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17 agosto, 2025

ROF-2025 live. Zelmira.

Eccomi quindi a commentare la mia prima di questo ROF-46, Zelmira. Purtroppo con una nota assai poco positiva: l’Auditorium Scavolini era occupato sì e no al 50-60% della sua capienza nominale! Brutto segno davvero…

L’allestimento di Calixto Bieito con i collaboratori Barbora Horàkovà (scene) Ingo Krügler (costumi) e Michael Bauer (luci) è davvero insolito e presenta qualche vantaggio e molti lati negativi, proprio rispetto alla fruizione musicale: cantanti che, ovunque siano rivolti, danno le spalle a metà del pubblico, protagonisti e cori che girovagano per tutto l’Auditorium, salendo e scendendo le scale delle gradinate e i praticabili della pedana (buche riempite di terra o acqua…) Insomma, una kermesse più che uno spettacolo. Con notevoli dosi di Kitsch e vaghi riferimenti a problematiche LGBTQ+ (Antenore&Leucippo!) Diciamo, una roba proprio da luogo di Festival, inimmaginabile in un teatro tradizionale. Comunque le contestazioni alla prima non si sono ripetute, anche perché mancava la… materia prima contestabile.  

Giacomo Sagripanti a sua volta è alle prese – date le circostanze - con problemi non banali di accompagnamento delle voci, che si trovano sempre in punti diversi del catino del palazzetto: non di rado il suono dell’orchestra finisce per coprirle, almeno a quella parte pubblico cui il cantante volge le terga… A parte ciò, direi che sia stata una direzione all’altezza del valore della partitura.

***
Dopo l’esordio del solido coro del Ventidio Basso (guidato da Pasquale Veleno) che annuncia la morte di Azor, arriva Gianluca Margheri (Leucippo, esecutore materiale dell’omicidio) e ipocritamente esterna il suo stupore. Lo segue Enea Scala (Antenore, il mandante dell’omicidio) ancor più ipocrita nella sua cavatina Odo le tue querele, dove non deve salire oltre il SI naturale, che promette vendetta contro… se stesso (aria Sorte, secondami) dove non deve salire oltre la dominante LA. Ma la voce non è delle più pulite, per vibrato e stabilità di intonazione, il che gli garantisce applausi di circostanza

Dopo che i due pipistrelli si sono reciprocamente complimentati del golpe perfettamente riuscito, e dell’incolpamento della morte del padre Polidoro della Regina, incontriamo appunto la povera Anastasia Bartoli (Zelmira) che subito deve difendersi dalle accuse di parricidio mossegli dalla nutrice Marina Viotti (Emma). Le due si rincorrono forsennatamente attorno alla pedana, contemporaneamente cantando le loro ragioni…

Eccoci quindi alla scena nella cripta, dove incontriamo Marko Mimica (Polidoro) che si presenta con la cavatina Ah! già trascorse il dì, mostrando voce profonda e ben impostata. Arrivate Zelmira ed Emma, ecco il terzetto (Soave conforto / Le braccia mi stendi / Da gioia e stupore / O grato Momento) che poi sfocia nel finale (Se trova in te scampo) lungamente applaudito.

Ecco ora arrivare, introdotto dal coro, Lawrence Brownlee (Ilo, marito di Zelmira) che esordisce con la cavatina (Terra amica) dove deve salire una prima volta al RE sovracuto, dominante del SOL di impianto (…era il dolce mio pensier…) Ecco poi la celebre, impervia cabaletta in DO maggiore (Cara, deh, attendimi) dove ci sono ben tre RE sovracuti (sopratonica del DO) sui versi nel tuo bel seno (due volte) e poi sul verso da te lontano (questo però Brownlee lo abbassa al SI…) Poi i DO sovracuti conclusivi. La voce passa bene a dispetto delle pose che il cantante, che pare un soldato disertore e distrutto e non un eroe di guerra, è costretto ad assumere. Lunghi applausi per lui alla fine del massacrante impegno.

Si presenta qui il bravo tenorino Paolo Nevi (Eacide) chissà perché dotato di bianche, angeliche ali, che fa buona mostra di sé, glorificando il capo Ilo (Godi, o signor).

Ora abbiamo il drammatico incontro fra l’entusiasta Ilo e la preoccupata Zelmira, caratterizzato dal duetto (Ah! se caro a te son io / Quanto costa al labbro mio) in SOL maggiore, dove il tenore ancora deve salire al RE e al DO sovracuto (…della mia felicità).  

La situazione precipita: Leucippo ha sparso la voce calunniosa contro Zelmira, che ora è in pericolo mortale: riprende così il duetto in MIb maggiore (Che mai pensar? che dir? / Come parlar? che dir?) chiuso fra gli applausi con l’intervento di Emma (Sorte spietata) e delle donzelle di Zelmira.

Segue la scena di Antenore e Leucippo che pianificano di far secchi anche Zelmira, Ilo e il loro figlioletto. Arriva Ilo, sempre più dimesso e disperato nell’aver conferma dalle calunnie dei due della colpevolezza e del tradimento della moglie, accuse cui rincara la dose Antenore (Mentre qual fiera ingorda) che dipinge Zelmira come una pericolosa strega. Qui Scala deve toccare, per un paio di volte, e con un certo sforzo, il SI naturale.

I Sacerdoti certificano il diritto al trono di Antenore, che esulta con una cabaletta (Ah! dopo tanti palpiti) in LA maggiore, dove ghermisce, sempre a fatica, il DO# sovracuto. Ma gli applausi del pubblico non mancano certo.

Zelmira affida ad Emma il figlioletto cui dà un mesto addio in FA minore (Perché mi guardi e piangi) accompagnata da arpa e corno inglese. Che poi fanno da sottofondo al delicato duetto fra le due (Ah! chi pietà non sente). Convinti applausi del pubblico a interpreti vocali e… strumentali!

Ora Antenore viene incoronato - Si fausto momento nei  cori, in un tronfio RE maggiore - Re di Lesbo, e non manca il suo discorso di insediamento (Sì, figli miei, di Lesbo) cui segue l’incoronazione (Qual fronte illustre) da parte di Shi Zong (Gran Sacerdote) abbigliato in… mutande (!?) per cantare i suoi tre versi, a cui tiene enfatico e retorico bordone (Regga lo scettro aurato) Leucippo.

Si arriva alla scena madre del tentativo di Leucippo di far secco Ilo, con l’intervento di Zelmira che gli strappa il coltello, ma che Leucippo prontamente fa passare agli occhi di Ilo come la moglie decisa ad ammazzarlo. Bieito risolve il tutto in modo incomprensibile, con Zelmira che imbraccia il coltello prima ancora di Leucippo. Poi Brownlee deve ancora esibirsi in un DO# sovracuto nel suo intervento Numi, qual nero… Poi il terzetto si conclude in un tutti-contro-tutti.

E siamo finalmente alla conclusione del lunghissimo primo atto. L’orchestra ribolle in forsennate note ribattute, poi tutto si calma e inizia il finale concertato (La sorpresa... lo stupore). Antenore (Alla strage ognor ti guida) pronuncia accusa e sentenza (per gli omicidi di Azor e Polidoro) contro Zelmira, trascinata via in catene, in un’atmosfera di giubilo e insieme di tragedia, ma tutto in RE maggiore. Scroscianti applausi per tutti.

***
Il secondo atto si apre con il conciliabolo fra Enea Scala (Agenore) e Gianluca Margheri (Leucippo) che informa il suo mandante del contenuto di un messaggio di Zelmira inviato dal carcere al marito, dal quale si evince che Re Polidoro è tuttora in vita: i due decidono che liberare Zelmira e seguirne i passi servirà a chiarire l’arcano e a mettere le mani anche sul vecchio Re.

Dopo un delicato coretto di donzelle (Se alcuno scopreci) torna ora in scena Marina Viotti (aka Emma) per sciorinarci – con arpa e corno a supporto - l’aria Ciel pietoso, ciel clemente, che Rossini scrisse per la prima viennese a beneficio di tale Fanny Eckerlin, contralto in auge nella capitale austriaca. Emma consegna il figlioletto di Zelmira a fide ancelle perché lo proteggano dai propositi omicidi del duo mafioso Antenore-Leucippo. Poi, rassicurata dalle ancelle (Non temer…) chiude la scena, accompagnata dal coro, con la cabaletta Ah se è ver, di quel ch'io sento. Qui la Viotti si merita un lungo applauso per l’impeccabile resa di questo cammeo davvero prezioso.

Passiamo ora all’incontro fra Lawrence Brownlee (Ilo) e Marko Mimica (Re Polidoro): il primo, disperato credendo Zelmira fedifraga, e il secondo che lo convince del contrario. Ilo manifesta la sua esultanza alla notizia ingaggiando con il suocero il duetto in MI maggiore In estasi di gioia / Di tante pene e tante, dove Ilo tocca diversi SI e anche un DO# sovracuto. Meritati gli applausi per i due.

Ilo si lancia fuori per liberare Zelmira, che, nella scena con Emma, si domanda la ragione della sua liberazione. Antenore e Leucippo la scoprono e le strappano il segreto del luogo dove Polidoro è nascosto. Il Re vien quindi catturato e ne nasce un quintetto (Emma, Zelmira, Leucippo, Antenore, Polidoro) con lo sfogo di Antenore Nei lacci miei cadesti (con DO sovracuto) e l’implorazione di Zelmira (Me sola uccidi...) chiuso da Ah! m'illuse un sol momento. Ottima la resa di tutti, accolti dall’applauso del pubblico.

Arrivano i guerrieri invasori con le ceneri di Azor e Antenore/Leucippo subito incolpano Zelmira del misfatto (Ecco la perfida!) Polidoro la difende e così entrambi vengono riportati in carcere, ma certi che giustizia trionferà (De' nostri torti il vindice) cui si contrappone (Ma de’ celesti il fulmine) la coppia Antenore/Leucippo. Emma, Polidoro e donzelle chiosano con O desolata patria. Il grande concertato si chiude fra scroscianti applausi.hh

Ritorna Ilo, che viene avvertito da Emma dell’imprigionamento di moglie e suocero. Si arriva quindi alla scena del carcere, qui proposta nella versione originale (non in quella parigina del 1826, versione Giuditta Pasta…) Zelmira risveglia Polidoro e rimpiange il mancato intervento di Ilo, mentre Antenore e Leucippo si apprestano ormai a giustiziarli. Tutto sembra perduto quando si odono strepiti di guerra: sono i patrioti di Lesbo, guidati da Ilo, che sono insorti contro invasori e usurpatori. Antenore cerca ancora di uccidere Polidoro, ma è Zelmira (Non ti appressar!) ad impedirglielo, estraendo un pugnale. Ilo fa irruzione, spiegando come il popolo abbia sopraffatto le schiere nemiche. Ad Antenore e Leucippo non resta che imprecare contro il destino cinico e baro, mentre Anastasia Bartoli (Zelmira) si abbandona ora, intonando la sua grande aria Riedi al soglio, al giubilo per lo scampato pericolo. Siamo alla stretta finale, con il rondò Deh circondatemi, miei cari oggetti! con il quale Zelmira e tutti esultano per il lieto fine.

E il lieto fine si trasforma in un gran trionfo per tutti, singoli e masse, con ripetuta passerella intorno alla buca dell’orchestra. Trionfo supplementare per la Bartoli, al suo compleanno n°… (non si dice l’età delle signore, al massimo che è ancora negli …enta).

Peccato proprio per la scarsa affluenza: lo spettacolo tutto sommato meritava di più.


11 agosto, 2025

ROF-2025 alla radio (1-3).

Zelmira ha aperto ieri sera a Pesaro (Auditorium Scavolini) il 46° Rossini Opera FestivalCome ormai accade da tempo immemorabile, Radio3 ha trasmesso in diretta l’evento (e trasmetterà domani e dopo - ore 20 - anche le due altre prime serate del cartellone principale). Anche Oreste Bossini ha ormai assunto in pianta stabile la responsabilità (che per lunghi anni fu di Giovanni Vitali) della presentazione e dei commenti allo spettacolo.

Lasciando ovviamente il giudizio sull’allestimento di Bieito (per il quale rimando ad un successivo scritto, dopo visione in-corpore-vili) comincio con il segnalare che, contrariamente alle (mie…) previsioni, ma anche alla prassi seguita fin qui nelle due precedenti proposte (1995 e 2009) la versione presentata è quella che si può identificare come Vienna-1822, e non quella di Parigi-1826. Il che significa, in sostanza, che nel finale mancano l’aria di Zelmira (Da te spero, oh Ciel clemente) e la successiva scena mutuata da Ermione, cabaletta (Dei, vindici ognor voi siete) compresa. Ma ciò è evidentemente contemplato, come possibile scelta, dall’Edizione critica della Fondazione Rossini, ragion per cui il ROF può aver deciso di presentarla come primizia di questa edizione del Festival.

La direzione di Giacomo Sagripanti (Barbiere 2014, Ricciardo£Zoraide e PMS 2018, Moise 2021) alla testa dell’Orchestra del Comunale di Bologna mi è parsa assai curata e convincente, almeno nelle scelte agogiche, con tempi quasi mai troppo sostenuti (sulle dinamiche la diffusione tecnologica lascia spesso false impressioni). Bene anche il Coro del teatro Ventidio Basso guidato da Pasquale Veleno (esordiente al ROF).

Quanto alle voci, lodevole la prestazione della protagonista Zelmira, Anastasia Bartoli, che ha confermato le sue doti già messe in luce qui in Eduardo&Cristina 2023 e in Ermione 2024. Da ricordare il duetto con Emma (e con arpa e corno inglese…) e il finale Riedi al soglio, con belle colorature.

Esordiente in assoluto al ROF, Marina Viotti è la fedelissima di Zelmira, Emma, ben distintasi nel citato duetto con Zelmira, nel terzetto con la stessa e Polidoro, e soprattutto nell’aria viennese dell’inizio del second’atto (Ciel pietoso) e nella successiva cabaletta col coro (Ah se è ver).  

Veniamo ai due tenori. Il marito di Zelmira (Ilo) è Lawrence Brownlee (Cenerentola 2010) che nella sua aria di esordio (Terra amica) e successiva cabaletta (Cara, deh attendimi) che è anche la più impegnativa, ha superato discretamente i due primi RE sovracuti e poi (La bianca mano) ha abbassato il terzo ad un meno rischioso SI, chiudendo poi con i DO ghermiti a fatica. Più sicuro nel centro della tessitura.

L’usurpatore Antenore è interpretato da Enea Scala (Sigismondo 2010, Mosè 2011, Occasione 2013, Otello 2022, Eduardo 2023, Ermione 2024); nelle citate precedenti presenze al ROF non mi aveva mai completamente convinto, e devo dire che anche ieri non mi ha…. convinto del contrario, ecco. Vibrato piuttosto sgradevole, acuti spesso ingolati ed anche intonazione non pulitissima.

Al vecchio Re Polidoro presta la voce Marko Mimica (Gazza 2015, Donna 2016) che tende spesso a forzare eccessivamente l’emissione, ma in complesso se l’è cavata dignitosamente, dando il suo efficace contributo anche ai numeri d’insieme (terzetto e quintetto).

Il consigliere/stratega/sicario di Antenore, Leucippo è Gianluca Margheri (Pietra 2017, Bruschino 2021) che per me ha meritato di più del suo… datore di lavoro: voce solida, buona intonazione e portamento.

Gli esordienti nel cartellone principale sono Paolo Nevi (Eacide) e il Gran Sacerdote Shi Zong. In particolare, note positive per il primo.

Per ora è tutto, aspettiamo il dittico di questa sera per… estendere questi commenti.

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Il glorioso (e rimesso in ordine) Teatro Rossini ha ospitato ieri la prima del dittico Soirées musicales – La cambiale di matrimonio: un autentico coda-testa rossiniano, trattandosi di una delle composizioni post-operistiche e della prima (compiuta) composizione operistica del Gioachino.    

Le dodici canzoni che compongono la raccolta delle Soirées (anni 1830-35) costituiscono una primizia del ROF-2025, in quanto viene rappresentata la nuova versione - che sostituisce l’originale accompagnamento del solo pianoforte con quello di un ensemble strumentale cameristico - approntata da Fabio Maestri e presentata per la prima volta in uno dei concerti del cartellone collaterale del ROF-2019.   

Canzoni interpretate da quattro voci (soprano, mezzo, tenore e baritono) che fanno anche parte dei cast dell’Italiana in Algeri (Vittoriana De Amicis, Andrea Niño e Gurgen Baveyan) e di Zelmira, in cui compare Paolo Nevi.

La distribuzione delle voci ha una base paritetica fra soprano e tenore (6 canzoni a testa, di cui una in duetto) più due canzoni per il mezzosoprano (entrambe in coppia con il soprano) e una per il baritono, in coppia con il tenore.

L’orchestrazione di Maestri non è per nulla invasiva e – grazie a Christopher Franklin, esordiente nel cartellone principale, ma da tempo di casa al ROF - conserva quindi tutta la leggerezza e la discrezione che caratterizzano questi gustosi cammei che ci fanno scoprire quel Rossini miniaturista che continuerà su questa strada ancora per molto tempo, con i Peché de vieillesse.

Assai apprezzabile la prestazione dei quattro interpreti, che il pubblico ha accolto con molto favore.

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La cambiale di matrimonio viene riproposta nell’allestimento di fortuna del 2020, realizzato in piena emergenza Covid, con la platea allora interamente occupata dall’orchestra e i palchi pure razionati. Oggi si torna alla normalità, il che sono certo permetta di apprezzare meglio lo spettacolo di Laurence Dale. Qui la registrazione di Radio3.

Sotto la guida di Franklin l’agguerrita Filarmonica Gioachino Rossini ha brillantemente accompagnato la voce del decano del ROF Pietro Spagnoli (Bianca&Falliero 1989, Otello 1991, Messa 1992, Matilde 1996, Bruschino 1997, Adina 1999, Gazzetta 2001, Pietra 2002, Turco 2016, Barbiere 2018, Bruschino 2021) che non smette di stupire, questa volta nei panni del protagonista, commerciante in… figlie, Tobia Mill.

La merce in vendita figlia di Mill, Fannì, è la bravissima Paola Leoci (Adelaide 2023) che ha messo la giusta verve a servizio di questa ragazza ribelle alle regole patriarcali imposte dal padre-padrone.

Il suo spasimante Edoardo è Jack Swanson (Bruschino 2021, Barbiere e Reims 2024) che mi pare migliorare di stagione in stagione, mettendo a profitto la sua voce sottile e squillante.

Il bizzarro ma progressista acquirente di anime gemelle (Slook) è Mattia Olivieri, un debuttante al ROF che però ha esperienza da vendere e lo dimostra con una prestazione davvero autorevole.

I comprimari sono altri due debuttanti: il Norton di Ramiro Marturana e la Clarina di Inés Lorans (applaudita la sua arietta Anch’io son giovine) che hanno dato il loro contributo al successo della serata.

Oggi ci aspetta una nuova Italiana!

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Il terzo ed ultimo appuntamento di Radio3 per il Festival ci ha proposto la nuova produzione de L’italiana in Algeri, opera che compare per la sesta volta nel cartellone del ROF.

Produzione affidata a Rosetta Cucchi (di cui parlerò dopo visione diretta) e al polimorfo Dmitry Korchak (nato al ROF come cantante fin dallo Stabat Mater del 2006 e poi tornato a Pesaro almeno un’altra dozzina di volte) sul podio (ma canterà anche quest’anno nella finale Messa per Rossini). La sua consuetudine con Rossini viene messa a profitto in una direzione briosa e brillante, già evidente dall’esecuzione della famosa Sinfonia e poi nel sostegno alle voci, mai invasivo. Ottima la risposta dell'Orchestra del Comunale bolognese e bene anche il Coro del Ventidio Basso diretto da Pasquale Veleno.

Protagonista sotto ogni aspetto e annunciata trionfatrice della serata è stata la Isabella di Daniela Barcellona, decana del ROF che la lanciò nel mondo del teatro fin da Ricciardo&Zoraide 1996, e poi la vide presente qui in Tancredi 1999, Donna/Stabat 2001, Semiramide/Stabat 2003, PMS 2004, Bianca&Falliero 2005, Adelaide 2006, PMS 2007, Maometto 2008, Sigismondo 2010, Adelaide 2011, Tancredi 2012, PMS 2018, Eduardo&Cristina 2023. Il contralto friulano ha ormai tanta esperienza da poter metter riparo anche a qualche piccolo problema nella parte bassa della tessitura, ma per il resto la sua mi è parsa una prestazione di gran livello, culminata nel rondò Pensa alla patria.

Bene anche Giorgi Manoshvili (PMS 2023, Bianca&Falliero 2024) che ha messo la sua voce scura e ben impostata al servizio del tragicomico personaggio di Mustafà, fin dalla cavatina d’esordio. E poi nell’aria del primo atto (Già d’insolito ardore).

L’esordiente Misha Kiria devo dire che (mi) ha piacevolmente impressionato, per la bella voce chiara e tornita e l’espressività mostrata nel caratterizzare il tronfio Taddeo, anche lui gabbato da Isabella come il Bey.

Il Lindoro Josh Lovell ha esordito al ROF con una convincente prestazione, a partire dalla famosa cavatina d’esordio (Languir per una bella) mostrando voce e portamento adeguati al romantico e innocente personaggio dell’innamorato Lindoro.

Vittoriana De Amicis, già sentita lo scorso anno nel Reims concertato e due sere orsono nelle Soirées, è stata una più che valida Elvira, della quale ha saputo interpretare gli aspetti di giovane donna schiava delle convenzioni e delle fisime del marito-patriarca.

Altri due protagonisti nelle Soirées di lunedi, la brava Andrea Niño (Gazzetta 2022) come Zulma e Gurgen Baveyan nei panni del finto feroce Haly hanno degnamente completato il cast.

Bene, chiuso così il ciclo delle prime, ascoltate via etere, mi resta ora da confermare la buona impressione generale e poi giudicare gli allestimenti; cosa che farò a breve.  


13 agosto, 2009

Zelmira al ROF: si potrebbe fare meglio?

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Nella regìa, senza dubbio. Giorgio Barberio Corsetti applica (ma sarebbe meglio dire: scimmiotta) canoni, metodi e procedimenti da Regietheater: roba che non desta più né scandalo, né sorpresa, avendo fatto ormai il suo tempo.

Siccome a noi, gente scafata del terzo millennio, una storia improbabile ambientata in tempi mitologici (e su un libretto che definire farraginoso è fargli un complimento) farebbe solo ridere (a proposito, si potrebbero ricavarci delle farse, tipo I due caporali di Lesbo o anche Totò, Saffo e i Polli d’oro) allora si porta il tutto ai giorni nostri, così che, invece di ridere, potremo piangere, coerentemente col genere di opera che Zelmira è, un dramma per musica. Guerrieri greci bardati con corazze ed elmi colla cresta? Ancelle agghindate con peplo e calzari allacciati sul polpaccio? Dico, scherziamo? No no, qui abbiamo il generalissimo Antenore e il suo feldmaresciallo Leucippo che guidano un commando di teste di cuoio armate di mitra e granate per impossessarsi dell’isola. I locali lesbici, fedeli di Ilo, sembrano degli incondicionales castristi, che alla fine abbatteranno il dittatore Batista (peccato che a Florez non mettano una bella barbona posticcia…) Quanto alle ancelle, oggi si chiamano badanti. Devono essere arrivate ieri sera in pullmann direttamente dall’Ukraina e dalla Moldova, ancora infagottate nei loro soprabitoni e copricapo da comunismo reale. Evvai! Così sì che ci sentiamo a casa nostra!

Poi: il ROF, causa tagli al FUS, ha dovuto fare il PAC (Piano Abbattimento Costi). Ha quindi acquistato un enorme specchio flessibile i cui costi si devono spalmare su tutte tre le opere in cartellone. Qui in Zelmira sale e scende per… chiedere a Barberio Corsetti, che dicono abbia una spiegazione pausibile, ma che si ostina a non rivelarla ad alcuno.

Per il resto, scene spoglie, con statuone di finte Venere di Milo che salgono e scendono, un drappo dorato con la scritta ψεῦδος (pseudòs, menzogna) che rovina a terra (la scritta) all’approssimarsi della fine della dittatura basata, appunto, sull’inganno, e immagini, riflesse dallo specchione, che ci dovrebbero dir qualcosa, ma in realtà servono solo a sviare l’attenzione dello spettatore (che si lambicca il cervello) dalla straordinaria musica del nostro Gioachino.

Sì, quanto a regìa si potrebbe fare – facilmente e ancor più a buon mercato - assai meglio.

Ma veniamo adesso al sodo.

JDF for president! Non avendo avuto il piacere di sentire un tale David (ero troppo piccolo ai tempi…) mi basta ed avanza ciò che mi regala il peruviano. Scarso nel recitare? Maybe, ma fra un Laurence Olivier che stonacchia e un manico di scopa che canta come JDF, non ho dubbio alcuno su chi scegliere! La sua è una vocina leggera? Appunto, perfetta per Ilo che, a dispetto del mestiere che fa (basta leggere attentamente i versi che gli sono riservati) è poco più che un ragazzo, ingenuo, innocente e dall’animo nobile e gentile. Sulla (in)fedeltà di JDF alla lettera della partitura rossiniana si può dir tutto, ma una cosa è certa: vivesse oggi, Rossini rifarebbe ciò che fece millanta volte quasi 200 anni fa: rimaneggiare la parte di un personaggio per adattarla alle qualità (evitandone accuratamente i limiti) dell’interprete di turno. Ergo, tutto a posto e… avercene! Al termine della sua aria-madre (Terra amica) il nostro viene gratificato da tre minuti netti di ovazioni e applausi, peraltro contrappuntate da una serie di stentorei buuh gridati da un unico spettatore, evidentemente il solo, fra i 1200 presenti, ad aver avuto la fortuna di ascoltare dal vivo il Rubini, o forse persino il David!

Gregory Kunde mi è parso addirittura migliore rispetto alla prima (udita per radio). È stato un Antenore di grandissima efficacia, nel portamento e soprattutto nel canto. Anche qui, si faccia avanti chi è sicuro di saper far di meglio. Alla fine della Scena VII, un’ovazione anche per lui, diciamo di un minuto, e qui il buatore solitario di poco prima è rimasto in silenzio (chissà, forse si era perso il Nozzari, ai tempi).

Kate Aldrich era stata oggetto, prima e dopo la prima, di critiche molto severe, che ne hanno contestato addirittura la scelta da parte della direzione del ROF. A me non era del tutto dispiaciuta neanche domenica, a dir la verità. Bene, ieri è stata però un’autentica sorpresa e confermo quindi il mio giudizio positivo, anche se non le canterò un peana. La parte non è tecnicamente impossibile, vero, ma la Aldrich è stata efficace – anche scenicamente – e mai in difficoltà. Dopo l’aria della Pasta anche per lei ovazioni a scena aperta, direi meritate. Sul perché sia stata preferita ad altre, non entro nel merito. Rilevo solo come sia facile sostenere che – là fuori – ci sono sempre dozzine di cantanti migliori: una considerazione di quelle che non costano nulla e vanno bene per qualunque circostanza.

Conferma ultra-positiva per Marianna Pizzolato, applauditissima alla fine. Che la sua voce sia adatta anche a interpretare il ruolo di Zelmira, è probabilmente vero, data la sostanziale somiglianza di tessitura dei due ruoli (non è difficile immaginare perché Rossini, in origine, avesse lasciato Emma in ombra, ampliandone solo successivamente il ruolo musicale, evidentemente per non disturbare la Colbran). Il duettino con Zelmira – più arpa e cor anglais - è stato la perla in un’interpretazione degnissima.

Eccellente il Leucippo di Mirco Palazzi: voce potente (l’unica a non perdersi sotto le bordate del poderoso coro nel finale primo) dizione precisa e portamento sicuro.

Alex Esposito è stato per me un ottimo Polidoro, nella sua cavatina come nei concertati, dove la sua voce è sempre passata alla grande.

Dignitosi gli altri due interpreti: Francisco Brito e Sàvio Sperandio.

Bravissimi, compatti e sicuri i coristi di Paolo Vero, a volte fin troppo invadenti nei confronti dei solisti.

Veniamo ora al Kapellmeister. Roberto Abbado ha diretto con apparente distacco, forse con tempi a volte blandi (adeguandosi involontariamente alla debolezza del dramma?) ma complessivamente la sua mi è parsa una direzione efficace, rispettosa dei cantanti, mai coperti dall’ottima orchestra del teatro bolognese. Non ho ieri notato neanche quelle piccole sfasature percepite domenica fra buca a banda in scena. Quindi: voto ampiamente positivo.

Alla fine gran trionfo per tutti, una decina di minuti di applausi e ovazioni.

Per finire, torniamo alla domanda: si potrebbe chiedere e fare di meglio? Se sì, allora perché mai non si trova nessuno – al di fuori del ROF – che ci si provi? Non vorrei proprio (parliamoci chiaro) che l’unica seria alternativa sia prendere Zelmira, seppellirla in una cripta, a futura memoria, assieme ad altri cimeli e reliquie della storia delle umane arti, metterci una grossa pietra sopra, e non pensarci più…
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PS: due parole – per ciò che possono contare – sulle altre opere in cartellone al ROF-09 (La Scala di Seta e Le Comte Ory) udite via etere. Francamente due delusioni. Forse scarsa cura nella preparazione? E/o interpreti mandati troppo precocemente allo sbaraglio?
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10 agosto, 2009

Zelmira al ROF (in radio)

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In attesa di sentire e vedere dal vivo, qualche impressione sulla prima del ROF, ascoltata ieri sera su Radio3 (presentazione, cronaca e interviste di Giovanni Vitali).

Prima però bisogna inquadrare quest’opera all’interno della produzione rossiniana. A differenza delle (precedenti e successive) opere buffe, la Zelmira è – lo dice il sottotitolo – un dramma per musica, genere che trova le sue remote origini nel ‘500 e che avrà il suo più grandioso e definitivo sviluppo nei drammi di Wagner. E se le definizioni hanno un senso, bisogna pur riconoscere che non dovremmo essere qui di fronte ad un libretto che è puro e magari insulso supporto per i gorgheggi dei cantanti, ma ad un impianto drammatico che dovrebbe avere un suo autonomo spessore, per supportare il recitar cantando, che è alla base di questo genere di teatro musicale. Certo, i tempi del Rossini napoletano non erano più quelli di Monteverdi - meno ancora di Cavalli - e la supremazia dei cantanti (per le specifiche caratteristiche dei quali venivano scritte le opere, Zelmira inclusa) si faceva sentire comunque, comportando – anche per l’opera seria – abbondanza di parti virtuosistiche o di altissimo impegno (più di due ottave di forchetta dell’estensione) e corredo di abbellimenti, ghirigori, trilli, gruppetti e quant’altro.

Ma in Zelmira, ahinoi, l’impianto del dramma è assai contorto, sconnesso e… poco drammatico! E per di più dà per scontata la conoscenza di retroscena e fatti accaduti prima di ciò che si vede in teatro. Ecco, appunto, se Zelmira fosse stata oggetto di attenzione da parte di Wagner, come minimo avrebbe avuto, in testa, un Prologo con qualche norna/parca/sibilla a raccontarci l’antefatto – l’assalto di Azorre, il tranello di Zelmira, l’uccisione dell’invasore, la presa del potere di Antenore in combutta con Leucippo, et cetera, in modo da rendere più chiari a tutti noi i retroscena che spiegano ciò che si vede e sente nel primo atto. In carenza di ciò tutto il peso dell’opera grava esclusivamente sulla musica (e quindi sulle spalle di Rossini) e lo spettatore è fatalmente portato a disinteressarsi del (peraltro debole) dramma per concentrarsi sulle arie e sulle imprese di tecnica canora da guinnes dei primati dei vari interpreti.

Va però sottolineato come Rossini abbia da parte sua fatto il meglio per conferire a Zelmira i tratti di opera seria: introduzione quasi wagneriana, niente recitativi secchi ma sempre musica e declamato, un continuo musicale in cui sono incastonate le arie assegnate ai vari personaggi.

Ebbene, ieri sera gli interpreti – pare a me, ma i numerosi applausi a scena aperta del pubblico lo confermano – hanno risposto alla grande.

Juan Diego Florez ha superato di slancio tutte le difficoltà della parte improba, a partire dai RE e DO acuti, eseguiti con grande naturalezza e chiarezza. Ma anche Gregory Kunde non è stato da meno, pur con qualche difficoltà negli acuti. I due tenori – nella diversità della tessitura e del timbro - hanno assai bene interpretato la natura dei rispettivi personaggi (Ilo e Antenore).

Bene la Kate Aldrich, nella parte di Zelmira, effettivamente più da mezzo che da soprano. E con lei benissimo Marianna Pizzolato, una Emma assai efficace.

Più che dignitosi tutti gli altri, a partire da Alex Esposito (Polidoro).

Roberto Abbado ha condotto i bravi bolognesi col giusto piglio. Impeccabile il coro di Paolo Vero (in particolare i Sacerdoti!)

Buuh a josa per la regìa: prevedibili, da quanto descrittoci sul konzept dallo stesso Giorgio Barberio Corsetti (ma sarà meglio giudicare dopo aver visto di persona…)
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