ipocrisia pesciarolaia

vado a votare, ma non voto

03 giugno, 2010

Gianandrea da Sesto

In attesa di vederlo all'opera nel prossimo Manfred a Torino, ecco un ritratto del Maestro sestese, che non dimentica la sua città, dalla quale pur vive ormai quasi perennemente lontano.

Il Diario del Nordmilano (ex-Diario di Sesto) pubblica in questi giorni un ritratto-intervista di Gianadrea Noseda:



(click sull'immagine per ingrandire)





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Sesto come una sinfonia (la Stalingrad, immagino) di Shostakovich e come un corno: questi i paragoni che il Maestro fa della sua città. Che ne va giustamente orgogliosa.

01 giugno, 2010

Ecco il salvatore

"Mi occupo di morte e sofferenza perché mi interessano. Ho visto molta gente che soffre, e credo che ciò sia uno dei temi più interessanti oggi in Europa. Viviamo nella paura, ma dobbiamo capire che c'è anche un sollievo, che ci viene parlando delle nostre paure".

XYZ (*) ammette di temere morte, dolore e sofferenza quando si tratta della sua famiglia. Ma dal momento che questa è una paura cui nessuno può sfuggire, lui ha voluto occuparsi artisticamente della cosa. Lui intende aiutare la gente a venire a patti con la propria mortalità.

Oh, my god! (in slang: minchia!)

(*) XYZ è tale Calixto Bieito, ndr.

29 maggio, 2010

Dalla radio torna un po’ di Oro nel Reno alla Scala

Come poteva prevedersi, l'ascolto elettronico ha restituito ciò che il live aveva tenuto nascosto. Microfoni vicini all'orchestra e – soprattutto – infilati sotto i costumi dei cantanti restituiscono un suono (artefatto, si sa) simile a quello dei dischi, o CD o DVD. E soprattutto non trasmettono le immagini (smile!)

Certo, il timbro sgradevole della voce del Fasolt di Martirossian non può essere rimosso (forse nemmeno in studio) ma almeno le voci arrivano chiare all'orecchio. Cosa che in teatro, e in un teatro enorme come la Scala, accade solo se la materia prima è solida, cosa che poco si applica alle voci di questo Rheingold.

Visto che siamo in tempi di decreti e proteste anti-decreto, bisogna segnalare la differenza di trattamento riservata alla protesta – assai radicale, proprio da Cobas e piuttosto pesante nelle forme e nelle parole – dello scorso mercoledì 26, che fu oscurata dalla trasmissione cinematografica, e quella – più urbana nelle forme e dal freddo e burocratico linguaggio sindacalese – di questa sera, regolarmente andata in onda su Radio3. Lissner non ha perso l'occasione, alla fine, per ripetere che la Scala è diversa da ogni altra Fondazione: il decreto Bondi, par di capire, andrebbe anche benissimo se applicato a tutti tranne che al teatro milanese. Peccato che i fragorosi buh indirizzati anche stasera alla regìa siano lì a dimostrare come certe presunte superiorità di allestimento siano pura millanteria.

28 maggio, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 33


Xian Zhang è salita ieri sul podio per un tour-de-force beethoveniano: due sinfonie, per proseguire l'integrale nella stagione, precedute dalla più celebre ouverture del genio di Bonn.
Si parte infatti con la Leonore-3, scritta nel 1805 in occasione della presentazione della seconda versione dell'opera, ridotta da 3 a 2 atti. Orchestra con le viole sul proscenio e un organico che è quasi il massimo per Beethoven (verrà poi smagrito, in ottoni e archi, per le due sinfonie). Ai timpani – parte estremamente impegnativa qui, ma anche nelle due sinfonie in programma - la bravissima Chieko Umezu.
Se si esclude una piccolissima svirgolata dei corni al termine dell'esposizione, si è trattato di una prestazione davvero eccellente, di un'orchestra compatta e con una precisione rimarchevole, che Zhang ha guidato con grande piglio e sicurezza. Teatrale davvero l'uscita di Alessandro Ghidotti per suonare in modo impeccabile – da dietro la quinta di destra – i due richiami di trombetta in SIb che nel Fidelio anticipano l'arrivo del ministro.
Strepitosa la Zhang nell'interpretare passaggio dal LA in f al LAb in fff al culmine del crescendo finale, prima della chiusa: un impercettibile respiro (del resto previsto da Beethoven, che ha omesso ogni segno di legatura) che ha veramente ottenuto un effetto straordinario (neanche Karajan…):








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È un climax che riascolteremo anche verso la fine della quarta: (SOL-SOLb). Meritatissimi gli applausi scroscianti per tutti, con speciale menzione per tromba e flauto.
Poi la ancora settecentesca Prima sinfonia, dove Beethoven muove i primi passi nel campo di cui diventerà ben presto (già con l'innovativa seconda) il dominatore ed innovatore incontrastato. Zhang ne dà un'interpretazione asciutta, omettendo (come farà per la quarta) il ritornello dell'esposizione nel tempo iniziale e staccando tempi sufficientemente rapidi.
Dopo la pausa, si chiude con la Quarta sinfonia, che certa esegesi semplificatoria (quella che divide le sinfonie beethoveniane fra pari e dispari) colloca fra le leggere, o pastorali, o disimpegnate. Ma basterebbe ricordare l'incipit dello scherzo per definirla eroica!









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Zhang tiene un piglio toscaniniano e cava dalla sinfonia tutto il brio e la positività che la contraddistinguono. Dopo lo scherzo, che già mette a dura prova l'orchestra, attacca il finale senza un millisecondo di sosta e rispettando in pieno il folle metronomo beethoveniano. Una cosa travolgente, che impegna allo spasimo l'intera orchestra e chiede speciali virtuosismi ai fiati (flauto e fagotto in particolare). Travolgente quindi anche il successo decretato da un pubblico che ha quasi esaurito la capienza dell'auditorium. Buon segno davvero.
E prossimamente musica cinese (in omaggio alla Kapellmeisterin!) ma solo come antipasto a grandi opere ed immortali.

27 maggio, 2010

La sabbia del Reno alla Scala

Sì, perchè che di oro - in questo Reno scaligero – se ne setaccia proprio pochino.

Dico subito che una rappresentazione in forma di concerto o magari, come si usa oggi, semi-scenica, oppure con sole proiezioni didascaliche ad accompagnare voci e orchestra, avrebbe sortito risultati complessivamente migliori. A costi di un ordine di grandezza più bassi (questa antifona vale per Lissner e per Bondi allo stesso tempo).

A proposito di Bondi, il poetico ministro, col suo decreto che è la perfetta anticipazione della manovra 3montiana di macelleria sociale, è riuscito nell'impossibile impresa di far mostrare a tutto il mondo (la recita di ieri era diffusa sui circuiti internazionali) una Scala che pareva caduta in mano ad un manipolo di extraparlamentari d'altri tempi, con sipario alzato, alle 20 in punto, su uno striscione con la scritta Decreto infame e proclami declamati al megafono, fra scrosci di applausi intercalati a qualche timida contestazione. L'orchestra peraltro non ha intonato bandiera rossa, forse non tutti sono uniti in quel tipo di protesta, non certo Barenboim, che è arrivato a manifestazione sindacale chiusa.

A chi il Rheingold conosce a fondo, questo allestimento non solo non ha arrecato alcun valore aggiunto (né particolari emozioni) ma anzi ne ha parecchio tolto. A chi non lo conosce ha presentato un minestrone incomprensibile che temo avrà contribuito ad alimentare perplessità, se non disistima, verso Wagner. Bel risultato davvero! Tutti i buoni propositi espressi dal team di regìa, e pubblicati sul programma di sala e sul sito del teatro, sono stati accantonati. Magra consolazione: la stessa fine han fatto anche i propositi cattivi!

Meno male che almeno Barenboim – partitura sul leggìo - ha fatto qualcosa per tenere in piedi la baracca. In particolare evitando eccessive rumorosità che sarebbero state a dir poco deleterie, tenuto conto delle voci non certo potenti che cantavano sul palco. Ma con la conseguenza di propinarci un Rheingold piuttosto timido o – per usare un termine politically-correct – di stampo lirico. Tranne il piccolo Fasolt-Youn, quasi perfetto (il suo fratello Fafner-Riihonen ha voce inversamente proporzionale alla gigantesca mole) dal loggione si faticava a correttamente comprendere le parole di quasi tutti gli altri, e in Wagner ciò è particolarmente penalizzante. Ciò indipendentemente dalla bontà del canto e dell'interpretazione, buona in Loge-Rügamer e Mime-Ablinger, discreta in Wotan-Pape e Alberich-Kränzle, sufficiente poco più o poco meno in tutti gli altri/e.

Al maestro mi sento peraltro di rimproverare una esasperante lentezza nel tempo staccato per il Wie liebliche Luft di Froh-Jentzsch, invero insopportabile. Nelle transizioni alle scene 3 e 4 e poi nel finale, Barenboim ha ecceduto forse fin troppo col fracasso, ma bisogna pur capirlo, dopo interi quarti d'ora di un Wagner tenuto a livello cameristico, per non soffocare le voci!

L'orchestra ha discretamente suonato, anche se gli otto corni (ce n'era anche un nono di riserva) non hanno reso al meglio il dispiegarsi degli armonici al principiare del mondo e le tubette e il trombone contrabbasso han faticato a superare lo sbarramento sonoro nella cadenza conclusiva, un RE bemolle terrificante, quanto informe. Impeccabili davvero gli strumentini, oboe e clarinetto su tutti.

In totale, un altro mezzo passo falso in questa stagione scaligera di sedicenti produzioni da far storia. Peraltro salutato da un pubblico (folto, ma non da esaurimento) con grandi applausi, anche per gli inutili, anzi disturbanti quanto incolpevoli danzatori, salvo stentorei buh per la sola povera Fricka-Soffel, trasformata - suo malgrado per l'occasione - in parafulmine di tutte le critiche. Cassiers non si è fatto vivo, forse è già tornato nelle Fiandre, dopo aver incassato l'ultima rata della lauta quanto immeritata parcella.

25 maggio, 2010

Le note di regia del Rheingold di Cassiers

Il sito del Teatro ha da qualche giorno completato la pubblicazione di materiale (parte del programma di sala) a corredo e supporto della rappresentazione.

Oltre al libretto, nella nuovissima traduzione del professor Franco Serpa (con tutto il rispetto, ce n'era proprio bisogno, dato che apporta piccole e poco significative modifiche a quella - quasi perfetta, celebre e di pubblico dominio - del grande Guido Manacorda?) vengono presentati due articoli relativi alla concezione del Ring (e in particolare del Rheingold) del regista Guy Cassiers.

Il primo, di Michael P. Steinberg, della Brown University nel Rhode Island, è intitolato Proiezione e interazione: verso una nuova concezione drammaturgica del Ring. Attribuisce alla regìa di Cassiers nientemeno che l'apertura di un nuovo fronte interpretativo del Ring, una quinta era nella messinscena del capolavoro wagneriano, dopo quelle da lui etichettate come 1.storia del mito (1876-1944, la conservazione delle idee originarie di Wagner che – secondo Steinberg – presentavano il mito come allegoria della storia della Germania imperiale contemporanea a Wagner) 2.mito (1951-1975, legata alle innovazioni di Wieland, che tendevano – sempre secondo Steinberg - a depurare la messinscena da ogni e qualunque riferimento storico, anche per far dimenticare la compromissione col nazismo) 3.storia (1976-1980, legata sostanzialmente alla regìa di Chéreau, che presentava un Ring profondamente calato nella storia tedesca, da Guglielmo a Weimar, depurandolo dei riferimenti ai miti) e 4.neo-mito (dal 1980 in poi, dove si recupera, secondo Steinberg, il mito, ma senza perdere i contributi che Chéreau aveva apportato in fatto di regìa dei personaggi, delle loro relazioni ed interazioni).

Ecco, il Ring di Cassiers, stando a Steinberg, introduce un paradigma del tutto nuovo. Ohibò, stiamo a sentire: si torna a Chéreau, ed alla sua concezione secondo cui nulla, nemmeno il mito, è fuori dalla storia. Ma invece di mostrare uno svolgersi storico determinato (anni 1870-1945) come fece il francese, ci presenta la storia dell'oggi (globalizzazione e suoi annessi-connessi) legata alla stratificazione dell'eredità storica da noi accumulata, che condiziona la nostra esistenza odierna e prepara quella futura.

Proiezione ed interazione sono gli strumenti che Cassiers usa per raggiungere il suo obiettivo. Proiezione intesa come meccanica riproduzione di immagini, o ombre, ma anche come esternazione di esperienze interiori. Il Ring proietta i suoi contenuti sul pubblico: Wagner fu maestro nella proiezione del suono (l'orchestra sprofondata e i suoi suoni che si amalgamano con le voci, prima di raggiungere l'orecchio dell'ascoltatore). Cassiers si propone di fare lo stesso con le immagini, impiegando le moderne tecnologie. L'interazione consiste nella reazione del pubblico alle proiezioni (sonore e visive) che lo colpiscono, e al suo coglierne – singolarmente e collettivamente – gli stimoli. E diversi soggetti e diversi pubblici – Milano e Berlino - potranno avere reazioni diverse.

In sostanza, queste tecniche consentono di mantenere una relazione costantemente oscillante fra passato e presente, fra un passato, da un lato, che è fissato e trascorso, ma sempre variabile nella sua ricostruzione, e un presente, dall'altro, che è sempre tormentato e carico di tensione in relazione alle scelte d'azione che presenta e agli esiti per il futuro che contiene.

Come pratico esempio di immanenza storica del Ring si cita la brama per l'oro, che sarebbe esplosa ai tempi di Wagner e che oggi permea la nostra società, con forme e manifestazioni sempre diverse…

L'altro contributo è dello studioso belga Erwin Jans, e reca il titolo: Il Ring: nella Twilight zone. Il Ring descrive in sostanza un mondo – proprio come il nostro! - in continua transizione, dove nessuno è al sicuro e dove ciascuno cerca il suo posto al sole, dove sistemi di potere si confrontano e rapporti di forza si modificano. Il tutto all'ombra di un fato inesorabile, che offusca la libertà. Abbiamo ancora un libero arbitrio? Siamo ancora capaci di scegliere le nostre azioni? Oppure esse sono decise altrove? Siamo ancora i fautori delle nostre vite? Le nostre azioni hanno qualche effetto? I nostri atti non sono forse strangolati in una rete fatale? La velocità e l'incomprensibilità che caratterizzano oggi gli sviluppi tecnologici, sociali ed economici possono essere definite, con assoluta serietà, "tragiche". Il mondo non è più nelle nostre mani. Il mondo ci accade.

Secondo Jans, Cassiers intende, con la sua messinscena, confrontarsi e proporci il confronto con la realtà dell'oggi, caratterizzata dai fenomeni di globalizzazione: la dichiarata fine della storia e della politica; il flusso di informazioni e immagini; il ruolo del linguaggio e della retorica; la virtualizzazione della realtà; la società dei consumi; la confusione ideologica; la minaccia del fanatismo e del fondamentalismo; la ricerca di sicurezza e spiritualità. In sostanza: il crepuscolo della società borghese.

Scrive ancora Jans: Nella visione di Guy Cassiers, il Ring racconta la crisi di identità e la collocazione incerta dell'individuo nel disorientante processo di globalizzazione. Poi va ancor più sul politico, laddove afferma testualmente: Il Ring è l'analisi critica della società capitalistica della metà dell'Ottocento e della sua classe media. Ma poi, prendendo atto dello spostamento di Wagner su posizioni, diciamo così, conservatrici, muove una velata critica, mutuata da G.B.Shaw, per la simpatia che Wagner sembrò mostrare per Wotan, più che per il rivoluzionario Siegfried…

Sempre più chiaramente: La messinscena di Guy Cassiers tiene in seria considerazione l'analisi sociale del Ring e la traspone all'inizio del XXI secolo, in un mondo in cui il capitalismo è divenuto globale e senza alternative.

Dopodichè si passa a proporre paralleli fra le vicende del Ring e la globalizzazione: il Walhall costruito con l'oro rubato ai Nibelunghi, così come le grandi fortune di oggi sono ottenute impoverendo milioni di individui: lavoro minorile, clandestini sottopagati, traffico di vite umane, e così via; ecco le mani invisibili che portano l'oro al Walhalla. Non mancano i riferimenti alle rivolte americane del 1992 e alle banlieu parigine del 2005, assimilati alla sete di vendetta di Alberich.

Ora Jans entra nel merito della regìa di Cassiers e pone l'accento sulla sua interdisciplinarietà: luci, coreografie, balletti, funzionali al progetto di decostruzione dei personaggi nelle componenti di corpo, immagine e voce. Dove ogni componente racconta una parte della storia, e dove sarà lo spettatore a ricomporre il quadro, secondo la sua personale percezione.

Infine Jans riassume i significati delle quattro scene del Rheingold. Nella prima le ninfe rappresentano, per Alberich, una realtà virtuale, come quella delle webcam, che può solo creare frustrazione. Nella seconda abbiamo la rappresentazione della decadenza del mondo degli dèi: L'identità degli dei si è disintegrata in pure idee da un lato (i cantanti) e potere fisico, animale dall'altro (i danzatori). Questa scissione della loro identità condurrà alla fine alla morte degli dei, che sembrano figure di sogno catturate fra la vita e la morte. I Giganti sono rappresentati da enormi ombre, anche questa una manipolazione della realtà, che serve a minacciare ed intimorire la controparte. Nella terza scena abbiamo il regno del Grande Fratello. La quarta scena vede il mondo che cade a pezzi, mentre gli dèi salgono al Wahlall sopra un arcobaleno costituito da una grande massa di numeri e lettere proiettati in continuo movimento, stretti l'un l'altro e che richiamano la Borsa e i corsi azionari.

Conclude Jans con considerazioni già lette e udite, del tipo: ambizione, brama di potere, avarizia, amore, desiderio, invidia, disperazione, lealtà… il Ring abbraccia tutto lo spettro delle emozioni umane. E con richiami a moderni fenomeni di alienazione, frustrazione, individuazione di nemici cui imputare le proprie sfortune, ricerca di redentori cui affidare il proprio futuro, etc.

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Che dire? Tante idee, alcune interessanti, altre stantìe, altre banali. E soprattutto si tratta di vedere poi all'atto pratico se e come il Konzept sia stato realizzato sulla scena. Le reazioni – da quelle dei soloni della critica a quelle degli amatori in forum e blog – non sembrano, ad oggi, entusiaste.

24 maggio, 2010

No, non è la RAI…

…ma è la BBC!

Da noi, e non solo in RAI, i 150 anni dalla nascita di Mahler passano quasi inosservati: qualche sinfonia qua e là, ma nessuna speciale programmazione, né cicli sinfonici o liederistici. Chissà, forse si aspetta il 2011 per i 100 anni dalla morte…

La BBC – che a differenza della RAI le sue orchestre sinfoniche le valorizza, invece di chiuderle – sta trasmettendo l'intero ciclo delle sinfonie del boemo. Proprio da poco si è conclusa, da Manchester, la monumentale Ottava, eseguita dalla BBC Philharmonic, con quattro cori (tre della Hallé e uno di Birmingham) sotto la direzione di sir Mark Elder.

Invece qui, alla Scala poi, due "resurrezioni" sparite nel nulla.

Scala-Abbado: un caso da manuale

Sì, il già corposo manuale Tutti i trucchi per attirare la sfiga si arricchisce di un nuovo caso esemplare.

Se non fosse che c'è di mezzo la salute di una persona (e che persona!) si dovrebbe parlare di farsa annunciata.

Naturalmente, auguri a Claudio Abbado di rimettersi al meglio.

21 maggio, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 32

Concerto di quelli davvero corposi, quello propostoci da Xian Zhang ieri sera in un Auditorium gremito.

Si apre con la Suite da L'amore delle tre melarance di Prokofiev, un'opera in un prologo e 4 atti, dai contenuti surreali e fiabeschi. La suite – in 6 brani - ne raccoglie il meglio dei passaggi orchestrali.

1. Gli strampalati: tratto dal prologo, dove i fautori di tragedia, commedia, dramma e farsa discutono – mirabilmente supportati dalla musica che si fa davvero in quattro - su quale sia la forma migliore, e poi sono messi a tacere dagli Strampalati, (o Originali, o Ridicoli, come si trova in diverse traduzioni) che assieme ad un araldo annunciano al pubblico lo spettacolo (Le tre melarance, appunto).

2. Il mago Celio e la fata Morgana giocano a carte: è in pratica una buona parte del secondo quadro del primo atto, quando il mago e la fata – in una scena precisamente infernale - giocano a carte avendo come protettori il re di fiori e il re di picche. Impressionanti gli accordi di ottoni e violini che sottolineano le carte giocate dai due.

3. Marcia: è questo il brano certamente più famoso ed eseguito, spesso anche da solisti al pianoforte o al violino.












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Compare nel primo quadro del secondo atto, dopo l'inconcludente intervento dei comici, allorquando Truffaldino in pratica costringe il principe ipocondriaco a seguirlo alla festa nel palazzo reale. Funge così da interludio e da introduzione al secondo quadro, iniziando assai piano (da lontano) e poi arricchendosi sempre più di forza e colore. Tornerà brevemente anche verso la fine del terzo atto e nel secondo quadro del quarto, quasi fosse un leit-motiv che rappresenta l'autorità regale.

4. Scherzo: è un interludio in 6/8 che compare alla fine del secondo quadro del terzo atto, dopo che il principe e Truffaldino hanno trafugato le tre melarance eludendo la guardia della cuoca della maga Creonta.

5. Il principe e la principessa: siamo nel terzo atto, terzo quadro, allorquando il principe – dopo che Truffaldino ha fatto morire di sete le principesse Linette e Nicolette, aprendo le due melarance in cui erano imprigionate - libera dalla terza melarancia la principessa Ninetta e la salva abbeverandola con dell'acqua procuratagli pietosamente dagli Strampalati.

6. La fuga: è quella dei cattivoni Smeraldina, Leandro e Clarissa, protetti dalla fata Morgana, proprio immediatamente prima dell'apoteosi finale.

In tutto non sono neanche 20 minuti (rispetto ai 100 dell'opera) ma è grande musica, come quasi tutto Prokofiev, del resto. Xian Zhang dosa assai bene gli ingredienti orchestrali, e ce la rende in modo efficace e coinvolgente.

Arriva adesso il pianista turco Hüseyin Sermet per interpretare il celeberrimo quarto concerto di Beethoven.

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Un'interpretazione di tutto rilievo, tenendo conto dell'estrema complessità di questo concerto, forse il più difficile dei 5 del genio di Bonn. Nell'Allegro moderato mi sembra che l'orchestra – almeno all'inizio – fosse un pochino svagata e non abbia supportato a dovere il pianista, poi le cose sono migliorate. Ottima l'esecuzione della cadenza (la prima delle due scritte da Beethoven). Pregevole l'Andante con moto, e in particolare il passaggio che prepara la chiusa, quelle otto spettrali battute dove il pianoforte solo, sul trillo del DO, suona biscrome discendenti alternate alle due crome SOL#-LA. Il Rondò viene eseguito con molta leggerezza, senza inutili enfasi e qui l'orchestra, archi in testa, è molto efficace nei tutti che contrappuntano il solista. Gran successo per il bravo Sermet, che oltre a suonare è anche un pedagogo e compositore! E ci concede un bel bis beethoveniano.

Si chiude infine con Rachmaninov, e la sua pretenziosa seconda sinfonia, già ascoltata di recente alla Scala con Pappano. Orchestra ipertrofica, disposta (come per Prokofiev) con le viole sul proscenio e i violoncelli in secondo piano.

Uno dei (pochi) passi veramente interessanti di questa composizione è il tema dello scherzo, esposto dai corni, che dà modo a Ceccarelli e compagni di mettere in mostra tutta la loro bravura:


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Alla Zhang va il merito di non aver calcato la mano sulle decadenti sdolcinature del russo, proponendoci un'interpretazione asciutta e tutto sommato digeribile, in specie nell'Adagio, dove hanno modo di mettersi in luce le parti soliste di violino, clarinetto, oboe e corno inglese.

Il pubblico – salvo i pochi che se la sono svignata fra un movimento e l'altro - apprezza assai, con lunghi applausi e numerose chiamate, che vengono premiate dall'Orchestra con un bis inaspettato (sono già le 11!): la marcia – ascoltata due ore e mezzo prima – dalle Melarance.

Tutto-Beethoven ci aspetta fra una settimana.

19 maggio, 2010