ipocrisia pesciarolaia

vado a votare, ma non voto

03 febbraio, 2023

laVerdi 22-23. 14

Tutto romantico il contenuto del 14° concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano, diretto (graditissimo ritorno, questo) da Oleg Caetani.

Si comincia con Chopin e il suo Primo Concerto per pianoforte e orchestra (in realtà il secondo in ordine cronologico di composizione) suonato – al posto del titolare Alexander Godjiev - da un altro dei giovanissimi (22 anni) fenomeni del concertismo di oggi, Elia Cecino (ecco come il ragazzino lo interpretava un anno fa al Teatro Malibran di Venezia con l’Orchestra della Fenice diretta da Frizza).

Il Concerto è francamente piuttosto... pretenzioso, ecco: basti pensare che il solista deve starsene lì a girarsi i pollici per ben più di 4 minuti (tanto dura l’introduzione orchestrale, che in realtà presenta nella loro completezza i temi che verranno poi suonati dal pianoforte!) prima di… entrare in partita. E poi quell’iniziale Allegro maestoso è davvero un movimento prolisso e ipertrofico (circa 20 minuti!)   

Certo, poi Chopin sapeva proporre temi e melodie accattivanti… che percorrono il Concerto da cima a fondo... E il fantastico Elia ce le ha proposte in maniera davvero trascendentale: non parlo solo e tanto della tecnica sopraffina (che già non è poco…) ma della sensibilità interpretativa, che testimonia grande attenzione e scavo della partitura, nella scelta delle dinamiche e dei proverbiali rubati.

Per lui un gran trionfo, ricambiato non con uno, ma con due encore: lo Chopin della Mazurka Op.24 (la stessa del bis del citato concerto alla Fenice) e questo Shostakovich.
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Ecco poi la poco eseguita Eine Symphonie zu Dantes Divina Commedia für Frauenchor und Orchester di Franz Liszt.

Nel foyer dell’Auditorium è esposta parte della collezione privata di edizioni storiche della Commedia, di proprietà del Presidente Emerito Gianni Cervetti. Vi sono esposti 7 esemplari, che spaziano su più di 4 secoli, dal 1491 al 1921. Ad ammirarli c’era anche il venerabile Quirino Principe, presente al concerto.

Caetani, che fatica sempre di più a camminare ma sul podio è ancora un leone, ha introdotto l’opera ricordando una sua indiretta relazione con l’Autore: il suo trisnonno Michelangelo Caetani conobbe a Roma Liszt (che era là durante gli Anni di pellegrinaggio) ed ebbe, con il figlio Onorato, una lunga relazione di amicizia con il compositore!  

Liszt era praticamente allergico alla musica-pura, per lui i suoni dovevano essere necessariamente associati alle reazioni emotive dell’animo umano di fronte a qualsivoglia oggetto o fenomeno o concetto. Così gran parte della sua produzione (pianistica e orchestrale) è ispirata a oggetti, luoghi da lui visitati, opere letterarie, personaggi storici o mitologici e via discorrendo. Fanno forse eccezione i due Concerti per pianoforte, che non hanno né sottotitoli, né programmi esterni appiccicati.

Liszt era stato attratto da Dante fin dal 1848 e aveva composto, prima della Sinfonia, una Dante-sonata poi ripresa in altre opere con diversi titoli (es.: Anni di pellegrinaggio). Come la Sinfonia-Faust, anche la Dante altro non è se non un poema sinfonica con struttura che rimanda alla sinfonia. La Dante fu composta negli anni 1855-56 e l’Autore la dedicò a colui che pochi anni dopo diventerà suo genero, per tramite di Cosima. Con Wagner Liszt aveva già un sodalizio artistico, culminato nella coraggiosa decisione (1850) dell’allora Kapellmeister di Weimar di mettere in scena l’ultima opera dell’esule, colà rifugiatosi provvisoriamente – sulla strada per Zurigo - perchè inseguito da un mandato di cattura da Dresda come complice nella rivoluzione del 48-49: il Lohengrin.

Erano tempi in cui Wagner, lasciato Siegfried a riposarsi dalle fatiche della vittoria sul drago Fafner, si stava dedicando anima (e corpo !?) alla conquista della bella Mathilde, che gli dava ispirazione e carica adrenalinica per costruire quel po’-po’ di monumento chiamato Tristan. E proprio Wagner si permise di cercar di dissuadere Liszt dal musicare Dante (il Paradiso, soprattutto) impresa da lui giudicata tanto velleitaria quanto disperata.

Ma Liszt. che quanto ad autostima e velleitarismo non era secondo a nessuno, non si fermò di fronte a nulla e portò a termine l’ardua impresa, limitandosi modestamente e per rispetto divino a non musicare come Paradiso un ultimo movimento della sua Sinfonia a programma, ma appendendo al Purgatorio un Magnificat con coro femminile. Poi, non contento, preparò anche 22 battute di un secondo finale (Halleluja) da eseguirsi - ma non lo fa nessuno - ad-libitum 

Il movimento iniziale (Inferno) ha una struttura lontanamente parente della forma-sonata; ma presenta tratti che lo apparentano alla fantasia. La tonalità prevalente è RE minore, ma con innumerevoli divagazioni e modulazioni.

Si apre in tempo Lento con un tema introduttivo, reiterato tre volte, sulle cui ricorrenze Liszt ha scritto in calce i tre versi danteschi: Per me si va nella città dolente; per me si va nell’eterno dolore e per me si va tra la perduta gente! Poi compare uno stentoreo motivo che farà da motto ricorrente sulle cui note leggiamo invece: Lasciate ogni speranza voi ch’entrate!

[Lodevole al proposito l’idea di proiettare sui due schermi ai lati del palco quei versi, proprio in corrispondenza dell’esecuzione delle note sotto le quali Liszt li vergò sul suo manoscritto. Un modo intelligente per spiegare la relazione fra suoni e parole anche a chi non ha sottomano la partitura.]

Adesso stiamo scendendo giù nei gironi infernali, da dove arrivano sordi rumori e lamenti: sono i movimenti convulsi dei condannati, che prima arrivano da lontano e poi sono sempre più pesanti e vicini. Il vento infernale, con successive folate sempre più forti ci accompagna nella discesa finchè il motto, sempre più protervo, fra turbini di vento, ci ricorda che lì non c’è proprio scampo alcuno.

E scampo non ci fu e non ci sarà per qualcuno che ora incontriamo, in un’atmosfera fattasi improvvisamente più rarefatta (arpa e pianoforte). Il clarinetto prima e poi il corno inglese ci svelano l’identità dei personaggi che ci stanno di fronte: la partitura reca i versi Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria. Sì, sono precisamente Paolo e Francesca.

Ecco quindi che un accorato tema in Andante amoroso si dispiega nobilmente, con successive volute e passando alle diverse sezioni dell’orchestra, fino a spegnersi su una lunga coda chiusa, indovinate? dal motto che nega ogni speranza! E infatti, dopo una marziale, sommessa introduzione di timpani, fagotti e corno, in partitura leggiamo un’indicazione perentoria di Liszt: ciò che segue deve suonare come un blasfemo e irridente sghignazzo! Ed è infatti un crescendo tumultuoso quello che ora ascoltiamo, riportandoci… all’inferno di quel luogo.

Ci avviamo ora all’uscita, accolti sulla soglia - c’era da aspettarselo - dal protervo sigillo del motto!  

Usciti dagli inferi, eccoci ai piedi del monte Purgatorio. Liszt interpreta il secondo cantico dantesco come un lento ma sicuro viaggio verso la totale redenzione dai peccati dell’Uomo, un lungo e faticoso, ma nobile, preludio all’accesso al trascendente.

Si suddivide in tre parti: 1. l’uscita dall’Inferno e il ritrovarsi nella Natura; 2. Il percorso lungo le diverse cornici del Purgatorio; 3. La visione del Paradiso (Magnificat). Le due sezioni esterne presentano musica serena ed estatica, mentre quella centrale è caratterizzata dall’evocazione delle difficoltà e dei sacrifici che i confinati in Purgatorio devono affrontare per meritarsi il Paradiso.

La prima sezione del movimento evoca il respirare nuovamente a pieni polmoni, ammirando l’eterno spettacolo della Natura. È un motivo che si innalza sereno e sognante, esposto dagli strumentini due volte, dapprima in RE e poi in MIb maggiore.      

Ma ora ci si deve incamminare lungo l’ardua scalata del Purgatorio, se vogliamo arrivare al… Paradiso. Ecco quindi che tutta la lunga sezione centrale del movimento è caratterizzata da motivi che evocano: fatica, dolore, privazioni, al fine di espiare i peccati e guadagnare il premio più alto. Non a caso ritroviamo, camuffati ma riconoscibili, anche motivi che vengono dall’Inferno, poiché rappresentano peccati che – se pur non irrimediabili – devono essere dolorosamente riconosciuti per poter ambire al perdono divino. Sono atmosfere che ritroveremo più avanti anche nel Parsifal, che per certi aspetti è debitore di questa musica.

Un solenne passaggio dal chiaro sapore Berlioz-iano ci preannuncia l’arrivo sulla sommità del monte, nel Paradiso terrestre, dove il maestoso e beatificante Magnificat (in SI maggiore) ci fa intravedere… l’Indescrivibile.

E, per il Magnificat, Caetani ha deciso di impiegare (appropriatamente, direi) in aggiunta al Coro femminile (I Giovani di Milano), anche il Coro di voci bianche, diretti entrambi da Maria Teresa Tramontin. [Anziché starsene fuori scena, come prescritto da Liszt, il Coro ha cantato dalla balconata dell’Auditorium, ottenendo un mirabile effetto di suoni che arrivano dal… Paradiso.]

Un’esecuzione davvero con i fiocchi, accolta trionfalmente, che certo ha contribuito a far conoscere al pubblico quest’opera un po’ reietta, ma che merita – pur non potendosi definire un capolavoro – di trovare il suo posto nei repertori delle grandi orchestre.

29 gennaio, 2023

La Scala celebra i Vespri d’oggi.

Tornano alla Scala dopo più di 30 anni i Vespri… modernizzati. Nel senso che il soggetto messo in scena (oggi dal visionario Hugo De Ana) è un’attualizzazione plausibile – a livello concettuale – del testo originale di Scribe con la conseguente musica del Giuseppe.

Cioè ci vediamo due ben distinte parti in causa: un regime invasore/oppressore (rappresentato da tale Monforte) e un popolo ribelle/resistente (guidato da tale Procida). Quindi, per stare alle più attuali delle attualità: Russia-Ukraina, oppure Ayatollah-popolo, o anche Turchia-Kurdi, Talebani-popolo e così via elencando piacevolezze simili disseminate sull’intero pianeta. Pertanto nessuno si scandalizzi se in scena si vedono i Leopard e le squadre speciali antisommossa: mutatis-mutandis, è sempre l’eterno scenario che si ripete, nel 2023 come 741 anni addietro.

Nulla a che vedere perciò – tanto per citare un clamoroso caso contrario, cioè di assoluta inconsistenza fra l’attualizzazione registica e il soggetto originale – con la visione lunatica presentataci da Livermore a Torino nel 2011 in occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia.

Tuttavia il regista argentino si è beccato una nutrita salva di buh all’uscita finale, il che dimostra che il non stravolgimento dei contenuti del soggetto originale non sia condizione sufficiente a garantire il successo della messinscena.

Di cui probabilmente il pubblico (e il sottoscritto fra questi) non ha gradito l’eccessiva insistenza sugli aspetti crudi, cruenti e nichilisti della repressione e delle umiliazioni che il potere infligge al popolo vessato. Insomma, nel Vespri di Scribe-Verdi ci sono anche squarci di luce e di serenità, che sono dal regista totalmente ignorati. Quindi: cannoni e tank fin dall’inizio, poi scene di continua desolazione: Procida approda sui resti di una battaglia, non in una ridente valle, con colline fiorite di cedri e aranci; sulle note della barcarola vediamo (in luogo di donne adagiate su molli cuscini sul battello) donne a terra prive di sensi (forse stuprate dai biechi invasori?); e il carcere dell’atto IV nulla ha da invidiare a Guantanamo

E sempre incombe in scena la morte: quella del Settimo sigillo! Che fin dall’inizio gioca a scacchi con il soldato crociato: ??? Si, vabbe’, Federico II era stato alla quinta crociata 60 anni prima del Vespri… o il regista aveva in mente qualche altro nesso con il soggetto da rappresentare?

Ecco, a questo punto si può inserire il discorso sui balletti. A parte quella sulla lingua (in Italia ormai è raro - e forse avrebbe poco senso - dare l’opera in quella originale francese) la domanda che sempre ci si pone di fronte all’annuncio della messa in scena di Vespri è proprio questa: ma i balletti? Ebbene, proprio nella precedente comparsa al Piermarini (Muti, 1989, con Pizzi) vennero tutti eseguiti, mentre oggi si è deciso per il no. Quindi: niente Quattro Stagioni (Atto III, Scena V) e niente Sposalizio (Atto V, Scena I).  Resta un minimo di coreografia per la sola Scena VI dell’Atto II, il ratto delle siciliane da parte della soldataglia francese aizzata da Procida.

Di sicuro c’è che, con la regìa di De Ana, le danze (35 minuti di grande musica!) ci sarebbero state come i cavoli a merenda, quindi viene spontanea la domanda sul nesso causa-effetto fra messinscena e balletti: è la rinuncia preventiva del Teatro a presentarli (causa) ad avere consentito a De Ana questa messinscena (effetto) o è l’impostazione registica (causa) che ha imposto al Teatro di rinunciare ai balletti (effetto)? Si accettano scommesse in merito…
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Molto meglio le cose sono andate per fortuna sul piano musicale, grazie alla perizia del concertatore: Fabio Luisi ha dato, fin dall’impeccabile esecuzione della grande Sinfonia, una lettura convincente della partitura verdiana, cogliendone sia la tinta generale che i minimi dettagli e sfumature. Massima precisione nel gestire il palco, con attacchi a voci e coro sempre precisi e con dosaggi delle dinamiche che mai hanno penalizzato le voci.

Dati i giusti meriti, ma è quasi scontato, al Coro di Malazzi, va elogiato in blocco il cast delle voci: a cominciare da quelle dei due personaggi rappresentativi delle due parti in causa: Luca Micheletti, un Monforte di grande spessore, nei suoi atteggiamenti da dittatore come in quelli del padre che inopinatamente ritrova il figlio perduto; e Simon Lim (cresciuto in passato all’Accademia scaligera) che è stato un Procida tanto più meritevole in quanto arrivato sulla scena quasi all’ultimo momento.

Piero Pretti è un convincente Arrigo, voce squillante, acuti ben tenuti ed efficace resa di questo tormentato personaggio, vittima del… destino cinico e baro.

Vengo ora alla Elena di Marina Rebeka: tutto bene per lei fino alla seconda scena dall’atto IV (il duetto con Arrigo, dopo la scoperta dell’identità dell’amato, al termine del quale ha avuto un meritato applauso a scena aperta). Poi il patatrac: alla fine della Siciliana (che poi sarebbe una… Polacca) dell’atto conclusivo, una sonora salva di buh dal secondo loggione si è mescolata ai prevalenti applausi del resto del pubblico! Per me, davvero incomprensibile. E le contestazioni, più o meno isolate, sono poi proseguite alle diverse uscite finali. Mah…

Bene tutte le altre voci maschili (bassi e tenori) che hanno dignitosamente e meritoriamente dato il loro contributo al successo della parte musicale dello spettacolo.

27 gennaio, 2023

laVerdi 22-23. 13

Il tema del concerto dell’Orchestra Sinfonica di Milano di questa settimana – sul podio dell'Auditorium torna uno dei direttoti emeriti, Claus Peter Flor - è la morte (!) Ma non si tratta di pagine della sezione necrologi di qualche giornale, bensì di sublimazioni artistiche legate a quello che è l’inevitabile destino di ognuno di noi…

Due composizioni che furono create dai rispettivi autori (Mahler e Mozart) in condizioni esistenziali praticamente antipodiche: il sommo Teofilo ormai in vista della propria fine, tanto che questa sopraggiunse ben prima che l’opera fosse portata a termine; il 41enne Mahler che, dopo aver visto la morte in fronte (anzi… ehm… in… c**o!) aveva chiuso in idillio la Quarta Sinfonia e ripreso la sua vita felice con la bella Alma, che gli stava per dare un paio di paffute figliolette.

E la serata si apre proprio con i Kindertotenlieder, su testi di Friedrich Rückert (che per la verità li aveva titolati Kindertodtenlieder) il quale aveva scritto ben 428 poesie per ricordare la morte prematura (per scarlattina, nel giro di poche settimane dopo Natale e Capodanno del 1833) dei due figli più giovani dei suoi sei.

Mahler musicò cinque di queste poesie, in due rate: tre nel 1901 (quando ancora era senza figlie) e due nel 1904, fresco padre della seconda femminuccia (Gucki, di due anni più giovane della prima, Putzi). A quell’epoca lui poteva ben considerarsi un uomo felice e arrivato: Generalmusikdirektor della Hofoper di Vienna (ai tempi uno dei teatri più rinomati, se non il più importante, del panorama musicale); sposato alla donna più ammirata e desiderata di Vienna (Alma Schindler); ed economicamente arrivato (lui in effetti non aveva mai patito ristrettezze, era di famiglia ebrea benestante, che aveva potuto mandarlo da solo, dalla periferica Jihlava a studiare a Vienna).

Certo, da bambino aveva dovuto venire a conoscenza o assistere alla prematura scomparsa di due suoi fratellini, il che può spiegare la sua decisione di musicare quelle poesie di Rückert, ma è certo – e da lui stesso confermato anni dopo - che non si trovasse nelle stesse condizioni di disperazione dell’autore dei testi. Oltretutto, proprio nello stesso periodo, Mahler completava la sua Sinfonia tragica (la Sesta) il che conferma come le sue scelte estetiche del momento non fossero per nulla conseguenza di disavventure materiali o psicologiche. (Il destino arriverà a colpire qualche anno dopo, con la morte di Putzi, sempre per scarlattina e difterite, il licenziamento dal Teatro, la scoperta della disfunzione cardiaca, e soprattutto quella dei tradimenti a sfondo sessuale di Alma…) Più sotto alcuni dettagli sulla composizione.

Il giovane baritono Benjamin Appl ne ha dato un’interpretazione intensa, sfoggiando una voce chiara e bene impostata. Magari potrebbe perfezionare la varietà di sfumature, ma di sicuro avrà tempo per farlo. Intanto si è meritato – insieme all’orchestra – applausi, consensi e chiamate alla ribalta, da parte di un pubblico tornato per l’occasione ad affollare piacevolmente l’Auditorium.
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Ecco poi il clou della serata: il Requiem K626. Opera purtroppo rimasta allo stato di torso e completata-rimaneggiata da mani diverse (qui una mia breve disamina delle sue disavventure…)

Flor, che lo aveva già diretto con laVerdi 17 anni orsono, torna a presentare l’opera completa (nella versione Süssmayr) dopo che l’ultima apparizione del Requiem qui in Auditorium (2020 con Maxime Pascal) era stata limitata a Introitus, Kyrie e alla Sequenz (versione Eybler).

Per l’occasione il Coro Sinfonico diretto da Massimo Fiocchi Malaspina è rinforzato dal Coro dei giovani di Maria Teresa Tramontin. Ed è stato protagonista di una eccellente prestazione, in particolare nei tanti passaggi fugati che costellano l’opera.

Ma anche i quattro solisti (ad Appl si sono aggiunti Sobotka Iwona, Bettina Ranch e Bernhard Berchtold) disposti fra orchestra e coro hanno dato il loro sostanziale contributo al successo dell’esecuzione.

Orchestra come al solito in grande spolvero (menzione doverosa per il trombone basso di Giacomo Ceresani, protagonista del Tuba Mirum con Berchtold). Flor ha diretto con il solito piglio, anche se (gusti miei personali) avrebbe potuto tenere tempi meno sostenuti in alcuni passaggi che meriterebbero più… aggressività. Significativa la lunga pausa di raccoglimento da lui tenuta fra l’Offertorium e il Sanctus, proprio a separare Mozart da… Süssmayr.

Inutile dire della calorosa accoglienza che il pubblico ha riservato a tutti.
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I Kindertotenlieder

Rispetto ai testi originali, Mahler ha introdotto qua e là alcune variazioni, o aggiunte, per ragioni squisitamente musicali. I testi riportati nel seguito sono appunto quelli musicati.

1. Nun will die Sonn' so hell aufgehn (1901)

Dal testo traspare dolore immenso (la luce si è spenta nel cuore del padre); ma poi prevale la fede nella luce eterna del mondo.

Langsam und schwermütig; nicht schleppend – 4/4 RE minore (-maggiore)

In questo Lied (di due quartine) troviamo una continua alternanza fra voce e strumenti. La struttura tematica del Lied per quanto riguarda la voce si può così schematizzare: A-B/A-B//C/A-B//B

Introduzione orchestrale I (oboe)
Nun will die Sonn' so hell aufgehn, (Tema A)
Risposta orchestrale su Tema A (oboe)
Als sei kein Unglück, kein Unglück die Nacht geschehn! (Tema B)
Chiusura orchestrale O (corno)
Introduzione orchestrale I’ (oboe)
Das Unglück geschah nur mir allein! (Tema A)
Risposta orchestrale su Tema A (oboe)
Die Sonne, die Sonne sie scheinet allgemein! (Tema B)
Chiusura orchestrale O’ (corno)

Introduzione orchestrale I’’ (oboe + corni su Tema A)
Du mußt nicht die Nacht in dir verschränken, (Tema C)
Mußt sie ins ew'ge Licht versenken! (cont. Tema C)
Transizione orchestrale (contiene I’’’ nell’oboe)
Ein Lämplein verlosch in meinem Zelt! (Tema A)
Heil sei dem Freudenlicht der Welt! (Tema B accorciato)
Chiusura orchestrale O’’ (violoncelli)
dem Freudenlicht der Welt! (coda Tema B variato)

Nella figura sottostante sono rappresentati i principali passaggi di voce e strumenti (esclusa la lunga transizione orchestrale che segue il Tema C). Come precisato, i temi A e B e le introduzioni e code orchestrali variano (poco o tanto) fra una strofa e l’altra.

Va anche osservato come Mahler continuamente vari le atmosfere – anche a parità di temi – con passaggi maggiore-minore, o attraverso contrasti fra diatonismo e cromatismo, o fra timbri orchestrali: insomma, non c’è mai pura ripetitività (e questa sappiamo essere una delle principali peculiarità dell’estetica mahleriana…)  


2. Nun seh' ich wohl, warum so dunkle Flammen (1904)

Gli occhi dei bambini, quali raggi di luce accecante, dicevano al padre ciò che il padre non voleva/poteva capire: che sarebbero tornati là da dove ogni creatura è venuta. Avrebbero tanto voluto restare con lui, ma il destino aveva scelto altrimenti. E così quegli occhi fiammeggianti si trasformeranno in lucenti stelle.

Ruhig, nicht schleppend – 4/4 DO minore (-maggiore) / RE maggiore

A differenza del primo Lied, qui, se si escludono le poche battute di inizio e fine, è sempre la voce a tener banco, esponendo le due quartine e le due terzine del testo.

L’attacco del canto, dopo le 4 battute introduttive, viene proprio da lontano e dalle profondità, precisamente dalla tomba di Radames! Mahler lo aveva già citato nel terzo movimento (Ruhevoll) della sua Quarta ed ora lo impiega (quasi nella stessa tonalità) per aprire il Lied:

DO minore
Nun seh' ich wohl, warum so dunkle Flammen
Ihr sprühtet mir in manchem Augenblicke. O Augen! O Augen! 
DO maggiore
Gleichsam, um voll in einem Blicke
Zu drängen eure ganze Macht zusammen.

DO minore (> LAb maggiore?)

Doch ahnt' ich nicht, weil Nebel mich umschwammen,
Gewoben vom verblendenden Geschicke,
DO maggiore
Daß sich der Strahl bereits zur Heimkehr schicke,
Dorthin, dorthin, von wannen alle Strahlen stammen.
 
DO Maggiore >>> RE maggiore
Ihr wolltet mir mit eurem Leuchten sagen:
Wir möchten nah dir bleiben gerne!
SOL minore
Doch ist uns das vom Schicksal abgeschlagen.
 
SIb minore (> SOLb maggiore?)
Sieh' uns nur an, denn bald sind wir dir ferne!
DO maggiore
Was dir nur Augen sind in diesen Tagen:
In künft'gen Nächten sind es dir nur Sterne.
DO minore

Nella figura qui sotto sono rappresentate le parti vocali delle quattro strofe:



È il padre che, vedendo la madre entrare nella stanza, non guarda lei, ma il punto dove usava vedere il volto della piccola figlia. Oggi, quando la madre entra, lui immagina di vedere accanto a lei anche la piccola; ma purtroppo ciò non accade più… la piccola se n’è andata per sempre.

Schwer, dumpfFliessender - 4/4 DO minore

Mahler ha qui condensato due delle poesie di Rückert costruendone una fatta di due strofe (rispettivamente di 13 e 10 versi). La struttura musicale è abbastanza semplice: la seconda strofa ripercorre in gran parte l’andamento e i motivi della prima, salvo qualche accorciamento e variante. Come per il primo Lied, qui l’orchestra aggiunge di suo un’introduzione (ripetuta per le due strofe) e un epilogo.

Interessante notare la somiglianza del tema del Lied con quello di una canzone popolare morava (di František Bartoš) già notata dal nostro grande esegeta mahleriano Ugo Duse:

Introduzione (corno inglese)
Wenn dein Mütterlein motivo T1 (flauto e oboe su motivo Introduzione)
tritt zur Tür herein,
oboe su motivo Introduzione
Und den Kopf ich drehe, motivo T2 (oboe su motivo Introduzione)
ihr entgegen sehe,
oboe e clarinetto su motivo Introduzione (modulazione a SOL minore)
Fällt auf ihr Gesicht SOL minore, motivo T1 (oboe e corno inglese su motivo Introduzione)
erst der Blick mir nicht,
corni  (>>> DO minore)
Sondern auf die Stelle, motivo T3 (violoncelli)
näher nach der Schwelle,
Dort, wo würde dein (flauto)
lieb Gesichten sein,
Wenn du freudenhelle
trätest mit herein, trätest mit herein, (violoncelli)
Wie sonst, mein Töchterlein.

Introduzione (corno inglese)
Wenn dein Mütterlein motivo T1 (flauto e oboe su motivo Introduzione)
tritt zur Tür herein,
oboe su motivo Introduzione
Mit der Kerze Schimmer, motivo T2 (oboe su motivo Introduzione)
ist es mir, als immer
Kämst du mit herein, SOL minore, motivo T1 (oboe e corno inglese su motivo Introduzione)
huschtest hinterdrein,
als wie sonst ins Zimmer! >>> DO minore incipit motivo T3 (clarinetto)
oboe su passaggi di T3
O du, des Vaters Zelle, motivo T3 (viole)
Ach, zu schnelle, zu schnell
erloschner Freudenschein, erloschner Freudenschein!
cadenza finale sulla dominante

Nella figura qui sotto sono rappresentati principali motivi del Lied:


4. Oft denk' ich, sie sind nur ausgegangen (1901)

Il padre rassicura la madre: i bambini sono solo usciti per una passeggiata sulla collina; la giornata è splendida, non v’è nulla da temere. Ma no, invece loro ci hanno preceduto e non torneranno più a casa. Noi li raggiungeremo su quella collina, al sole, dove la giornata è sempre bella.

Ruhig bewegt, ohne zu eilen - 4/4 alla breve MIb maggiore-minore – SOLb maggiore

Il testo consta di tre quartine, accompagnate dagli stessi temi musicali, nelle stesse tonalità e con leggere variazioni. In pratica troviamo 4 motivi, uno per ciascun verso della quartina. A ciò si aggiunge soltanto una breve introduzione orchestrale. 

Introduzione (corni, violini, poi legni) MIb maggiore
Oft denk' ich, sie sind nur ausgegangen, MIb minore
Bald werden sie wieder nach Hause gelangen, SOLb maggiore
Der Tag ist schön, o sei nicht bang, MIb maggiore
Sie machen nur einen weiten Gang. (frase musicale sospesa)
Oboe e violini chiudono la frase
 
Ja wohl, sie sind nur ausgegangen,
Und werden jetzt nach Hause gelangen,
4 battute di collegamento
O, sei nicht bang, der Tag ist schön,
Sie machen nur den Gang zu jenen Höh'n. (frase musicale sospesa)
Flauto e violini chiudono la frase
 
Sie sind uns nur vorausgegangen, (attacco variato)
Und werden nicht wieder nach Haus verlangen,
4 battute di collegamento
Wir holen sie ein auf jenen Höh'n
Im Sonnenschein, der Tag ist schön auf jenen Höh'n.
2 battute di chiusura

La figura sottostante riporta il tema introduttivo e le quattro componenti della prima quartina, che si ripetono con piccole variazioni nelle successive.


5. In diesem Wetter, in diesem Braus (1904)

l padre non si dà pena: i bambini non avrebbero mai dovuto uscire all’aperto con questo tempaccio!

Ma me li hanno fatti uscire, senza che potessi dir nulla. Ma ora è inutile recriminare. Oggi riposano come fossero a casa con la mamma, nulla più li spaventa, sono protetti dalla mano di Dio.

Mit ruhelos schmerzvollem Ausdruck - 4/4 RE minore (LA e RE maggiore per l’ultima strofa)

Il testo consta di 5 quartine (rispetto all’originale Mahler ha ripetuto – variata - la prima, inserendola dopo la terza) cui il musicista ha apportato solo piccole modifiche. La prime quattro strofe sono apparentate dalla tonalità di RE minore e dall’agogica evocante lo stato d’animo fra il disperato e il rassegnato del genitore. Nella quinta si apre (con il passaggio a RE maggiore) la visione dei piccoli che godono ormai dell’eterna pace.  

Introduzione strumentale in RE minore (contiene l’inciso I - vedi figura - che è parente di una figurazione presente nel primo movimento della Terza Sinfonia)
In diesem Wetter, in diesem Braus,
Nie hätt' ich gesendet die Kinder hinaus;
Man hat sie getragen, getragen hinaus,
Ich durfte nichts dazu sagen!
 
In diesem Wetter, in diesem Saus,
Nie hätt' ich gelassen die Kinder hinaus,
3 battute di raccordo (su inciso I dell’introduzione)
Ich fürchtete sie erkranken;
Das sind nun eitle Gedanken.
7 battute di raccordo (con inciso I dell’introduzione)
 
In diesem Wetter, in diesem Graus,
Nie hätt' ich gelassen die Kinder hinaus;
3 battute di raccordo (su inciso I dell’introduzione)
Ich sorgte, sie stürben morgen,
Das ist nun nicht zu besorgen.
8 battute di raccordo (con inciso I dell’introduzione)
 
In diesem Wetter, in diesem Graus!
3 battute di raccordo
Nie hätt' ich gesendet die Kinder hinaus!
Man hat sie hinaus getragen,
Ich durfte nichts dazu sagen!
9 battute di raccordo con transizione a RE maggiore (LA acuti di ottavino e glockenspiel)

In diesem Wetter, in diesem Saus, in diesem Braus, (modulazione a LA maggiore)
Sie ruh'n, sie ruh’n als wie in der Mutter, der Mutter Haus,
Von keinem Sturm erschrecket, Von Gottes Hand bedecket, (ritorno a RE maggiore)
Sie ruh'n, sie ruh’n wie in der Mutter Haus, wie in der Mutter Haus,
15 battute di chiusura in RE maggiore (motivo del penultimo verso nel corno)

Ecco i principali motivi di questo Lied (Introduzione e prime 4 strofe):

L’ultima strofa merita un discorso a sé, rappresentando non solo la chiusura del Lied, ma anche la summa dell’intero ciclo: anche a fronte di un’acuta disperazione per la disgrazia che lo ha colpito (il cupo RE minore) l’Uomo sa imboccare la strada della consolazione, trovando finalmente rifugio in Dio e nella Natura, non a caso RE maggiore. È precisamente l’approccio esistenziale (ed estetico) di Gustav Mahler, da lui manifestato praticamente in tutta la sua produzione artistica.

Ci resta ormai solo la cadenza conclusiva, riservata all’orchestra, in particolare al primo corno, che espone la melodia del penultimo verso del testo. Sarà un caso (?) ma vi compare una frase (non è proprio una citazione letterale) che viene da un passaggio suonato nella Terza Sinfonia – di circa 8 anni antecedente al Lied - dal Corno da postiglione:

Si osservino dapprima le note riquadrate in blu: formano due frasi musicali suddivise in due segmenti, apparentemente identici, in realtà assai diversi per l’armonizzazione. La frase del Lied compie due balzi in salita (in LA) che preparano però la successiva discesa verso la tonica RE. Quella della Sinfonia parte dal secondo balzo della prima (riquadro rosso) per poi farne un altro più in alto e salire ulteriormente (nel seguito). Insomma, sembra che qualcosa con gli anni sia maturato nella visione del compositore…