riconoscimenti

a Trump premio Nobel per l'incapace
Visualizzazione post con etichetta bieito. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta bieito. Mostra tutti i post

17 agosto, 2025

ROF-2025 live. Zelmira.

Eccomi quindi a commentare la mia prima di questo ROF-46, Zelmira. Purtroppo con una nota assai poco positiva: l’Auditorium Scavolini era occupato sì e no al 50-60% della sua capienza nominale! Brutto segno davvero…

L’allestimento di Calixto Bieito con i collaboratori Barbora Horàkovà (scene) Ingo Krügler (costumi) e Michael Bauer (luci) è davvero insolito e presenta qualche vantaggio e molti lati negativi, proprio rispetto alla fruizione musicale: cantanti che, ovunque siano rivolti, danno le spalle a metà del pubblico, protagonisti e cori che girovagano per tutto l’Auditorium, salendo e scendendo le scale delle gradinate e i praticabili della pedana (buche riempite di terra o acqua…) Insomma, una kermesse più che uno spettacolo. Con notevoli dosi di Kitsch e vaghi riferimenti a problematiche LGBTQ+ (Antenore&Leucippo!) Diciamo, una roba proprio da luogo di Festival, inimmaginabile in un teatro tradizionale. Comunque le contestazioni alla prima non si sono ripetute, anche perché mancava la… materia prima contestabile.  

Giacomo Sagripanti a sua volta è alle prese – date le circostanze - con problemi non banali di accompagnamento delle voci, che si trovano sempre in punti diversi del catino del palazzetto: non di rado il suono dell’orchestra finisce per coprirle, almeno a quella parte pubblico cui il cantante volge le terga… A parte ciò, direi che sia stata una direzione all’altezza del valore della partitura.

***
Dopo l’esordio del solido coro del Ventidio Basso (guidato da Pasquale Veleno) che annuncia la morte di Azor, arriva Gianluca Margheri (Leucippo, esecutore materiale dell’omicidio) e ipocritamente esterna il suo stupore. Lo segue Enea Scala (Antenore, il mandante dell’omicidio) ancor più ipocrita nella sua cavatina Odo le tue querele, dove non deve salire oltre il SI naturale, che promette vendetta contro… se stesso (aria Sorte, secondami) dove non deve salire oltre la dominante LA. Ma la voce non è delle più pulite, per vibrato e stabilità di intonazione, il che gli garantisce applausi di circostanza

Dopo che i due pipistrelli si sono reciprocamente complimentati del golpe perfettamente riuscito, e dell’incolpamento della morte del padre Polidoro della Regina, incontriamo appunto la povera Anastasia Bartoli (Zelmira) che subito deve difendersi dalle accuse di parricidio mossegli dalla nutrice Marina Viotti (Emma). Le due si rincorrono forsennatamente attorno alla pedana, contemporaneamente cantando le loro ragioni…

Eccoci quindi alla scena nella cripta, dove incontriamo Marko Mimica (Polidoro) che si presenta con la cavatina Ah! già trascorse il dì, mostrando voce profonda e ben impostata. Arrivate Zelmira ed Emma, ecco il terzetto (Soave conforto / Le braccia mi stendi / Da gioia e stupore / O grato Momento) che poi sfocia nel finale (Se trova in te scampo) lungamente applaudito.

Ecco ora arrivare, introdotto dal coro, Lawrence Brownlee (Ilo, marito di Zelmira) che esordisce con la cavatina (Terra amica) dove deve salire una prima volta al RE sovracuto, dominante del SOL di impianto (…era il dolce mio pensier…) Ecco poi la celebre, impervia cabaletta in DO maggiore (Cara, deh, attendimi) dove ci sono ben tre RE sovracuti (sopratonica del DO) sui versi nel tuo bel seno (due volte) e poi sul verso da te lontano (questo però Brownlee lo abbassa al SI…) Poi i DO sovracuti conclusivi. La voce passa bene a dispetto delle pose che il cantante, che pare un soldato disertore e distrutto e non un eroe di guerra, è costretto ad assumere. Lunghi applausi per lui alla fine del massacrante impegno.

Si presenta qui il bravo tenorino Paolo Nevi (Eacide) chissà perché dotato di bianche, angeliche ali, che fa buona mostra di sé, glorificando il capo Ilo (Godi, o signor).

Ora abbiamo il drammatico incontro fra l’entusiasta Ilo e la preoccupata Zelmira, caratterizzato dal duetto (Ah! se caro a te son io / Quanto costa al labbro mio) in SOL maggiore, dove il tenore ancora deve salire al RE e al DO sovracuto (…della mia felicità).  

La situazione precipita: Leucippo ha sparso la voce calunniosa contro Zelmira, che ora è in pericolo mortale: riprende così il duetto in MIb maggiore (Che mai pensar? che dir? / Come parlar? che dir?) chiuso fra gli applausi con l’intervento di Emma (Sorte spietata) e delle donzelle di Zelmira.

Segue la scena di Antenore e Leucippo che pianificano di far secchi anche Zelmira, Ilo e il loro figlioletto. Arriva Ilo, sempre più dimesso e disperato nell’aver conferma dalle calunnie dei due della colpevolezza e del tradimento della moglie, accuse cui rincara la dose Antenore (Mentre qual fiera ingorda) che dipinge Zelmira come una pericolosa strega. Qui Scala deve toccare, per un paio di volte, e con un certo sforzo, il SI naturale.

I Sacerdoti certificano il diritto al trono di Antenore, che esulta con una cabaletta (Ah! dopo tanti palpiti) in LA maggiore, dove ghermisce, sempre a fatica, il DO# sovracuto. Ma gli applausi del pubblico non mancano certo.

Zelmira affida ad Emma il figlioletto cui dà un mesto addio in FA minore (Perché mi guardi e piangi) accompagnata da arpa e corno inglese. Che poi fanno da sottofondo al delicato duetto fra le due (Ah! chi pietà non sente). Convinti applausi del pubblico a interpreti vocali e… strumentali!

Ora Antenore viene incoronato - Si fausto momento nei  cori, in un tronfio RE maggiore - Re di Lesbo, e non manca il suo discorso di insediamento (Sì, figli miei, di Lesbo) cui segue l’incoronazione (Qual fronte illustre) da parte di Shi Zong (Gran Sacerdote) abbigliato in… mutande (!?) per cantare i suoi tre versi, a cui tiene enfatico e retorico bordone (Regga lo scettro aurato) Leucippo.

Si arriva alla scena madre del tentativo di Leucippo di far secco Ilo, con l’intervento di Zelmira che gli strappa il coltello, ma che Leucippo prontamente fa passare agli occhi di Ilo come la moglie decisa ad ammazzarlo. Bieito risolve il tutto in modo incomprensibile, con Zelmira che imbraccia il coltello prima ancora di Leucippo. Poi Brownlee deve ancora esibirsi in un DO# sovracuto nel suo intervento Numi, qual nero… Poi il terzetto si conclude in un tutti-contro-tutti.

E siamo finalmente alla conclusione del lunghissimo primo atto. L’orchestra ribolle in forsennate note ribattute, poi tutto si calma e inizia il finale concertato (La sorpresa... lo stupore). Antenore (Alla strage ognor ti guida) pronuncia accusa e sentenza (per gli omicidi di Azor e Polidoro) contro Zelmira, trascinata via in catene, in un’atmosfera di giubilo e insieme di tragedia, ma tutto in RE maggiore. Scroscianti applausi per tutti.

***
Il secondo atto si apre con il conciliabolo fra Enea Scala (Agenore) e Gianluca Margheri (Leucippo) che informa il suo mandante del contenuto di un messaggio di Zelmira inviato dal carcere al marito, dal quale si evince che Re Polidoro è tuttora in vita: i due decidono che liberare Zelmira e seguirne i passi servirà a chiarire l’arcano e a mettere le mani anche sul vecchio Re.

Dopo un delicato coretto di donzelle (Se alcuno scopreci) torna ora in scena Marina Viotti (aka Emma) per sciorinarci – con arpa e corno a supporto - l’aria Ciel pietoso, ciel clemente, che Rossini scrisse per la prima viennese a beneficio di tale Fanny Eckerlin, contralto in auge nella capitale austriaca. Emma consegna il figlioletto di Zelmira a fide ancelle perché lo proteggano dai propositi omicidi del duo mafioso Antenore-Leucippo. Poi, rassicurata dalle ancelle (Non temer…) chiude la scena, accompagnata dal coro, con la cabaletta Ah se è ver, di quel ch'io sento. Qui la Viotti si merita un lungo applauso per l’impeccabile resa di questo cammeo davvero prezioso.

Passiamo ora all’incontro fra Lawrence Brownlee (Ilo) e Marko Mimica (Re Polidoro): il primo, disperato credendo Zelmira fedifraga, e il secondo che lo convince del contrario. Ilo manifesta la sua esultanza alla notizia ingaggiando con il suocero il duetto in MI maggiore In estasi di gioia / Di tante pene e tante, dove Ilo tocca diversi SI e anche un DO# sovracuto. Meritati gli applausi per i due.

Ilo si lancia fuori per liberare Zelmira, che, nella scena con Emma, si domanda la ragione della sua liberazione. Antenore e Leucippo la scoprono e le strappano il segreto del luogo dove Polidoro è nascosto. Il Re vien quindi catturato e ne nasce un quintetto (Emma, Zelmira, Leucippo, Antenore, Polidoro) con lo sfogo di Antenore Nei lacci miei cadesti (con DO sovracuto) e l’implorazione di Zelmira (Me sola uccidi...) chiuso da Ah! m'illuse un sol momento. Ottima la resa di tutti, accolti dall’applauso del pubblico.

Arrivano i guerrieri invasori con le ceneri di Azor e Antenore/Leucippo subito incolpano Zelmira del misfatto (Ecco la perfida!) Polidoro la difende e così entrambi vengono riportati in carcere, ma certi che giustizia trionferà (De' nostri torti il vindice) cui si contrappone (Ma de’ celesti il fulmine) la coppia Antenore/Leucippo. Emma, Polidoro e donzelle chiosano con O desolata patria. Il grande concertato si chiude fra scroscianti applausi.hh

Ritorna Ilo, che viene avvertito da Emma dell’imprigionamento di moglie e suocero. Si arriva quindi alla scena del carcere, qui proposta nella versione originale (non in quella parigina del 1826, versione Giuditta Pasta…) Zelmira risveglia Polidoro e rimpiange il mancato intervento di Ilo, mentre Antenore e Leucippo si apprestano ormai a giustiziarli. Tutto sembra perduto quando si odono strepiti di guerra: sono i patrioti di Lesbo, guidati da Ilo, che sono insorti contro invasori e usurpatori. Antenore cerca ancora di uccidere Polidoro, ma è Zelmira (Non ti appressar!) ad impedirglielo, estraendo un pugnale. Ilo fa irruzione, spiegando come il popolo abbia sopraffatto le schiere nemiche. Ad Antenore e Leucippo non resta che imprecare contro il destino cinico e baro, mentre Anastasia Bartoli (Zelmira) si abbandona ora, intonando la sua grande aria Riedi al soglio, al giubilo per lo scampato pericolo. Siamo alla stretta finale, con il rondò Deh circondatemi, miei cari oggetti! con il quale Zelmira e tutti esultano per il lieto fine.

E il lieto fine si trasforma in un gran trionfo per tutti, singoli e masse, con ripetuta passerella intorno alla buca dell’orchestra. Trionfo supplementare per la Bartoli, al suo compleanno n°… (non si dice l’età delle signore, al massimo che è ancora negli …enta).

Peccato proprio per la scarsa affluenza: lo spettacolo tutto sommato meritava di più.


01 giugno, 2010

Ecco il salvatore

"Mi occupo di morte e sofferenza perché mi interessano. Ho visto molta gente che soffre, e credo che ciò sia uno dei temi più interessanti oggi in Europa. Viviamo nella paura, ma dobbiamo capire che c'è anche un sollievo, che ci viene parlando delle nostre paure".

XYZ (*) ammette di temere morte, dolore e sofferenza quando si tratta della sua famiglia. Ma dal momento che questa è una paura cui nessuno può sfuggire, lui ha voluto occuparsi artisticamente della cosa. Lui intende aiutare la gente a venire a patti con la propria mortalità.

Oh, my god! (in slang: minchia!)

(*) XYZ è tale Calixto Bieito, ndr.

29 marzo, 2010

Il Parsifal di Bieito, al prezzo di quello di Wagner

Io devo condividere i miei pensieri e le mie sensazioni con il pubblico. Devo comunicarli, per questo sono diventato regista.

Mai definizione più appropriata fu data del fenomeno deteriore del Regietheater.

Il signor Bieito ha dei pensieri? Ha delle sensazioni? Le vuole/deve comunicare. Fantastico, siamo tutti occhi e orecchie!

Ma che ti combina il furbastro? Mica si mette a faticare per comporre testi e musica di un dramma, che ci comunichi i suoi pensieri e sensazioni, no!

Lui prende testi e – soprattutto – musica di un'opera d'arte ormai da secoli (si può dire) entrata nell'Olimpo, e li usa per vestirci i suoi brillanti pensieri e sensazioni!

E il pubblico paga per vedere il suo Parsifal, come per vedere quello di Wagner!

Ecco alcune sentenze del maestro da incorniciare:

Per me Parsifal tratta della crisi della religione. All'inizio del ventesimo secolo i simboli religiosi erano molto importanti. Oggi li abbiamo persi, ne abbiamo altri: Cristiano Ronaldo e David Beckam, in questa direzione si muove la nostra società.

La musica di Wagner sottintende un'architettura di arte. In scena presentiamo un'architettura, che simbolizza la fine del mondo. Ciò è appropriato per Wagner, che si spinse sempre ai confini per guardare nell'abisso. Ciò dà l'impressione dell'Apocalisse: un'architettura della fine del mondo.

Per me Parsifal rappresenta il poveraccio, culturalmente rozzo. Verrà stilizzato come un eroe, un nuovo Gesù Cristo. È il nuovo super-modello della società.

Sì, sono considerazioni davvero siderali; dico, chi sono al confronto Hegel, Goethe, Schopenhauer, Freud, Baricco?

Interessante la nota sulla locandina del Teatro: avvertiamo il nostro pubblico che in questo allestimento sono presenti scene di esplicita violenza, per cui preghiamo di tenerne conto in caso di presenza di minori o bambini.

Qualcuno (non molti) cerca ancora di dissentire.

11 aprile, 2009

A Berlino si sono montati la testa


Sì, certo, c’è stato il 1989, il muro fatto a pezzi, la Unter den Linden e la 17 Giugno senza più soluzione di continuità, Potsdamer Platz rimessa a lustro da Piano, il Bundestag tornato a casa dal paesino di provincia dov’era relegato dalla disfatta del Terzo Reich... ma forse a Berlino esagerano, credendosi l’ombelico del mondo.

Ecco come la Tageszeitung (TSZ) commenta l’ultima impresa artistica (l’Armida di Gluck) del solito Calixto: sotto il titolo - di per sè inequivocabile - sexy-teatro erotomane, si legge quanto segue: “...qualcosa di così radicale e disinibito che solo a Berlino è oggi possibile (vedere). Il sexy-teatro erotomane di Bieito in ogni altra città sarebbe uno scandalo, mentre a Berlino viene compreso ed acclamato.”

No, non vi montate la testa, amici berlinesi: il vero scandalo è che uno dei vostri tre teatri d’opera inviti - un giorno sì e l’altro pure - registi come Bieito a sfogare le loro turbe psichiche, e che tanta gente - evidentemente amante del porno e non dell’opera - paghi per assistere a simili idiozie.
.
Qui da noi siamo più ruspanti: ai pornostar gli facciamo fare la pubblicità delle patatine.
.

04 aprile, 2009

Se Bardi l’avesse previsto...

.
Il Corriere della Grisi riporta in primo piano l’ormai annoso problema delle regìe di opera, pubblicando un decalogo di regole di comportamento cui i registi - e i loro datori di lavoro, sovrintendenti e direttori di teatri - dovrebbero attenersi, allo scopo di limitare, da un lato, il fenomeno della sistematica distorsione della natura delle opere, e dall’altro di calmierare i costi di allestimenti che coniugano la scelleratezza artistica con un ormai insostenibile sperpero di risorse del contribuente.

Di certo v’è da chiedersi se Giovanni Bardi avrebbe deciso lo stesso di fondare la sua Camerata, se avesse previsto che fine avrebbe fatto l’opera lirica, anzi il dramma per musica da lui così fermamente voluto, a 500 anni di distanza.

Perchè - purtroppo - ciò che Bardi inventò è una cosa talmente speciale e unica al mondo che - unica, appunto, fra tutte le arti - si presta alle più stampalate (o anche serie a volte) manipolazioni, adulterazioni, ai più grotteschi o cervellotici stravolgimenti fra ciò che l’Artista autore aveva ideato e scritto sulla carta e ciò che un tizio, chiamato regista, si arroga il diritto di mettere in scena. Colui che dovrebbe essere il servo di quell’opera e quindi della volontà del suo Autore, è oggi assurto al ruolo di libero ricreatore dell’opera originale. E spesso e volentieri si tratta di ricreazioni che andrebbero gratificate mettendo il ricreatore a ricrearsi nell’ora d’aria di un carcere. Invece sono ricompensate con cachet milionari.

Tanto per fare un esempio, ve lo immaginate un regista che ambientasse l’Enrico IV ai giorni nostri, calando il Re d’Inghilterra, che so, nei panni del George W. Bush che si appresta a far guerra all’Iraq, dopo aver messo a ferro e fuoco l’Afghanistan? Sentite come esordirebbe il 43:

Scossi ancor come siamo
e spalliditi dai recenti affanni,
non concediamo tuttavia respiro
a questa nostra spaurita pace
e, con voce pur rotta dall’affanno,
ritorniamo a parlar dell’altra guerra
da portare su più lontani lidi.

Una gran farsa, diciamolo pure, nulla più. E infatti nessuno ha avuto - per ora almeno - il coraggio di proporre una simile stupidaggine.

Invece un Bieito qualunque può impunemente rappresentare il Ratto ambientandolo in un postribolo, con sesso orale esplicito... tanto c’è la musica di Mozart che lo salva, e il pubblico medio poco bada alla “trama”, addirittura alle parole e al fatto che il regista abbia stravolto la prima e manipolato le seconde. Perchè se la performance musicale è di livello, si passa sopra anche alle più bieche idiozie del regista, anzi quasi le si apprezza perchè allora sembrano dare un tocco di vita e di novità ad oggetti che altrimenti apparirebbero, appunto, come ammuffiti in un museo (oh, che barba, rivedere la Gioconda di Leonardo per la ventesima volta; godiamoci quella baffuta di Duchamp, che è più moderna!) Sembra poi un paradosso, ma quanto più le regìe sono strampalate ed arbitrarie, tanto più necessitano di un’esecuzione musicale (canto e orchestra) di primissimo ordine, poichè il pubblico in fin dei conti è andato lì principalmente per ascoltare la musica e apprezzare il canto, non perchè attirato dalla profondità dei testi o dalla plausibilità della trama (manco per Wagner... che è tutto dire).

Sul fronte più serio, i Carsen e gli Herheim, come i loro maestri-brechtiani-DDR-impastranati alla Götz Friedrich, mettono in scena spettacoli che sono - in se stessi - delle opere d’arte ma, appunto, sono il Parsifal di Herheim (non di Wagner) o l’Alcina di Carsen (non di Händel).

Oggi si arriva ormai (Carsen docet, proprio con Alcina) a far forza alla musica, con tagli anche sostanziali precisamente funzionali allo stravolgimento che il regista ha fatto del soggetto. Domani, per le stesse ragioni (modernità, appeal verso il pubblico, innovazione) si arriverà anche ad intervenire sui righi, sull’orchestrazione, e così via.

A ben pensarci, ne può uscire un business enorme: basta immaginare quante versioni diverse, una più interessante dell’altra, si potrebbero scrivere del Fidelio, del Lohengrin, dell’Otello!
.

28 gennaio, 2008

L’ultima di Calixto

La bizzarra moda di rappresentare il (presunto) significato, e non il significante, che sta alla base del cosiddetto Regietheater, ha trovato negli ultimi anni un nuovo campione in Calixto Bieito.

Costui - come altri sedicenti artisti - magari avrà anche delle idee originali in testa, quali: la disumanità del capitalismo, la perdita di valori nella nostra società, l’incomunicabilità fra gli uomini, la mercificazione del sesso, e altri simili arditi filosofeggiamenti. Orbene, invece di prendersi la briga, come ci si dovrebbe aspettare da un artista, di scrivere piéces teatrali sui suoi soggetti, magari musicandole egli stesso, o facendole musicare da qualcuno... e poi cercare di rappresentarle da qualche parte, cosa fa un tipo alla Bieito?

Si propone come regista di drammi wagneriani (o di opere mozartiane o verdiane) calati nella nostra moderna società. Con ciò ottiene alcuni interessanti (per lui) risultati:

1. non fa alcuna fatica a scrivere parole, nè musica: li trova già bell’e pronti;
2. non ha alcun problema di promozione della sua immagine, poichè utilizza quella di artisti e di opere collaudati da decenni, se non da secoli di successi in tutti i teatri del mondo;
3. più il pubblico fischia le sue regie, meglio per lui! È il miglior modo per farsi pubblicità ed essere scritturato da teatri la cui importanza è inversamente proporzionale alla preparazione e alla serietà dei rispettivi sovrintendenti.

L’ultima? Una performance a Stoccarda, dove si rappresenta uno spaccato dell’infernale società capitalistica moderna: un manager che ha perso il posto, che vede intorno a sè soltanto disumanità ed arrivismo e che si riduce disperato a cospargersi di benzina, minacciando di darsi fuoco; un gommone che trasporta clandestini, guidato a frustate da un manager in carriera; una donna-oggetto, che vede ogni sua sensibilità soffocata da una famiglia di benpensanti e diventa ossessionata dal far del bene a qualcuno; manager e impiegati di aziende concorrenti che si abbandonano ad orgiastici festini - con conigliette (che escono come cagnolini da una cuccia) e champagne - distruggendo frigoriferi e lavatrici (i prodotti del capitale, già, perchè c’è anche il consumismo!) Il lato davvero debole, quasi incomprensibile, di questa straordinaria opera d’arte è il lieto fine che la conclude, col povero manager disoccupato che trova nella donna pia amore, pace, pietà e tutti i valori positivi!

L’opera, chiederete... Ma perchè, non basta quanto sopra?

E invece sì, c’è anche l’opera: il Fliegende Holländer di Wagner.

Ma, a supportare adeguatamente il capolavoro di Bieito, potevano andar benissimo anche Tannhäuser o Lohengrin, statene pur certi. Il Ring invece lo hanno già interpretato a loro modo altri registi più famosi, e il Calixto dovrà aspettare... però chissà che i prossimi Leiter di Bayreuth non ci facciano un pensierino.

08 gennaio, 2008

Ancora sul Regietheater

“Immaginate un Parsifal ambientato in una moderna megalopoli, dove Klingsor è un magnaccia impotente che gestisce un bordello; egli usa Kundry per sedurre i membri del circolo del Gral, una banda rivale di spacciatori. Il Gral è gestito da Amfortas, ferito, il cui padre, Titurel, è perennemente in delirio da extradose; Amfortas è messo terribilmente sotto pressione dai membri della sua banda, che pretendono da lui il rituale, cioè la distribuzione della razione giornaliera di droga. Parsifal è un giovane inesperto, figlio di una ragazza-madre senza fissa dimora, è in cerca di droga, e ”prova il dolore”, rifiutando le avances di Kundry, mentre questa gli fa sesso orale...”

Niente male, vero? Chissà se Stefan Herheim ci propinerà un’opera d’arte di questo genere, il prossimo 25 luglio a Bayreuth! (speriamo proprio di no, anche se ci sono precedenti inquietanti, che ce lo mostrano come un antesignano di tale Calixto Bieito).

Tanto comunque - possiamo starne certi - ci penserebbe il nostro bravo Daniele a salvar tutto, facendo emergere dall’Orchestergraben quell’unico, inossidabile, indistruttibile, incorruttibile blob che è la musica di Wagner, che si fa un baffo di qualsivoglia offesa si cerchi di arrecarle, e che resiste - altera - ad ogni attacco di approfittatori senza scrupoli, assoldati da Spielleiter a loro volta imbecilli e rincoglioniti, o più spesso in cerca di pubblicità a buon mercato.

La messa-in-scena virgolettata sopra è stata - per nulla scherzevolmente - immaginata da Slavoj Zizek, un’autentica autorità nel campo della filosofia e della psicanalisi, oltre che wagneriano sopraffino, che l’ha definita “il mio sogno privato”. Sostenendo che Wagner, per continuare a mantenersi vivo, deve alimentarsi con sempre nuovi allestimenti, di tutte le tendenze e di tutte le fogge.

Ahilui non accorgendosi che - invece - il nesso causa-effetto è esattamente l’opposto! Troppo spesso la regia, le scene, i costumi, invece che essere il mezzo che serve a far arrivare al pubblico l’opera che l’Artista ha voluto propinarci (che è il fine) vengono fatti assurgere a fine, per raggiungere il quale ci si serve, come mezzo di sicuro successo, dei drammi di Wagner.

Insomma, la differenza che passa fra: servire e servirsi di.
(nobbuono)