ipocrisia pesciarolaia

vado a votare, ma non voto

01 giugno, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.24

Di tanto in tanto, l’Orchestra Sinfonica di Milano si (e ci) regala qualche escursione nel genere del teatro musicale. Questa volta tocca a Puccini (di cui si celebra il centenario della scomparsa…) e a Suor Angelicaalla sua seconda apparizione dopo quella di 18 anni orsono con Bisanti.

Questa produzione è realizzata in collaborazione con l’Accademia del Teatro alla Scala, da cui provengono 5 delle 7 interpreti dell’opera (Monica Zanettin e Silvia Beltrami sono le altre due). Per l’occasione torna per la terza volta sul podio dell’Auditorium il 34enne tarantino Vincenzo Milletarì, già ospite qui nel ’22 e ’23.

Serata per (quasi) tutte rappresentanti del genere femminile: oltre alle sette interpreti (dei 14 ruoli) anche la Direttrice del Coro di Voci Bianche (tutte ragazze) Maria Teresa Tramontin. A rappresentare il genere maschile, oltre al Direttore, è il Maestro del Coro Massimo Fiocchi Malaspina, con tenori e bassi che nel finale si aggiungono alle signore e alle voci bianche.    

I tre ruoli principali dell’opera, dal punto di vista musicale, sono senz’altro Angelica, Principessa e Genovieffa.

La protagonista del title-role si presenta esponendo la sua filosofia della bella morte, dove ogni umano desiderio è già realizzato prima ancora di manifestarsi, grazie all’intercessione della Beata Vergine. Poi la vediamo all’opera come esperta di medicina e farmacologia, quando prepara la pozione contro le punture di vespa; tornerà ad esercitare questa sua sapienza nel finale, allorquando preparerà la mortale bevanda per sé medesima. Poi la vediamo in preda all’ansia, all’annuncio di una visita che la riguarda; e subito dopo affrontare il drammatico incontro-scontro con la Zia Principessa, dove emerge la sua aperta ribellione contro i pregiudizi della società. Deve poi sopportare il devastante dolore alla notizia della morte del figlioletto. Da qui la decisione di darsi la morte per raggiungerlo in Paradiso, subito seguita dal pentimento per la consapevolezza della mortale peccaminosità del gesto. Infine, lo scioglimento della sua vicenda terrena nella celeste beatitudine.

Insomma, un ruolo complesso e dalle mille sfaccettature, che Puccini ha scolpito mirabilmente in musica. Ebbene, l’ormai veterana Monica Zanettin ha mostrato di sapersi calare assai bene in questa parte che alterna toni dimessi e riflessivi a scatti di passione, amor materno che arriva al sacrificio, ma anche disprezzo per la società che l’ha punita invece di comprenderla e aiutarla. Avesse un po’ più di penetrazione negli acuti sarebbe quasi perfetta. A lei è andato il maggior consenso del pubblico.

La Zia Principessa è la classica espressione femminile della società patriarcale in auge in quel lontano 1600 (ma le cui propaggini si spingono fino a noi…) Obbedienza cieca a principii ottusi; inflessibile esercizio dell’autorità: e disprezzo, in luogo di comprensione, per chi esce dalla retta via. La navigata Silvia Beltrami si è ben calata nella parte, facendo emergere con la sua solida voce contraltile tutta la freddezza e l’ottusa severità del personaggio. Anche con lei il pubblico è stato assai generoso. 

Genovieffa rappresenta l’ingenuità e la sincerità della gente comune. Sa apprezzare la bellezza di un tramonto; mostra premura nel ricordare una sorella defunta; non trova sconveniente avere desideri, se sono innocenti (agnellino = Agnus Dei…) e non animati dall’egoismo; mostra comprensione per l’ansia di Angelica. L’alfiere delle accademiche scaligere, Greta Doveri, l’ha efficacemente interpretata, accollandosi anche i ruoli marginali di seconda cercatrice e seconda conversa.

Le altre interpreti sono Elena Caccamo (Badessa + Suora zelatrice); Fan Zhou (Osmina, Dolcina, Novizia); Laura Lolita Perešivana (prima cercatrice, prima conversa) e Dilan Saka (Maestra e Suora infermiera). Le loro parti sono di portata quantitativamente limitata: accumunerei tutte in un giudizio lusonghiero. E il pubblico mi pare abbia fatto altrettanto.

Bene Milletarì, gesto sempre essenziale e precisione negli attacchi, che con questo Puccini evidentemente ha trovato una buona consonanza, valorizzandone al meglio questa difficile partitura. E l’Orchestra lo ha assecondato alla grande: da antologia tutto il finale, in cui è spiccato il mirabile passaggio (guidato dai violoncelli) che accompagna Lodiam! La Grazia è discesa dal cielo! di Angelica.

Hanno completato degnamente l’opera i cori di Tramontin e Fiocchi Malaspina. Alla fine, lunghi e convinti applausi per tutti, da parte di un pubblico assai folto e partecipe. Una serata davvero da incorniciare. 

17 maggio, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.23

Il concerto di questa settimana dell’Orchestra Sinfonica di Milano, diretto da Michele Gamba, si inquadra nella prestigiosa rassegna Milano Musica, giunta alla 33ma edizione, e presenta quindi una prima assoluta di un’opera contemporanea, dal titolo evocativo (perchè legato alla seconda parte del programma) Kinderszenen, Concerto per pianoforte, elettronica e orchestra di Marco Momi, che collabora con l’IRCAM di Parigi di cui impiega anche in questo lavoro i servizi elettronici e informatici, governati da Serge Lemouton e Jérémie Henrot.

Alla tastiera la rediviva Mariangela Vacatello, apparsa in Auditorium per la prima volta precisamente 9 anni orsono (poi aveva suonato con laVerdi alla Scala all’inaugurazione della stagione 21-22). [Attualmente la coppia Vacatello-Gamba occupa le posizioni di Direttore Artistico e Direttore Musicale del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano.]

Della narrativa del brano, che dire? Ciò che si sente effettivamente ha qualche riferimento a scene bambinesche, nel senso che pare di ascoltare un bimbetto che, in ginocchio sulla poltroncina dell’esecutore, si diverte un mondo a pestare sui tasti del pianoforte… e poi non si accontenta della tastiera, ma vuol anche provare a ravanare dentro la cassa. 

Il pianoforte poi è amplificato, quindi il suono che ne esce riempie la sala sovrastando l’orchestra e pure… l’informatica/elettronica, che qui assume quasi il ruolo di basso continuo. 

Poi scopriamo (almeno io) che il violino è anche uno strumento a fiato (!?) Poiché può emettere uno specialissimo suono quando l’esecutore lo avvicina alla bocca e soffia sulle corde. Insomma, grandi novità, da lasciare a... bocca aperta.

Ora però, la critica che personalmente mi sento di fare a quest’opera (a parte che... ops, la tonalità d’impianto è indecifrabile) è che dura quasi il doppio del pezzo pianistico di pari titolo di Schumann!

Va da sé che compositore, solista, direttore, strumentisti e addetti tecnologici meritano comunque un applauso di cortesia per l’abnegazione dimostrata. E va detto che parte dello scarso pubblico è andata anche più in là, in fatto di accoglienza.
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Poi, guarda caso, a completare il programma è quel grande dell’800, Robert Schumann, di cui si è eseguita la Prima Sinfonia (nickname: Primavera).

Che, chissà come, dopo 180 anni ancora si ostina ad accendere il calore e l’entusiasmo di tutto il pubblico. 

13 maggio, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Presentata la stagione 24-25.

La Fondazione dell’Orchestra Sinfonica di Milano ha presentato stamattina in Auditorium la stagione 24-25.

Introdotta da Damiano Afrifa dell’Ufficio Stampa, la Presidente Ambra Redaelli ha fatto gli onori di casa ringraziando per la loro presenza il Sottosegretario alle Finanze Federico Freni, l’Assessore alla Cultura della Regione Lombardia Francesca Caruso, l’Assessore alla Cultura del Comune di Milano Tommaso Sacchi (le tre Istituzioni Pubbliche che sostengono finanziariamente la Fondazione) e soprattutto il nuovo Direttore Musicale, il rampante Emmanuel Tjeknavorian.

Il quale ha poi presentato la Stagione 24-25, da lui ideata negli scorsi mesi, dopo l’annuncio della sua nomina. Il ragazzo sprizza entusiasmo da tutti i pori ed ha già a quanto pare contagiato il Sottosegretario, un grande appassionato di musica (ma perché non contagia a sua volta il suo Capitano?) che si è spinto a promettere di visitare Milano più spesso proprio per ascoltare i concerti della Verdi!

Secondo il Direttore, è una stagione prudente (tanto per prendere le misure all’ambiente…) ma in futuro ha promesso di inoltrarsi più decisamente nel mare aperto della musica contemporanea. Non ci resta che aspettarlo alla prova!

12 maggio, 2024

È tornato alla Scala il DonPasquale di Livermore

Dopo un gradevole aperitivo beethoveniano con l’Orchestra Giovanile di Milano, eccomi all’affollatissima Scala dove, poco dopo il dittico verista, è andata in scena un’altra ripresa di una recente produzione (2018): il donizettiano DonPasquale ideato da Davide Livermore.

Rispetto al 2018 cambiano: il podio (Evelino Pido’ al posto di Chailly); il Maestro del Coro (Bruno Casoni > Alberto Malazzi) e due dei cinque interpreti: Norina (Rosa Feola > Andrea Carroll) ed Ernesto (Renè Barbera > Lawrence Brownlee). Rimangono impavidi al loro posto e ai loro ruoli il protagonista Ambrogio Maestri, il Dottor Malatesta Mattia Olivieri e il Notaro Andrea Porta.

Ricordo – purtroppo - di non essermi affatto entusiasmato sei anni orsono: uno Chailly piuttosto pesantuccio e un Livermore già allora abbastanza ripetitivo. Le premesse non erano quindi troppo allettanti, ma alla fine devo dire che nel complesso lo spettacolo non mi ha poi totalmente deluso. Certo, l’allestimento dell’ex-tenore piemontese non è che sia invecchiato bene, come un buon dolcetto d’Alba, ma insomma non si è neanche… ehm, maderizzato, ecco!

Parte del merito dell’ampia sufficienza che mi sento di garantire a questa ripresa va alla parte musicale, in particolare agli interpreti. Ambrogio Maestri è ovviamente una sicurezza ed è stato giustamente, e prevedibilmente, il mattatore della serata. Ma anche gli altri tre interpreti principali (più il comprimario Porta) hanno ben meritato: Andrea Carroll da Bethesda ha sfoggiato una vocina pungente e – per me, almeno – adatta al personaggio della Norina, una ragazza un po’ gattina morta e un po’ cinica femminista. Il rotondetto afroamericano Lawrence Brownlee è stato un Ernesto ingenuo e patetico come da copione, e lo ha rivestito dalla sua bella voce acuta e penetrante… rossiniana. Mattia Olivieri a sua volta ha riscosso ampi consensi per la sua prestazione solida e senza sbavature.

Bene anche il coro di Alberto Malazzi, pur nella limitatezza (solo terzo atto) del compito cui è chiamato. Quanto alla direzione/concertazione del navigato Pidò, gli rimprovero qualche eccesso bandistico, per il resto la definirei di onesta routine, ecco.

Tutto sommato, una ripresa che mi sento di giudicare dignitosa, ma non di più.

11 maggio, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.22

È il Direttore emerito Claus Pater Flor a rifarsi vivo con l’Orchestra Sinfonica di Milano per offrirci questo bel concerto che affianca il tardo Strauss al rampante Beethoven.

Una delle due prime parti di oboe dell’Orchestra, Luca Stocco, è il protagonista del primo brano in programma, il funambolico Concerto che l’81enne Richard Strauss compose nel 1945 come… ehm, piccolo risarcimento di guerra per John de Lancie, strumentista della Pittsburgh Symphony Orchestra (in seguito passato alla Philadelphia) nonchè caporale dell’armata USA che aveva preso il controllo della Baviera. Il ventenne militare era quasi divenuto amico del vecchio compositore, andandolo spesso a trovare nella sua villa di Garmisch, che un altro graduato aveva ossequiosamente evitato di sequestrare - per farne un... bivacco di manipoli - proprio per rispetto alla notorietà del proprietario.

Il Concerto ha la classica struttura in tre tempi, tonalità RE maggiore (1-3) e Sib maggiore, poi RE maggiore (2). Ascoltandolo non si può non andare con i ricordi ad atmosfere tipiche del classicismo viennese. E vi compare ripetutamente (in modo minore e maggiore) anche un motivo che rappresenta un sottile e sotterraneo legame con l’Eroica (a proposito del secondo brano in programma); motivo impiegato da Strauss anche nella contemporanea Metamorphosen:

Orchestra… magrolina (come prescritto) che il Direttore ha appropriatamente fatto suonare con delicatezza tutta settecentesca.

Quanto al solista all’oboe, l’aspetto più critico del brano riguarda però le apnee (!) cui si deve adeguatamente preparare… Strauss non era nuovo a richiedere prestazioni fuori ordinanza agli esecutori su strumenti a fiato, tanto che per la Alpensinfonie aveva consigliato addirittura l’impiego dell’aeroforo di Bernard Samuels per venire in soccorso ai poveri strumentisti!

Ma l’eroico Luca Stocco non ha avuto bisogno di alcun polmone d’acciaio, tanto da superare la prova quasi in… souplesse! E così si è meritato un gran trionfo di pubblico (anche ieri con folta rappresentanza di teen-agers) e l’applauso dei colleghi.
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Ha quindi chiuso in bellezza l’Eroica: poco da dire qui, se non che anche queste opere iper-inflazionate e millanta volte udite - dal vivo o attraverso le più esotiche diavolerie tecnologiche - se suonate come sa fare l’orchestra di casa, coinvolgono l’ascoltatore come al… primo amplesso, ecco!

Mi limiterò a citare per tutti il terzetto dei corni (Amatulli, Farrante Bannera, Buldrini) per l’impeccabile resa del Trio.  

Immancabili applausi ritmati hanno accolto questa ennesima dimostrazione di forza e compattezza del complesso guidato da Luca Santaniello.
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Lunedi 13, ore 11, in Auditorium (e in streaming sul canale youtube della Fondazione) appuntamento con il nuovo Direttore Musicale, Emmanuel Tjeknavorian, per la presentazione della stagione 24-25, che si preannuncia davvero… pirotecnica!

04 maggio, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.21

Yoel Gamzou ha fatto il suo gradito ritorno sul podio dell’Auditorium – a quasi due anni dal suo esordio, ancora in era post-Covid - per dirigere il settimanale concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di MilanoSala non certo affollatissima, ma piacevolmente vivacizzata da scolaresche di ragazzini, cosa che di per sé risolleva il morale.

Il cosmopolita Direttore, oggi 36enne, ci ha offerto un programma bipartito di musiche (del ‘900 e ‘8-‘900) ispirate da pittori e pitture.

La prima opera era la Sinfonia Mathis der Maler di Paul Hindemith, che ha risuonato qui quasi undici anni dopo l’ultima esecuzione (che fu anche la prima per laVerdi) allora di Zhang Xian, in occasione della quale avevo scritto alcune note cui rimando gli eventuali interessati.    

Il Direttore israelo-americano ha messo in risalto tutte le qualità di questa difficile partitura, valorizzandone adeguatamente i tratti ora religiosi, ora lirici, ora (ultima parte, soprattutto) anche persino infernali. Un’opera forse guardata con sospetto (di ammiccamenti alla tradizione solo per non inimicarsi i censori nazionalsocialisti) che tuttavia meriterebbe più ospitalità nelle sale da concerto. E di conseguenza più dimestichezza da parte del pubblico, che anche ieri, attaccando uno sparuto applauso dopo la prima parte, ne ha rivelato la sua scarsa conoscenza.

L’Orchestra è stata impeccabile, presa davvero per mano da Gamzou, che alla fine ha fatto il periplo del palco per felicitarsi di persona con prime parti e non solo.
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È poi seguita l’opera di Modest Musorgski - del 1874, per pianoforte, divenuta celeberrima ed eseguitissima grazie alla straordinaria orchestrazione di Maurice Ravel del 1922 – Quadri di un’esposizione. (Anche per questa rimando il lettore ad un mio precedente intervento, basato peraltro sull’originale per pianoforte).

A differenza della Mathis, questa partitura è universalmente nota ed eseguita, e quindi è diventata uno dei cavalli di battaglia dell’Orchestra, che l’ha già suonata almeno una dozzina di volte, la prima addirittura nella stagione dell’esordio, 30 anni orsono, sotto la bacchetta del venerabile fondatore Vladimir Delman.

E il risultato è stato un trionfo epocale. Gamzou alla fine, spalleggiato da un interminabile applauso ritmato, ha impiegato almeno cinque minuti a girare da un leggìo all’altro per complimentarsi e ringraziare quasi uno ad uno i ragazzi per questa strepitosa esecuzione, che tale è stata ovviamente anche per merito suo.

20 aprile, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.20

Il poliedrico Giuseppe Grazioli (attualmente trapiantato nelle… Gallie) dirige il 20° concerto della stagione 23-24 dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Concerto antologico, con 5 brani musicali in qualche modo ispirati dall’Italia (da Napoli in particolare) a musicisti nostri compatrioti, ma anche stranieri.

Pubblico per la verità abbastanza magro… ma non si può sempre fare Mahler o (solo) Ciajkovski!

La prima parte della serata vede una composizione contemporanea (proprio in prima assoluta) incastonata fra due brani ottocenteschi che più distanti non potrebbero esserle (!)

Si inizia infatti con Jules Massenet e la sua Scènes napolitaines, la quinta delle sette Suite per orchestra, composte fra il 1865 e il 1882, che si articola in tre sezioni: ecco qui un’esecuzione (di Michele Mariotti) cui si riferiscono i minutaggi esposti nel seguito:

1. La danse. Allegro, 6/8, MI minore (poi DO maggiore e MI maggiore). È un saltarello scatenato (e pure abbastanza stucchevole e ripetitivo, direi) in forma A-B-A’-B’ più breve introduzione e coda. Dopo l’introduzione sulla dominante SI, ecco la sezione A (4”) in MI minore; segue (1’21”) la sezione B in DO maggiore. Arriva ora (1’51”) la sezione A’, MI minore; e quindi (2’35”) la B’ in MI maggiore. La coda (3’05”) è ancora in MI minore.

2. La procession et l'Improvisateur. La prima sezione (3’20”) è ovviamente in tempo Lento e religioso, 3/4, tonalità SOL maggiore. Sono solo 15 battute, chiuse sulla sensibile FA#. Con un brusco scarto di tonalità (al MIb maggiore) attacca ora la seconda sezione costituita da una breve introduzione (4’45”) di 5 battute in tempo Allegro, 4/4, seguita dall’esposizione del tema principale, che sarà poi sviluppato su tre variazioni. Dapprima (4’56”) ecco l’Andantino quasi Allegretto di 25 battute in tempo di siciliana (6/8). Segue (5’52”) la prima variazione, nel medesimo tempo, ma assai più mossa dagli svolazzi di semicrome dei legni. La seconda variazione (6’49”) è in tempo 12/16, Un po’ ritenuto, e si muove negli archi per ondeggiamenti su un ritmo puntato. Infine (7’53”) ecco la terza variazione, in tempo 6/8, Allegro animato: è l’intera orchestra a ripresentare il tema con grande sfarzo e smaglianti colori.

3. La fête. Allegro, 4/4, DO maggiore. Si apre (8’24”) con rintocchi di campana, sul SI, poi gli archi e ancora i legni preparano adeguatamente - in atmosfera di dominante - il terreno per l’arrivo (8’58”) del brillante tema che si sviluppa con brevi divagazioni a REb e RE maggiore, per poi (12’12”, alla breve, Più mosso poco a poco) chiudere orgiasticamente l’opera.
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È ora la volta (come nel precedente concerto) di una prima assoluta: si tratta di un’opera commissionata dalla Fondazione al 73enne architetto (!) Alessandro Melchiorre, dal titolo Microliti, che impegna anche due voci: di soprano (Joo Cho) e di basso-baritono (Nicolas Isherwood). 

Il titolo (che si rifà materialmente a piccoli frammenti preistorici di selce) in realtà è quello di una collana poetica autobiografica di Paul Celan (ebreo ukraino-rumeno sfuggito per miracolo alla Shoah) fatta di aforismi e mini-drammi, delle dimensioni dei microliti, appunto. Melchiorre ne ha musicati sette, così titolati:

1. Introduzione. Kammerkonzert-1 (baritono-soprano). In memoria dei genitori morti in campo di concentramento.

2. Marcia funebre. Voci e violino (baritono-soprano). Incontro con Ingeborg Bachmann a Vienna.

3. Concertante-1 (soprano). Incontro con Gisèle Lestrange (sua futura moglie) a Parigi.

4. Interludio-1. Kammerkonzert-2 (baritono-soprano). Incontro (mancato) con Adorno.

5. Interludio-2. Concertante-2 (baritono-soprano). L’amore per le poesie di Mandel’stam; brevi passaggi da Rilke.

6. Marcia funebre. Voci e violino (baritono-soprano). Incontro con Heidegger a Todtnauberg.

7. Kammerkonzert-3 (soprano-baritono). Vita di esule a Parigi; il Maggio francese; la Primavera di Praga.  

Come si può arguire, già il soggetto dell’opera non è dei più riposanti, per così dire; se poi aggiungiamo che il buon Melchiorre - da vecchio discepolo di Darmstadt - non ha fatto proprio nulla per addolcirci la pillola… ehm… ci siamo capiti, insomma. Atmosfere spettrali, canto spesso orientato allo Sprechgesang, insomma un piatto di digestione complicata, come minimo.
Naturalmente - e come è doveroso - il pubblico non ha lesinato applausi ad interpreti ed Autore, salito sul palco a ringraziare tutti.
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Per ripagarci del… fioretto (so che è una battuta tanto facile quanto irriverente) è seguito subito, come antidoto (!?) il celeberrimo Capriccio italiano di Ciajkovski. (Qui una mia succinta descrizione del brano.) 

Travolgente, manco a dirlo, il successo per Orchestra e Direttore.
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Dopo la pausa, di Renzo Rossellini è stata eseguita la rapsodia Canti del Golfo di Napoli, (qui, da 4’30”impiegata poi per l’omonimo balletto del 1954.  

Vi scorrono melodie popolari partenopee, su tonalità che si muovono dall’introduzione lenta in MI minore al LA minore (4’59”) e da qui a LA maggiore (6’29”) dove si ode la celebre ‘A vucchella, con le irruzioni del flauto. Subentra subito (7’38”) la tarantella, ancora in LA minore, che si sviluppa con un altro brusco passaggio (8’22”) al SOL minore. Lunga transizione su un SI tenuto e poi ecco, in MI maggiore (10’42”), la famosa Ie te vurria vasà… ripresa ancora da MI minore a maggiore (14’44”). Poi (15’21”) un rapido e ardito passaggio a FA maggiore, LAb maggiore e LA maggiore. Si torna drammaticamente (16’52”) a LA minore per l'iniziale tarantella che chiude brillantemente il brano sull’accordo di LA maggiore.
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Ha chiuso la serata la Suite romantica (1907) di Franco Alfano. Qui la recente registrazione di Grazioli proprio con laVerdi.

La Suite, che evoca sensazioni ed esperienze di due innamorati in giro per l’Italia, da Venezia a Napoli attraversando l’Appennino, è strutturata in 4 sezioni:

1. Notte adriatica. Struttura tripartita: gli estremi lenti (intimità degli innamorati a Venezia) e la sezione centrale (il carnevale) assai mossa. Scrittura che sfiora l’atonalità (vagamente richiama la Verklärte Nacht di Schönberg).

2. Echi dell’Appennino: intermezzo bucolico fra greggi e pastori. Introduzione lenta, con il corno inglese (cornamusa) in primo piano. Poi poco a poco l’atmosfera si anima e una danza in tempo ternario si fa largo, fino a sfociare in puro parossismo, a piena orchestra. Un breve passaggio in 6/8 conduce al tempo di 3/4 della sezione conclusiva, una specie di lungo sguardo su prati e vallate. Torna alla fine l’intimità dei due innamorati.   

3. Al chiostro abbandonato: parentesi d’amore in luogo sconsacrato, ma pur sempre… sacro. Introduzione lenta, primi passi in quel luogo spettrale. Poi la musica si agita poco a poco, come ad evocare gli antichi fasti del luogo, le solenni cerimonie di cui era testimone… fino all’inesorabile declino e alla rovinosa caduta. Agli amanti non resta che allontanarsi mestamente.

4. Natale campanoil viaggio dei due innamorati si conclude a Napoli, entrando direttamente nel clima festoso, che solo temporaneamente lascia spazio a qualche delicata nenia natalizia. Ma presto è la festa partenopea a riprendere il sopravvento, fino all’esilarante chiusura.
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Beh, questi brani di Rossellini e Alfano non saranno forse delle vette della musica strumentale italiana, ma lo specialista Grazioli ce le ha rese almeno godibili. Quindi, alla fine trionfo per tutti. E tutto sommato, una proposta intelligente e da apprezzare!

17 aprile, 2024

Il dittico verista di Martone ripreso alla Scala

Dopo la produzione originale del 2011 (parzialmente ripresa nel 2014, senza Pagliacci e poi nel 2015) la Scala ripropone il classico dittico con la messinscena di Mario Martone e con Giampaolo Bisanti sul podio (calcato ai tempi da un giovine Harding). A differenza di 13 anni fa, la sequenza di presentazione è quella che si può considerare standard: prima Mascagni, poi Leoncavallo.

Liquido subito la regìa, riproponendo per filo e per segno le mie impressioni originali (diciamo… sostanzialmente positive, ma con qualche perplessità, ecco) che questa ripresa non mi ha certo convinto a modificare.  
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Giampaolo Bisanti ha confermato le ottime prove delle sue recenti (22-23) apparizioni in Scala (Adriana, Ballo e Macbeth) guidando con autorevolezza la buca e il palcoscenico: equilibrio nelle dinamiche, attenzione a dettagli, colori e sfumature. Incomprensibile un isolatissimo buh arrivatogli dal loggione all’uscita finale, in mezzo a convinti applausi (di un pubblico non proprio oceanico…)

Sempre sui suoi (alti) livelli il coro di Alberto Malazzi, particolarmente in Mascagni.       

In Cavalleria, detto dell’ennesima, miracolosa prestazione dell’inossidabile nonna Zilio, su tutti la Santuzza di Elīna Garanča, encomiabile nello scolpire questo personaggio di donna alla mercè dei pregiudizi di una società patriarcale (oggi siamo ancora lì?)

IL Turiddu di Brian Jagde ha ben meritato: voce squillante, con buona proiezione, acuti puliti e otttima presenza scenica; per lui un debutto scaligero più che lusinghiero.

Onesta ma non eccezionale invece la prestazione di Francesca Di Sauro, che mi è parso aver messo poca grinta (a dispetto della voce… robusta) nell’interpretare l’enigmatica personalità di Lola.

Alfio era Amartuvshin Enkhbat. Lo avevo sentito solo in Rigoletto e devo confermare il mio giudizio: vocione poderoso ma ancora da mettere bene sotto controllo, ecco. Il giudizio vale anche per il Tonio nei Pagliacci, ovviamente. Il pubblico lo ha comunque accolto con molto calore, il che speriamo lo spinga a migliorarsi ancora.

In Pagliacci metto davanti a tutti il Canio di Fabio Sartori, la cui professionalità garantisce sempre il risultato!  

Irina Lungu ha messo la sua ormai più che ventennale esperienza – voce e presenza scenica - al servizio del controverso personaggio di Nedda: anche per lei solo applausi.

Bene anche Mattia Olivieri, che ha rivestito ll personaggio di Silvio (che Martone trasforma da contadinotto in tamarro…) con la sua calda voce baritonale.

Applausi infine anche per il Peppe di Jinxu Xiahou, che conferma le sue ottime doti, già manifestate nelle sue recenti presenze in Scala.
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In conclusione, una piacevole serata di musica!    
   

13 aprile, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.19

Il 40enne Sesto Quatrini (tuttora operante nella decentrata Lituania) ha fatto il suo esordio sul podio dell’Auditorium per dirigervi il settimanale concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Il cui titolo (Serate romane) fa ovviamente riferimento diretto al terzo brano in programma (i Pini di Respighi) ma indirettamente anche al primo, il Concerto in LA minore di Edvard Grieg, il compositore nordico che con l’Italia e Roma in particolare ebbe più di un contatto, compreso l’incontro con Ibsen che portò poi alla composizione delle musiche per il Peer Gynt.

Per interpretare il Concerto torna qui, dopo due anni e mezzo, un pianista 35enne - purtroppo per lui cieco dalla nascita - che allora avevamo avuto modo di apprezzare nell’Op. 35 di Shostakovich: Nobuyuki Tsujii. [Paradossalmente l’assenza del primo senso può addirittura aiutare l’esecutore ad approfondire la conoscenza di ciò che deve suonare, essendo egli costretto a decifrare con il tatto (sul supporto Braille) ogni singolo particolare della scrittura, anche quelli che – a prima vista – potrebbero essere trascurati.

Il lavoro di Grieg, oltre alla tonalità, si rifà scopertamente a quello di Schumann, già a partire dall’esordio, uno schianto orchestrale seguito da una poderosa serie discendente di accordi del pianoforte:

Poi naturalmente Grieg ci mette molto di suo, compresa qualche atmosfera dei suoi fiordi. Un’opera interessante, rimasta (praticamente) unica del genere nel catalogo del compositore norvegeseche mise in cantiere un secondo concerto, mai però portato a termine.

Nobuyuki (eccolo qui nel 2018 a Liverpool con Vasily Petrenko, da 23’20”) ha sciorinato una prestazione a dir poco strepitosa, tanto che il pubblico non ne voleva sapere di lasciarlo andare, costringendolo, si può dire, a regalarci non uno, ma ben tre bis! (con Grieg, Kapustin e ancora Grieg).
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Dopo l’intervallo ecco una prima assoluta: si tratta di Maggese, composizione commissionata dalla Fondazione milanese e dalla Toscanini di Parma all’ex-assessore alla cultura del Comune di Milano, Filippo Del Corno. Ispirata alla vecchia consuetudine contadina di dare respiro alla terra, fra una coltivazione e l’altra, in modo da permetterle di rigenerarsi invece che inaridirsi.

Ci si può vedere un implicito riferimento ai problemi ecologici che assillano oggi il nostro bistrattato Pianeta. O, più in generale, alla necessità di prenderci qualche pausa per combattere (come recitava un vecchio spot pubblicitario) il logorio della vita moderna!

In realtà per il compositore si è trattato della ripresa dell’attività creativa dopo ben 8 anni trascorsi a Palazzo Marino ad occuparsi di ogni aspetto della cultura della città.

Come spiega l’Autore sul programma di sala, il brano origina da una semplice cellula - un seme, di fatto - dalla quale poi si sviluppa l’intero corpo del brano quadripartito, quante sono le arature del maggese (ogni 45 giorni da marzo ad agosto). Un’alternanza di movimenti animato-lento, in cui si susseguono (come nelle 4 stagioni?): agitarsi di forze cupe e minacciose seguite da oasi di calma; soffocate grida lontane e scrosci sonori che finalmente si placano; temporali e calma di vento.

Un’opera tutto sommato godibile, con molto diatonismo, il che non guasta, diciamolo francamente. E così deve evidentemente aver pensato anche il pubblico, a giudicare dalla calorosa accoglienza all’esecuzione e all’Autore salito sul palco a ringraziare Orchestra e Direttore.  
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Ha chiuso in bellezza la serata Pini di Roma, secondo poema sinfonico della cosiddetta Trilogia romana di Ottorino Respighi. (Qui alcune mie note riassuntive dell’intero trittico.)

Orchestra come sempre impeccabile e meritato successo per tutti, a cominciare dal Direttore, che ha mostrato grande autorevolezza e sobrietà di gesto.

06 aprile, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.18

Il 36enne afro-americano Roderick Cox (nato in Georgia – terra di antica schiavitù - ma ora trasferitosi a Berlino) fa il suo esordio sul podio dell’Auditorium per dirigere un concertone di quelli davvero robusti: Beethoven e Strauss

Contrariamente all’ordine previsto in locandina, già si intuiva entrando in sala - dall’organico orchestrale schierato - che non sarebbe stato Beethoven ad aprire, ma Strauss… poi si è capita (almeno penso io) la ragione del cambio di sequenza: un grande bis che Tobia Scarpolini (violoncello solista insieme alla viola di Miho Yamagishi) ha organizzato - proprio come in occasione della precedente esecuzione di 8 anni fa - insieme a tutti i colleghi del pacchetto dei celli al termine del Don Quixote!

Ecco allora per prime le Variazioni fantastiche su un tema di carattere cavalleresco. Prolisso sottotitolo al 6° poema sinfonico di Richard Strauss. Qui una mia sommaria esegesi dell’opera, preparata proprio in occasione della citata esecuzione del 2016. Cui ha fatto seguito la celeberrima Settima del genio di Bonn.

Su Cox – un atletico marcantonio che potrebbe ben figurare indifferentemente in una squadra della NBA o in concorsi di Mister Universo (!) – sospendo per ora il giudizio: l’apparenza è positiva (come il suo curriculum, del resto) ma a volte può ingannare, purtroppo. Ha una gran varietà di gesti, da quelli minimalisti dove pare lasciar fare all’orchestra, a quelli più appariscenti ed enfatici, con ampie sbracciate e ondeggiamenti sul podio. Resta sempre, in tali circostanze, da capire se lui guidi l’esecuzione secondo un proprio personale approccio interpretativo, oppure – stante la consuetudine che l’Orchestra ha con ciò che si esegue – non sia lui a farsi semplicemente trascinare. Per dare un giudizio più circostanziato bisognerebbe vederlo all’opera durante le prove o chiedere cosa ne pensano i professori…

Tuttavia, come minimo, devo dire che il ragazzone non si è preso libertà fuori ordinanza, rispettando nella sostanza la lettera delle partiture. Ciò vale per Strauss e ancor più per Beethoven. Questo gli ha garantito un franco successo, sia pure non impreziosito da applausi ritmati che sono spesso di casa in Auditorium. Ovviamente resta da elogiare la compattezza dell’Orchestra, praticamente perfetta in tutte le sezioni.