebre per due veterani, pag.310] Padre e figlio caduti, insieme, in prima linea. Un degno funerale, con musica e processione. Due fosse attendono le bare. Il poeta può solo offrire… amore.

- Oh Captain! my Captain! [O Capitano, mio capitano, pag.332] La nave è giunta finalmente, vittoriosa, in porto, dopo aver attraversato mille traversie e tempeste. Tutti esultano. Forse anche chi ha assassinato il Capitano (Lincoln, ndr) che giace disteso sul ponte, morto.

Come si vede, sono l’amaro sfogo dell’uomo d’arte e di pace di fronte alle miserie degli uomini di parte e di guerra. Non è quindi un caso che uno come Weill abbia provato grande affinità elettiva per questi versi e per il loro autore.


31 maggio, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.28 – Tjeknavorian - Müller-Schott

Per il terz’ultimo appuntamento della stagione principale 24-25 dell’Orchestra Sinfonica di Milano, Emmanuel Tjeknavorian ci mette in tavola un menu costituito da due piatti del tardissimo ‘800: lo Dvořák del 1894 e il Sibelius del 1898. Auditorium non proprio esaurito, ma quasi, e sempre pieno di entusiasmo. In platea Oreste Bossini racconta il concerto per Radio3.

La serata si apre nel nome di Jan Sibelius, con la sua Prima Sinfonia, cui il 34enne compositore si volse proprio sul finire del secolo dopo aver composto diversi poemi sinfonici a sfondo nazionalistico-patriottico. Il suo fu un approccio innovativo sia rispetto a Ciajkovski (cui peraltro fu debitore) ma anche rispetto a Mahler, del quale non condivideva l’idea di impiegare la sinfonia per raccontare l’universo.

E questa Prima in effetti sembra rifarsi al sinfonismo classico, sul quale innestare elementi della tradizione musicale del suo Paese. In Appendice riporto una succinta guida all’ascolto, basata su un’esecuzione di papà Loris con i suoi filarmonici armeni nel 1997, quando il piccolo Emmanuel aveva sì e no un paio d’anni…

Per l’Orchestra è la prima esperienza con questo lavoro non proprio conosciutissimo e meno ancora eseguito, così il Tjek (sempre a memoria!) la guida da par suo, mettendo in risalto non solo i suoni, ma anche i silenzi lunghi e brevi (rappresentati in partitura da corone puntate e apostrofi di respiro).

Così ne esce un risultato mirabile, che ridà un meritato lustro a questo Sibelius francamente troppo snobbato dai modernisti con la puzza al naso.

Dopo la chiusura con i sommessi pizzicati degli archi il Tjek tiene ancora una decina di secondi di silenzio, poi inutile dire dell’accoglienza trionfale che accomuna Kapellmeister e Musikanten.

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Ha chiuso la serata un compagno di… sonate del Tjek, il 49enne Daniel Müller-Schott con il suo violoncello, impegnati nel Concerto op.104 di Antonin Dvořák. Qui vediamo una pregevole esecuzione di Daniel in terra danese con Kitajenko.

Il suono del violoncello di Müller-Schott (Goffriller 1727) è di assoluta purezza, cosa che avrebbe stupito lo stesso Dvořák, che non aveva mai nascosto la sua idiosincrasia per quello strumento, considerato piuttosto rozzo proprio nella qualità sonora (!?) Ma certo il merito è anche dell’esecutore, dalla tecnica trascendentale e dalla sensibilità sopraffina. Il Tjek (eccezionalmente con la partitura sotto gli occhi) lo ha assecondato al meglio, avendo con lui, come detto, una consuetudine di lunga data.

Qualche neo purtroppo si è manifestato in orchestra, dalla zona dei corni (citiamo il peccato e non il peccatore) che non consente di giudicare perfetta questa performance.

Ma alla fine non impedisce il manifestarsi di acclamazioni e ovazioni da parte di un pubblico in delirio, ripagato con un prezioso e accorato bis, seguito da un ultimo trionfale omaggio per tutti.   

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Appendice. La prima sinfonia di Sibelius

Inizia con un’Introduzione lenta (à-la-Haydn… Andante ma non troppo) in MI minore con inflessi modali. È un languido recitativo del clarinetto (21”di cui si ricorderà Nino Rota per il suo Padrinosul tappeto in SI del timpano che getta musicalmente le basi per i temi che compariranno nel seguito.

Segue l’Allegro energico (1’33”) dalla struttura di forma-sonata eterodossa, principiante nella tonalità relativa di SOL maggiore con esposizione di un primo tema che si anima nel dialogo fra archi e fiati, che conduce ad un crescendo sfociante (2’41”) in un generale accordo sulla sesta abbassata di MIb, seguito da uno in MI naturale, poi ancora in FA e poi in FA# per sfociare (2’47”) ancora in SOL maggiore, dove il tema è reiterato a piena orchestra e poi ancora ribadito (3’09”) nella sottodominante DO maggiore.

Da qui un subitaneo passaggio a SI maggiore apre la strada al secondo tema (3’30”) protagonisti gli strumentini con sereni svolazzi; poi (4’29”) l’atmosfera si abbruna a SI minore, dove ancora i legni si slanciano in un furioso crescendo – pare lo Scherzo della nona beethoveniana… - che si spegne (4’50”) in modo traumatico. Tre semiminime di SI pizzicato degli archi chiudono di fatto l’esposizione.

Il lungo sviluppo – in realtà appare come un intermezzo che porta alla luce muovi motivi - inizia (4’55”) ancora in SI maggiore, con un momento di calma in LAb (5’30”) seguito da un lungo passaggio caratterizzato da successive scale discendenti e poi da un magmatico crescendo (6’23”) che sfocia maestosamente (7’25”) in SOL maggiore, con una nobile perorazione degli archi, che porta all’eterodossa ripresa del primo tema, che ascoltiamo (8’10”) dopo il convulso crescendo.

In tempo Tranquillo (9’01”) ecco il ritorno a MI minore che introduce la coda, culminante (10’09”) in una melodrammatica cadenza in fortissimo, chiusa da due accordi in pizzicato degli archi. 

Il secondo movimento è un Andante (ma non troppo Lento) nella distante tonalità di MIb maggiore. I violini (10’53”) espongono la prima parte del languido tema principale, costituita da due sezioni, la seconda ripetuta. Ora (12’02”) i fiati, poi supportati da viole e celli, rispondono proponendo la conclusione del tema.

I fagotti (12’25”, Un poco meno andante) – seguiti poi dagli altri legni - intonano ora una triste melopea in SOL minore che poi si trasforma (12’58”) in un accorato appello, costituito dall’incipit del tema principale seguito da dolorose cadute chiuse da una pesantissima discesa di quattro ottave, fino al FA sotto il rigo di basso.

Ora (13’55”) una transizione sul DO minore caratterizzata da sestine ribattute di flauti e oboi ci conduce alla sezione centrale del movimento (14’24”, Molto tranquillo) una specie di oasi in LAb maggiore, con tanto di esternazioni ornitologiche degli strumentini. La cui visione sfuma (15’33”, Adagio) per lasciar subito posto al ritorno del tempo primo e all’atmosfera della precedente sezione, in DO minore e poi in SOL minore, che una fugace riapparizione del LAb (17’37”) cerca invano di contrastare.

Attacca quindi un vorticoso crescendo (Poco a poco stringendo) che conduce ad un climax in cui si distinguono pesanti strappi dell’orchestra, finchè (18’52”) in DO minore esplode una delle varianti del tema principale (Ciajkovski? Wagner?) che poi (19’07”) sfuma nel MIb d’origine portando ad una serena conclusione di questo viaggio tormentato.

Ecco poi lo Scherzo, tonalità DO maggiore, classicamente ripartito A-B-A (Scherzo-Trio-Scherzo). Di stampo vagamente bruckneriano, nel piglio da moto perpetuo. Sul pedale ostinato di viole e celli sono i timpani (DO-SOL) ad annunciare (20’52”) il motto dello Scherzo, subito imitati dai violini. Corni e legni (20’55”) ne espongono il tema scalpitante che vaga in orchestra fra svolazzi di strumentini, sestine di celli e folate ascendenti e discendenti dell’arpa. Dopo un passaggio più disteso degli archi, torna il motto (21’42”) ad aprire una nuova sezione dello Scherzo, culminante (22’00”) in volate di legni e poi di archi, sempre innescate dall’incipit del motto.

Si arriva così (22’35”) al classico Trio, Lento (ma non troppo), in MI maggiore, aperto, ancor più classicamente, dai corni. Poi (22’59”) è il flauto ad esibirsi in un cullante motivo impreziosito da trilli; ancora una pausa (23’30”) e i legni riprendono il motivo di attacco de Trio, poi raggiunti dagli archi che si dilungano sulla dominante SI. Il ritorno al Tempo I preannuncia la conclusione del Trio, sancita da veloci scale discendenti degli archi, chiuse sul DO.

Riecco quindi (24’33”) ripresentarsi lo Scherzo nella sua interezza, chiuso da una perentoria coda, protagonista il motto.

Il Finale reca tra parentesi la dicitura (quasi una Fantasia). Ed in effetti la sua struttura è abbastanza… fantasiosa, per lo meno rispetto ai sacri canoni classici, consistendo in due temi principali (tipo forma-sonata) che vengono dapprima esposti e successivamente poi ripresi e variati, di fatto sviluppati.

La tonalità è ovviamente in MI minore e il movimento Inizia (25’50”) con un’Introduzione in tempo Andante, come già il primo. E da quello mutua subito il motivo di apertura della Sinfonia, esposto dagli archi, ai quali rispondono i flauti con la frase chiusa dai corni e fagotti sull’accordo di SI minore e ancora oboi e poi flauti e clarinetti con corni e fagotti a chiudere in SOL minore.

In tempo Meno andante (27’34”) celli e bassi chiudono l’Introduzione preparando il terreno all’Allegro molto dove presto compare (28’08”) nei bassi e nelle viole il primo tema, agitato e poi dilagante in orchestra, fra archi e fiati che si rincorrono, in un continuo crescendo (Poco a poco più Allegro) fino a raggiungere, dopo cinque schianti poderosi, un climax (29’04”) su un RE acuto, dal quale i violini precipitano fino ad un SI sotto il rigo.

È arrivato il momento (29’19”, Andante assai) di conoscere il secondo tema, una nobile melodia nel solare DO maggiore, intonata dai violini, che si distende ulteriormente (30’21”, Poco a poco meno Andante) fino a chiudersi (31’06”) con gli strumentini.

Inizia ora lo sviluppo del primo tema (31’18”, Allegro molto, come prima) che sembra travolgere tutto, fino ad un climax (32’08”) da cui subito riparte ancor più vigoroso (Poco a poco più Allegro) e quindi (32’37”) si fa sempre più ostinato, con schianti successivi che portano finalmente (32’54”) ad un progressivo acquetarsi dell’atmosfera, presagio dell’arrivo (33’06”) in tempo Andante (ma non troppo) dello sviluppo del secondo tema.

Che ora torna in LAb maggiore, poi trascolora a REb, ancora a SOLb e poi a SI maggiore (34’26”) dove a lungo si distende maestoso, fino poi (36’55”) a scendere sul MI della finale apoteosi, chiusa - dopo tre schianti in MI minore dell’intera orchestra, come accadde al primo movimento - con due pizzicati degli archi.


24 maggio, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.27 – Tjeknavorian




Un programma eroico è quello che vede il ritorno sul podio dell’Auditorium del Direttore Musicale dell’Orchestra Sinfonica di Milano.

In programma Egmont e Titan, due soggetti solo apparentemente simili, dacchè l’Egmont di Goethe (musicato da Beethoven) fu effettivamente un eroico difensore del popolo fiammingo (oltre che della propria famiglia) contro la tirannia spagnola; mentre il Roquairol protagonista del romanzo di Jean Paul (al secolo Johann Friedrich Richter) che ispirò Mahler è piuttosto un romantico abbastanza fanatico, che si suicida dopo una vita tutt’altro che eroica… [Lo stesso Mahler depennò il sottotitolo della sua opera quando – dopo averla privata del secondo movimento - ribattezzò semplicemente Sinfonia ciò che aveva inizialmente chiamato Poema Sinfonico!]

L’Ouverture dell’Egmont (1809) è un gioiello di forma e sostanza, che racchiude in sé con mirabile concisione i temi che evocano le gesta del conte fiammingo. Rimando i curiosi ad una mia dettagliata analisi del brano, pubblicata qui tempo fa in occasione di un concerto de laVerdi.

Vibrante, tesa, essenziale, si direbbe proprio… beethoveniana nello spirito, l’interpretazione del Tjek, accolta da convinti applausi. 

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Il tempo per rinforzare adeguatamente i ranghi dell’orchestra ed ecco il Tjek cimentarsi con uno dei brani più inflazionati (e spesso pure… bistrattati) del panorama sinfonico del tardo ‘800: Mahler e la Prima Sinfonia in RE maggiore, concepita probabilmente fin dal 1884-85 (insieme o poco dopo le canzoni del ciclo dei fahrenden Gesellen, due delle quali vi sono scopertamente richiamate); poi venuta alla luce nel 1886-89 a Budapest come Poema Sinfonico; e ancora rivista più volte dal 1893 ad Amburgo - compresa la comparsa e successiva rimozione del discutibile riferimento a Titan - fino alla definitiva versione, come Sinfonia, appunto, del 1899.

Per pura curiosità, ecco come la interpretava papà Loris con l’Orchestra Filarmonica della sua Armenia, a Yerevan (purtroppo una registrazione davvero… di fortuna).

Che dire della prestazione di ieri? Un inizio davvero seducente, con il LA in armonico degli archi davvero straordinario, poi però una defaillance dei corni ha un po’ rotto l’incantesimo e, purtroppo, si ripeterà anche più avanti nel corso della serata.

Ho trovato da perfezionare l’amalgama fra le sezioni, in specie nei tutti, che spesso risultavano piuttosto, come dire… un po’ rozzi, ecco. Questo nei primi due movimenti, meglio le cose sono andate nel finale.

Il meglio si è avuto nel Feierlich und gemessen, con il meraviglioso attacco del contrabbasso di Michele Sciandra, e poi il sognante Lied del tiglio con Santaniello. Rimarchevole anche la resa, nel finale, del romantico passaggio quasi… chopiniano.

Ma insomma, penso che si potesse fare meglio, per ieri non andrei oltre un voto 6-7, ecco. Spero proprio che domani le cose migliorino assai. 

In ogni caso il foltissimo pubblico non ha mancato di sommergere tutti con applausi ritmati e ovazioni, segno che il feeling con il Tjek è in continuo crescendo.

16 aprile, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.24 – Tjeknavorian & Rossini

Un Auditorium stracolmo di pubblico - in religioso raccoglimento durante l’esecuzione e poi trasformatosi in una bolgia da stadio dopo l’ultimo accordo di SOL minore dell’orchestra – ha accolto questa nuova, grande prova del giovane Direttore Musicale, uno Stabat Mater che ci ha davvero coinvolto ed emozionato.

Plauso ovviamente da estendere all’Orchestra, in stato di grazia in ogni sezione, e al superlativo Coro di Fiocchi Malaspina.

Si discute sempre dell’eccessiva melodrammaticità di questo Rossini sacro. Ammesso che ciò abbia ancora rilevanza al di fuori della ristretta cerchia di puristi e custodi dell’ortodossia, direi che il Tjek se ne sia bellamente fregato, leggendo Rossini per quel che è (non ci sono Rossini buffi, seri o sacri, ma un solo straordinario genio, capace di eccellere in ogni campo e in ogni genere). Così il Direttore – che ha mandato a memoria anche queste 250 pagine! - ha interpretato l’agogica ora con sostenutezza e sapienti prese di respiro, ora con passo travolgente (come nelle colossali fughe) e lo stesso ha fatto con le dinamiche, tenendo sempre alto il contrasto fra piani e forti, e scolpendo così un sontuoso edificio musicale, che ci appare con tutte le qualità, insieme del teatro e della cattedrale.       

Francamente qualche riserva me la… riservo per i quattro solisti: appena sopra la sufficienza Benedetta Torre e piuttosto a disagio con la sua parte Martina Belli; Juan Francisco Gatell ha avuto la disavventura di incappare subito in una spiacevole acciaccatura proprio sull’impervio REb del Cuius animam, e forse ciò può aver condizionato anche il resto della sua non proprio brillantissima prestazione. Da elogiare invece il navigatissimo Nicola Ulivieri, distintosi sempre nei suoi impegnativi passaggi.

Le riserve sui solisti mi portano inevitabilmente a domandarmi (sospettare?) la ragione della scelta di affidare il Quando corpus morietur al coro e non ai singoli. Cito al proposito un passaggio del venerabile Alberto Zedda: …N.9 Quando corpus morietur, pagina di alta commozione capace di trasformare il terrore della morte in paradisiaco stupore, è stato pensato da Rossini per quattro voci soliste: la difficoltà di mantenere una corretta intonazione, resa problematica da procedimenti cromatici ed enarmonici che si prolungano per intensi episodi, ha fatto tradizionalmente preferire l’impiego dell’intero coro, ideale per realizzare con la giusta espressione i colori dinamici fondamentalmente basati su piano e pianissimo. Ed è un fatto che a Pesaro (e non solo làggiù...) il brano sia sempre affidato al coro. Il che però lo priva oggettivamente della sua intensità quasi metafisica; per intenderci: quella che caratterizza lo stesso brano in Pergolesi, del quale Rossini aveva una stima incondizionata.

Ma insomma, non sottilizziamo troppo e teniamoci stretto questo Tjek, che ormai mostra di non temere qualunque prova, e che rivedremo e ascolteremo per altri tre concerti verso la fine della stagione.

PS: chi desideri ascoltare (o ri-ascoltare) il concerto di ieri, inclusa la presentazione da studio di Barbieri e i commenti dalla sala di Bossini, può farlo grazie alla registrazione di mamma RAI.    


11 aprile, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano – per Pasqua Rossini prende il posto di Bach

Cambiano i Direttori e cambiano anche le tradizioni: nella Settimana Santa Ruben Jais, Direttore Artistico de laVerdi, immancabilmente programmava (magari appaltandola a… se stesso, cioè a laBarocca) l’esecuzione di una delle due passioni di Bach: Matteo o, alternativamente, Giovanni (questa fu l’ultima rappresentata, lo scorso anno).

Ora l’avvento di Tjeknavorian ha portato con sé anche una novità pasquale: al posto di Bach… Rossini e il suo monumentale Stabat Mater (martedi 15 e giovedi 17, ore 20). 

L’opera è alla sua ottava comparsa in Auditorium. Fu per parecchie stagioni una presenza costante nella programmazione de laVerdi: diretto dall’indimenticabile Romano Gandolfi, lo Stabat Mater risuonò qui in quattro stagioni consecutive: 99-00, 00-01, 01-02 e 02-03. Poi ritornò con Stéphane Denève nella stagione 05-06. Quindi 10 anni di assenza, prima di una nuova comparsa, con Claus Peter Flor nel 2016. Infine, sempre con Flor, l’ultima presenza, nel 2018, in occasione dei 150 anni dalla scomparsa di Rossini e dei 20 anni dalla nascita del Coro Sinfonico.

Al Rossini Opera Festival lo Stabat Mater è stato eseguito per ben 14 volte e, guarda caso, l’ultima apparizione colà, nel 2021, ebbe un qualche indiretto legame con laVerdi: perché a dirigerlo, alla testa della Filarmonica Rossini e del Coro del Ventidio Basso, fu una creatura dell’Orchestra milanese, Jader Bignamini.

Dopo i recenti trionfali concerti, l’aspettativa per questa nuova sfida del giovane Direttore Musicale è altissima. Nell’attesa, ecco un mio personale ripasso sui contenuti di questo capolavoro del genio pesarese.


05 aprile, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - Tjeknavorian & Babayan soli al comando

Come intermezzo fra le due serate del 23° concerto, i suoi due protagonisti sono tornati sul palco dell’Auditorium per uno straordinario da camera dove hanno spaziato da Mozart a Janàček a Brahms, per poi chiudere sul festeggiato Ravel (150 anni dalla nascita).  

Programma parzialmente modificato rispetto all’annuncio originale, con Brahms a sostituire Prokofiev, più Mozart (due sonate - K301+K305 - invece della K367) e con l’aggiunta di un intermezzo di Kreisler.

Come si po' dedurre, qui è il violino (del Tjek) a farla da protagonista, con un illustre pianista (Babayan) a supportarlo sontuosamente. Ecco la sequenza dei nove brani eseguiti:

1- Leóš Janàček: Sonata per violino e pianoforte (ultima versione, 1922); Con moto; Ballada; Allegretto; Adagio:

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2- Wolfgang Amadeus Mozart: Sonata per violino e pianoforte in Sol maggiore K 301 (1778, a Mannheim); Allegro con spirito; Allegro:

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3- Fritz Kreisler:

1. Rondino in stile Beethoven (1905): si tratta di una riduzione del Rondo per violino e piano, trasposto da SOL a MIb maggiore; le strofe del Rondo sono in MIb, SIb, DO minore, LAb maggiore:

2. Alt-Wiener Tanzweisen (<1905) è un trittico di tre danze viennesi:

a) Liebesfreud: struttura A-BB’-A; Allegro, DO maggiore / Grazioso, Allegro, FA maggiore / Allegro, DO maggiore:

b) Liebesleid: struttura A-B-A-B; Ländler, LA minore / Poco meno mosso, LA maggiore:

c) Schön Rosmarin: Struttura A-B-A; Grazioso, SOL maggiore / Meno mosso, SOL maggiore-minore, SIb maggiore, SOL maggiore / SOL maggiore:

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4- Johannes Brahms: Scherzo in Do minore per violino e pianoforte dalla sonata F.A.E. (1853). L’acronimo del brano sta per Frei aber einsam, composto in realtà a tre mani, per omaggiare il grande Joachim: I. Allegro, da Albert Dietrich; II. Intermezzo, da Robert Schumann; III. Scherzo, da Brahms; IV Finale, da Schumann:

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5- Wolfgang Amadeus Mozart: Sonata per violino e pianoforte in La maggiore K 305 (1778, Mannheim); Allegro di molto; Tema con variazioni:

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6- Maurice Ravel: Tzigane. Rapsodie de concert (1924); oltre a questa, per violino e pianoforte, esistono del brano altre due versioni: quella con accompagnamento di orchestra e quella con accompagnamento di Luthéal (un ibrido pianoforte-organo, oggi in disuso). L’atmosfera gitana si rivela già dall’esordio, esclusivamente assegnato al violino:

Poi diventa quasi schizofrenica prima della conclusione, con un funambolico susseguirsi di indicazioni di agogica e di diteggiatura:

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Dopo un esordio accidentato (colpa del tablet con gli spartiti di Babayan che non obbediva ai comandi via smartphone della ragazza addetta al volta-pagina) il programma è andato in continuo crescendo. Janàček (questo, almeno) non è facile da digerire, anche perché lo stesso Autore la tirò in lunga per un decennio, cambiando anche gli scenari della sua narrativa: è un’opera complessa e complicata, poco lineare, e c’è voluta tutta l’abilità e l’abnegazione dei due protagonisti per rendercela almeno accettabile, ecco.

Poi Mozart ha ovviamente aperto un primo squarcio di sano classicismo, con le sue leziosità giovanili. Kreisler ha anche scaldato i motori del virtuosismo. NB. la sequenza dei quattro brani è stata: Liebesleid, Rosmarin, Rondino, Liebesfreud, in modo da lasciare l’ultima parola nota prima dell’intervallo al pezzo forte, o quanto meno al più trascinante dei quattro.

Brahms ha poi degnamente tirato la volata al secondo Mozart, le cui variazioni hanno davvero incantato. I due moschettieri si son presi un minuto di pausa prima della Tzigane, che ha chiuso il programma ufficiale con grande trionfo per questa coppia davvero unica nel suo genere.

Praticamente scontato (e preparato) il bis di congedo: ancora Ravel, con il pezzo in forma di Habanera. Ma il pubblico – anche oggi oceanico - non se n’è dato per inteso, e così l’ultima parola musica l’ha avuta ancora il kreisleriano Liebesleid, romantiche pene d’amore… come quelle che ormai sembrano accumunare il pubblico e il suo nuovo Direttore Musicale!