XIV

da prevosto a leone

01 agosto, 2023

Arriva il ROF-44

Pesaro si prepara ad offrirci la 44esima edizione del suo Festival rossiniano, che nel cartellone principale presenta come al solito tre opere, ripetute per 4 recite ciascuna, più un concerto finale.

Quest’anno le opere sono:

Eduardo e Cristina (prima assoluta al ROF)
Aureliano in Palmira (ripresa della produzione 2014)
Adelaide di Borgogna (nuova produzione)

La chiusura sarà riservata alla Petite Messe Solennelle (versione per orchestra).

Dal punto di vista statistico, la novità più interessante è senz’altro rappresentata dall’opera che aprirà la kermesse venerdi 11 agosto, trattandosi dell’ultima delle 39 composte da Rossini ad essere rappresentata al ROF, il quale potrà così coronare il suo principale obiettivo, quello di mettere in scena, riproponendole al vasto pubblico, tutte le opere del grande Gioachino amorevolmente riportate alla luce, ben rimesse a nuovo, dal benemerito lavoro scientifico della Fondazione Rossini.

Ma anche le altre due opere in cartellone sono le più fresche di comparsa al ROF: 2014 Aureliano e 2011 Adelaide.

Neanche quest’anno si tornerà al perennemente ristrutturando Palafestival (sarà il 2024 l’anno – capitale della cultura - buono?) e in più resterà chiuso anche il glorioso Teatro Rossini! Quindi le tre opere e il concerto finale saranno tutti ospitati alla periferica quanto impersonale Vitrifrigo Arena

Per la delusione dei suoi affezionatissimi fan, Juan Diego Florez, che dal 2022 è Direttore Artistico del Festival, non si esibirà sul palcoscenico.

Radio3 trasmetterà le tre prime (11-12-13 agosto, ore 20). RAI5 diffonderà la serata inaugurale in leggera differita (21:15). Seguiranno (qui) sommari commenti a tali prime radiotelevisive e qualche impressione più circostanziata dopo esperienza diretta in loco.

Di seguito una tabella statistica che riassume (in ordine decrescente di presenze) tutte le proposte del ROF a partire da quel lontano 1980 che lo vide nascere.

29 luglio, 2023

Appendice al recente Parsifal bayreuth-iano

Dato che lo streaming video della prima non era (come previsto) captabile fuori dall’area geografica crucca, il mio precedente, succinto commento a caldo era limitato forzatamente ai soli suoni, diffusi da varie emittenti radio, inclusa la nostra.

Poi è comparso su youtube anche un video integrale, la cui vita è stata brevissima, come potevasi immaginare, subito spezzata da ricorsi della filiera che cercherà di arricchirsi con i DVD di prossima produzione. Io avevo giusto fatto in tempo a scaricare il prezioso reperto, per potermelo poi gustare e giudicare con calma, quando, come l’araba fenice, ne sono subito spuntati addirittura altri due: uno e due

Così adesso sono in condizione di dire due cosette anche sulla messinscena (o meglio, su ciò che la regìa televisiva ha mostrato della messinscena di Jay Sheib).

Una volta tanto devo confessare di non condividere la chiara contestazione al team registico, già emersa al termine del primo atto e poi esplosa abbastanza rumorosamente all’uscita finale.

Poiché, al di là di alcune trovate discutibili (o di difficile decifrazione) come la presenza della donna che si accompagna (ehm… lascivamente) a Gurnemanz durante la seconda parte del Preludio (che sia una visione onirica del vegliardo?) e poi torna accanto a lui alla fine, oppure quella del personaggio cui Parsifal, dopo la sua fulminante reazione al tentativo materno-meretricio di adescamento da parte di Kundry, cava letteralmente il cuore (più …una pietra?) dal petto… mi pare che la concezione di fondo del regista rispecchi abbastanza fedelmente quella che secondo molti (incluso il sottoscritto) è l’interpretazione più seria dell’ultimo dramma wagneriano: la redenzione della Religione secolarizzata e dell’Arte degenerata da parte del folle Artista-Redentore Parsifal (al secolo il medesimo Richard Wagner).

Il momento topico di tale concezione viene risolto dal regista mostrandoci Parsifal che, dopo avere scoperto il Gral, mette in pratica la sua decisione di lasciarlo scoperto per sempre… scaraventandolo a terra e mandandolo in mille frammenti!

Per il resto, un approccio che definirei piuttosto minimalista, un po’ à-la-Wieland, ecco.
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PS: nel caso che anche i due nuovi video vengano inceneriti come il primo, affinchè i rari-nantes che ancora si ostinano a leggere questo blog possano condividere (o contestare) quanto ho esposto, faccio anch’io un’operazione piratesca, mettendo loro a disposizione il video proibito (così faccio indirettamente anche un test sulla severità e capillarità dei controlli nella rete…)

25 luglio, 2023

A Bayreuth ha debuttato un Parsifal (lato suoni) più che positivo

Si è quindi aperto oggi pomeriggio il 111° Festival di Bayreuth, con una nuova produzione di Parsifal curata da Jay Scheib per la messinscena e da Pablo Heras-Casado per la direzione e concertazione.

Il Direttore spagnolo lo scorso dicembre aveva interpretato il second’atto all’Auditorium di Milano con laVerdi, mostrando di sapersi ben destreggiare nei meandri di quest’opera complessa e per molti tuttora inafferrabile. (Io personalmente aderisco con convinzione a quella corrente di pensiero che spiega Parsifal come atto finale della missione wagneriana di redimere Arte e Religione, come ho cercato di sintetizzare in questo scritto

Beh, mi sento di dire che il Kapellmeister iberico abbia superato a pieni voti l’esame con una direzione equilibrata (poco meno di 4 ore nette): né insopportabilmente sostenuta, ma neanche esasperatamente espressionista.

Da elogiare la meticolosità che ha messo nello scavo dei particolari (cose che magari si notano solo con la partitura sotto gli occhi): ad esempio alcune microscopiche prese di respiro, quando fra le battute non esiste segno di legatura, o anche qualche appropriata variazione agogica. I buh che hanno accolto (insieme a irrituali applausi) la calata del primo sipario giurerei non fossero indirizzati a lui!

Ma presumibilmente alla regìa (e/o alla drammaturgia…) che alla fine è stata accolta con freddezza (benevolo eufemismo) ma che lasciamo giudicare a chi ha visto.

A parte Heras-Casado (e all’Orchestra, sempre impeccabile) e al Coro di Eberhard Friedrich (ancora una volta a livelli sontuosi) bene mi pare di dover dire per il gran vecchio Gurnemanz, cui Georg Zeppenfeld ha prestato la sua autorevole padronanza del ruolo-chiave del dramma; poi Derek Welton, un Amfortas convincente per il pathos che ha saputo creare attorno alla sua figura tormentata; felice la prestazione della Elina Garanča, che ha messo in dovuto risalto le due facce di Kundry (pietosa Maddalena e blasfema adescatrice). Andreas Schager mi è parso un Parsifal stranamente a corrente alternata, un po’ in difficoltà nel second’atto. Jordan Shanahan ha dignitosamente impersonato il cattivone nonchè casto (così lo apostrofa perfidamente Kundry) Klingsor. Tobia Kehrer è stato un onesto Titurel. Cavalieri del Gral e Fanciulle fiore in ottima forma, ecco tutto.

23 luglio, 2023

Bayreuth, sempre più… periferica

Fra un paio di giorni apre quella che ancora pochi anni orsono era la Kermesse estiva più rinomata e… chiacchierata del pianeta. Oggi non fa quasi più notizia (ne fa di più la banda Wagner di mercenari del cuoco Prigozhin) e anche la copertura delle emittenti radio-TV si è andata progressivamente assottigliando: RAI-Radio3 per ora annuncia la diretta del Parsifal inaugurale, ore 16 di martedi; Radio Clasica trasmette anche il primo ciclo del Ring. I Bavaresi trasmettono Parsifal anche in streaming (non è dato sapere se solo per il territorio domestico…) e la Radio Bavarese è comunque sempre presente.

In compenso gli ospiti del Festspielhaus potranno godersi Parsifal con speciali occhialini che mostrano la realtà aumentata (qualunque cosa significhi…)

L’edizione 2023 (n°111, a partire dal mitico 1876) vedrà quindi nascere una nuova produzione (l’undicesima) di Parsifal (che consoliderà così il record di rappresentazioni, 550 in 95 stagioni!) affidata all’esordiente ispanico Pablo Heras-Casado in coppia con l’americano Jay Scheib. Per il resto vengono riproposte quattro recenti produzioni: tre cicli del Ring, dove torna Pietari Inkinen, poi Tannhäuser (con l’altra esordiente Nathalie Stutzmann), Hollander (Oksana Lyniv) e Tristan (Markus Poschner).

21 luglio, 2023

Muti con la sua Cherubini a Ravenna

Il Ravenna Festival si avvia alla conclusione e, come consuetudine, è toccato al padrone di casa (acquisito) Riccardo Muti di dirigere l’ultimo concerto sinfonico del 2023 alla testa della sua Cherubini.

PalaDeAndré pieno come un uovo, il che rende inspiegabile perchè due delle sei sezioni delle tribune laterali fossero chiuse al pubblico (che poi le ha in parte occupate…) 

L’apertura era riservata a Nino Rota - che fu tra i primi a scoprire in Riccardo Muti un futuro protagonista della vita musicale italiana e internazionale – con la Suite in 8 movimenti da Il Padrino (parti I e II).

1. Sicilian Pastorale (I)
2. The Immigrant (II)
3. The Pickup (I, non usato)
4. Kay (II)
5. Love Theme (I)
6. A New Carpet (II)
7. Waltz (I)
8. End Title (II)

Ecco qui come Muti la registrò nel 1997 con i Trepper PhilharmonikerE anche ieri ne ha cavato tutta la raffinatezza e la profondità.

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Ancora di Rota, Il 54enne Tamás Varga da Budapest, primo violoncello dei Wiener Philharmoniker (che il  Maeschtre evidentemente conosce assai bene…) ci ha poi offerto il bellissimo Secondo Concerto.  
  
Che fu composto nel 1973 e dedicato al sommo Mstislav, con uno sguardo retrospettivo (ma per nulla anacronistico) alla grande tradizione classico-romantica, come dimostrano l’impianto rigorosamente tonale (SOL maggiore, con tanto di accidenti in chiave) e la struttura solo apparentemente eterodossa: due soli movimenti espressamente indicati ma, come osserva Bruno Moretti nell’introduzione alla partitura Schott, il secondo (Variazioni e finale) è in realtà una micro-sinfonia. Nella quale si possono distinguere Andante(tema)/Scherzo(variazioni 1-5)/Adagio(variazione 6) e Finale (variazione 7).
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Seguiamo il concerto accompagnati dal grande Mario Brunello con la SantaCecilia diretta da Robin Ticciati.  

L’iniziale Allegro moderato (4/4) si struttura come una forma-sonata liberamente interpretata. Vi si distinguono due temi principali (T1 e T2) e un motivo di raccordo (R). Sono i primi violini (1’40”) ad esporre T1, dal carattere giocoso e danzante, su un accompagnamento ostinato in crome di viole e celli:

Dopo alcune modulazioni cromatiche si torna a SOL maggiore, dove compare (2’09”) il motivo R, esposto ancora (in pizzicato) dai primi violini (ora in unisono con i secondi e le viole) su un martellante tappeto dei corni:

Ecco quindi (2’30”) il maschio e puntato tema T2, nei legni (qui il primo oboe):

Proprio sulla chiusura di T2 (2’42”) attacca il solista, con una svolazzata di semicrome che porta (2’53”) alla ri-esposizione di T1, qui completato (3’20”) da una sua variante, che si snoda dal SI anziché dal RE, per portare quindi, dopo il passaggio da R (3’32”), a T2 (3’54”).

E proprio T2 viene manipolato assai, dando inizio a ciò che si può intendere come sviluppo. Dove infatti torniamo ad udire (4’32”) spezzoni di T1 nei fiati, accompagnati languidamente dal solista, poi ancora (5’23”) T2, protervo, fino ad una perorazione grandiosa (5’43”) dell’incipit di T1.

Il solista si imbarca in volate di semicrome mentre i corni ripetono T2, seguiti da oboe e tromba (6’09”).

Il tema T1 (6’21”) ritorna largamente per dare inizio ad una specie di ricapitolazione, dove gli segue (7’09”) il motivo R pizzicato. Poi il solista (7’30”) attacca crudamente T2, quindi tutti tornano (7’44”) su T1, con un finale sberleffo (8’15”) di violini e viole. 

Siamo ora all’Andantino cantabile, con grazia (4/4, SOL maggiore) aperto da solista che ne espone (8’27”) il nobile tema conduttore, che poi verrà sottoposto a sette variazioni:

La seconda frase (8’50”) vira momentaneamente (8’56”) a REb maggiore, per poi modulare ancora (9’12”) a LAb maggiore, dove i violini, poi raggiunti dal solista, ri-espongono il tema. Che viene ulteriormente ripreso, dopo il ritorno al SOL maggiore di impianto, dal solista (9’45”) che però lo chiude anzitempo con una leggera accelerazione. È poi il fagotto (10’06”) ad esibirsi in una sommessa cadenza, prima che il solista (10’20”) riprenda solo l’attacco del tema, portandone la tonalità a LAb, su un tremolo che ne chiude l’esposizione.

Hanno ora inizio le variazioni sul tema. Come premesso, le prime cinque hanno un carattere mosso e nervoso, testimoniato dalla continua accelerazione del tempo (come da indicazioni metronomiche).

Il solista (10’37”) attacca la prima scendendo di un semitono per ripristinare il SOL maggiore, mentre il tempo accelera moderatamente (da 76-80 a 88 semiminime di metronomo). Assistiamo qui ad un serrato dialogo (a base di semicrome) fra solista e flauto, che si palleggiano spezzoni dell’incipit del tema, chiuso dal solista con il ritorno a LAb.

A 11’53” ecco quindi la seconda variazione, in buona parte in RE maggiore, con il tempo che ancora accelera (metronomo a 96) e che il solista esegue integralmente in pizzicato, frantumando letteralmente il tema principale, sempre rimbeccato da fagotti e corni, da ultimo anche dal flauto.

Chiude a 13’00” sul REb, da dove inizia (13’05”) in SIb maggiore, la terza variazione (3/4, Tempo di valzer calmo e cantabile) e metronomo ancora aumentato a 104-112:

È una variazione assai corposa, dove il solista è inizialmente accompagnato da oboe, clarinetto e corno, poi (13’28”) nella ripresa, anche dal flauto. La melodia viene successivamente sottoposta ad ardite modulazioni (come a 13’52”, SI maggiore, nel corno, poi a FA minore, 14’22” nel flauto e poi nel clarinetto). Si torna a 4/4 (Liberamente, con fantasia) e il solista chiude e infine sul LA.

Qui (15’30”) dal LA dominante parte la quarta variazione, in RE maggiore (Alla marcia, allegramente) con il metronomo ancora accelerato a 132-138. La melodia del solista si distende sull’arpeggio discendente di RE (da dominante a dominante) e viene accompagnata da oboe, poi da flauto e infine da squilli di trombetta. Il solista modula provvisoriamente a LAb maggiore (16’02”) poi l’orchestra torna sulla melodia in RE.

Siamo così arrivati alla quinta variazione, con il metronomo ancora accelerante a 144, dove il solista (16’23”) riprende i suoi arpeggi in SOL maggiore; quindi l’orchestra (16’45”) prepara il terreno per la lunga cadenza solistica (16’55”) che porta alla conclusione sul DO grave.

Nella sesta variazione (18’27”, Calmo, contemplativo) il metronomo torna a 76-80, quello dell’Andantino cantabile che aveva originato le variazioni. È una pagina di straordinaria bellezza, dove la melodia sale sempre più in alto per volute successive (cosa degna del Liebestod, per dire…) passando progressivamente dall’iniziale DO minore al celestiale SI maggiore (Tristan, appunto!) prima di ricadere sul SOL minore che la chiude.

SOL che torna maggiore a 21’57” (Allegro vivo) dove inizia la settima ed ultima variazione, un vero e proprio Finale, come indica la partitura. Qui il tema viene ripreso nella sua interezza, ma sottoposto a variazioni e modulazioni continue, affidate anche ai fiati (oboe, corni, flauto, trombe) e con squarci di virtuosismo per il solista. La conclusione è asciutta, due classici e semplici accordi (dominante-tonica) della smagrita orchestra.
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Splendida l’esecuzione di Varga, ben supportato dai ragazzi paternamente guidati da Muti. Bis con un nobile Adagio, concordato con il Maestro fra un bagno e l’altro (…)
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La seconda parte del concerto era tutta di marca spagnola. Ecco infatti di Manuel De Falla la Seconda Suite dal Cappello a tre punte, brano che Muti incise già nel 1980 con la Philadelphia.

Vi sono incorporate tre danze del second’atto del balletto, e precisamente:

- una Seguidilla (I vicini)

- poi una Farruca (3’11”, Danza del mugnaio)

- e infine l’indiavolata Jota (6’14”, Danza finale)

Ha chiuso il concerto il brano più eseguito in assoluto nella storia della musica: il Bolerodiravel!

Che come al solito ha portato il pubblico ad un delirante entusiasmo. Prima di salutare tutti, Muti ha voluto sottolineare il valore della sua creatura, fatta di giovani e giovanissimi che ogni anno ne rinforzano i ranghi; e dando a tutti appuntamento per il 2024, quando si festeggerà il 20° compleanno di questa che ormai è a pieno titolo una delle più solide realtà nel panorama musicale italiano. 

11 luglio, 2023

Venezi = Gergiev?

Premetto: non ho (ancora) avuto il piacere di ascoltare dal vivo musica diretta da Beatrice Venezi.

A mio modestissimo avviso il problema non è la richiesta (che non avrà fortunatamente seguito) di bandire alla Venezi l’accesso al podio dell’Opera di Nizza…

…ma la decisione irrevocabile e messa immediatamente in atto a suo tempo di bandire a Gergiev l’accesso al podio della Scala.

25 giugno, 2023

A Ravenna ancora malmessa tiene duro il Festival

Lo stato della pianura attorno a Ravenna è ancora ben lontano dalla normalità, mentre la politica litiga su chi debba occuparsi del problema… (se no, che italiani saremmo?)

Il Ravenna Festival sfida tutte le disgrazie e stoicamente procede nella sua programmazione. Ieri sera l’Orchestra Cherubini (del Maeschstre co-padrone di casa) ha tenuto un gran bel concerto, sotto la direzione del 49enne Julian Rachlin (austriaco di origini lituane, che alterna la bacchetta con gli archetti di violino e viola) e con la partecipazione di Yefim Bronfman, 65enne pianista uzbeko-israeliano-statunitense.

PalaDeAndré purtroppo occupato per non più di due terzi dei posti, già in partenza fortemente ridotti rispetto alla capienza nominale…  

Programma aperto da Rimski-Korsakov, con il suo breve Preludio dell’opera (del 1905) che narra della leggendaria Kitež, la città invisibile. La versione da concerto è un poco allungata rispetto a quella che apre l’opera: sono comunque poco più di 4 minuti (101 battute) di musica evocante il mistero della nebbia dorata che avvolge, rendendola invisibile e poi improvvisamente mostrandola agli occhi spaventati degli invasori tatari, la città divenuta simbolo della resistenza russa ai nemici orientali.
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Ecco poi Bronfman proporci quello che da molti è considerato (Imperatore permettendo) il più prezioso dei 5 concerti pianistici di Beethoven: il Quarto, in SOL maggiore. Lui passa per essere un demolitore di tastiere, perchè si dice usi il pianoforte come percussione… ma con questo Beethoven quasi dimesso e introverso ha mostrato quanto sia capace di leggerezza e trasparenza di suono, calcando un po’ la mano solo nella cadenza dell’Allegro moderato. Rachlin lo ha ben supportato, salvo qualche sporadico eccesso di volume, che si può perdonare, dato l’ambiente non proprio da auditorium del PalaDeAndré.

Poi Bronfman, acclamato dal pubblico, ha però tirato fuori le unghie con due bis garibaldini (qui siamo in zona…): il Rachmaninov dell’Op.23 n°5 e il rivoluzionario Chopin dello Studio n°12 Op.10.
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La serata si è chiusa sontuosamente con la tremenda (dal punto di vista di chi la deve suonare…) Quarta Sinfonia di CiajkovskiRachlin è da elogiare anche solo per aver diretto con la partitura appoggiata… nella sua memoria, il che testimonia della cura che le ha riservato.

La Cherubini dal canto suo ha mostrato di non temere prove impegnative come questa: qualche pecca, soprattutto in alcuni non perfetti impasti di suono fra le sezioni, nulla toglie ai meriti di questi ragazzi, accolti con grande calore dal loro pubblico di casa.

18 giugno, 2023

Torna al Piermarini il Macbeth di Livermore

Ieri sera la Scala ha ospitato la prima di Macbeth nella produzione che allietò (beh, insomma…) il SantAmbrogio2021, allora firmata da Chailly-Livermore. Oggi resta solo il regista, mentre il concertatore è quel Giampaolo Bisanti che poco più di un anno fa esordì brillantemente in Scala con Adriana.

Rispetto al 2021 tornano anche il protagonista Luca Salsi (per alcune recite), Ekaterina Semenchuk e Jongmin Park (allora cantarono l’ultima recita al posto di Netrebko e Abdrazakov) e la figura di contorno del Medico (Andrea Pellegrini). Più avanti si rifarà viva anche la divina Anna (cui nessuno chiede più abiure contro il macellaio Putin…)

La messinscena di Livermore (parlo per me, ovviamente) era già piuttosto deludente (e pure… vecchia) al suo primo apparire, e in questi 18 mesi non poteva certo ringiovanire, perciò lasciamola pure al suo destino e parliamo di musica.

Partendo dalla direzione di Bisanti, che evidentemente ha fatto tesoro della strada aperta nel 2021 da Chailly, mettendo in risalto, e sempre in modo appropriato, ogni dettaglio della partitura, mai andando sopra le righe anche quando vi fa capolino la proverbiale vanga di Verdi; e guidando/accompagnando le voci con equilibrio e… rispetto. L’orchestra ha confermato il suo stato di grazia, in tutte le sezioni e nei singoli.

Lode piena ai coristi di Malazzi e alle due soliste del coro di voci bianche: in questo repertorio non hanno uguali!

Luca Salsi ovviamente non è una sorpresa, ma una certezza: non una sbavatura nella sua voce, varietà di accenti e piena immedesimazione nel ruolo. Per lui ancora un gran trionfo e apprezzamenti incondizionati.

Ekaterina Semenchuk è ormai una veterana nel ruolo, che ha cantato in giro per il mondo. Si può discutere se la sua voce da mezzo sia più o meno adatta alla parte (chi predilige una Lady autoritaria e sfacciata l’apprezzerà, chi preferisce una Lady complessata e insicura avrà qualche riserva e… aspetterà la Netrebko) ma insomma, meglio l’abbondanza che la carestia, ecco. Trionfo anche per lei.

Jongmin Park, da ex-accademico è ormai diventato quasi un veterano alla Scala (fra l’altro in questi giorni, accanto a quelli di Banqo, ha ancora nel suo camerino anche i panni di Vodnik…) ha messo in luce i suoi pregi (una voce davvero imponente) e magari il difetto di non gestirla ancora al meglio, sconfinando talora in schiamazzi poco verdiani, ecco. Certo, Abdrazakov è altra pasta, tuttavia mi sento di dare ampia sufficienza al 37enne basso coreano, che non può che migliorare ancora. E il pubblico mi pare sia stato ancor più buono con lui.

IIl Macduff di Fabio Sartori merita a sua volta un voto ampiamente positivo: la parte non è certo proibitiva, avendo solo un paio di momenti topici (l’aria e il finale) ma proprio per questo va lodata la professionalità del tenore, che ci ha messo il meglio di sé.

Malcom era Jinxu Xiahou, che mi aveva lasciato una buona impressione nel suo Tebaldo (Capuleti, 2022). E ieri l’ha pienamente confermata, guadagnandosi calorosi applausi.

Gli altri comprimari (Marily Santoro, dama; Leonardo Galeazzi, domestico; Costantino Finucci, araldo/apparizione; e il citato e redivivo Andrea Pellegrini) han fatto del loro meglio per completare l’opera.

Alla fine convinti applausi per tutti, con punte per Salsi, Semenchuk e Bisanti. 

15 giugno, 2023

Il barocco in concerto alla Scala

Ieri sera al Piermarini il lutto nazionale si è chiuso giusto in tempo per garantire l’unica recita, in forma concertante, di Carlo il Calvo di Nicola Porpora. E così scongiurare anche prevedibili contestazioni – tipo Regio di Torino - in caso di richiesta del minuto di raccoglimento. Sala per la verità con ampi vuoti (forse anche causati dai problemi di circolazione nella zona, legati agli strascichi del funerale di Stato…) poi ulteriormente cresciuti all’intervallo, ma assai ben disposta per questo barocco che mostra di avere tuttora schiere di appassionati cultori.

Per curiosa coincidenza il soggetto dell’opera, da risibile fumettone pseudo-storico, è diventato di immanente attualità, proprio a fronte della scomparsa del tycoon: la spartizione del bottino della sua colossale eredità, politica e materiale!

Come prevedibile (e già successo a Vienna in passato) l’esecuzione senza messinscena ha consigliato/comportato un’ampia sforbiciata ai recitativi secchi: il vantaggio è ovviamente la massima concisione e la prevalenza del flusso puramente musicale; ma a scapito della piena comprensibilità della trama. Certo, chi fra gli spettatori non si è adeguatamente preparato in anticipo, ha solo potuto limitarsi a godere delle note di Porpora (cosa comunque sempre gratificante); oppure ha cercato aiuto nel testo pubblicato sul programma di sala per seguire lo sviluppo del plot, in assenza del servizio (sempre precario peraltro) legato ai piccoli display in dotazione al teatro.

E ai suoni ha provveduto l’Orchestra ellenica Armonia Atenea, guidata dal suo Direttore George Petrou, indiscusso specialista del barocco, già protagonista dell’esecuzione di Bayreuth del 2020 in forma scenica (oltre che di quella di Vienna in forma di concerto). Un ensemble ieri costituito da 12 archi principali (6-3-3) più due celli e un basso per il continuo (con fagotto) e da 6 fiati (2 oboi, 2 corni, 2 trombe) cui aggiungere timpani e cembalo. In tutto quindi 24 elementi.   

Della citata esecuzione erano presenti quattro dei sette interpreti, precisamente: il controtenore Franco Fagioli (Adalgiso); il soprano Julia Lezhneva (Gildippe); il controtenore Max Emanuel Cenci (Lottario) e il soprano Suzanne Jerome (Giuditta). Ai quali si sono aggiunti qui il mezzosoprano Ambroisine Bré (Edvige); il controtenore Dennis Orellana (Berardo); e il tenore Stefan Bonnick (Asprando).

Quanto ai contenuti musicali, oltre ai tagli ai recitativi, ieri sono state omesse alcune arie, per la precisione:
Atto I, scena 6, Berardo, Sai, che fedele io sono;  
Atto I, scena 9, Giuditta, Pensa, che figlia sei;  
Atto II, scena 1, Gildippe, Se veder potessi il core;  
Atto II, scena 4, Asprando, Temer della sorte;  
Atto III, scena 1, Edvige, Quello che sente il cuore;  
Atto III, scena 7, Giuditta, Quel che miri, o figlio;  
Atto III, scena 8, Adalgiso, Con placido contento.  

Due arie sono state ridotte alla sola prima strofa (AA’) e private della seconda e della ripetizione:
Atto I, scena 7, Edvige, Pender da’ cenni tuoi;  
Atto II, scena 9, Gildippe, Amore è un certo foco.

Mantenute le due arie auto-imprestate:
Atto II, scena 13, Lottario, Se tu la reggi al volo (da Ezio);
Atto III, scena ultima, Gildippe, Come nave in mezzo all’onde (da Siface).

L’esecuzione è stata suddivisa in due parti, abbastanza equilibrate come durata: la prima comprendeva l’intero Atto I e il secondo fino all’aria di Lottario (Quando s’oscura il cielo); la seconda il resto dell’Atto II e l’intero Atto III. Rispetto a quanto annunciato sul sito e poi in teatro (rispettivamente 2h40’ e 3h) la durata della recita (intervallo incluso) si è protratta per 3h20’ (!)
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Interpreti tutti all’altezza, con punte di diamante la Gildippe di Julia Lezhneva e l’Adalgiso di Franco Fagioli, davvero strepitosi (mirabile il loro duetto del terz’atto, un autentico tesoro musicale). Ma sugli scudi anche il Lottario di Max Emanuel Cenci e tutti gli altri interpreti, sempre accolti da regolari applausi a scena aperta al temine di ciascuna aria.

Alla fine, molti minuti di applausi all’intera compagnia (cui si è mescolato inizialmente un isolato quanto ingiustificato dissenso dalla seconda galleria, o ho sentito male?) a testimonianza dell’interesse e del gradimento suscitati da questa coraggiosa proposta del Teatro.

11 giugno, 2023

Primizie scaligere: arriva Carlo il Calvo

Dopo la prima apparizione assoluta di Rusalka, la Scala propone un’altra primizia, nel campo del barocco, sia pure solo in forma di concerto: si tratta di Carlo il Calvo di Nicola Porpora, un’opera composta per Roma e colà rappresentata nel 1738. Siamo già ai tempi in cui, dall’originale, severo recitar-cantando della Camerata de’ Bardi e di Monteverdi, si era passati (a partire da Venezia) al recitar-gorgheggiando, con l’assoluta centralità assunta dal ruolo dei cantanti e delle loro mirabolanti evoluzioni virtuosistiche, che finivano per mettere in secondo piano anche i più mirabili e ispirati contenuti musicali.  

La produzione è mutuata da quella della Markgräfliches Opernhaus di Bayreuth (sì, lassù non c’è solo il teatro di Wagner…) che nel settembre 2020 l’ha messa in scena in forma (quasi) integrale con un team che in gran parte è anche protagonista a Milano: Direttore (George Petrou), Orchestra (Armonia Atenea) e 4 interpreti su 7.

Come si vede nel video, la pandemia a Bayreuth non aveva impedito una rappresentazione normale, anzi (più sotto è riportato lo schema dei contenuti musicali dell’opera come lassù rappresentata). Pochi giorni dopo invece, a Vienna l’opera fu presentata dallo stesso team in forma concertante e senza intervalli (per via del Covid). La durata fu portata a circa 2h20’, rispetto alle 3h40’, due intervalli esclusi (! a proposito di Wagner…) di Bayreuth (atto I: -29’ su 86’; atto II: -18’ su 72’; atto III: -26’ su 56’). I corposi tagli riguardarono quasi tutti i recitativi ed anche alcune delle arie che nell’originale (non a Bayreuth, dove una è stata tagliata e due aggiunte da auto-imprestiti da altre opere) sono 26, più un duetto e il coro finale.

È abbastanza lecito immaginare che alla Scala venga seguito lo stesso approccio di Vienna, tutt’al più (stante l’ora di inizio alle 20) ci potrà essere un intervallo (o al massimo due… ancora il sito scaligero non riporta tempi).  

Il libretto, da L’innocenza giustificata del veneziano Francesco Silvani - musicato da vari compositori, come spesso capitava a quei tempi – ha come soggetto un’intricata trama che si svolge alla corte dell’appena defunto Imperatore Lodovico, nel nono secolo. I personaggi sono sette, più il ruolo del titolo che è impersonato da un bimbetto – Carlo, appunto – che non canta (anche se il libretto – non la partitura - lo farebbe cantare proprio nelle ultime battute dell’opera). A Bayreuth per animare lo spettacolo si è fatto ricorso a innumerevoli comparse, immaginate a partire dai fatti pregressi sommariamente descritti in fronte al libretto a stampa.

A meno di non limitarsi (ma è già molto!) ad ascoltare passivamente le arie di Porpora, che sono tutte bellissime, ma ahinoi fatte – come si usava a quei tempi – con lo stampino (classica struttura AA'-B-AA') è consigliabile prendere un minimo di dimestichezza con il plot, a partire da una sommaria conoscenza con i 7 personaggi che lo movimentano.

Il controtenore Lottario (che sarebbe poi Lotario, nipote di CarloMagno) è l’Imperatore in carica. La sua matrigna Giuditta (soprano) che ha sposato suo padre Lodovico, ha avuto da quest’ultimo un figlio, Carlo appunto, che va ad aggiungersi alle sue due figlie di primo letto (Gildippe, soprano ed Edvige, mezzosoprano). Prima di morire, il vecchio Lodovico, evidentemente per contraccambiare Giuditta delle sue premure, aveva deciso che parte dell’Impero sarebbe dovuta andare al giovin Carlo, a scapito di Lottario.

Di qui l’astio di Lottario per la matrigna e il piccolo fratellastro. Ma anche per il proprio figlio Adalgiso (controtenore) che si è fatto conquistare dalle grazie di Gildippe e quindi parteggia per la di lei madre e per il piccolo ziastro.

Su questo terreno entrano poi – sui due fronti contrapposti - altrettanti disinteressati consiglieri: Berardo (controtenore) da sempre confidente di Giuditta (qualche calunniatore insinua pure che se la sia ingroppata e che sia addirittura padre di Carlo) la quale gli mette a disposizione… Edvige; e Asprando (tenore) pronto a qualunque nefandezza pur di garantirsi le grazie di Lottario.

Ecco, conosciuti i protagonisti non resta che informarci sommariamente sulla vicenda oggetto dell’opera; e per farlo si può partire dalla lettura della succinta sinossi gentilmente offertaci sul sito del Teatro. Dopodichè… buon barocco a tutti!
__        
Struttura musicale dell’Opera (recitativi esclusi) con varianti di Bayreuth

Legenda colonne: Atto/Scena – Aria/Recitativo accompagnato/Duetto/Coro – Protagonista – Titolo - Tempo inizio – Tempo fine – Durata canto – Note (Inizio e fine dal video citato)

In giallo le varianti di Bayreuth.

A/S
R/A/a
Prot
Contenuto/Titolo
Inizio
Fine
Dur
N
 
 
 
Overtura - Allegro
50”
3’02”
2’12”
 
 
 
 
Overtura - Lento
3’24”
4’34”
1‘10”
 
 
 
 
Overtura - Contradanza
4’35”
5’25”
50”
 
I-2
A
LOT
Vado nello splendore
8’50”
14’45”
5’55”
 
I-3
A
ASP
Col passeggiar talora
16’05”
20’45”
4’40”
 
I-4
A
ADA
Tornate tranquille
22’10”
28’30”
6’20”
 
I-5
A
GIL
Sento che in sen turbato
29’20”
35’00”
5’40”
 
I-6
A
BER
Sai, che fedele io sono
36’55”
42’25”
5’30”
 
I-7
A
EDV
Pender da’ cenni tuoi
43’10”
48’00”
4’50”
 
I-8
A
LOT
Se rea ti vuole il cielo
51’55”
55’35”
3’40”
 
I-9
A
GIU
Pensa, che figlia sei
57’20”
1h01’50”
4’30”
 
I-10
A
GIL
Se nell’amico nido
1h02’50”
1h13’20”
10’30”
1
 
 
 
Marcia
 
 
 
2
I-11
A
GIU
Vorresti a me sul ciglio
1h16’15”
1h19’10”
2’55”
 
I-13
R-acc
ADA
O cieli! O cieli!
1h19’33”
1h20’28”
55”
 
 
A
ADA
Saggio nocchier
1h20’30”
1h27’10”
6’40”
 
 
 
 
Fine Atto I
 
1h27’10”
57’17”
 
 
A/S
R/A/a
Prot
Contenuto/Titolo
Inizio
Fine
Dur
N
II-1
A
GIL
Se veder potessi il core
1h31’25”
1h33’55”
2’30”
 
II-2
A
ADA
Taci, oh Dio!
1h35’40”
1h42’40”
7’00”
 
II-3
A
LOT
Quando s’oscura il cielo
1h44’45”
1h53’20”
8’35”
 
II-4
A
ASP
Temer della sorte
1h55’40”
1h59’50”
4’10”
 
II-7
R-acc
GIU
Misera! O cielo!
 
 
 
2
 
A
GIU
Tu m’ingannasti, oh Dio
 
 
 
3
II-8
A
BER
Per voi sul campo armato
2h01’25”
2h05’30”
4’05”
 
II-9
A
GIL
Amore è un certo foco
2h06’20”
2h12’20”
6’00”
 
II-10
A
EDV
Il provvido cultore
2h13’00”
2h20’15”
7’15”
 
 
A
GIU
Tu m’ingannasti, oh Dio
2h21’35”
2h24’50"
3’05”
3
 
 
 
Marcia
 
 
 
2
II-11
R-acc
BER
Guerrieri, ecco l’arena
 
 
 
2
 
A
LOT
Se tu la reggi al volo
2h27’35”
2h31’50"
4’15”
4
II-14
A
ADA
Spesso di nubi cinto
2h32’10”
2h39’30”
7’20”
 
 
 
 
Fine Atto II
 
2h39’30”
54’15”
 
 
A/S
R/A/a
Prot
Contenuto/Titolo
Inizio
Fine
Dur
N
III-1
A
EDV
Quello, che sente il cuore
 
 
 
2
III-2
A
BER
Su la fatal arena
2h41’30”
2h45’15”
3’45”
 
III-3
R-acc
ASP
Misero, e dove sono
2h45’28”
2h46’40”
1’12”
 
 
A
ASP
Piena di sdegno in fronte
2h46’40”
2h49’50”
3’10”
 
III-4
D
ADA GIL
Dimmi che m’ami, o cara
2h54’25”
3h07’05”
12’40”
 
III-6
A
LOT
So che tiranno io sono
3h14’40”
3h18’55”
4’15”
 
III-7
A
GIU
Quel che miri, o figlio
3h19’30”
3h21’35”
2’05”
5
III-8
A
ADA
Con placido contento
3h22’30”
3h27’20”
4’50”
 
 
A
GIL
Come nave in mezzo all'onde
3h29’25”
3h33’40”
4’15”
6
III-11
C
 
Ecco alfin che il fosco orrore
3h34’25”
3h35’55”
1’30”
 
 
 
 
Fine Atto III
 
3h35’55”
29’42”
 

 Note:

1. Come da partitura; testo nel libretto: Vedersi togliere l’amato bene
2. Taglio
3. Spostata dopo la Scena 10
4. Dall’opera Ezio    
5- Aria troncata dopo la sezione AA'
6. Dall’opera Siface